Cass. Sez III sent. n. 46296 del 3 dicembre 2003, n.46296
Imp.
Carlessi ed altro
Animali. Specie protette. Detenzione
Fatto e
diritto
Il
Tribunale di Bergamo, con sentenza del 10 aprile 2002 condannava Carlessi
Annibale e Capelli Luigi alla pena di 10 mila Euro di Ammenda ciascuno, perché
ritenuti responsabili del reato di cui all’articolo 1 legge 50/92, avendo
detenuto per la vendita di una zanna di elefante, appartenente a specie protetta
ai sensi della Convenzione di Washington del 3 marzo 1973 sul commercio
internazionale di flora e fauna selvatica e del Regolamento Ce 338/97. Contro
questa sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo
l’infondatezza dell’imputazione perché l’oggetto detenuto era
riconducibile ad opera d’arte africana risalente ad oltre 50 anni fa e,
dunque, non rientrante nella normativa internazionale e comunitaria.
Essi lamentano che non sia stata disposta una perizia d’ufficio sull’oggetto
sequestrato per dimostrarne le caratteristiche e la datazione e che sia stata
comminata una pena eccessiva, senza la concessione delle attenuanti generiche.
I ricorsi sono infondati.
Ai sensi dell’articolo 8sexies della legge 150/92 (introdotto dal Dl
2/1993, articolo 10, convertito nella legge 59/1993 per “esemplare” deve
intendersi qualsiasi animale o pianta, vivo o morto, delle specie elencate nelle
appendici I, II, III della Convenzione di Washington, allegato B, e
nell’allegato C, parte 1 e 2 del Regolamento Cee 3626/82 e successive
modificazioni ed integrazioni [compreso «qualsiasi parte o prodotto» di
animali e piante appartenenti alla stessa specie protetta].
Nel caso in esame risulta accertato ed ammesso, in punto di fatto, che
trattavasi di detenzione di una “zanna di elefante”, ossia di una parte o
prodotto, ottenuto da un animale protetto morto, facilmente identificabile ed
identificato, soggetto alle preventive autorizzazioni, del tutto carenti.
L’oggetto fu sequestrato dal Corpo Forestale dello Stato il 5 maggio 1999, in
un negozio di antiquariato, sito in Bergamo, condotto da Carlessi Annibale, al
quale era stato consegnato, per la vendita, dal proprietario Capelli Luigi,
sulla base di una documento scritto, come risulta inequivocabilmente dagli atti.
Nel caso in esame, gli imputati non hanno fornito alcuna documentazione
comprovante la regolarità del possesso della zanna di elefante (denuncia agli
uffici del Corpo Forestale dello Stato entro 90 giorni dalla entrata in vigore
della legge 150/92; permessi di esportazione e certificati di importazione
costituenti la documentazione Cites, che giustificano la detenzione di specie
protette o parte di esse) e neppure hanno provato che questa documentazione
esistesse in testa ai precedenti possessori.
La legge esclude la possibilità di commercializzazione od esposizione in
vendita anche per gli oggetti di uso personale o domestico, se sia mancata la
preventiva denuncia all’autorità competente.
Questa Corte ha già ritenuto che la detenzione di “zanne di elefante”,
attualmente incluse nell’allegato A, Appendice I del regolamento Cee 338/1997
costituisce illecita detenzione di esemplari di specie protetta ed integra il
reato ex articolo 1 150/92 (Cass. sez. III, 3088/99, imp. Morosini).
Poiché le deroghe previste dalla Convenzione di Washington e dalla normativa
comunitaria hanno carattere limitato ed eccezionale, non basta che gli interessi
assumano che si tratti di esemplari lavorati acquisiti da oltre cinquanta anni,
essendo necessaria al riguardo una certificazione dell’Autorità competente.
Convince in tal senso la Convenzione di Washington: «quando un’autorità
amministrativa dello Stato di esportazione o di riesportazione avrà verificato
che uno specimen fu acquistato anteriormente alla data in cui entrarono in
vigore le disposizioni della presente convenzione rispetto a detto specimen, le
disposizioni degli articoli III, IV, V non si applicano a questo specimen, se la
detta autorità emette un certificato a tale effetto».
La Convenzione responsabilizza in modo formale gli Stati firmatari anche per il
periodo anteriore alla sua entrata in vigore. Analogamente il Regolamento Ce
338/1997 (articolo 8) stabilisce che l’esenzione dai divieti può essere
decisa solo dall’organo di gestione dello Stato membro e non genericamente ed
arbitrariamente dallo stesso interessato.
Di conseguenza anche gli esemplari lavorati ed acquisiti da lungo tempo devono
essere certificati da una autorità pubblica, per essere ammessi alla libera
detenzione e commercializzazione.
Nel caso in esame, in mancanza di qualsiasi documentazione, il giudice non era
tenuto di ufficio a disporre una perizia, perché il sistema normativo impone
agli interessati l’onere di acquisire la documentazione sulla regolarità del
possesso, vigendo il principio del divieto generale di commercializzazione di
specie protette al di fuori di un controllo rigido, incrociato e formale delle
autorità competenti.
Sussiste, dunque, il reato contestato a carico di 9entrambi gli imputati,
consapevoli di detenere e porre in vendita un esemplare di specie protetta di
rilevante valore economico senza autorizzazione. La condanna per entrambi gli
imputati è stata motivata con riferimento ai criteri di cui all’articolo 133
c.p. ed appare non gravosa in relazione all’entità del fatto, tenuto conto
della recidiva per Carlessi e della titolarità di una impresa commerciale e
valutata la concessione delle attenuanti generiche per il Capelli.
PQM
La Corte: Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.