Cass. Sez. III n. 6510 del 19 febbraio 2020 (UP 6 nov 2019)
Pres. Ramacci Est. Andreazza Ric. Memoli
Urbanistica.Decorrenza prescrizione
La valutazione dell'opera ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti
RITENUTO IN FATTO
1. Memoli Anna e Alfano Antonio venivano assolti in primo grado dal Tribunale di Nocera Inferiore dai delitti di cui agli artt.110 cod. pen., 44, 64 e 71, 65 e 72, 93 e 95 del d.P.R. n. 380 del 2001, 181 del D. Lgs. n. 42 del 2004 e 734 cod. pen..
Successivamente, in riforma di detta sentenza, la Corte d’Appello di Salerno condannava gli imputati a mesi quattro di arresto ed euro 40.000 di ammenda, oltre alle spese processuali, in ordine ai reati ascrittigli ordinando altresì la demolizione delle opere abusive e la riduzione in pristino dello stato dei luoghi.
Avverso la sentenza di secondo grado è stato quindi proposto dagli imputati ricorso articolato in tre motivi.
2. Con un primo motivo denunciano la violazione di legge in relazione agli artt.601, comma 5, e 96 cod. proc. pen. nonché agli artt.24 e 111 Cost. e 6 Convenzione EDU.
Lamentano in particolare la mancata notifica del decreto di citazione in grado di appello all’Avv. Ugo Della Monica, quale difensore di fiducia unitamente all’Avv. Rita Rapicano D’Aniello. Non essendosi poi presentato all’udienza del 17/01/2019 nessuno dei due difensori, gli imputati si sarebbero trovati nella condizione di essere assistiti da un difensore d’ufficio ovviamente non a conoscenza dei fatti del giudizio. Tale lesione del diritto di difesa in particolare ha prodotto, come conseguenza, che gli imputati non abbiano potuto rappresentare, a mezzo del difensore, quanto emerso nel giudizio di primo grado, ovvero che le costruzioni oggetto dei reati contestati erano state realizzate tutte nell’anno 2003 sì che il reato doveva ritenersi prescritto.
3. Con un secondo motivo lamentano la violazione degli artt.44, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001, 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 e 734 cod. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui sono stati ritenuti sussistenti i reati contestati; secondo la Corte, infatti, l’esecuzione delle opere di completamento e di miglioria indicate dalla concessione in sanatoria n.1759 del 06/06/2003 avrebbe dovuto essere oggetto di apposita procedura ordinaria di rilascio di permesso a costruire, procedura che, nel caso di specie, non sarebbe stata attivata, mentre, secondo i ricorrenti, la concessione in sanatoria copriva già i suddetti interventi, senza necessità di avviare un ulteriore procedimento finalizzato al rilascio di permesso di costruire. Nello specifico, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto dei verbali dell’audizione del consulente tecnico in primo grado, dai quali emergerebbero degli errori in relazione ai grafici delle istanze di condono, errori che avrebbero indotto gli stessi tecnici comunali a richiedere quelle migliorie oggetto dei reati contestati. La difesa insiste poi sul maggior rigore che dovrebbe caratterizzare la valutazione delle prove in appello nel caso di riforma di una sentenza assolutoria. Nel caso di specie invece, la Corte d’Appello si sarebbe limitata a recepire acriticamente le argomentazioni del Procuratore Generale appellante, omettendo anche di rinnovare l’istruzione dibattimentale, come necessario alla luce della giurisprudenza della Corte edu e come peraltro aveva chiesto la stessa Procura e mancando altresì di darne adeguata motivazione. In particolare, secondo la difesa, la Corte, che non ha in alcun modo motivato sulla richiesta di rinnovazione, avrebbe dovuto procedere ad ascoltare nuovamente sia il consulente della difesa che l’accertatore, per verificare tipologia ed entità delle presunte opere abusive ed epoca della loro realizzazione.
4. Con il terzo ed ultimo motivo viene denunciata la violazione degli artt.157 e 158 cod. pen. nonché degli artt.129 e 531 cod. proc. pen..
