Cass. Sez. III n. 1262 del 10 gennaio 2013 (CC 25 set. 2012)
Pres. Lombardi Est. Franco Ric. Righi ed altri
Urbanistica. Inammissibilità sequestro finalizzato alla demolizione
In relazione a reati edilizi o paesaggistici, non è possibile disporre un sequestro preventivo finalizzato solo alla futura demolizione o rimessione in pristino dello stato dei luoghi che potranno eventualmente essere disposte con la sentenza di condanna. E difatti, in primo luogo, con la sentenza di condanna per uno di tali reati possono essere disposte solo dette sanzioni amministrative, ma non anche la confisca del manufatto abusivo. In secondo luogo, il sequestro preventivo è funzionale al processo di merito e non può essere utilizzato per anticipare le sanzioni amministrative accessorie della demolizione o della acquisizione alla pubblica amministrazione della porzione di manufatto. Invero, la misura cautelare del sequestro è finalizzata ad impedire la prosecuzione del reato o le conseguenze dannose dello stesso e prescinde dall'ordine di demolizione
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio SENTENZA P.Q.M.REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Presidente - del 25/09/2012
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1739
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 11059/2012
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
Righi Alessio, Bocchino Alessandro, Bocchino Maddalena, Liguori Luigi, Profeta Francesca, De Luca Salvatore, Dell'Annunziata Assunta, Capperucci Stefano, Funaioli Simone, Bacci Silvia, Costantini Silvia, Magazzini Silvano, Simi Giuseppina, Sardelli Stefano, Iacopini Valentina, Isuf Jonid ;
avverso l'ordinanza emessa il 4 ottobre 2011 dal tribunale del riesame di Siena;
udita nella udienza in camera di consiglio del 25 settembre 2012 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BAGLIONE Tindari, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Cipriani Stefano.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. A seguito di una iniziativa del Corpo forestale dello Stato, il Gip del tribunale di Siena, con decreto 22 agosto 2011, dispose il sequestro preventivo di due edifici, siti in Poggibonsi, località Palagetto, già ultimati ed abitati. Il sequestro preventivo venne disposto, per quanto emerge dalla ordinanza impugnata, in relazione al reato di lottizzazione abusiva ed a quello di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, ed ai sensi sia dell'art. 321 c.p.p., comma 2, in funzione della futura confisca obbligatoria per il reato di lottizzazione abusiva, sia ai sensi dell'art. 321, comma 1, stante l'esigenza cautelare di impedire le conseguenze dannose del reato.
Circa il fumus dei reati, il Gip lo ritenne esistente perché gli immobili erano stati realizzati con regolare permesso di costruire e relativa variante, ma senza autorizzazione paesaggistica (la quale era necessaria per essere la zona sottoposta a vincolo perché situata entro 150 m. dal fiume Elsa) e senza un piano di lottizzazione o un piano attuativo (che erano invece necessari ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies, comma 6, perché la densità fondiaria della zona era di 4,09 mc/mq, ossia superiore a tre metri cubi per metro quadrato).
Gli attuali proprietari degli appartamenti non erano indagati e vennero nominati custodi dei beni sequestrati.
2. Gli attuali ricorrenti proposero richiesta di riesame deducendo, in particolare: - che gli immobili non erano comunque confiscabili essendo essi terzi di buona fede; - che non esisteva il fumus del reato di lottizzazione abusiva perché il regolamento urbanistico del comune non prevedeva per l'edificazione in questione nessun piano attuativo, o di recupero, o particolareggiato, o di lottizzazione; - che inoltre la L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies, comma 6, non si riferisce ai casi di piani regolatori approvati successivamente alla sua entrata in vigore e comunque alle ricostruzioni nelle zona già urbanizzate; - che la materia era completamente disciplinata dalle leggi regionali, che non prevedevano l'emanazione di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata; -che non era dovuta la autorizzazione paesaggistica in quanto si trattava di zona da classificarsi come B ai sensi del D.M. n. 1444 del 1968; - che in ogni caso non sussistevano le esigenze cautelari.
