Consiglio di Stato Sez. VI n. 1743 del 28 febbraio 2025
Beni culturali.Valutazione dell'interesse culturale

La valutazione dell'interesse culturale di un bene comporta un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l'applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura, che presentano margini significativi di opinabilità. L'apprezzamento svolto dall'Amministrazione incaricata della tutela, in conformità al principio di cui all'art. 9 Cost., è soggetto a sindacato giudiziale solo per verificare la logicità, coerenza e completezza della valutazione. Tuttavia, il giudice amministrativo può solamente censurare le valutazioni che eccedono i limiti della opinabilità scientifica, senza sostituire il giudizio dell'Amministrazione con il proprio, ugualmente opinabile. Pertanto, la valutazione concernente l'interesse culturale rilevante, che giustifica di un vincolo, è un'esclusiva prerogativa dell'Amministrazione responsabile del relativo vincolo e può essere oggetto di sindacato giudiziale solo per evidenti incoerenze e illogicità che mettano in dubbio la validità della valutazione discrezionale tecnica

Pubblicato il 28/02/2025

N. 01743/2025REG.PROV.COLL.

N. 07891/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7891 del 2023, proposto da
Luisella Diana nella qualità di erede/moglie del signor Francesco Meloni, rappresentata e difesa dagli avvocati Loreta Di Marco e Mauro Di Monaco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale della Sardegna, Soprintendenza Belle Arti Paesaggio Province di Sassari Olbia-Tempio e Nuoro, Regione Autonoma della Sardegna, LAORE-Agenzia Regionale per lo Sviluppo in Agricoltura, non costituiti in giudizio;
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio Città Metropolitana di Cagliari e Province di Or, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12.

nei confronti

Antonio Scano, Pinna Leonarda Maria Teresa Ved. Tavera, Arturo Zanibellato, Pietro Pistidda, Margherita Cocco, Elio Fidia Pulli, Salvatore Dui, Capra Anna Ved. Fara, Di piazza Carmen Beatrice Ved. Maggese, Martini Maria Graziella Ved. Lai, Maria Giovanna Sini, Idini Elsa Ved. Bolla, Maria Clotilde Deliperi, Gerardino Sau, Grazia Maria Nuvoli, Cansella Maria Zelia Elisabetta Ved.Lay, Giuseppina Cuecuru, Pietrino Sau, Torru Vanda Ved. Poddighe, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda) n. 70/2023, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio Città Metropolitana di Cagliari e Province di Or;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2025 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per la parte appellante gli avvocati Maria Vittoria Mobilia in dichiarata delega degli avvocati Loreta Di Marco e Mauro Di Monaco;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La signora Luisella Diana propone appello avvero la sentenza del Tar per la Sardegna n. 70/2023 che ha rigettato l’originario ricorso proposto dalla stessa signora Luisella Diana (unitamente ad altri 19 ricorrenti) teso ad ottenere l’annullamento:

- del decreto della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna n. 73 del 29.10.2015, con il quale il complesso immobiliare denominato "Compendio ex colonia penale di Tramariglio", sito in Alghero, Località Porto Conte, è stato dichiarato di interesse culturale storico artistico ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. 22.1.2004, n. 42 e ss.mm.ii. e quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dal predetto decreto legislativo;

- di ogni altro atto presupposto, conseguenziale o comunque connesso, e in particolare, “per quanto occorrer possa”:

- delle note, “non meglio conosciute ma menzionate nel preambolo del decreto principalmente impugnato”, con le quali l’Agenzia regionale per l’agricoltura LAORE, in qualità di ente proprietario, ha chiesto la verifica dell’interesse culturale del summenzionato complesso immobiliare, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 42/2004;

- della proposta formulata dalla Soprintendenza BEAP per le Province di Sassari, Nuoro e Olbia Tempio con note prot. n. 14934 del 6.11.2014, n. 584E del 13.4.2015 e n. 3134 del 26.6.2015, “anch'esse allo stato non conosciute”;

- della delibera adottata dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna nella seduta del 30.7.2015, avente ad oggetto la sussistenza di un interesse culturale del compendio Ex Colonia Penale di Tramariglio, sita nel Comune di Alghero, in località Porto Conte;

- della relazione storico-critica e illustrativa del bene, a firma congiunta del Soprintendente BEAP per le Province di Sassari e Nuoro.

2. L’appellante richiama le seguenti circostanze in punto di fatto:

- la signora Diana (come gli altri ricorrenti in primo grado) sin dalla seconda metà degli anni sessanta, in forza di un contratto di locazione stipulato dal de cuius, signor Francesco Meloni, con l’E.T.F.A.S. (oggi Agenzia LAORE) è conduttrice di un’unità immobiliare identificata al Catasto al Foglio 45, mapp. 464;

- detta unità immobiliare è ricompresa nell’insediamento denominato “Ex Colonia Penale di Tramariglio”, sita nel Comune di Alghero, in località Porto Conte;

