Cass. Sez. III n. 12037 del 14 aprile 2020 (CC 4 feb 2020)
Pres. Liberati Est. Scarcella Ric. Mafera
Urbanistica.Ordine di demolizione ed alienazione del manufatto da abbattere

L'esecuzione dell'ordine di demolizione dell’opera abusiva, impartito dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell’art. art. 31, co. 9, D.P.R. n. 380/2001, non subisce gli effetti scaturenti da eventuale alienazione del manufatto, anche se anteriore allo stesso provvedimento giurisdizionale. Ciò in quanto, il suddetto ordine, non possiede natura di sanzione penale, nel senso definito nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e dalla relativa giurisprudenza della Corte di Strasburgo (per tutti: G.C., 8 giugno 1976, C-5100/71, Engel and Others v. the Netherlands). Una tale qualificazione è esclusa in quanto mediante lo stesso non si intende punire la condotta del trasgressore: l'intervento del giudice penale è, piuttosto, finalizzato al ripristino dell'assetto originario del territorio, alterato dall'intervento edilizio abusivo. L’elemento centrale è da individuare nell’oggetto del provvedimento, rectius l'immobile da eliminare, prescindendosi invece dall'individuazione di responsabilità soggettive. L’ordine di demolizione ha, dunque, carattere reale e natura di sanzione amministrativa, con autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso. La sua esecuzione è doverosa nei confronti di tutti i soggetti che, in quanto in rapporto con il bene, vantano sullo stesso un diritto reale ovvero personale di godimento. La realità del provvedimento de quo determina l’irrilevanza della colpevolezza del destinatario, potendo e dovendo lo stesso essere eseguito anche nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato, sicché la sua operatività non potrebbe in alcun modo essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza pronunciata il 26/07/2019, e depositata in data 01/08/2019, il Tribunale di Velletri, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza avanzata da Mafera Angelino (in qualità di presidente dell’Istituto Diocesano del Sostentamento per il Clero) con la quale era stata chiesta la revoca della sanzione accessoria della demolizione delle opere abusive, oggetto del decreto penale di condanna n. 1408/12, emesso dal medesimo Tribunale il 22.01.2012, irr. 10.12.2012.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Mafera a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, deducendo due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p. per aver la decisione omesso di vagliare alcune acquisizioni procedimentali con riferimento alla impossibilità di adempiere da parte del Mafera.
La decisione sarebbe errata in quanto non si sarebbe tenuto conto del fatto che, ad oggi, il Mafera, e per esso l’Istituto per il Sostentamento del Clero che presiede, non sarebbe in condizione di poter ottemperare al provvedimento dell’A.G., posto che l’immobile sul quale sono state realizzate le opere abusive, oggetto dell’ingiunzione di demolizione, sarebbe allo stato nel possesso del figlio della sig.ra Ione De Bernardini, rectius Paolacci Salvatore, risultando la prima deceduta. Sul terreno in questione non potrebbe essere vantato alcun diritto dall’Istituto per il Sostentamento del Clero, e dunque dal suo presidente, il quale, pur essendo proprietario, non avrebbe la possibilità di accedere nel suddetto terreno al fine di procedere alla demolizione dei manufatti. Afferma il ricorrente che l’Istituto sarebbe attualmente parte di un giudizio civile, pendente dinanzi al Tribunale di Velletri, R.G. 2337/18, nel quale Salvatore Paolacci avrebbe domandato l’accertamento dell’intervenuta usucapione del terreno e degli immobili sovrastanti, stante lo stato pregresso ed attuale di possesso degli stessi. Oltre alla opposizione al decreto di usucapione richiesto dal Paolacci, con connessa richiesta di liberazione dell’immobile, l’Istituto non potrebbe intraprendere ulteriori iniziative giudiziali. Nella pendenza del giudizio civile de quo, l’Istituto, ed il Mafera quale suo presidente, non potrebbero provvedere alla demolizione posto che il possesso qualificato sarebbe esercitato dal Paolacci.
Il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di motivare con specifico riferimento alla suddetta impossibilità, in quanto non potrebbero ipotizzarsi ulteriori azioni di carattere legale stante la pendenza del giudizio civile diretto ad accertare l’attuale proprietà dell’immobile. Quanto sopra, ad avviso della difesa, avrebbe dovuto consentire la sospensione dell’ordine di demolizione, quantomeno sino alla definizione del procedimento civile. Infatti, l’eventuale accoglimento della domanda di usucapione presentata dal Paolacci farebbe divenire lo stesso proprietario, trasferendo allo stesso ogni incombente di legge, con esonero del Mafera dalla esecuzione della demolizione. In caso contrario, l’Istituto riacquisterebbe il possesso del terreno, potendo eseguire l’ordine suddetto. Il ricorrente chiede pertanto, in riforma dell’ordinanza impugnata, la revoca dell’ordine di demolizione o, in subordine, la sua sospensione sino alla definizione del giudizio civile.