3. Il tribunale del riesame di Siena, con ordinanza 4 ottobre 2011, confermò il decreto di sequestro preventivo. Osservò, tra l'altro, il tribunale: - che esisteva il fumus del reato di lottizzazione abusiva; - che però gli immobili non erano confiscabili in quanto appartenenti a terzi di buona fede; - che però il sequestro era stato disposto anche ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1, in relazione al reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis; - che il sequestro era giustificato dal fatto che in caso di condanna per questo reato gli immobili avrebbero dovuto essere demoliti; - che la questione sollevata dai ricorrenti secondo cui la zona doveva classificarsi come area B e non D1 era sicuramente rilevante e fondata su elementi apprezzabili, ma non poteva essere esaminata perché il tribunale del riesame deve limitarsi a valutare la astratta configurabilità del reato esclusivamente sulla base degli elementi rappresentati dall'accusa; - che quindi il tribunale doveva fermarsi al contenuto dei documenti forniti dall'accusa ed alla classificazione formale della zona; - che il sequestro concesso in relazione al reato ambientale era giustificato perché finalizzato alla demolizione e ad evitare l'aggravio delle conseguenze del reato;
-che la demolizione doveva disporsi anche nei confronti del terzo proprietario di buona fede.
4. L'avv. Stefano Cipriani, per conto dei proprietari degli appartamenti, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, e dell'art. 321 c.p.p., comma 1. Osserva che i ricorrenti sono stati riconosciuti dal tribunale del riesame come terzi di buona fede. Anche l'ordine di demolizione, anzi, nella specie, l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, costituisce una sanzione amministrativa accessoria, che può seguire soltanto ad una sentenza penale di condanna, e dunque in presenza di un accertato profilo di colpevolezza. Pertanto, quand'anche sì ipotizzasse come sussistente la violazione paesaggistica, l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi non potrebbe andare a sanzionare il terzo di buona fede. Inoltre, la presenza dei proprietari negli immobili non può aggravare il carico urbanistico.
2) violazione dell'art. 321 c.p.p., comma 1, per inesistenza della motivazione. Osserva che il tribunale ha individuato due motivi di cautela: la possibile confisca e il pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato. Il primo profilo è stato escluso dallo stesso tribunale. Il pericolo di protrazione riguarda semmai solo gli indagati che possono completare il terzo lotto e magari vendere ulteriori appartamenti, mentre nulla si dice in ordine al protrarsi delle conseguenze del reato cui potrebbero dar luogo i terzi proprietari degli appartamenti.
In data 18 settembre 2012 il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria contenente motivi aggiunti.
Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siena ha fatto pervenire memoria con documentazione allegata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve rilevarsi che il tribunale del riesame ha escluso che nella specie ricorrano i presupposti per un sequestro ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, ossia per un sequestro finalizzato ad una futura confisca in relazione al contestato reato di lottizzazione abusiva, stante la circostanza che gli immobili de quibus appartengono sicuramente a terzi di buona fede, estranei al reato.
Non è quindi necessario in questa sede esaminare la questione se nella specie esiste davvero il fumus del reato di lottizzazione abusiva, ed in particolare se gli strumenti urbanistici o le leggi regionali prevedevano o meno, per l'edificazione nella zona, la necessità di un piano attuativo, o di recupero, o particolareggiato, o di lottizzazione, nonché la proposta questione se la L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies, comma 6, si riferisca anche ai casi di piani regolatori approvati successivamente alla sua entrata in vigore e comunque alle ricostruzioni nelle zona già urbanizzate. 2. A seguito dell'ordinanza del tribunale del riesame, il vincolo limitativo del diritto costituzionalmente garantito è quindi rimasto esclusivamente in relazione al reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, ed ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1, ossia per il pericolo di prosecuzione del reato o di aggravamento delle sue conseguenze.
Quanto al fumus del detto reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, i ricorrenti ne avevano eccepito l'inesistenza per il motivo che non era necessaria alcuna autorizzazione paesaggistica in quanto la zona avrebbe dovuto essere classificata con B e non come D1 ai sensi del D.M. 1444 del 1968. Il tribunale del riesame ha espressamente rilevato che tale "questione è senz'altro rilevante e gli elementi offerti al tribunale apprezzabili, si devono però considerare adeguatamente natura e limiti del procedimento incidentale di riesame"; che in sede di riesame di sequestro il tribunale deve limitarsi a stabilire l'astratta configurabilità del reato ipotizzato; che quindi "gli elementi rappresentati dall'accusa non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma vanno valutati così come esposti al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica"; che conseguentemente il tribunale del riesame non poteva spingersi a valutare autonomamente l'esattezza della classificazione dell'area fatta a suo tempo dalla P.A. e l'eventuale sussistenza di un errore; che esso doveva invece fermarsi al dato documentale (quand'anche fosse erroneo) secondo cui la zona era classificata come D1 alla data del 6.9.1985 e quindi assoggettata al vincolo paesaggistico.