- l’insediamento in questione è costituito da una pluralità di edifici realizzati in epoche differenti, a partire dal 1941, alcuni dei quali costituivano il nucleo della Colonia Penale e - ad oggi - sono gli unici immobili che hanno mantenuto inalterate le linee architettoniche e compositive originarie; solo questi, tra l’altro, sono stati interessati da importanti interventi di restauro effettuati dal Parco Naturale di Porto Conte, assegnatario del bene e sono: (i) Diramazione centrale, F. 45, mapp. 630, sub. 3 (grande fabbricato, a forma di “U”, destinato ad accogliere sia i detenuti che le guardie carcerarie); (ii) Chiesa, F. 45, mapp. 692, sub 1, 2 e 3; (iii) Villa del Direttore, F. 45, mapp. 619, sub 1; (iv) Villino bifamiliare, F. 45, mapp. 616 sub 4,5 e 6; (v) Palazzina funzionari, F. 45, mapp. 464, sub 5, 6, 7, 8 e 9; (vi) ex Ospedale, F. 45, mapp. 597, sub 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20. 21, 22, 23, 24, 25, 26. 27, 28, 29; (vii) Forno del pane, F. 45 , mapp. 610, sub 3 e 4; (viii) ex Macello (e Stalle), F. 45, mapp. 598, sub. 3 e 31; (ix) ex Foresteria (Villino operai scapoli), F. 45, mapp. 628, sub. 1; (x) ex alloggi, F. 45, mapp. 609 e 599; (xi) ex camerone, F. 45, mapp. 605; (xii) ex Officine ed ex Lavanderia, F. 45, mapp. 598; (xiii) ex Cantina ed ex Granaio, F. 45, mapp. 643;

- i restanti edifici, invece, vennero realizzati successivamente in funzione della riconversione (mai attuata) della Colonia penale, dismessa nel 1961, in agglomerato agricolo;

- in quest’ultima categoria, ricade l’unità abitativa dell’appellante ex Palazzina Funzionari (F. 45, mapp. 464), così come degli altri ricorrenti in primo grado: A) ex Ospedale (F. 45, mapp. 587); B) ex Officina (F. 45, mapp. 598); C) ex Lavanderia (F. 45, mapp. 598); D) ex Palazzina Funzionari (F. 45, mapp. 464); E) ex Villino Bifamiliare (F. 45, mapp. 616); F) ex Macello e Stalle (F. 45, mapp. 598); G) ex Forno del Pane (F. 45, ma pp. 610);

- gli immobili appena richiamati, al momento della loro concessione in locazione ai ricorrenti o ai loro danti causa, erano dei ruderi abbandonati, semidistrutti e in condizioni di assoluto degrado; pertanto, previa autorizzazione dell’Ente proprietario, le dette unità immobiliari vennero radicalmente trasformate per destinarle ad uso abitativo;

- l’immobile condotto dall’odierna appellante è stato sottoposto a diversi interventi di modifica sia nella parte esteriore (facciata) che negli spazi interni, per renderlo funzionale al diverso uso cui sarebbe stato ed è tutt’ora destinato (le affermazioni sono confortate da una perizia commissionata dall’appellante);

- gli interventi edilizi e manutentivi effettuati negli anni dalla parte conduttrice hanno inciso fortemente sui connotati essenziali dell’immobile in questione, alterandone i caratteri originari;

- le unità immobiliari sopra descritte, vista la loro destinazione ad uso abitativo, sono state inserite nell’elenco dei beni immobili non funzionali all’esercizio dell’attività dell’Agenzia LAORE, sulla base del piano di dismissione del patrimonio immobiliare approvato dalla Regione Autonoma della Sardegna con D.G.R. n° 45/19 del 12 novembre 2012;

- nell’aprile 2014, l’Agenzia LAORE, all’epoca proprietaria di tali beni, poi trasferiti alla Regione nel luglio 2015, chiedeva alla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari Olbia-Tempio e Nuoro, la verifica della sussistenza di un interesse culturale rilevante sugli stessi beni immobili sotto il profilo artistico, storico, archeologico o etnoantropologico;

- nella seduta del 30 luglio 2015, la Commissione Regionale per il patrimonio culturale della Sardegna deliberava che il complesso immobiliare denominato “Compendio ex Colonia Penale di Tramariglio”, sito nel Comune di Alghero, località Porto Conte, presentava un interesse culturale storico artistico ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n° 42/2004 per i motivi contenuti nella relazione predisposta dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro;

- il vincolo veniva perfezionato con decreto n. 73 del 29.10.2015, escludendo soltanto alcuni immobili, ovvero quelli realizzati da meno di 70 anni, pur ricomprendono invece, le aree di sedime e pertinenziali;

- la signora Luisella Diana (unitamente ad altri ricorrenti) impugnava gli atti sopra elencati;

- venivano successivamente proposti due ricorsi per motivi aggiunti.

3. Nel giudizio di primo grado si costituivano il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, la Commissione Regionale per il Patrimonio Culturale della Sardegna e la Soprintendenza per le Belle Arti e il Paesaggio per le Provincie di Sassari, Olbia, Tempio e Nuoro, che eccepivano l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva e per mancanza di un interesse concreto e attuale, oltre a chiederne comunque la reiezione nel merito.

4. Con sentenza n. 70/2023 il Tar per la Sardegna ha respinto il ricorso principale e i due ricorsi per motivi aggiunti perché infondati (prescindendo, quindi, dall’esame delle eccezioni processuali).

4.1 Il Tar ha respinto le doglianze mosse con il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso introduttivo, il primo (in parte) e il terzo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti e il motivo dedotto con i secondi motivi aggiunti, con cui i ricorrenti lamentavano, sotto vari profili, la carente ed errata valutazione dei presupposti per la dichiarazione di interesse culturale, nonché il difetto di istruttoria e di motivazione. A dire del primo giudice la valutazione tecnico-discrezionale effettuata dall’Amministrazione risulta supportata da congrua motivazione e non può ritenersi illogica né viziata da travisamento o difetto d’istruttoria. Il Tar non ha ritenuto necessario disporre ulteriori incombenti istruttori.

4.2 Il Tar ha respinto il terzo motivo del ricorso introduttivo, primo - in parte - e secondo motivo del primo ricorso per motivi aggiunti che facevano leva sulla mancata notifica della dichiarazione di interesse culturale e sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento agli interessati.