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed e) c.p.p. per aver il g.e. omesso di valutare la pendenza del ricorso al TAR avverso i provvedimenti di demolizione ed acquisizione.
La difesa rappresenta che anche il Comune di Grottaferrata avrebbe provveduto ad emettere nei confronti dell’Istituto per il Sostentamento del Clero, in persona del Mafera, una ordinanza (prot. 40127/6/3 dell’8/11/2017), avente ad oggetto la demolizione, con l’immediato ripristino dello stato dei luoghi, delle opere abusive realizzate sull’area sita in Via Pietro Tanza s.n.c.
In tale giudizio amministrativo, l’Istituto avrebbe fatto presente di essere proprietario del terreno attualmente occupato sine titulo da Paolacci Salvatore, il quale avrebbe provveduto a realizzare nel 2008, sul lotto appartenente al ricorrente e all’insaputa dei suoi organi di rappresentanza, delle opere, in assenza di titoli abilitativi, ed in totale difformità alle norme urbanistiche ed edilizie. Conseguentemente, il Comune di Grottaferrata avrebbe notificato all’Istituto l’ordinanza di demolizione, con l’espresso avviso che, in difetto, l’Amministrazione comunale avrebbe provveduto ad acquisire mq. 6.000, con evidente pregiudizio per l’ente proprietario. Per tale ragione tale provvedimento sarebbe stato impugnato, al fine di evitare la suddetta acquisizione. Il ricorso sarebbe pendente dinanzi al TAR del Lazio. In caso di rigetto, il terreno verrebbe acquisito al patrimonio del Comune di Grottaferrata, sicché la difesa chiede la sospensione dell’ordine di demolizione sino alla conclusione del giudizio amministrativo.  

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, con requisitoria scritta depositata in data 7.01.2020, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso in quanto la motivazione dell’ordinanza impugnata si presenterebbe incensurabile, sia sotto il profilo logico che giuridico, avendo inoltre il G.E. correttamente riscontrato l’assenza di un prevedibile e prossimo intervento di un provvedimento amministrativo o giurisdizionale di segno contrario.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è fondato, nei limiti e per le ragioni di cui si dirà oltre.

5. Con riferimento al primo motivo di impugnazione, si tiene a rammentare il consolidato orientamento di questa Suprema Corte (ex plurimis: Cass. Sez. III, 8 novembre 2017, n. 249; Cass., Sez. III, 26 febbraio 2014, n. 16035; Cass., Sez. III, 2 dicembre 2010, n. 801; Cass., Sez. III, 7 ottobre 2009, n. 45301; Cass., Sez. III, 29 marzo 2007, n.22853) in forza del quale l'esecuzione dell'ordine di demolizione dell’opera abusiva, impartito dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell’art. art. 31, co. 9, D.P.R. n. 380/2001, non subisce gli effetti scaturenti da eventuale alienazione del manufatto, anche se anteriore allo stesso provvedimento giurisdizionale. Ciò in quanto, il suddetto ordine, non possiede natura di sanzione penale, nel senso definito nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e dalla relativa giurisprudenza della Corte di Strasburgo (per tutti: G.C., 8 giugno 1976, C-5100/71, Engel and Others v. the Netherlands). Una tale qualificazione è esclusa in quanto mediante lo stesso non si intende punire la condotta del trasgressore: l'intervento del giudice penale è, piuttosto, finalizzato al ripristino dell'assetto originario del territorio, alterato dall'intervento edilizio abusivo. L’elemento centrale è da individuare nell’oggetto del provvedimento, rectius l'immobile da eliminare, prescindendosi invece dall'individuazione di responsabilità soggettive.