La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui, anziché dichiarare i reati contestati estinti per prescrizione ai sensi dell’art.531 cod. proc. pen., ha condannato gli imputati nel merito. In tale errore sarebbe incorsa per prima la Procura Generale che, non essendosi accorta dell’intervenuta prescrizione, avrebbe impugnato l’assoluzione nel merito del primo grado e, successivamente, la Corte d’Appello che non avrebbe verificato il tempus commissi delicti, da situare al 2003 sulla base delle dichiarazioni rese dal teste della pubblica accusa con riferimento all’epoca dei lavori, con conseguente violazione degli artt.157 e 158 cod. pen.. Il collegio infine, secondo la difesa, avrebbe travisato le risultanze probatorie descrivendo in sentenza opere di miglioramento in corso durante il controllo della p.g. che non corrisponderebbero a quanto emergente dal verbale di sopralluogo, da dove risulterebbe che le uniche opere in corso riguardavano la manutenzione straordinaria al piano terra con rifacimento del piano di calpestio, demolizione parziale dei tramezzi ed eliminazione del forno, circostanza confermata anche dal teste dell’accusa Russo Lorenzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Questa Corte ha, in plurime occasioni, affermato che la nullità derivante dall'omesso avviso ad uno dei due difensori di fiducia della data fissata per il giudizio anche di appello, essendo di ordine generale a regime intermedio, deve essere eccepita, ad opera dell'altro difensore, o del sostituto di ufficio eventualmente nominato ai sensi dell'art. 97, comma quarto, cod. proc. pen., nel termine di cui all'art. 182, comma secondo, dello stesso codice (tra le altre, Sez. 6, n. 13874 del 20/12/2013, Castellana, Rv. 261529).
Nella specie, risulta dagli atti che, all’udienza del 07/01/2019, nessuna eccezione venne sul punto proposta, con conseguente prodottasi sanatoria della nullità.
2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile.
I giudici dell’appello hanno infatti precisato che il permesso in sanatoria n. 1759 del 06/06/2003 prevedeva che le opere di miglioria descritte nel progetto allegato (essenzialmente, una struttura in c.a. a sostegno di balconata sovrastante, l’ampliamento del locale garage, la diversa distribuzione dei vani del primo piano e la trasformazione totale dei due ambienti del locale sottotetto) avrebbero dovuto formare oggetto di una procedura ordinaria di rilascio di permesso a costruire, procedura invece non seguita dagli imputati che hanno infatti realizzato dette modifiche senza alcun titolo abilitativo. E ciò, peraltro, senza considerare che il mutamento di destinazione d’uso del sottotetto in unità abitativa posto in essere non era nemmeno presente nel progetto originario allegato alla richiesta del permesso in sanatoria.
Tale motivazione, che già di per sé, atteso il puntuale riferimento a dati documentali oggettivi, non considerati dal Tribunale, presenta le necessarie caratteristiche idonee, secondo il costante indirizzo di questa Corte, a comportare il ribaltamento della sentenza assolutoria, limitatasi ad affermare invece che il permesso in sanatoria consentiva di realizzare tutte le opere poi constatate in sede di sopralluogo, non è stata, a ben vedere, specificamente censurata dal motivo di ricorso; la relativa doglianza si risolve infatti nella mera confutazione della necessità del permesso di costruire posto che, secondo i ricorrenti, le opere erano “già previste dalla concessione in sanatoria” (v. pag.4 del ricorso) nonché in una generica prospettazione di una erronea rappresentazione grafica contenuta nella istanza di sanatoria e sottolineata dal consulente della difesa la cui incidenza sulle circostanze oggettive considerate dalla Corte territoriale non è stata indicata né è dato comprendere.
Anche la eccezione di mancata rinnovazione dell’istruzione che, secondo il ricorso, avrebbe dovuto consistere nel nuovo esame del consulente della difesa e dell’agente accertatore, appare manifestamente infondata già per il solo fatto che, come appena detto, la ragione della riforma della assoluzione in primo grado è dipesa essenzialmente dall’esame diretto di prove documentali non venendo dunque in gioco i principi dettati dalla pronuncia Sez. u. Dasgupta né, oggi, i presupposti applicativi dell’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen...
3. Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
La censura, nel contestare la mancata declaratoria dell’estinzione per prescrizione, muove da una visione “parcellizzata” dei lavori eseguiti assumendo che il fatto che durante il sopralluogo effettuato nel marzo del 2016 l’unica opera ancora in corso sarebbe stata la sistemazione del pavimento, avente natura di manutenzione straordinaria, non avrebbe impedito di considerare che i restanti, rilevanti, lavori erano tutti già stati effettuati molto tempo prima.
Tale presupposto tuttavia non è condivisibile ed è anzi, manifestamente infondato.
Questa Corte ha infatti già affermato che la valutazione dell'opera ai fini della individuazione del dies a quo per la decorrenza della prescrizione deve riguardare la stessa nella sua unitarietà, senza che sia consentito considerare separatamente i suoi singoli componenti (tra le altre, Sez. 3, n. 30147 del 19/04/2017, Tomasulo, Rv. 270256; Sez. 3, n. 16662 del 08/04/2015, P.M. in proc. Casciato, Rv. 263473).
4. In definitiva i ricorsi degli imputati sono inammissibili conseguendone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000 ciascuno a favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 6 novembre 2019