5. Avverso la sentenza n. 70/2023 del Tar per la Sardegna ha proposto appello la signora Luisella Diana per i motivi che saranno più avanti analizzati.

6. Si è costituito il Ministero della cultura chiedendo il rigetto dell’appello.

7. All’udienza del 20 febbraio 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il primo motivo di appello è rubricato: «Infondatezza della sentenza impugnata nella valutazione della fattispecie – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti per la dichiarazione di interesse culturale, storico-artistico, illogicità manifesta, nonché difetto di motivazione in relazione agli atti impugnati in primo grado».

L’appellante critica la sentenza nella parte in cui ricorda i limiti del sindacato giurisdizionale rispetto a quei provvedimenti, come quello di apposizione del vincolo per la dichiarazione di interesse culturale, storico-artistico, di un bene immobile, connotati da ampia discrezionalità tecnica, sostenendo che:

- per scardinare il profilo di discrezionalità valutativa del Ministero appellato, occorre offrire al Collegio giudicante gli elementi oggettivi di riscontro del travisamento dei fatti e della sussistenza di elementi di logicità e coerenza nella valutazione relativa alla imposizione del vincolo;

- tale operazione è stata compiutamente effettuata da parte appellante, la quale, anche mediante documentazione fotografica, ha evidenziato come i beni concessi in locazione ai ricorrenti, facenti parte del complesso oggetto di tutela, non hanno quelle caratteristiche architettoniche originarie, a seguito delle modifiche e degli interventi edilizi resisi necessari per la loro fruibilità ad uso abitativo;

- il vincolo avrebbe dovuto essere apposto esclusivamente su quegli edifici rappresentativi dell’ex Colonia Penale che hanno mantenuto invariate le caratteristiche proprie dell’architettura razionalista e che ne costituivano il fulcro, come la Diramazione Centrale, la Chiesa e la Villa del Direttore;

- per nessuno degli altri edifici, vale a dire di quelli concessi in locazione ai ricorrenti, la relazione del Soprintendente evidenzia quegli elementi di pregio o, comunque, meritevoli di valorizzazione e conservazione che possano giustificare un vincolo storico artistico e che siano tali da far assurgere gli stessi immobili al rango di testimonianza particolarmente pregnante dell‘epoca in cui sono stati realizzati e della storia del territorio;

- le stesse immagini fotografiche allegate in primo grado da parte ricorrente dimostrano chiaramente che i beni concessi in locazione non hanno quel carattere distintivo riconducibile allo stile compositivo dell’architettura razionalista o, comunque, tale da costituire testimonianza della storia delle bonifiche rurali sarde;

- la decisione del Tar è certamente censurabile nella parte in cui ha così concluso: «… D’altra parte, la giurisprudenza ha anche chiarito che la tutela storico-artistica di un bene culturale non protegge l‘ingegno dell‘autore, ma un’oggettiva testimonianza materiale di civiltà, la quale, nella sua consistenza effettiva e attuale, ben può essere intesa a valorizzare l‘intenso legame tra i beni immobili e la storia del territorio»;

- la motivazione della relazione storico-critica della Soprintendenza, si basa sul fatto che il complesso (indistintamente e senza un’analisi approfondita sulle singole componenti architettoniche) costituirebbe espressione del “grandioso programma di bonifica e valorizzazione rurale dei terreni della Nurra a partire da fine ‘800 fino ai primi anni ‘50 del ‘900”;

- in realtà tale programma di bonifica non è mai stato attuato, né le parti resistenti hanno prodotto in giudizio elementi probatori di contenuto contrario;

- le schede descrittive degli immobili, depositate da parte ricorrete in primo grado, corredate da immagine fotografiche confermano che, diversamente da quanto affermato nella relazione storico-critica e illustrativa dei beni, la Colonia Penale di Tramariglio, dopo la sua chiusura e consegna all’ETFAS (avvenuta nel 1961), non è mai stata trasformata in villaggio agricolo, con la conseguenza che tale bene non può costituire testimonianza della storia delle bonifiche rurali in Sardegna;

- la motivazione del provvedimento non sfugge certamente alle censure manifestate in primo grado in quanto frutto di un evidente travisamento storico, cui la sentenza impugnata non ha posto rimedio, nonostante esplicita enunciazione dei principi che sorreggono i limiti della discrezionalità tecnica in subiecta materia;

- la decisione impugnata è censurabile nella parte in cui non tiene conto delle effettive doglianze dei ricorrenti e dei riscontri oggettivi portati in giudizio dagli stessi, il cui approfondito esame, anche mediante l’ausilio degli strumenti processualistici (verificazione e/o C.T.U.) che il legislatore mette a disposizione dell’organo giudicante nei casi come quello in esame (in cui, indubbiamente, vengono in rilievo cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche) e che avrebbero certamente consentito di accertare che i mutamenti subiti dagli immobili detenuti dall’odierna parte appellante e dagli altri ricorrenti in primo grado e la mancata attuazione del programma di bonifica, hanno privato i suddetti beni di quelle peculiarità che avrebbero potuto creare il collegamento storico-culturale con il territorio.

2. Il secondo motivo di appello è rubricato: «Infondatezza della sentenza impugnata nella valutazione della fattispecie – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, eccesso di potere per difetto di istruttoria, errata valutazione dei presupposti per la dichiarazione di interesse culturale, storico-artistico, dell’illogicità manifesta, nonché contraddittorietà della motivazione in relazione agli atti impugnati in primo grado».

