Cass. Sez. III n. 4213 del 1 febbraio 2023 (UP 19 gen 2023)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. PG in proc. Quarti
Caccia e animali.Reato di uccellagione
Il reato di uccellagione è integrato da qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo, e dunque è configurato come un reato di pericolo a consumazione anticipata, per il cui perfezionamento non è richiesta l'effettiva cattura degli animali, essendo sufficiente la semplice predisposizione di mezzi, quali le trappole e le reti, idonei allo scopo; con tale previsione il legislatore si propone, infatti, di punire i sistemi di cattura con potenzialità offensiva indeterminata, tali anche da comportare il pericolo di un depauperamento della fauna, e ciò a prescindere dall'abbattimento o meno degli animali, con la conseguenza che il reato si perfeziona anche nel caso in cui la cattura non si sia in concreto verificata
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 25 marzo 2022 il Tribunale di Bergamo ha dichiarato la responsabilità di Gerardo Quarti in relazione al reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. h), l. n. 157 del 1992 (contestatogli per avere catturato e detenuto uccelli di specie per le quali tale attività non è consentita; capo 2 della rubrica).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di Brescia, affidandolo a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato l’omessa pronuncia su uno dei capi d’imputazione, avendo il Tribunale del tutto trascurato di considerare la contestazione di cui al capo 1) della rubrica, e cioè il reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. e), l. n. 157 del 1992 (contestato all’imputato per avere, nelle stesse circostanze di tempo e di luogo, esercitato l’uccellagione con l’uso di reti a tramaglio delle dimensioni di 10 metri per 2), argomentando esclusivamente in ordine alla cattura e alla detenzione di uccelli di specie non consentita (costituiti da due esemplari, uno vivo e l’altro morto, di pettirosso).
2.2. In secondo luogo, ha denunciato l’erronea qualificazione della condotta di cui al capo 2) della rubrica, in quanto la cattura e la detenzione di esemplari di pettirosso integrano la fattispecie di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), l. n. 157 del 1992, giacché tra le specie particolarmente protette previste dall’art. 2, comma 1, lett. c), della medesima l. n. 157 del 1992 rientrano gli esemplari di animali a rischio di estinzione inclusi nell’allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con l. n. 503 del 1981 (si richiamano le sentenze nn. 4877 del 2019 e 16441 del 2011), cui appartiene il pettirosso (Erithacus rebula), cosicché il Tribunale avrebbe dovuto riqualificare la condotta di cui al capo 2), consistita nella cattura e nell’abbattimento di esemplari di tale specie, ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. b), l. n. 157 del 1992, sanzionata più gravemente, in luogo della più lieve ipotesi di cui alla lett. h) della medesima disposizione. Ha aggiunto, pur non essendo stata considerata tale prospettiva dal Tribunale, che deve essere escluso l’assorbimento del reato di uccellagione in quello di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), della legge sulla caccia, essendo il primo un reato di pericolo a consumazione anticipata per la cui integrazione è sufficiente qualsiasi atto diretto alla cattura degli uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo e con potenzialità offensiva indeterminata, non richiesta nel caso di effettiva apprensione dei volatili (si cita la sentenza n. 7861 del 2016), che integra il diverso reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), l. n. 157 del 1992, che è, come quello di cui alla lett. h), un reato di danno.
2.3. Infine, con una terza censura, ha lamentato l’assenza di motivazione in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Il Tribunale di Bergamo con la sentenza impugnata ha affermato la responsabilità dell’imputato in relazione alla sola condotta contestata al capo 2), consistita nella cattura non consentita di due esemplari di pettirosso, appartenenti a specie protetta, omettendo di considerare la condotta contestata al capo 1), consistente nell’aver esercitato l’uccellagione mediante l’uso di reti a tramaglio delle dimensioni di due metri per dieci.
Quest’ultima condotta non può però considerarsi assorbita in quella di cattura e detenzione di specie protette di cui al capo 2), peraltro erroneamente qualificata ai sensi della lett. h) della disposizione, benché abbia avuto quale oggetto animali appartenenti a specie particolarmente protette ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. c), l. n. 157 del 1992 (tra i quali devono essere inclusi gli esemplari di animali a rischio di estinzione inclusi nell'allegato II della Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, recepita con legge 5 agosto 1981, n. 503, come il pettirosso, come chiarito da Sez. 3, n. 4877 del 13 dicembre 2018, dep. 2019, Dusi, non massimata; nonché, in precedenza, da Sez. 3, n. 16441 del 16/03/2011 Feroldi, Rv. 249859, relativa a fattispecie di abbattimento di pettirosso, passera scopaiola e capinera, rientranti tra le specie di cui al predetto allegato II; nel medesimo senso già Sez. 3, n. 23931 del 27/05/2010, Fatti, Rv. 247798), in quanto il reato di uccellagione è integrato da qualsiasi atto diretto alla cattura di uccelli con mezzi diversi dalle armi da sparo, e dunque è configurato come un reato di pericolo a consumazione anticipata, per il cui perfezionamento non è richiesta l'effettiva cattura degli animali, essendo sufficiente la semplice predisposizione di mezzi, quali le trappole e le reti, idonei allo scopo; con tale previsione il legislatore si propone, infatti, di punire i sistemi di cattura con potenzialità offensiva indeterminata, tali anche da comportare il pericolo di un depauperamento della fauna, e ciò a prescindere dall'abbattimento o meno degli animali, con la conseguenza che il reato si perfeziona anche nel caso in cui la cattura non si sia in concreto verificata (Sez. 3, n. 15561 del 03/12/2019, dep. 2020, Taboni, Rv. 278837; Sez. 3, n. 3090 del 12/01/1996, Marconi, Rv. 205043).
Ne conseguono, nel caso in esame, sia l’omessa pronuncia sulla condotta di cui al capo 1), che non può considerarsi assorbita in quella di cui al capo 2), stante la diversità di tali condotte e delle relative fattispecie, sia l’erronea qualificazione giuridica di tale ultima condotta, a causa della errata considerazione delle specie animali catturate dal ricorrente, rientranti tra le specie particolarmente protette e dunque da qualificare ai sensi della lett. c) dell’art. 2 della l. n. 157 del 1992, la cui cattura integra il più grave reato di cui all’art. 30, comma 1, lett. b), l. 157/92 citata.
3. Fondata risulta anche la censura relativa al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, disgiunta da qualsiasi motivazione o rappresentazione di circostanze meritevoli di approvazione, non essendo più sufficiente il mero stato di incensuratezza, di cui peraltro non è neppure stato dato atto, occorrendo l’indicazione di specifici elementi di positiva considerazione di cui deve anche essere illustrata, sia pure sinteticamente, la rilevanza nella valutazione della gravità delle condotte e nel giudizio sulla personalità dell’imputato, illustrazione che nella specie è stata del tutto omessa.
4. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, sussistendo le violazioni di legge denunciate dal pubblico ministero, con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame, da condurre sulla scorta dei principi ricordati a proposito delle differenze esistenti tra il reato di uccellagione e quello di caccia di specie particolarmente protette, oltre che dell’obbligo di specifica motivazione in ordine al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bergamo, in diversa persona fisica.
Così deciso il 19/1/2023