In sostanza il tribunale del riesame ha ritenuto che il suo sindacato non potrebbe investire la concreta fondatezza dell'accusa ma dovrebbe limitarsi alla verifica della astratta possibilità di ricondurre il fatto contestato alla fattispecie di reato ipotizzata dall'organo dell'accusa, sicché l'annullamento della misura cautelare sarebbe possibile solo laddove risulti ictu oculi la difformità tra fatto contestato e reato ipotizzato. In altre parole, secondo il tribunale del riesame, la sussistenza del fumus dovrebbe essere accertata solo sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non potrebbero essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che andrebbero valutati così come proposti dal pubblico ministero. Pertanto, sempre secondo l'ordinanza impugnata, il tribunale del riesame dovrebbe limitarsi a valutare esclusivamente che l'ipotesi dell'accusa non sia manifestamente infondata.
Si tratta di affermazioni palesemente erronee sia perché, per disporre e mantenere la misura cautelare reale, con conseguente compromissione del diritto costituzionalmente tutelato, non è sufficiente che l'ipotesi accusatoria non sia manifestamente infondata ma occorre che vi sia la prova del fumus del reato ipotizzato, sia perché il sindacato del tribunale del riesame non può limitarsi alla mera verifica della astratta possibilità di ricondurre il fatto contestato alla fattispecie di reato ipotizzata, ma deve appunto verificare la concreta sussistenza del fumus del reato.
Ed infatti, il diverso principio seguito dal tribunale del riesame, che pure a volte era stato affermato in passato da una parte della giurisprudenza, è stato però disatteso innumerevoli volte dalla giurisprudenza più recente, che questo Collegio intende ribadire, secondo cui il tribunale del riesame, per poter espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, non può avere riguardo solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del fumus del reato contestato (cfr., ex plurimis, Sez. 1, 9 dicembre 2003, n. 1885/04, Cantoni, m. 227.498; Sez. 3, 16.3.2006 n. 17751; Sez. 2, 23 marzo 2006, Cappello, m. 234197; Sez. 3, 8.11.2006, Pulcini; Sez. 3, 9 gennaio 2007, Sgadari; Sez. 4, 29.1.2007, 10979, Veronese, m. 236193; Sez. 5, 15.7.2008, n. 37695, Cecchi, m. 241632; Sez. 1, 11.5.2007, n. 21736, Citarella, m. 236474; Sez. 4, 21.5.2008, n. 23944, Di Fulvio, m. 240521; Sez. 2, 2.10.2008, n. 2808/09, Bedino, m. 242650; Sez. 3, 12.1.2010, Turco; Sez. 3, 24.2.2010, Normando;
Sez. 3, 11.3.2010, D'Orazio).
L'erroneo criterio di giudizio seguito dal tribunale del riesame inficia la validità dell'intera decisione.
3. Ritiene però questa Corte che non sia necessario annullare l'ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio sul fumus del reato ambientale ipotizzato, in quanto dal contenuto della ordinanza medesima emerge ictu oculi l'insussistenza di esigenze cautelari che possano giustificare il sequestro preventivo.
E difatti, l'ordinanza - al di là delle argomentazioni non sempre chiare, come quando afferma che "nella fattispecie poi viene contestata l'ipotesi di delitto, in ragione della rilevante cubatura edificata (?), quindi in ogni caso non è prevista nessuna sanabilità" - finisce per sostenere chiaramente che il sequestro è applicato esclusivamente ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1, ed in relazione al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, - e non anche in relazione alla confisca prevista per il reato di lottizzazione abusiva - e che il periculum in mora è individuabile nel fatto che esso è "finalizzato alla demolizione e/o comunque ad evitare l'aggravio delle conseguenze del reato".