L’appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che l’imposizione del vincolo su tutti gli immobili è giustificata dall’esigenza di evitare che interventi incongrui ne compromettano il valore culturale sostenendo che:

- sull’immobile dell’appellante sono già stati effettuati negli anni, su autorizzazione dell’Ente proprietario, interventi che hanno radicalmente mutato i connotati essenziali del bene (in appello è stata depositata una perizia tecnico-descrittiva a conforto di tale affermazione);

- l’ingresso al fabbricato risulta essere stato alterato con l’inserimento in facciata di elementi “intrusi”, quali plastica ed alluminio, indispensabili per la messa a norma dei servizi;

- l’utilizzo di materiali di certo non disponibili o, comunque, non in uso agli anni ‘30 fa sì che l’immobile concesso in locazione all’appellante non può più costituire testimonianza del particolare stile architettonico-stilistico razionalista in voga in quegli anni;

- gli originari infissi in legno sono stati sostituiti con quelli di alluminio, così come le porte interne in legno di scarso pregio (ma probabilmente testimonianza dell’epoca) sono state sostituite con porte blindate; nei servizi igienici sono state rimosse le originarie vasche da bagno in ferro con i relativi impianti, trasformandole in box doccia, con sanitari moderni; i sistemi oscuranti del periodo razionalista sono stati modificati con avvolgibili, sicuramente non riconducibili al periodo di costruzione;

- la sentenza impugnata si palesa evidentemente contraddittoria ed illogica nell’aspetto motivazionale, posto che prescinde dalla compiuta ed effettiva verifica dell’esistenza di elementi e circostanze oggettivi che consentono il riscontro delle asserite (ma non verificate) caratteristiche degli immobili in questione.

2.1 L’appellante sostiene inoltre che:

- la sentenza gravata appare viziata nella parte in cui ha così statuito: «In particolare, nella fattispecie, il valore storico e architettonico discende dall’accertamento positivo dell’interesse culturale del compendio, che si fonda su studi e ricerche condotte dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, così come risulta dalla documentazione versata in giudizio … Al riguardo, la Relazione storico-critica e illustrativa del bene, allegata al decreto di apposizione del vincolo (doc. 1 di parte ricorrente), risulta esaustiva e completa»;

- gli studi cui si fa riferimento non vengono affatto menzionati nei provvedimenti impugnati e, certamente, non possono riguardare indistintamente tutti gli immobili all’epoca facenti parte del complesso di Tramariglio, ma soltanto di quelli (Diramazione Centrale, Chiesa e Villa del Direttore) per cui sono rimasti immutati appunto gli originari connotati architettonici ed artistici;

- in ogni caso, per quanto riguarda l’immobile abitato dall’appellante (così come gli altri concessi in locazione ai ricorrenti in primo grado) gli studi cui si fa accenno nella decisione impugnata risultano di fatto smentiti dalla documentazione fotografica in atti, che dimostra come l’apposizione del vincolo si basi su presupposti erronei, del tutto avulsi dalla realtà e dalla storia;

- la decisione gravata si appalesa erronea anche nella parte in cui ha considerato sufficientemente e congruamente motivata la Relazione della Soprintendenza, ritenendo che la valutazione operata dall’Amministrazione non si fermi ad una considerazione unitaria del compendio, ma alla specifica analisi dei singoli beni immobili soggetti a dichiarazione di interesse storico-culturale (“Diramazione Centrale”, “Chiesa”, “Villa del Direttore”, “Villino bifamiliare”, “Palazzina per funzionari”, “Ex Ospedale”, “Forno del pane”, “Ex macello”, “Ex Foresteria”);

- in realtà la descrizione dei singoli immobili è parziale ed indubbiamente generica, posto che non vengono affatto specificate quali caratteristiche intrinseche ed estrinseche delle singole unità immobiliari fossero effettivamente di rilievo in ordine all’interesse tutelato con l’apposizione del vincolo;

- la completezza della Relazione della Soprintendenza viene posta in correlazione dal Tar con l’esigenza di “… evitare che interventi incongrui ne compromettano i valori culturali” ed è proprio questa intima connessione che rende la motivazione della decisione impugnata viziata, posto che gli immobili che compongono il compendio di Tramariglio non possono essere considerati unitariamente per le ragioni già espresse in merito agli interventi edilizi che hanno interessato parte degli edifici, ovverosia quelli concessi in locazione ai ricorrenti in primo grado (e quindi anche alla signora Luisella Diana, ved. Meloni) al fine di rendere fruibili ai fini abitativi i suddetti beni immobili.

3. Il terzo motivo di appello è rubricato: «Infondatezza della sentenza impugnata nella parte in cui il collegio giudicante di primo grado ha ritenuto non sussistente la violazione delle norme sul “giusto procedimento” – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e ss. della legge n. 241/1990 ss. mm. e ii. anche in relazione al disposto degli artt. 15 e 46 del d.lgs. n. 42/2004 ss.mm.ii in relazione agli atti impugnati in primo grado».

L’appellante sostiene che:

- l’art. 15, comma 1 del d.lgs. n. 42/2004 stabilisce che la dichiarazione che accerta l'interesse culturale del bene deve essere notificata non solo al proprietario ma anche al possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto;

- tale previsione trova la propria ragione nella circostanza - non di poco conto – secondo la quale il provvedimento di vincolo incide anche sugli interessi qualificati e differenziati del detentore, il quale, pertanto, deve essere posto nelle condizioni di partecipare al procedimento e di interloquire nelle valutazioni che l’Amministrazione competente deve compiere, al fine di apporre o meno il vincolo ex d.lgs. n. 42/2004;