6. L’ordine di demolizione ha, dunque, carattere reale e natura di sanzione amministrativa, con autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso. La sua esecuzione è doverosa nei confronti di tutti i soggetti che, in quanto in rapporto con il bene, vantano sullo stesso un diritto reale ovvero personale di godimento. La realità del provvedimento de quo determina l’irrilevanza della colpevolezza del destinatario, potendo e dovendo lo stesso essere eseguito anche nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato, sicché la sua operatività non potrebbe in alcun modo essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile (Cass., Sez. III, 12 settembre 2019, n.49416; Cass., Sez. III, 21 settembre 2018, n. 3979; Cass., Sez. III, 7 luglio 2015, n. 42699; Cass., Sez. III, 26 febbraio 2014, n.16035; Cass., Sez. III, 21 dicembre 2009, n.42781; Cass., Sez. III, 11 maggio 2005, n. 37120).
L’ordine di demolizione deve essere diretto, pertanto, non solo al responsabile dell’illecito, ma anche, ove soggetto diverso, a colui il quale abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità materiale del manufatto abusivo, gravando su di esso l’obbligo di procedere al ripristino dello status quo ante.
E ciò è quanto è stato fatto nel caso in esame, atteso che, come risulta dal provvedimento impugnato, l’ingiunzione di demolizione 19/03 RSA, è stata notificata, oltre che all’attuale ricorrente, anche nei confronti del soggetto possessore dell’area ed erede della defunta Bernardini.

7. Nessun rilievo, ai fini della revoca o della sospensione del provvedimento, può inoltre acquisire l’eventuale sussistenza di un conflitto circa l’effettiva titolarità del bene – con pendenza del relativo giudizio - tra i destinatari dell’ordine di demolizione, la cui efficacia e validità non viene ad essere in alcun modo condizionata.
Il legislatore, nell’individuare quali destinatari della sanzione amministrativa il responsabile dell’abuso ed il proprietario della res abusiva, ha inteso valorizzare una situazione fattuale, ossia la sussistenza di un rapporto con il bene tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato, prescindendo invece dai profili di responsabilità soggettiva, irrilevanti nell’applicazione di tale sanzione amministrativa avente carattere reale.
Proprio tale ultima circostanza, che la giurisprudenza pone in evidenza nel fare riferimento al “soggetto che è in rapporto con il bene” (tra le tante: Sez. 3, n. 27888 del 16/06/2015 - dep. 02/07/2015, Iodice, Rv. 264188) solleva alcune perplessità in ordine alla esigibilità, da parte del proprietario “spossessato” del bene, di ottemperare all’ordine di demolizione ricevuto, essendo stato lo stesso privato della materiale disponibilità della res, a prescindere da eventuali – e qui irrilevanti - questioni afferenti l’effettiva titolarità dello ius possidendi.

8. Sul punto sembra opportuno riportare la posizione assunta dal giudice amministrativo: premesso che il presupposto per l'adozione di un'ordinanza di ripristino non è l'accertamento della responsabilità soggettiva nella commissione dell'illecito, bensì l'esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella definita nella normativa di riferimento, nonché l'individuazione di un soggetto il quale si trovi in una posizione tale da consentirgli di eseguire l'ordine ripristinatorio, laddove il proprietario del manufatto non risulti essere responsabile dell'abuso né avere il possesso del bene, l'ordine impartito non potrebbe produrre in concreto effetti anche nei suoi confronti. L’efficacia dovrebbe essere subordinata all’effettivo riacquisto della disponibilità della res, con conseguente concreta possibilità di procedere alla demolizione ordinata (Consiglio di Stato, Sez. VI, 30 giugno 2017, n. 3210; Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 luglio 2017, n.3391).

9. Nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione risulta non avere esaminato anche tale dato fattuale, essendosi invece limitato a richiamare una giurisprudenza che, sebbene in astratto non suscettibile di modifica alcuna, non sembra attagliarsi perfettamente alla fattispecie in esame. La giurisprudenza richiamata nell’ordinanza oggetto dell’odierno ricorso fa espresso riferimento ad ipotesi in cui, successivamente all’alienazione del manufatto ad un soggetto terzo, quest’ultimo, pur non avendo materialmente commesso l’illecito, è in ogni caso chiamato a dare esecuzione all’ordine di demolizione del quale è destinatario, non potendo il negozio traslativo determinare una compressione dell’interesse pubblico tutelato mediante la sanzione ripristinatoria. L’acquirente-terzo, tuttavia, in quanto materialmente in rapporto con la res abusiva, ha la concreta possibilità di procedere alla demolizione, circostanza che nella fattispecie in esame viene invece a mancare, come rappresentato dal ricorrente. Quest’ultimo non si duole dell’illegittimità dell’esecuzione dell’ordine anche nei suoi confronti (pur non avendo posto in essere l’illecito edilizio), ma piuttosto dell’impossibilità attuale di darvi esecuzione. Tale situazione fattuale incide evidentemente sulla posizione soggettiva del proprietario del terreno, determinando l’inottemperanza l’acquisto del bene nel patrimonio dell’ente comunale, sicché non potrebbe negarsi la sussistenza di un interesse diretto alla sospensione dell’ordine di demolizione.