Orbene, a parte il fatto che nella specie, in relazione al reato ambientale, si tratterebbe semmai di ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e non di ordine di demolizione, va innanzitutto ricordato che, in relazione a reati edilizi o paesaggistici, non è possibile disporre un sequestro preventivo finalizzato solo alla futura demolizione o rimessione in pristino dello stato dei luoghi che potranno eventualmente essere disposte con la sentenza di condanna. E difatti, in primo luogo, con la sentenza di condanna per uno di tali reati possono essere disposte solo dette sanzioni amministrative, ma non anche la confisca del manufatto abusivo (cfr. Sez. 3, 28.9.2011, n. 447/2012, Mancinelli; Sez. 3, 11.11.2009, n. 82/2010, Hernandes, m. 246003; Sez. 3, 28.10.2009, n. 9170/2010, Vulpio, m. 246200; Sez. 3, 28.11.2007, n. 4965/2008, Irti, m. 238781). In secondo luogo, il sequestro preventivo è funzionale al processo di merito e non può essere utilizzato per anticipare le sanzioni amministrative accessorie della demolizione o della acquisizione alla pubblica amministrazione della porzione di manufatto (Sez. 3, 4.5.2004, n. 29203, Sardi, m. 229489). Invero, la misura cautelare del sequestro è finalizzata ad impedire la prosecuzione del reato o le conseguenze dannose dello stesso e prescinde dall'ordine di demolizione (Sez. 3, 19.5.2009, n. 27943, Pezza, m. 244562, che ha precisato che quando l'ordine di demolizione diventa definitivo il giudice ha l'obbligo di disporre il dissequestro del manufatto abusivo per consentirne l'esecuzione). Inoltre, in materia edilizia, dopo la sentenza definitiva, qualora non sia stata disposta la confisca o la conversione in sequestro conservativo, non può essere mantenuto il sequestro del manufatto abusivo, neppure a garanzia della demolizione disposta con la sentenza di condanna L. 28 febbraio 1985, n. 47, ex art. 7 (ora sostituito dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9) o dei provvedimenti della P.A., ma le cose vanno restituite all'avente diritto (Sez. 3, 19.5.2009, n. 27943, Pezza, m. 244562, cit: Sez. 3, 21.10.2003, n. 45674, Cotena, m. 226860; Sez. 3, 18.2.2009, n. 699, Parisi, m. 213278).
Nella specie è pertanto illegittimo il sequestro disposto in quanto finalizzato alla futura eventuale demolizione o rimessione in pristino dei manufatti abusivi.
4. Quanto al sequestro preventivo disposto perché finalizzato ad impedire la prosecuzione del reato di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, o le ulteriori conseguenze dannose di tale reato, va innanzitutto rilevato che l'ordinanza impugnata è sul punto totalmente carente di motivazione, in quanto il tribunale del riesame ha in realtà fatto discendere automaticamente dalla ritenuta astratta configurabilità della detta fattispecie di reato la possibilità del sequestro, senza nulla dire in ordine alle specifiche ragioni giustificative della misura cautelare in ragione delle esigenze cautelari.
Ma, come si è già accennato, dalla stessa ordinanza impugnata emerge in modo evidente l'insussistenza delle prospettate esigenze cautelari. In essa infatti si da pacificamente atto che le unità immobiliari di proprietà degli attuali ricorrenti sono da tempo ultimate, rifinite ed abitate. Ne deriva che il periculum in mora consistente nella possibilità di prosecuzione del reato potrebbe eventualmente e in astratto sussistere rispetto al terzo fabbricato che si troverebbe ancora in fase di costruzione essendone state realizzate solo le fondamenta, ma non può prospettarsi nemmeno in astratto con riferimento agli immobili oggetto del presente giudizio, i quali sono appunto da tempo ultimati ed abitati. I relativi reati paesaggistici sono quindi da tempo consumati e perfezionati, sicché è evidente l'impossibilità di prosecuzione dei reati stessi. Quanto al permanere e all'aggravamento delle conseguenze dannose del reato, è sufficiente rilevare che nella specie non si tratta di reati edilizi, per i quali potrebbe prospettarsi l'esigenza di impedire le conseguenze del reato consistenti in un aggravamento del c.d. carico urbanistico, derivante dalla utilizzazione degli immobili anche dopo il loro completamento. Nella specie, infatti, il sequestro preventivo è stato applicato esclusivamente in relazione al reato paesaggistico di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis, per cui le conseguenze dannose del reato non consistono nella perdurante offesa al carico urbanistico, bensì nell'eventuale permanere della lesione del bene paesaggistico determinata dalla realizzazione dell'edificio senza la previa autorizzazione della autorità competente. Ora, non è stato prospettato dalla ordinanza impugnata, ne' sembra in astratto prospettabile, alcuna ulteriore lesione e alcun ulteriore pregiudizio al bene protetto dalla norma potenzialmente derivante - quand'anche sia sussistente il reato paesaggistico - dalla libera disponibilità per i proprietari degli immobili ormai completati.
5. In conclusione, risultando dalla stessa ordinanza del tribunale del riesame la inesistenza di qualsiasi periculum in mora, l'ordinanza impugnata, nonché il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip di Siena il 22.8.2011, devono essere annullati senza rinvio con conseguente restituzione degli immobili in sequestro in favore dei singoli ricorrenti che ne hanno rispettivamente diritto.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto del Gip del tribunale di Siena del 22 agosto 2011, e dispone la restituzione a favore dei ricorrenti aventi diritto degli immobili ad essi appartenenti.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2013