- nel caso di specie, l’aver impedito all’appellante, come agli altri ricorrenti in primo grado, di partecipare al procedimento de quo, ha inibito loro la possibilità di illustrare la situazione di fatto dei beni e delle aree e di manifestare le ragioni per le quali gli edifici che essi detengono non avrebbero dovuto essere sottoposti ad alcun vincolo, per gli interventi di ristrutturazione posti in essere nel tempo che hanno fatto perdere ai beni stessi i connotati architettonici originari;

- l’omissione non riveste carattere soltanto formale, ma sostanziale, in quanto i privati interessati avrebbero potuto contribuire in maniera significativa alla decisione finale di apposizione del vincolo ex d.lgs. n. 42/2004, addivenendo ad una decisione che limitasse il vincolo soltanto ad alcuni beni (quelli non detenuti dai ricorrenti in primo grado), ovverosia a quelli che, non avendo subito interventi edilizi di ristrutturazione e/o di adeguamento ai fini abitativi, non hanno subito alcuna compromissione dei valori culturali risalenti all’epoca di edificazione;

- il procedimento preordinato all’apposizione del vincolo è stato attivato dalla stessa Agenzia LAORE, vale a dire dall’allora proprietario del bene, che nell’aprile del 2014, aveva chiesto alla Soprintendenza competente la verifica della sussistenza di un interesse culturale sull’intero complesso immobiliare di Tramariglio sotto il profilo artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: il soggetto che ha partecipato attivamente all’istruttoria (l’unico) era quello direttamente interessato al provvedimento di tutela invocato, invece opposto dai conduttori, i quali – di contro – del tutto illegittimamente, sono stati totalmente estromessi dal procedimento.

4. Il quarto motivo di appello è rubricato: «Erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il collegio giudicante di primo grado ha ritenuto non necessario alcun incombente istruttorio – Eccesso di potere per difetto di istruttoria ed illogicità della motivazione».

L’appellante sostiene che:

- il procedimento de quo risulta viziato per difetto di istruttoria atteso che il provvedimento di apposizione del vincolo ex d.lgs. n. 42/2004 è stato adottato dal Ministero competente senza compiere, per il tramite degli organi periferici competenti, un’approfondita ed esaustiva istruttoria, che non può non passare per la verifica – tramite sopralluogo, dello stato effettivo ed attuale degli immobili per cui è causa;

- una compiuta istruttoria avrebbe consentito di appurare che gli immobili, a causa delle modifiche apportate dai conduttori su autorizzazione dell’Ente proprietario, avevano ed hanno, di fatto, perso quegli elementi di riconoscibilità architettonica che, soli, avrebbero potuto giustificare l’apposizione di un vincolo storico artistico, ovvero la declaratoria dell’interesse particolarmente importante del compendio nella sua interezza, in funzione della conservazione dei suoi tratti rappresentativi ed unitari, che consentono di qualificarlo quale testimonianza di particolari vicende storico-politiche di un territorio.

L’appellante chiede al Collegio di disporre gli incombenti istruttori della verificazione e/o consulenza tecnica d’ufficio, invece ritenuti inutili in primo grado.

5. Si è costituito il Ministero della Cultura che preliminarmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso sostenendo che:

- non risulta dai documenti depositati alcuna seria dimostrazione di una situazione giuridico-soggettiva in capo ai ricorrenti che possa legittimare la proposizione dell’odierna azione;

- gli atti di concessione versati in giudizio sono scaduti e le ulteriori produzioni testimoniano solo l’avvio e non la conclusione di taluni procedimenti volti alla locazione di certi immobili;

- all’attualità, sulla base della documentazione in atti, non vi è prova di un interesse giuridicamente tutelabile in capo alle controparti.

6. L’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Ministero della Cultura è fondata, sia pure con le precisazioni di seguito esposte.

6.1 L’eccezione era già stata proposta in primo grado dall’Amministrazione resistente. In particolare la difesa erariale aveva affermato quanto segue: «Preliminarmente si eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva, nonché di concreto ed attuale interesse delle controparti all’impugnazione. Si legge nelle premesse in fatto del ricorso che “i ricorrenti, sin dalla seconda metà degli anni 60’, detengono, in forza di distinti contratti di locazione (…) varie unità immobiliari ricomprese nell’insediamento denominato “Ex Colonia Penale di Tramariglio”, nel comune di Alghero, Località Porto Conte”. La circostanza, indicata in termini generici e collettivi, è sprovvista di qualsivoglia riscontro probatorio, sicché essa costituisce una mera allegazione di parte che non consente di valutare né la legittimazione attiva né la sussistenza in capo ai ricorrenti di un concreto ed attuale interesse giuridicamente tutelabile, profili che, ad ogni buon conto, si contestano».

Il Tar, pur dando atto in motivazione della proposizione dell’eccezione, non l’ha esaminata evidentemente perché l’ha considerata assorbita dal rigetto nel merito del ricorso.

6.2 L’originario ricorso di primo grado era stato proposto da 20 persone, mentre a ricorrere in appello è unicamente la signora Luisella Diana. Quest’ultima (nell’atto di appello) afferma di essere sin dalla seconda metà degli anni sessanta, in forza di un contratto di locazione stipulato dal de cuius, sig. Francesco Meloni, con l’E.T.F.A.S. (oggi Agenzia LAORE) conduttrice di un’unità immobiliare identificata al Catasto al Foglio 45, mapp. 464, unità ricompresa nell’insediamento denominato “Ex Colonia Penale di Tramariglio”, sita nel Comune di Alghero, in località Porto Conte.

Nel giudizio di primo grado è stato prodotto (per quel che rileva in questa sede) un “Atto di concessione” stipulato tra l’ERSAT (Ente regionale di sviluppo e assistenza tecnica in agricoltura) proprietario dello stabile e il dott. Francesco Meloni. Nell’atto di appello si afferma (pagina 6) che la signora Luisella Diana è la vedova di Francesco Meloni. Poiché l’unico atto prodotto è l’atto di concessione appena citato, se ne può dedurre che l’appellante detiene il bene di cui si discute in quanto subentrata, in qualità di erede, al signor Meloni nel citato atto di concessione.