10. Il secondo motivo di ricorso si presenta, invece, inammissibile.
Come più volte affermato da questa Corte Suprema, l'ordine di demolizione emesso a seguito di una sentenza di condanna, costituendo una sanzione amministrativa caratterizzata solo sul piano formale dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale disponente, non è suscettibile di passare in giudicato, potendo pertanto essere oggetto di riesame in fase esecutiva. Compete infatti al giudice dell'esecuzione valutare la compatibilità dell'ordine di demolizione con i provvedimenti eventualmente emessi dall'autorità o dalla giurisdizione amministrativa, con l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo ove siano sopravvenuti atti amministrativi (o giurisdizionali) incompatibili con il primo.
Il G.E. ha invece la facoltà di disporne la sospensione qualora, entro un breve arco temporale, sia concretamente prevedibile l'emissione di tali atti (Cass., Sez. III, 10 gennaio 2012, n. 25212; Cass., Sez. III, 24 marzo 2010, n. 24273).

11. Pertanto, non è sufficiente la mera pendenza di un giudizio innanzi al giudice amministrativo o, comunque, la mera possibilità che, in un tempo lontano e non prevedibile, saranno emanati atti favorevoli al condannato, essendo la tutela del territorio, che l'ordine di demolizione è funzionalmente diretto a garantire, mediante il ripristino dello status quo ante, non rinviabile sine die.
Tale orientamento consente di raggiungere un giusto equilibrio tra interessi meritevoli di protezione: quello pubblico alla celere riparazione del bene violato, da un lato, e quello del privato ad evitare un danno irreparabile nonostante una situazione giuridica suscettibile di evolversi a suo favore, dall’altro. Il giudice della esecuzione, pertanto, ove il provvedimento amministrativo/giurisdizionale non sia ancora stato emanato, è tenuto ad una attenta disamina circa i possibili esiti e tempi di definizione della procedura relativa, esaminando in particolare: a) il possibile risultato dell'istanza, nonché l’esistenza di cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, i tempi di definizione del procedimento amministrativo (giurisdizionale) con sospensione dell'esecuzione dell’ordine di demolizione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso (ex plurimis: Cass., Sez. III, 25 settembre 2014, n.47263; Cass, Sez. III,18 gennaio 2012, n. 25212; Cass., Sez. III, 7 dicembre 2011, n. 11149; Cass., Sez. IV, 11 ottobre 2011, n. 44035; Cass., Sez. III, 7 luglio 2011, n. 36992; Cass., Sez. III, 21 giugno 2011, n. 29638; Cass., Sez. III, 3 maggio 2009, n. 16686; Cass., Sez. IIII, 30 settembre 2004, n. 43878; Cass., Sez. III, 30 marzo 2000, n. 1388).

12. Nel caso concreto, il Tribunale risulta aver effettuato il doveroso controllo circa l’esito del giudizio amministrativo sul ricorso proposto dal Mafera avverso i provvedimenti emessi dal Comune di Grottaferrata, con i quali è stata ordinata al proprietario del terreno la demolizione delle opere abusive. Il giudice dell’esecuzione ha rilevato non solo l’assenza di atti incompatibili emanati dall’autorità amministrativa o giurisdizionale, ma anche la non prevedibile e probabile emissione degli stessi entro breve tempo, sicché l’ordinanza sul punto si presenta priva di vizi logico-giuridici. Si evidenzia, inoltre, che il ricorrente non ha posto in discussione il carattere abusivo dell’opera, né ha presentato una domanda di sanatoria, come rilevato dallo stesso Tribunale, difettando pertanto i presupposti non solo per la revoca dell’ordine di demolizione, ma anche per la sospensione dello stesso, non essendo “razionalmente e concretamente prevedibile che, nel giro di breve tempo, sia adottato dall’autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con l’ordine predetto” (pag. 3 – ordinanza).

13. L’impugnata ordinanza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al tribunale di Velletri, per nuovo esame in relazione al deficit argomentativo individuato supra a proposito del primo motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di Velletri.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 4 febbraio 2020