In realtà nell’atto di concessione esistono due clausole che conviene ricordare:

(i) la clausola n. 2 che così recitava: «La concessione decorre dal 1°/8/1990 al 31/7/1991. Entro detto ultimo giorno ed in caso di revoca o scadenza della concessione, il concessionario deve, a proprie spese, sgomberare l’immobile da persone e cose e riconsegnarlo all’ERSAT salvo che quest’ultimo addivenga, su proposta scritta del concessionario da presentarsi due mesi prima della scadenza, a successivi rinnovi annuali»;

(ii) la clausola n. 6 che così recitava: «La presente concessione è intrasmissibile sia per atto tra vivi che “mortis causa” ed è anche espressamente vietata qualsiasi subconcessione, sia totale che parziale, dell’immobile che ne costituisce l’oggetto».

Dalle citate clausole emerge: (i) che la concessione aveva durata annuale e che avrebbe potuto essere prorogata solo se ci fosse stata, ogni anno, specifica richiesta in tal senso del concessionario. Ma agli atti non risulta che siano state fatte richieste di proroga (e che le stesse siano state accettate); (ii) che la concessione non poteva trasmettersi mortis causa, non è chiaro quindi a quale titolo l’odierna appellante si dichiari conduttrice dell’immobile: la fonte del suo diritto non potrebbe essere l’atto di concessione del 1990 (perché intrasmissibile mortis causa) né agli atti risultano altri atti utili a dare corpo a tale affermazione.

In altre parole, l’Amministrazione ha ragione nel sostenere che nella specie l’appellante non ha dimostrato l’esistenza della propria legittimazione ad agire: non c’è prova che l’originario atto di concessione si sia rinnovato negli anni; non c’è un titolo diverso dalla trasmissione mortis causa (vietata dall’atto di concessione) che provi la detenzione legittima dell’immobile da parte dell’appellante.

6.3 Ma occorre approfondire il discorso.

Conviene preliminarmente richiamare alcuni principi.

Le condizioni dell'azione giurisdizionale sono rinvenibili nella legittimazione ad agire e nell'interesse a ricorrere, la prima intesa come titolarità di una situazione soggettiva qualificata, la seconda come vantaggio dall'accoglimento del ricorso ex art. 100 c.p.c., che vale a qualificare la posizione dell'istante rispetto a quella indifferenziata del quisque de populo (Cons. Stato, sez. IV, 01/03/2017, n. 934).

Il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione; le condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione processuale, cosiddetta legittimazione ad agire, e l'interesse a ricorrere; l'interesse a ricorrere sussiste, quindi, laddove vi sia una lesione della posizione giuridica del soggetto, ovvero se sia individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistano elementi tali per affermare che l'azione si traduca in un abuso della tutela giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 17/04/2020, n. 2464).

Nel processo amministrativo la legittimazione attiva, in quanto condizione dell'azione, è accertabile anche ex officio in ogni stato e grado del giudizio atteso che ogni giudice, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui l'ordinamento subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito; si tratta, infatti, di condizioni all'esercizio del potere giurisdizionale che l'ordinamento normalmente prevede per la tutela di interessi di ordine pubblico, sottratti alla disponibilità delle parti, la cui tutela, pertanto, non può essere rimessa alla loro tempestiva e rituale eccezione (Cons. Stato, sez. IV, 19/03/2015, n. 1514).

La legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura; qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire; l'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica (Cons. Stato, sez. V, 05/04/2024 , n. 3148).

La distinzione tra legittimazione ed interesse ad agire emerge in maniera lampante nelle controversie in materia di titoli edilizi impugnati dal terzo. Come riaffermato, ad esempio, da Cons. Stato, sez. VI, 21/12/2021, n. 8495, la vicinitas non è sufficiente a fondare l'interesse ad agire del terzo, dovendosi dimostrare che l'intervento contestato abbia capacità di propagarsi sin ad incidere negativamente sulla proprietà del ricorrente, dovendo essere concretamente accertato e indagato l'interesse ad agire.

Orbene, nel caso di specie, è già dubbio che l’appellante abbia la legittimazione ad agire. Ma di certo essa non ha speso neppure una parola per dimostrare quale sia l’interesse a ricorrere, ovvero quale sarebbe il risultato utile che l’annullamento del vincolo le garantirebbe.

Conviene ricordare che l’imposizione del vincolo culturale è suscettibile di porre limitazioni in capo (i) al proprietario ovvero (ii) al possessore ovvero (iii) al detentore a qualsiasi titolo del bene (il Codice dei beni culturali, più volte fa riferimento a questa triade di soggetti quando, appunto, fa riferimento alle procedure di imposizione dei vincoli).

Nella specie è lo stesso proprietario del bene ad aver sollecitato ed ottenuto l’imposizione del vincolo. Ad opporsi ad esso è l’appellante che riveste il ruolo (non dimostrato fino in fondo) di legittimo detentore del bene. Ma, come si diceva, l’appellante non ha dimostrato l’esistenza di un interesse contrario all’imposizione del vincolo malgrado, nel caso di specie, ci sia il consenso del proprietario.

Secondo il ricordato “Atto di concessione” stipulato nel 1990 tra l’ERSAT e il dott. Francesco Meloni: (clausola n. 4) «Il concessionario è obbligato ad effettuare le manutenzioni ordinarie e straordinarie sia all’immobile che agli impianti fissi esistenti»; (clausola n. 6) «Al concessionario è fatto espresso, assoluto divieto di apportare innovazioni o modifiche al bene in concessione senza previa sottoposizione all’ERSAT del relativo, apposito progetto e senza che l’ERSAT abbia espresso in merito il suo consenso». L’imposizione del vincolo nulla cambia in ordine a questo tipo di obblighi che comunque ricadono sul concessionario e che nulla può fare senza il consenso del proprietario.

Si è detto come non sia affatto acclarato che quell’atto di concessione regoli i rapporti tra appellante e proprietario. Ma risalta ancora di più il peso della mancata esibizione del titolo che legittima l’appellante a detenere l’immobile: dal titolo si sarebbe potuto evincere se esiste un particolare tipo di interesse contrario del detentore all’imposizione del vincolo malgrado la mancata opposizione del proprietario.

6.4 Per le ragioni esposte, l’appello è inammissibile per difetto delle condizioni dell’azione e in particolare per l’omessa dimostrazione dell’esistenza dell’interesse ad agire di parte appellante.

7. In ogni caso l’appello è infondato e la sentenza di primo grado merita condivisione.

8. È infondato il primo motivo di appello.

Vero è che la discrezionalità del Ministero può essere sindacata se vengono offerti elementi oggettivi di riscontro del travisamento dei fatti e della sussistenza di elementi di logicità e coerenza nella valutazione relativa alla imposizione del vincolo. Ma nella specie gli elementi offerti non fanno venir meno il fondamento della valutazione operata dall’Amministrazione.

Come correttamente rilevato dal Tar, la Relazione storico-critica e illustrativa del bene, allegata al decreto di apposizione del vincolo, risulta esaustiva e completa. Essa evidenzia che «il compendio della Colonia Penale Agricola di Tramariglio rappresenta una importante testimonianza della storia delle bonifiche rurali in Sardegna avviate dalle politiche post-unitarie di fine ottocento ed attuate nei piani di sviluppo rurale in epoca fascista» e che «l’insediamento di Tramariglio, che si inquadra nella più ampia cornice della pianificazione territoriale connessa con la bonifica e colonizzazione rurale della Nurra, si lega alla esperienza urbana fondativa di Fertilia e costituisce un raro esempio di colonia penale-rurale frutto di un progetto organico espresso nei modi dell’architettura razionalista-purista degli anni ’30, sapientemente inserito nel suggestivo scenario naturale di Porto Conte e realizzato con il sistema “misto” dell’epoca che coniuga le tecniche murarie della tradizione con quelle moderne dei solai in cemento armato» (proprio dello sviluppo di Fertilia e dell’architettura che l’ha caratterizzata si è occupata la sentenza della Sezione n. 6817/2024 che pure fa il punto in ordine al sindacato esercitabile dal giudice).

La Relazione dimostra peraltro che la valutazione operata dall’Amministrazione non si ferma ad una considerazione unitaria del compendio, in quanto vengono analizzati nello specifico i singoli beni immobili soggetti a dichiarazione di interesse storico-culturale (“Diramazione Centrale”, “Chiesa”, “Villa del Direttore”, “Villino bifamiliare”, “Palazzina per funzionari”, “Ex Ospedale”, “Forno del pane”, “Ex macello”, “Ex Foresteria”), di cui vengono descritte partitamente le caratteristiche, per poi giungere alla conclusione secondo cui «la Colonia Penale di Tramariglio, per la sua storia legata alla trasformazione agraria del territorio della Nurra, per la valenza architettonica dell’insediamento, per il rapporto col contesto paesaggistico e per l’unitarietà stilistica e costruttiva degli edifici che la compongono, riveste notevole interesse culturale e merita la sottoposizione alla disciplina di tutela storico-architettonica al fine di evitare che interventi incongrui ne compromettano i valori culturali».

La valutazione dell'interesse culturale di un bene comporta un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché richiede l'applicazione di conoscenze tecniche specialistiche in settori scientifici come storia, arte e architettura, che presentano margini significativi di opinabilità. L'apprezzamento svolto dall'Amministrazione incaricata della tutela, in conformità al principio di cui all'art. 9 Cost., è soggetto a sindacato giudiziale solo per verificare la logicità, coerenza e completezza della valutazione. Tuttavia, il giudice amministrativo può solamente censurare le valutazioni che eccedono i limiti della opinabilità scientifica, senza sostituire il giudizio dell'Amministrazione con il proprio, ugualmente opinabile. Pertanto, la valutazione concernente l'interesse culturale rilevante, che giustifica di un vincolo, è un'esclusiva prerogativa dell'Amministrazione responsabile del relativo vincolo e può essere oggetto di sindacato giudiziale solo per evidenti incoerenze e illogicità che mettano in dubbio la validità della valutazione discrezionale tecnica (Cons. Stato, sez. VI, 06/08/2024, n. 7001).

Nella specie, gli argomenti addotti dall’appellante non tolgono fondamento alla valutazione operata dall’Amministrazione.

In particolare va rilevato che la doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso impinge direttamente nel merito amministrativo quando sostiene che 1) il vincolo avrebbe dovuto essere apposto esclusivamente su quegli edifici rappresentativi dell’ex Colonia Penale che hanno mantenuto invariate le caratteristiche proprie dell’architettura razionalista e che ne costituivano il fulcro, come la Diramazione Centrale, la Chiesa e la Villa del Direttore;

2) per nessuno degli altri edifici, vale a dire di quelli concessi in locazione ai ricorrenti, la relazione del Soprintendente evidenzia quegli elementi di pregio o, comunque, meritevoli di valorizzazione e conservazione che possano giustificare un vincolo storico artistico e che siano tali da far assurgere gli stessi immobili al rango di testimonianza particolarmente pregnante dell‘epoca in cui sono stati realizzati e della storia del territorio;

-3) le stesse immagini fotografiche allegate in primo grado da parte ricorrente dimostrano chiaramente che i beni concessi in locazione non hanno quel carattere distintivo riconducibile allo stile compositivo dell’architettura razionalista o, comunque, tale da costituire testimonianza della storia delle bonifiche rurali sarde.

E’ evidente infatti che si tratta di valutazioni che mirano a contestare in radice e nel merito il giudizio dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, così configurando il sindacato del giudice come un sindacato integralmente sostitutivo.

Alla fine ciò è evidenziato dalla richiesta di consulenza tecnica di ufficio o di verificazione che viene sollecitata con una latitudine tale da sconfinare in un giudizio di merito che si sovrapponga a quello della Soprintendenza.

Va anche rilevato che le modifiche occorse nel tempo non necessariamente tolgono le ragioni del vincolo, specie ove esso miri a tutelare la conservazione di un insieme di opere che rischiano di essere completamente pregiudicate da processi trasformativi.

9. Per ragioni analoghe è infondato anche il secondo motivo di appello che fa leva sugli interventi modificativi delle strutture succedutisi nel tempo.

La sussistenza dei presupposti di correttezza e legittimità della dichiarazione di interesse culturale emerge dalla documentazione in atti.

Il positivo accertamento dell'interesse culturale del Compendio in questione poggia sugli esiti di approfonditi studi e ricerche sul Tramariglio attivata sin dal 2003, nell'ambito di un vasto programma di Studi sull'Architettura Moderna promossa dell'ex Direzione generale per le Arti e Architetture contemporanee del Mibact.

L'accertamento di interesse culturale riguarda il compendio di Tramariglio come insieme, avendo l’Amministrazione riconosciuto l'interesse culturale dell'impianto urbanistico, del suo inserimento nel contesto paesaggistico, della coerenza delle architetture, della storia di una comunità, della forza di un progetto che si riaggancia alle esperienze dell'architettura moderna del territorio e della penisola.

10. Infondato è il terzo motivo di appello con il quale si lamenta la violazione delle norme sul giusto procedimento.

Anche in questo caso appaiono convincenti le argomentazioni svolte dal primo giudice che vanno lette anche alla luce del difetto di legittimazione e di interesse prima evidenziato.

I motivi di appello pur astrattamente volti a reclamare un diritto di partecipazione non evidenziano poi alcun elemento concreto – al di là del reclamo di una specifica considerazione soggettiva dell’immobile abitato se non per le modifiche apportate nel tempo precedente l’imposizione del vincolo ( e ciò non rileva a fronte di un vincolo volto a tutelare un insieme architettonico ).

In conclusione , la mancata comunicazione di avvio del procedimento all’attuale appellante non ha alcun rilievo, in quanto nemmeno in sede giudiziale sono emersi in giudizio elementi significativi da cui poter desumere che la decisione finale avrebbe potuto avere un contenuto differente da quello in concreto adottato.

Per i principi generali di ragionevolezza, economia dei mezzi e proporzionalità, l'annullamento degli atti amministrativi va limitato a quei casi in cui la mancata interlocuzione abbia causato una perdita effettiva e rilevante di materiale istruttorio e di conseguenza una imprecisa valutazione dell’interesse pubblico che era chiamata a compiere.

Le osservazioni di parte appellante, stante il loro contenuto focalizzato sulla perdita di valore culturale del bene in forza delle modificazioni intervenute prima dell’apposizione del vincolo, non introducono alcun elemento concreto e significativo al fine della valutazione che l'amministrazione era chiamata a compiere ( in proposito CdS VI n. 9860 del 2024 ove è detto che :

“l'apposizione dei… vincoli, è espressione di un potere ampiamente discrezionale, di prerogativa esclusiva dell'Amministrazione; può essere sindacato in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta (ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 6 marzo 2009, n. 1332).

Nel caso di specie, il decreto di apposizione del vincolo e la richiamata relazione della Soprintendenza danno ampiamente conto delle ragioni che hanno condotto il Ministero a dichiarare l'interesse culturale della chiesetta e a sottoporre a vincolo indiretto l'area circostante.

In particolare, quanto al vincolo diretto, la Soprintendenza ha indicato gli elementi che fanno ritenere la chiesetta "un oratorio privato di fondazione altomedievale", esplicitando anche l'esigenza di sottrarre la parte residua del complesso a ulteriori manomissioni.

Non rileva l'assunto per cui la chiesetta non sarebbe altro che un fabbricato diroccato, tenuto conto che tale circostanza non ne impedisce, di per sé, la remissione in pristino, anche intesa come integrale ricostruzione, soprattutto in presenza di edifici vincolati, con il ripristino delle caratteristiche antecedenti all'evento (Cons. St., Sez. VI, n. 2139/2015)”.

Il rischio di manomissioni ulteriori è fondamento sufficiente del vincolo mentre la posizione concreta dell’appellante – la sua incerta legittimazione a detenere il bene e la contestazione frontale della ragioni di merito valutate dall’amministrazione – conducono alla reiezione della censura legata al difetto di partecipazione.

11. Infondato, infine, è il quarto motivo di appello.

Un sopralluogo, pur potendo, in ipotesi, fornire elementi aggiuntivi, non era necessario, essendo stati acquisiti al procedimento tutti gli elementi atti a comporre un quadro esaustivo dei luoghi utile a sorreggere la decisione.

12. Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.

Le spese del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite in ragione della complessità e peculiarità della vicenda.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere

Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore