Cons. Stato Sez. VI n.1534 del 19 marzo 2012
Beni ambientali. Coltivazione cave

La competenza del Ministero dell’ambiente originariamente prevista dall’art. 2, comma 1, lettera d), della legge n. 349 del 1986, in tema di autorizzazioni paesaggistiche concernenti le attività di coltivazione di cave, è risultata effettivamente sussistente dalla data di entrata in vigore del comma 14 dell’art. 146 (cioè dal 1° gennaio 2010) sino alla data di entrata in vigore del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 (come poi convertito nella legge n. 106 del 2011), che ha attribuito i poteri in materia esclusivamente al Ministero per i beni e le attività culturali.

N. 01534/2012REG.PROV.COLL.

N. 05962/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5962 del 2010, proposto dal Comune di Pergola, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Antonella Felici Bedetti, Maurizio Miranda, con domicilio eletto presso il signor Sergio Del Vecchio in Roma, viale Angelico, 38;

contro

la Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Aldo Valentini, con domicilio eletto presso Giovanni Bonaccio in Roma, piazza Attilio Friggeri, n.18;
la Regione Marche; l’Arpam - Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale delle Marche; l’Asur - Marche Zona Territoriale n. 3 di Fano; il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare; la Provincia di Pesaro e Urbino - Dirigente Area Urbanistica-Territorio-Ambiente-Agricoltura, Servizio 4.2, non costituitisi nel secondo grado del giudizio;
il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

La s.n.c. F.lli Guiducci e Pierantoni, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Brusciotti e Gaia Brusciotti, con domicilio eletto presso la signora Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;
la Associazione Italia Nostra Onlus, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Raffaela Mazzi, con domicilio eletto presso la signora Emilia Rosa Faraglia (studio Chiocci) in Roma, via Rodi, n. 32;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA: SEZIONE I n. 100/2010;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Provincia di Pesaro e Urbino, del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della s.n.c. di F.lli Guiducci e Pierantoni e della Associazione Italia Nostra Onlus;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2011 il Cons. Silvia La Guardia e uditi per le parti l’avvocato Miranda, per sè e per delega degli avvocati Felici Bedetti e Mazzi, l’avvocato Valentini, l’avvocato dello Stato Tidore e l’avvocato Brusciotti Gaia.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. per le Marche ha dichiarato in parte inammissibili ed in parte respinto due ricorsi ( n. 870 del 2008 e n. 958 del 2009).che il Comune di Pergola aveva proposto avverso:

a) il provvedimento di valutazione di impatto ambientale con valenza di autorizzazione paesaggistica concernente il progetto di coltivazione di una cava presentato dalla ditta F.lli Guiducci e Pierantoni ed il parere favorevole della conferenza dei servizi ex art. 13, comma 3, della L.R. n. 71/1997;

b) gli atti presupposti e connessi della Provincia di Pesaro, della Regione (deliberazione della Giunta regionale n. 938 del 2004) del Ministero dell’Ambiente (che ha ritenuto non sussistere ragioni per annullare la autorizzazione contestuale alla VIA).

2. Con l’appello in esame, il Comune di Pergola ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, siano accolti i ricorsi di primo grado.

L’appellante - con un atto introduttivo particolarmente dettagliato e diffuso – ha criticato la sentenza del TAR ed ha riproposto le censure di primo grado che, in estrema sintesi, possono riassumersi come segue.

Con i primi due motivi, è contestata l’erroneità della sentenza quanto alla dichiarata inammissibilità delle censure rivolte alla individuazione di un bacino estrattivo della maiolica in località Bellisio Solfare, ritenute tardive perché non sarebbero state sollevate nel termine di sessanta giorni, decorrente dalla pubblicazione della delibera di approvazione, risalente al 2003, del piano attuativo provinciale (PPAE).

Dopo aver rilevato che la giunta regionale aveva ritenuto compatibile il nuovo bacino con la deliberazione n. 938 del 2004; l’appellante sostiene che:

a) il PPAE, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non ha valenza pianificatoria, ma di mero strumento attuativo del Piano regionale delle attività estrattive, onde non può individuare nuove ed ulteriori zone soggette ad escavazione non previste dal PRAE, il quale, d’altra parte, aveva posto per l’area in questione un divieto assoluto e inderogabile indicato come 46 bis;

b) il T.A.R. avrebbe trascurato che per introdurre modifiche al PRAE occorre la procedura di variante di cui all’art. 7 L.R. n. 71 del 1997 e, comunque, travisato l’effettivo contenuto della deliberazione della Giunta regionale n. 938 del 2004, che prescriveva la verifica della assenza di divieti di cui all’art. 6 L.R. cit., e che, dunque, non essendo lesivo il PRAE e non potendolo essere il PPAE, non sarebbe insorto alcun onere di immediata reazione;

c) non potrebbero introdursi varianti al PRAE in base ad una deliberazione della giunta regionale e, comunque, che tale delibera ha dichiarato una compatibilità generica, salva la verifica in riferimento all’esistenza dei divieti di cui all’art. 6 L.R. cit in fase progettuale;

d) tale completamento istruttorio sarebbe mancato, giungendosi a consentire l’attività estrattiva in un’area nella specie completamente boscata ed, in modo specifico, caratterizzata da bosco di alto fusto originario;

e) quindi, il primo ed unico atto lesivo nella fattispecie sarebbe la dichiarazione di compatibilità paesistico ambientale tempestivamente impugnata.

Con i motivi terzo e quarto, il Comune appellante sostiene l’erroneità delle argomentazioni con le quali la sentenza del TAR ha disatteso la critica relativa al mancato coinvolgimento nel procedimento della Soprintendenza per i Beni Culturali ed il Paesaggio di Ancona, essendo stata coinvolta nel corso del procedimento la Soprintendenza ai Beni Archeologici ed, invece, ‘categoricamente esclusa’ la Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio, avendo la Provincia ritenuto competente il solo Ministero dell’Ambiente.

L’appellante lamenta che:

f) spettava alla Provincia e non alla Direzione Regionale per i Beni Culturali, erroneamente menzionata dal T.A.R. ma estranea alla procedura, informare dell’esistenza del procedimento anche la Soprintendenza per il Paesaggio;

g) doveva osservarsi la procedura di cui all’art. 146 D.Lgs. n. 42/2004, avente carattere di immediata precettività e operatività;

h) la Soprintendenza ha competenza ad esprimere le proprie valutazioni nel corso del procedimento relativo all’autorizzazione ambientale, come emerge dall’art. 159 D.Lgs. n. 42 del 2004, mentre la Provincia l’ha esclusa in maniera categorica, ritenendo competente il solo Ministero dell’Ambiente; i) la Soprintendenza, con nota del 5 novembre 2008, ha espressamente affermato la sussistenza della propria competenza (e tale atto costituirebbe un provvedimento, che non è stato impugnato dalla Provincia né dalla ditta Guiducci e Pierantoni);

l) non rileverebbe in contrario il fatto che il Ministero dell’Ambiente abbia ritenuto legittimi gli atti della Provincia, essendosi determinato un sovvertimento delle competenze, in violazione non solo dell’art. 159, ma soprattutto dell’art. 146 del D.lgs. n. 42 del 2004;

m) comunque, la Soprintendenza non è stata messa in condizioni di poter annullare l’autorizzazione.

Con il quinto motivo, il Comune ribadisce, criticando le argomentazioni della sentenza, la necessità di una valutazione ambientale strategica (V.A.S.).

Con il sesto vengono articolatamente criticate le numerose argomentazioni di cui al punto 4 della motivazione della sentenza.

Con il settimo motivo di gravame si contesta che il T.A.R. non abbia adeguatamente considerato la presenza dei vincoli di cui all’art. 136 ed all’art. 142, comma 1, del D.Lgs n. 42 del 2004, abbia “declassato” il bosco esistente, aderendo alla tesi della Provincia ed invocando il parere del Corpo Forestale dello Stato, il quale, peraltro, non aveva valutato le questioni su cui ha posto l’attenzione il Comune, e non abbia tenuto conto che occorre il compimento di indagini in loco e non solo cartacee.

Il Comune inoltre deduce l’irrilevanza del cd ‘intervento compensativo’ nel limitrofo Comune di Cagli, non in grado di ripristinare, neppure in parte, il danno paesaggistico che l’attuazione del progetto determinerebbe.

L’appellante segnala, inoltre, che il PRAE aveva escluso l’esenzione per tutte le aree di formazione della maiolica.

L’ottavo motivo ripropone la questione dell’illegittima composizione della conferenza di servizi avanzata col secondo ricorso, contestando le argomentazioni con le quali è stata disattesa, e lamenta la perplessità della sentenza del TAR riguardo alle osservazioni espresse in quella sede dalla Soprintendenza per i Beni Culturali ed il Paesaggio, in quanto “liquidate” come carenti di supporto documentale e motivazionale, malgrado l’esistenza dei vincoli di cui all’art. 136 e 142, comma 1, lett. g), del D.Lgs n. 42 del 2004 sia stata documentata, mentre un particolare supporto documentale e motivazionale va, al contrario, richiesto per consentire lo svolgimento della attività in presenza dei vincoli stessi.

La Provincia appellata e la s.n.c. F.lli Guiducci e Pierantoni si sono costituite in giudizio, depositando articolate memorie, con cui hanno replicate alle doglianze dell’appellante.

Le parti appellate sostengono, in particolare:

- la tardività delle contestazioni circa la localizzazione del polo estrattivo;

- la possibilità che il PPAE inserisca nuovi bacini estrattivi;

- l’immediata lesività del PPAE e della deliberazione della giunta regionale n. 938 del 2004;

- l’assoluta non interferenza con l’area di divieto di esenzione individuata come 46 bis;

- il carattere di bosco ceduo della vegetazione esistente e l’ampia compensazione prevista dal progetto;

- la competenza della Provincia a rilasciare l’autorizzazione paesaggistica;

- l’inapplicabilità dell’art. 146 D.Lgs. n. 42 del 2004, essendo applicabile la disciplina transitoria di cui al successivo art. 159;

- la competenza del Ministero dell’Ambiente (dallo stesso affermata) al controllo di legittimità sulle predette autorizzazioni rilasciate per le attività di cava;

- la non configurabilità di un annullamento implicito nella nota del 5 novembre 2008 della Soprintendenza;

- l’inapplicabilità della procedura di V.A.S. per i progetti di cava;

- la legittima composizione della conferenza di servizi;

- sarebbero generiche e prive di fondamento le osservazioni della Soprintendenza in sede di conferenza e, più in generale, sarebbero condivisibili le argomentazioni della sentenza impugnata.

Si è costituita anche l’Associazione Italianostra Onlus, adesivamente all’appello, del quale chiede l’accoglimento.

3. Con l’ordinanza n. 4268 del 2010, questa Sezione ha disposto incombenti istruttori in relazione alle caratteristiche del bosco, incaricandone il Corpo Forestale dello Stato di Ancona, il quale il 13 dicembre 2010 ha depositato una articolata relazione.

Con l’ordinanza n. 988 del 2011, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare, formulata in via incidentale dal Comune appellante.

Le parti hanno dimesso memorie ed atti di replica, ulteriormente illustrando le rispettive tesi, indi l’appello è stato posto in decisione all’udienza del 18.11.2011.

DIRITTO

1. La Provincia di Pesaro e Urbino ha incluso nel programma provinciale per le attività estrattive (PPAE) di cui all’art. 8 della legge reg. n. 71 del 1997 un’area di estrazione della maiolica all’interno del territorio del Comune di Pegola, località Belliso Solfare, non prevista dal sovraordinato piano regionale dell’attività estrattiva (PRAE), che aveva individuato altri siti per l’estrazione del medesimo materiale.

Tale area estrattiva, ad avviso del Comune appellante, ricadrebbe in un’area caratterizzata dalla presenza di un bosco, in cui è vietata l’attività estrattiva ai sensi dell’art. 6, comma 3, della legge reg. n. 71 del 1997, nonché nell’area Solfare-Madonna del Sasso, sulla quale rileva uno specifico divieto quale area, contrassegnata nella apposita cartografia di PRAE con il n. 46 bis, di assoluta esclusione dalla possibilità di ‘esenzione’ contemplata, per i materiali di difficile rinvenimento e sostituibilità, dall’art. 60 del PPAR (piano paesistico ambientale regionale).

Le parti resistenti sostengono che la coltivazione di cava sarebbe, invece, possibile, ai sensi del comma 4 dell’art. 6 della citata legge reg., trattandosi di un bosco governato a ceduo, eliminabile subordinatamente alla realizzazione di ‘interventi di compensazione’, e non essendovi, d’altra parte, interferenza con l’area di esclusione 46 bis del PRAE, posta a circa 700 m. di distanza.

Un primo aspetto rilevante, dunque, attiene all’inclusione o meno dell’area di cui si discute tra le “aree di divieto all’esercizio di cava non cartografate nel PRAE” di cui all’art. 2 delle normativa del PRAE stesso per le aree di divieto non cartografate, che, in piena conformità all’art. 6, comma 3, lett. e), della legge reg. n. 71 del 1997, impositiva di divieti di attività estrattive, prevede, al punto 13, che “E’ vietato l’esercizio di cava nei boschi ad alto fusto originari e nei boschi con prevalenza superiore al 50 per cento di faggio e castagno e con l’80 per cento di leccio” (v. doc. 2 produzione del 30.10.2010 della soc. F.lli Guiducci e Pierantoni).

La legge regionale sulle attività estrattive prevede, infatti, all’art. 6, comma 2, tra i contenuti obbligatori del PRAE una “l) cartografia informatizzata, restituita alla scala 1:100.000, con l’individuazione delle aree dove è vietata l’attività estrattiva ai sensi del comma 3 e redazione di una normativa per le aree di divieto ancora non cartografate”, così come “d) una direttiva recante le norme di attuazione …, per l’esercizio dell’attività estrattiva nelle formazioni boscate …”, ove essa è consentita con compensazione, ossia, ai sensi del comma 4, nei “boschi governati a ceduo o in quelli costituiti da essenza non autoctone”.

Un altro aspetto riguarda la tipologia di materiale, con la precisazione che essa rileva ai fini dell’eventuale esenzione ai sensi dell’art. 60 delle NTA del PPAR (salvo esclusioni specifiche – v. il sito cartografato come 46 bis), ma non consente deroghe ai divieti di cui all’art. 6, comma 3, legge reg. cit. (il comma 3 stabilisce che “E’ comunque vietato l’esercizio di cava…” nei casi elencati alle lettere da a) a i)).

2. E’, a questo punto, opportuna una iniziale focalizzazione sugli snodi procedimentali che consenta di meglio comprendere le particolarità della vicenda e di semplificare l’esame delle censure dedotte.

Tali censure - riassunte nella parte in fatto – vanno considerate fondate, nei sensi di seguito esposti.

3. La relazione tecnico illustrativa del PRAE, all’art. 3.3.12 - cartografazione delle aree di affioramento dei litotipi di difficile reperibilità e di comprovata difficile sostituzione (l’elencazione ivi formulata include la formazione della maiolica), prevede che “Le Province in fase di redazione dei Programmi Provinciali delle Attività Estrattive potranno verificare l’esistenza di altre aree di affioramento dei litotipi di difficile reperibilità sopra descritti, non individuate nella relazione del presente Piano. Se queste aree risultassero esterne ai divieti di cui all’art. 6, comma 3, della L.R. n. 71/1997 …. può essere valutata l’opportunità di applicare l’esenzione di cui all’art. 60 delle NTA del PPAR.” (v. doc. 1 produzione di primo grado del 23.03.2009 della Provincia).

Il sito di Belliso Solfare, località Fosso del Bifolco, previsto dal PPAE è stato preso in considerazione dalla giunta regionale, con la deliberazione del 3 agosto 2004, n. 938 (successivo doc. 4), in riferimento al paragrafo 4.2 della Relazione tecnica illustrativa del PRAE; paragrafo che, per quanto interessa, ha previsto che “Nel caso in cui le Amministrazioni provinciali individuino, per uno o più materiali di difficile reperibilità non cartografati nel PRAE, bacini estrattivi utilizzando l’esenzione rispetto ad una o più prescrizioni di base delle NTA del PPAR, gli stessi bacini estrattivi (aree di esenzione) dovranno essere sottoposti al parere vincolante della giunta regionale che ne verifica la compatibilità” (v. doc. 2 produzione predetta).

La deliberazione n. 938 del 2004 della giunta regionale n. 938 del 2004 dispone, al punto 1), di dichiarare la compatibilità, rispetto alla legge reg. n. 71/1997 ed al PRAE, tra l’altro, dell’area di estrazione MAI003 (Comune di Pergola, località Fosso del Bifolco), al contempo stabilendo, al punto 4), “che in fase di progettazione all’interno delle aree di esenzione dovrà comunque essere verificata l’assenza dei divieti art. 6 L.R. n. 71/1997 così come dettagliati dal PRAE, non cartografati dal Programma Provinciale delle Attività Estrattive di Pesaro-Urbino. Questi vengono di seguito riassunti: … Lett. e) – boschi di alto fusto originari e boschi con prevalenza superiore al 50 per cento di faggio e castagno e con l’80 per cento di leccio. Questo divieto è ulteriormente dettagliato nella direttiva di PRAE recante norme di attuazione … . L’art. 9 della Direttiva specifica che nei boschi cedui in cui vige l’obbligo di conversione ai sensi della DGRM n. 3712/1994, non è consentita l’eliminazione del bosco stesso in quanto non più da governarsi a ceduo …”.

La riferita sostanziale riserva è motivata nel documento istruttorio - richiamato e recepito nella medesima deliberazione - col rilevo che “l’assenza di apposite cartografie degli aspetti sopra indicati, obbliga ad una loro attenta verifica in sede di presentazione del progetto in quanto la presente dichiarazione di compatibilità delle aree di esenzione non può risolvere a priori queste problematiche di estremo dettaglio. Questo aspetto riguarda in particolare la presenza di boschi compensabili la cui individuazione richiede esame specifico.”.

Da quanto sinora riferito, emerge che il piano regionale consentiva alla Provincia di individuare e di sottoporre all’esame della giunta regionale ulteriori aree estrattive per materiali di difficile reperibilità, ma solo se esterne alle aree di divieto stabilite dall’art. 6, comma 3, della legge reg. n. 71 del 1997, e che la dichiarazione di compatibilità formulata dalla giunta regionale è stata effettuata con la riserva del successivo riscontro in concreto, in sede progettuale, dell’assenza di situazioni di divieto.

La verifica della esistenza o meno, nel bacino estrattivo individuato, di condizioni di divieto previste dalla legge ed altresì dalla riferita normativa di PRAE per le aree di divieto non cartografate, nonché dalla “direttiva” medesima quanto ai boschi da avviare obbligatoriamente all’alto fusto (verifica che costituisce un elemento essenziale, riguardandone i presupposti, del giudizio di compatibilità con la legge reg. n. 71 del 1997 e con il PRAE), è stata, quindi, posticipata al momento dell’esame del progetto di coltivazione di cava nell’area stessa.

Solo in tale momento ed in caso di riscontro dell’inesistenza di divieti può, pertanto, considerarsi concluso, ossia definito sotto ogni riguardo, il procedimento a valenza pianificatoria di localizzazione dell’area estrattiva per maiolica in Comune di Pergola, quale configurato dai richiamati punti 3.3.12 e 4.2 della relazione del PRAE.

Ne consegue, innanzitutto, che il PPAE e la deliberazione della giunta regionale n. 938 del 2004 non hanno acquisito un carattere immediatamente lesivo, l’uno per l’inidoneità ad introdurre, da solo, ossia senza la successiva condivisione regionale, eventuali varianti al PRAE, l’altra per non aver inteso derogare ai divieti fissati dalle legge e dal PRAE, come del tutto chiaramente emerge dalla clausola di cui al punto 4, ed aver, dunque, dichiarato una compatibilità meramente astratta e teorica, subordinata alla verifica in concreto nella fase progettuale dell’insussistenza di divieti.

Sotto tale profilo, risultano fondate le deduzioni dell’appellante, formulate con i primi due motivi di appello, ove si rileva che la deliberazione della Giunta regionale n. 938 del 2004 “per espressa previsione non supera la presenza dei divieti di cui all’art. 6 della L.R. n. 71 del 1997 e, dunque, non supera il divieto di eliminazione del bosco” e rimarca che è stata dichiarata “una generica compatibilità salvo, poi, escluderla, in riferimento all’esistenza dei divieti …”.

Non può, dunque, condividersi la statuizione con cui la sentenza di primo grado ha dichiarato inammissibili le contestazioni del Comune avverso la scelta di individuare il bacino estrattivo.

Il TAR ha ritenuto che esse dovessero essere sollevate nel termine di sessanta giorni, decorrente dalla pubblicazione della delibera approvativa del PPAE in considerazione della valenza pianificatoria del medesimo,rilevando che alla individuazione di un bacino estrattivo segue ‘inevitabilmente’ la presentazione di progetti di coltivazione di cave e rilevando che “l’onere di tempestiva impugnazione del piano obbedisce anche all’esigenza di evitare agli operatori economici la predisposizione di costosi progetti (e all’amministrazione competente l’esame degli stessi) in un momento in cui sia ancora in dubbio l’astratta assentibilità dell’iniziativa a cui si riferisce il progetto”.

Osserva in contrario la Sezione che la particolarità della fattispecie è costituita proprio dalla circostanza che la Regione non ha espresso, in ordine alla localizzazione indicata dalla Provincia, un assenso qualificabile come pieno ed incondizionato, ma ha posto una riserva dell’esito dell’istruttoria, ritenuta necessaria per stabilire la ricorrenza o meno in concreto di situazioni di divieto (istruttoria, appunto, posticipata alla fase di esame degli eventuali progetti di sfruttamento del sito, su cui, dunque, evidentemente grava l’alea determinata da tale differimento dell’indagine, che pur sempre, in quanto necessaria, l’amministrazione deve effettuare).

Ulteriore conseguenza di quanto rilevato è costituita dalla imprescindibile necessità che tale attività istruttoria e di indagine concreta e di dettaglio - sulle oggettive caratteristiche dell’area ed, in particolare, per quanto interessa, del bosco pacificamente ivi esistente - sia infine compiuta, con un appropriato sopralluogo nell’ampia area in questione, dalla Amministrazione provinciale, eventualmente avvalendosi del Corpo forestale dello Stato, con la possibilità di richiedere a tale Corpo una specifica attestazione su tale aspetto.

4. Le precedenti osservazioni comportano, ad un tempo, la tempestività delle censure di primo grado (con la conseguente riforma sul punto della sentenza del TSR), nonché la loro fondatezza, nella parte in cui hanno dedotto profili di eccesso di potere per difetto di istruttoria.

Risulta condivisibile la deduzione del Comune di Pergola, secondo cui non si può ritenere ex se consentita una attività – con la concessione di ‘esenzioni’ – quando non sia stato definito in modo chiaro e completo quale sia il quadro fattuale, in relazione all’esistenza di divieti.

Ritiene al riguardo la Sezione che, come emerge dalla documentazione acquisita, tale completa attività istruttoria sia mancata, come ha fondatamente dedotto il Comune appellante.

Una volta presentato, da parte della s.n.c. Guiducci e Perantoni, il progetto di coltivazione della cava del Bifolco, questo è stato in primo luogo sottoposto a VIA, indi alla conferenza dei servizi prevista dall’art. 13, comma 3, della legge reg. n. 71 del 1997 (sul procedimento di rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava).

Il Dirigente del Servizio provinciale attività estrattive ha espresso, con l’atto n. 52016 del 25 luglio 2008, una valutazione positiva di compatibilità ambientale, con prescrizioni, ai sensi della legge reg. n. 7 del 2004 (recante la disciplina della procedura di valutazione di impatto ambientale) in ordine al progetto stesso.

Contestualmente, il Dirigente ha rilasciato l’autorizzazione ai fini paesaggistici, disponendone l’invio al Ministero dell’Ambiente, indicato come competente ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d), della legge n. 349 del 1986, ai fini dell’eventuale esercizio del potere di annullamento ai sensi dell’art. 159, comma 3, D.Lgs. n. 42 del 2004 (rilevante ratione temporis).

Per quanto riguarda la V.I.A., nel provvedimento si richiama la relazione istruttoria del 22 luglio 2008 del servizio urbanistica e pianificazione territoriale e sono condivise le riportate conclusioni del rapporto sull’impatto ambientale del responsabile del procedimento.

Nella parte del provvedimento in cui si riferisce il rapporto sull’impatto ambientale, emerge l’esame dei molteplici profili rilevanti; in ordine all’aspetto della presenza di un bosco.

Premesso che la documentazione progettuale era stata trasmessa dalla società che aveva presentato la domanda (tra l’altro) al Corpo forestale dello Stato territorialmente competente, si evidenzia, al punto 1.1 (sui contributi istruttori e pareri), che il Corpo forestale aveva espresso parere - in ordine al progetto ed alle “integrazioni fornite dalla Ditta … denominate “Approfondimento botanico vegetazionali, faunistici e forestali”” - nel senso che “Nel merito lo scrivente non ha particolari osservazioni da formulare riservandosi di esprimere eventuali prescrizioni in sede di conferenza istruttoria” (in tale occasione, poi, il Corpo forestale ha confermato “il parere favorevole già espresso in sede di giudizio di VIA chiarendo che non sussistono osservazioni in merito al progetto di compensazione”).

Al punto 2.A si evidenzia, inoltre, l’esistenza di “vincoli derivanti dal PPAR per i quali è valida la deroga richiamata dal PPAE”, tra cui la voce “Boschi e pascoli”, e si puntualizza che l’area è altresì soggetta al rilascio del nulla osta riguardo al vincolo idrogeologico e dell’autorizzazione paesaggistica.

La relazione istruttoria del servizio urbanistico e pianificazione territoriale, richiamata nel provvedimento, si basa sul progetto di coltivazione presentato dalla ditta interessata e sulle relative integrazioni documentali e “Preso atto” che la cava si colloca “in un contesto paesaggistico dove si alternano le colline tipiche dell’Appennino Marchigiano-Pesarese ed il bosco ceduo”, considera che il progetto intervenga “all’esterno di ambiti di divieto di cui all’art. 6 comma 3 della L.R. n. 71 del 1997” e sia esente rispetto alle prescrizioni del PPAR, emergendo dagli elaborati di progetto che la sua attuazione prevede interventi di recupero e compensazione, ai sensi dell’art. 6, comma 4, della legge reg. cit..

Da quanto precede, si desume che la Provincia ha basato la propria valutazione essenzialmente sulle indicazioni fornite, nel progetto e nelle relative integrazioni documentali, dalla ditta interessata.

Analogamente, il Corpo forestale (che, come riferito nella sua nota dell’11 febbraio.2008, n. 74: v. fascicolo di primo grado del Ministero dell’Ambiente, produzione del 16 marzo 2009) aveva effettuato un sopralluogo unitamente ai tecnici della società, evidenziando varie carenze della documentazione progettuale e la necessità di integrarla sotto vari profili.

Il Corpo Forestale si è poi basato sulla documentazione integrativa, trasmessa dalla società, focalizzandosi sull’aspetto della compensazione progettata, come si desume dal “chiarimento” fornito in sede di Conferenza di Servizi, ma anche dalla citata nota dell’11 febbraio 2008, che richiede, in particolare, elementi utilizzabili nel calcolo della compensazione ambientale, dopo che dal sopralluogo era risultato, da un controllo a campione, che relativamente alla tipologia costituente il bosco alcuni parametri utilizzati non erano supportati da alcun elemento documentale e presumibilmente non risultavano rispondenti a quelle del reale popolamento.

Osserva la Sezione che non risulta, invece, effettuata quella autonoma ed appropriata istruttoria, con verifica in loco, in ordine alla concreta ricorrenza o meno di situazioni di divieto previste dalla legge ovvero dal PRAE, e in particolare dalla relativa direttiva contenente le norme tecniche, che costituiva compito e responsabilità precipua della amministrazione provinciale e adempimento essenziale, imposto dall’organo regionale, per rendere definitiva la scelta localizzativa.

Tale attività – dovendo precedere l’emanazione degli atti concernenti l’approvazione del progetto - non era certo sostituibile con quella del soggetto privato interessato allo sfruttamento del giacimento di maiolica.

Osserva peraltro il Collegio che l’istruttoria sulla effettiva consistenza e natura del bosco – in quanto mancata nel corso del procedimento amministrativo – non può essere disposta ex post in sede giurisdizionale: la compiuta determinazione della consistenza e della natura del bosco – in quanto espressione della discrezionalità tecnica di cui sono titolari le competenti amministrazioni – rientra nell’ambito delle loro specifiche responsabilità e non può essere sostituita da un accertamento ex post in sede di giurisdizione di legittimità.

In altri termini, quando un provvedimento si manifesta viziato per eccesso di potere, sotto il profilo del difetto di istruttoria, non può questo divenire irrilevante con accertamenti istruttori rimessi alla valutazione del giudice.

Al riguardo, la Sezione ritiene di precisare che – con una propria precedente ordinanza istruttoria – ha ritenuto di disporre accertamenti istruttori sullo stato dei luoghi, ma ciò al fine di esaminare la domanda cautelare formulata dal Comune appellante per il più attento esame del presupposto del periculum, ma non per giungere a indebite determinazioni, sostitutive di quelle rimesse alla responsabilità della Autorità amministrativa.

Peraltro, al fine di precisare la portata conformativa della presente sentenza (e dovendo essere ripreso il procedimento dall’ultimo degli atti non annullati in questa sede), ritiene il Collegio di osservare che la relazione - depositata in esecuzione dell’ordinanza istruttoria e al termine della relativa verificazione – ha esposto che non si potrebbero tecnicamente e giuridicamente considerare esistenti in loco piante di alto fusto, senza, tuttavia, specificare se ricorra la casistica di cui alla Direttiva del PRAE di cedui non compensabili per obbligo di conversione ad alto fusto.

Sotto tale profilo, la relazione ha evidenziato un’area di “bosco di neoformazione”, nonché un’area di spiccata biodiversità, “quasi un “laboratorio arboreo””, oltre ad aspetti di viabilità che esulano dalla disamina attuale - ed è stata diversamente commentata, riguardo a metodologia, significanza e completezza, dalle opposte parti, anche in riferimento alle indicazioni dei rispettivi consulenti.

Affinché vi sia una idonea istruttoria sulla effettiva consistenza e natura del bosco, in sede di rinnovazione del procedimento dovrà consentirsi l’accesso in loco di incaricati di tutte le parti, tempestivamente avvertite dell’accesso, e dovrà esservi una ricostruzione per quanto possibile dettagliata, che evidenzi con chiarezza l’iter logico in base al quale sia stata ammessa o esclusa l’esistenza di un bosco avente le caratteristiche di cui all’art. 6, comma 3, lett. e) della L.R. n. 71 del 1997.

Vanno invece considerate irrilevanti, a tal fine, le indicazioni fornite nel corso del del giudizio, ivi compresa la relazione del Corpo Forestale, riportata per esteso nella memoria di costituzione del Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali depositata il 16.3.2009, richiamata dal T.A.R., la quale, comunque, se pure evidenzia come il sito in argomento non sia ricompreso in alcuna area floristica individuata dalla Regione o in area protetta o in sito di importanza comunitaria (S.I.C.) o zona di protezione speciale (Z.P.S.), per quanto riguarda l’aspetto del bosco non prende posizione sui relativi caratteri, ma offre una ‘panoramica della normativa in materia’, con menzione delle previsioni delle varie norme, ivi compresi tanto l’art. 6, comma 3, che il successivo comma 4 della legge reg. n. 71/97, e, quanto al caso in esame, precisa soltanto che il progetto risultava corredato di uno specifico progetto di compensazione ambientale.

L’osservazione che il T.A.R. ritrae da detta relazione [secondo cui “sembra abbastanza inverosimile che il Corpo Forestale dello Stato non si sia reso conto che il bosco in cui è prevista la coltivazione della cava ha le caratteristiche di cui all’art. 6, comma 3, lett. e) della L.R. n. 71/1997”] è suggestiva, ma, per un verso, non elimina l’esigenza di elementi documentali a supporto della tesi condivisa, riferibili ad epoca anteriore alla adozione degli atti impugnati in primo grado, e, per altro verso, non sembra tener conto né che la valutazione di tale profilo richiedeva allo stesso Corpo Forestale una specifica indagine tecnica, con possibili profili di complessità, né, comunque, dell’estensione della categoria dei boschi non compensabili operata dalla direttiva e, dunque, da valutare ai sensi del punto 4) della deliberazione della giunta regionale n. 938 del 2004, aspetto riguardo al quale il Corpo Forestale incontestatamente non si era espresso, né consta che la Provincia lo avesse richiesto.

L’accoglimento della censura riproposta dall’appellante in questa sede – circa la sussistenza di tale viziante deficit istruttorio sulla sussistenza o meno di boschi non compensabili - consente di ritenere assorbita l’ulteriore questione della interferenza o meno dell’area di cava progettata con l’ambito contrassegnato come n. 46 bis Solfare-Madonna del Sasso - Maiolica di esclusione da esenzioni. Tale questione, ad avviso del Collegio, non risulta risolvibile allo stato degli atti e richiederebbe approfondimenti istruttori, considerato che la scala della dimessa cartografia 7/A non consente di valutare con sufficiente grado di certezza se la cava ricada nel perimetro del divieto, come sostenuto dal Comune, o se, invece, esista il margine di distacco che parte appellata afferma sussistere.

Pertanto, in sede di rinnovazione del provvedimento, competerà alle Amministrazioni soccombenti effettuare motivatamente tale specifica rilevazione.

5. Osserva la Sezione che – come è stato dedotto dall’appellante con le doglianze sintetizzate nelle premesse di fatto – emergono ulteriori profili di illegittimità del procedimento in relazione alla mancata sollecitazione dell’esercizio dei poteri spettanti alla Sopraintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio.

Dalla documentazione acquisita, emerge, per un verso, che la Provincia ha negato la sussistenza di ogni potere della medesima Soprintendenza in ordine all’autorizzazione paesaggistica dalla stessa rilasciata, malgrado l’Amministrazione statale avesse formulato un avviso sfavorevole (pur acquisito nell’ambito della conferenza dei servizi tenutasi ai sensi dell’art. 13, comma 3, della L.R. n. 71 del 1997), mentre, per altro verso, il medesimo parere è stato del tutto trascurato, avendo la conferenza espresso parere positivo, senza spendere una parola di motivazione relativamente alla posizione assunta dalla Soprintendenza.

Sotto tale profilo, gli atti impugnati in primo grado – che non hanno tenuto conto delle determinazioni della Soprintendenza – risultano illegittimi, sia per l’eccesso di potere commesso in ragione della mancata valutazione espressa dalla Soprintendenza (il cui apporto procedimentale, quand’anche non fosse stata titolare di competenze, si sarebbe dovuto comunque valutare), sia per la violazione delle leggi riguardanti le competenze della medesima Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio.

5.1. La sussistenza di profili di eccesso di potere emerge dal susseguirsi degli atti posti in essere nel corso del procedimento.

La documentazione acquisita nel corso del giudizio evidenzia come, a seguito dell’invio dell’autorizzazione paesaggistica, rilasciata con la deliberazione dirigenziale del 25 luglio 2008, e della relativa documentazione al Ministero dell’Ambiente e solo ad esso – essendo stata inviata per ‘mera conoscenza’ alla Soprintendenza la sola copia del provvedimento di autorizzazione ambientale (v. nota della Provincia datata 19.8.2008) -, si sia aperto un carteggio tra la Provincia ed il Ministero dell’Ambiente, nonché tra la Provincia medesima e la Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio, in ordine alla competenza all’esercizio del potere di controllo sul provvedimento autorizzativo provinciale (v. la produzione di primo grado, depositata il 16 marzo 2009 dal Ministero per i Beni e le Attività culturali).

Infatti, circa i rapporto tra la medesima Soprintendenza e la Provincia, risulta che:

- la Sovrintendenza per il paesaggio di Ancona, con la nota del 25 settembre 2008, richiedeva l’invio della documentazione progettuale;

- la Provincia, con la nota del 22 ottobre 2008, replicava che la Soprintendenza “non ha competenze provvedimentali in ordine all’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla scrivente Amministrazione”;

- con la nota del 5 novembre 2008, la Soprintendenza ribadiva la richiesta di fornire la documentazione progettuale per il controllo;

- la Provincia, con la nota del 25 novembre 2008, insisteva nelle posizioni assunte, inviando una documentazione sempre ‘per conoscenza’, ma ribadendo che il procedimento di controllo rientrava nell’ambito delle competenze del Ministero dell’Ambiente, al quale, comunque si richiedeva di chiarire le modalità di coinvolgimento, nella fase transitoria, della Soprintendenza.

A sua volta, il Ministero dell’Ambiente:

- con la nota del 27 novembre 2008, rispondeva al ‘quesito’ così formulato, puntualizzando che l’art.146 del D.lgs. n. 42 del 2004 non conteneva disposizioni relative al regime provvisorio, invece disciplinato dall’art. 159, e che chiarimenti erano già stati forniti con la circolare del 3 marzo 2005 n. DDS/2005/226;

- indi, con la nota del 19 dicembre 2008, chiedeva alla Provincia integrazioni documentali, che la Provincia inviava al Ministero dell’Ambiente, accompagnati dalla nota del 22 gennaio 2009, nota indirizzata per conoscenza anche alla Soprintendenza;

- infine. con la nota del 5 marzo 2009, comunicava di non aver riscontrato motivi di illegittimità per l’emanazione di un atto di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica provinciale.

In data 21 settembre 2009 si teneva, poi, la conferenza dei servizi (v. documenti depositati nella camera di consiglio del 7 ottobre 2009 dal difensore del Comune), ai sensi del comma 3 dell’art. 13 della legge reg. n. 71 del 1997.

Nel verbale della conferenza istruttoria, è riportato il parere del rappresentante della Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio (sig. Biagio De Martinis), che segnala, con riferimento all’art. 142, comma 1, lettera g), del D.Lgs. n. 42 del 2004 la sussistenza di vincoli in relazione alla presenza di aree boschive, nonché la sussistenza di notevoli problematiche di intervisibilità tra la cava ed il borgo di Bellisio Solfare, nonché con la monumentale chiesa di Madonna del Sasso e “tenuto conto di quanto sopra esposto la Soprintendenza fa presente che il progetto, se realizzato, comporterà una notevole manomissione dei valori codificati dai provvedimenti di tutela (vincoli) comunque primari rispetto a qualsiasi interesse pubblico o privato, traducendo di fatto in una oggettiva deroga alle forme di tutela paesaggistiche attualmente in vigore nelle aree in oggetto e riferita al vigente PPAR”.

La Soprintendenza, peraltro, non figurava alla riunione come “Componente della Conferenza”, ma solo tra i soggetti “invitati” (al pari dei rappresentanti della ditta e dei tecnici progettisti) e, dunque, senza diritto di voto; questo, infatti, è stato espresso dai componenti rappresentanti della Regione Marche, del Corpo forestale dello Stato, del Comune di Pergola, dei Servizi 4.3 e 4.2 dell’Amministrazione provinciale, giungendo ad un parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione della cava, subordinato ad alcune prescrizioni.

Il Collegio evidenzia la palese illegittimità delle risultanze della Conferenza di Servizi, poiché questa ha espresso una propria valutazione favorevole senza esporre alcunché, per ritenere inattendibili le motivate ed articolate valutazioni espresse dalla Soprintendenza.

5.2. L’appello del Comune deduce che il mancato coinvolgimento della Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio abbia comportato anche distinti profili di violazione dell’art. 159 del Codice per il Paesaggio, approvato con il D.lg. n. 42 del 2004.

Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato anche per tale motivo.

Nella specie, come ha sul punto correttamente evidenziato la sentenza impugnata, risulta inapplicabile l’art. 146, che ha previsto norme “a regime” (per le quali la competente Soprintendenza esprime un parere nel corso del procedimento volto all’esame della istanza di autorizzazione).

In via transitoria (e per gli atti emessi sino al 31 dicembre 2009, a seguito dell’entrata in vigore degli atti normativi che hanno più volte prorogato la data prevista nell’originario testo del Codice), per il riesame delle autorizzazioni paesaggistiche – rilasciate dall’autorità regionale o da quella subdelegata dalla Regione (nella specie, dalla Provincia), ratione temporis risulta applicabile l’art. 159, sul potere della Autorità statale di annullare le autorizzazioni paesaggistiche (in coerenza con i principi enunciati dalla decisione n. 9 del 2001 dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio, che ha anche precisati i poteri spettanti alla Autorità statale in sede di Conferenza di servizi).

Per quanto riguarda la determinazione della Autorità statale competente ad esercitare il potere di annullamento (il Ministero dell’Ambiente ovvero in alternativa il Ministero per i beni e le attività culturali, e per esso della Soprintendenza per i Beni Culturali e per il Paesaggio), il Comune appellante ha sostenuto che vi è la competenza della Soprintendenza, mentre gli appellati hanno ritenuto competente il Ministero dell’Ambiente, in base all’art. 2, comma 1, lettera d), della legge n. 349 del 1986.

Osserva al riguardo la Sezione che risultano fondate, anche sotto tale profilo, le censure formulate dal Comune, sulla competenza del Ministero per i beni e le attività culturali.

Va premesso che le disposizioni degli artt. 146 e 159 del D.Lgs. n. 42 del 2004 sono state più volte modificate dai cc.dd. decreti correttivi e dalle successive leggi che, tra l’altro, hanno prorogato il termine di entrata in vigore dell’art. 146.

L’art. 146, nei vari testi approvati con gli atti normativi succedutisi nel tempo, ha disciplinato ‘separatamente’ le attività di coltivazione di cava, mostrando una progressiva accentuazione del ruolo della Soprintendenza.

Invece, l’art. 159 nelle sue varie formulazioni ha costantemente attribuito al Ministero dei beni e delle attività culturali (e alla Soprintendenza) il potere di annullamento, dell’autorizzazione paesaggistica emessa dall’autorità locale, senza deroghe, neppure con riferimento allo svolgimento dell’attività di coltivazione della cava.

La formulazione iniziale dell’originario art. 146 prevedeva, al comma 14, che “Le disposizioni del presente articolo non si applicano alle autorizzazioni per le attività di coltivazione di cave e torbiere. Per tali attività restano ferme le potestà del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio ai sensi della normativa in materia, che sono esercitate tenendo conto delle valutazioni espresse, per quanto attiene ai profili paesaggistici, dalla competente soprintendenza”.

Una analoga previsione si trovava, al comma 16, nella formulazione modificata con il D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157.

L’art. 146 è stato nuovamente modificato con il D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63, che ha riformulato il comma 14, per il quale “Le disposizioni dei commi da 1 a 13” (ivi, dunque, compresa la necessità del parere vincolante dalla Soprintendenza) “si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere incidenti sui beni di cui all’art. 134” (cioè sui beni paesaggistici comprendenti le aree di cui all’art 136 e le aree di cui all’art. 142), “ferma restando anche la competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di cui all’art. 2, comma 1, lett. d) della legge 8 luglio 1986 n. 349”.

Successivamente all’entrata in vigore a regime dell’art. 146 (avvenuta il 1° gennaio 2010), il comma 14 è stato sostituito dall’art. 4, comma 16, lett. e), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, come convertito nella legge n. 106 del 2011, per il quale “le disposizioni dei commi da 1 a 13 si applicano anche alle istanze concernenti le attività di coltivazione di cave e torbiere nonché per le attività minerarie di ricerca ed estrazione incidenti sui beni di cui all’art. 134”, senza più alcun riferimento a competenze del Ministero dell’ambiente.

Si registra, così, nell’evoluzione della norma destinata a valere a regime, anche per la materia delle cave, una confluenza nella generale competenza della Soprintendenza in ordine all’autorizzazione paesaggistica, chiudendo il divario inizialmente esistente rispetto all’art. 159.

In sintesi, la competenza del Ministero dell’ambiente originariamente prevista dall’art. 2, comma 1, lettera d), della legge n. 349 del 1986, in tema di autorizzazioni paesaggistiche concernenti le attività di coltivazione di cave, è risultata effettivamente sussistente dalla data di entrata in vigore del comma 14 dell’art. 146 (cioè dal 1° gennaio 2010) sino alla data di entrata in vigore del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 (come poi convertito nella legge n. 106 del 2011), che ha attribuito i poteri in materia esclusivamente al Ministero per i beni e le attività culturali.

Sulla base di questa ricostruzione (sulla quale nulla hanno dedotto nel corso del giudizio le Amministrazioni statali), osserva la Sezione che la disciplina da prendere in considerazione è quella vigente al momento della emanazione del provvedimento n. 52016 del 25 luglio 2008, ossia quella risultante dal D.Lgs. 26 marzo 2008, n. 63, come puntualizzato nella sentenza del TAR (la quale ha osservato anche come il comma 9 dell’art. 159, aggiunto dalla legge 2 agosto 2008, n. 129, di conversione del decreto legge n. 97 del 2008), aveva previsto che le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 63 del 2008 e prima dell’entrata in vigore di detta disposizione erano annullabili dalla competente Soprintendenza, entro il termine di trenta giorni, decorrente dall’entrata in vigore della disposizione stessa, anche laddove l’Ufficio fosse decaduto dal potere di annullamento previsto dal D.Lgs. n. 63 del 2008.

Condiviso il rilievo che la vicenda risulta disciplinata dalla normativa transitoria contenuta nell’art. 159, non può, invece, concordarsi con la conseguenza affermata dal T.A.R., secondo cui “la Soprintendenza per i Beni Culturali e il Paesaggio aveva tutta la possibilità di annullare l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Provincia, ma tale omesso esercizio del potere non è mai stato censurato dal Comune di Pergola”.

L’esercizio di un potere, infatti, postula che sussistano i relativi presupposti procedimentali e sostanziali per la relativa attivazione, vale a dire, in relazione all’esercizio del sindacato di legittimità sull’autorizzazione paesaggistica disciplinato dal citato art. 159, che l’autorità emanante si rivolga alla Soprintendenza come autorità di controllo e soprattutto le fornisca la completa documentazione, sia quella riguardante il subprocedimento conclusosi col rilascio della autorizzazione, sia quella eventualmente ritenuta necessaria dalla Soprintendenza in base alla normativa di settore.

Per l’attivazione del potere della Soprintendenza, non bastava che essa fosse notiziata dell’invio, a più riprese, ad un’altra autorità (sia pure anch’essa statale) della documentazione ai fini del controllo, e le vengano trasmessi “per conoscenza” l’atto autorizzativo e parte della documentazione, tanto più in presenza di una reiterata contestazione del potere della Soprintendenza e della affermazione della relativa sussistenza in capo ad altra autorità.

Nella sostanza, quindi, il procedimento relativo all’autorizzazione paesaggistica è rimasto monco, essendo mancato una rituale fase di controllo quale delineata dall’art. 159 cit..

Ed, infatti, il Comune di Pergola non contesta che la Soprintendenza abbia omesso l’esercizio del potere che le competeva, ma che la Provincia non le abbia consentito di esercitare nella vicenda i propri poteri.

Tale censura, alla luce di quanto in precedenza esposto, risulta fondata.

6. L’illegittimità riscontrata riguardo al provvedimento provinciale del 25 luglio 2008, sotto i profili della carenza di istruttoria, della assenza di motivazione e della mancata regolare attivazione della fase di controllo dell’autorizzazione paesaggistica, impediscono che tale provvedimento possa costituire valido presupposto per la successiva attività procedimentale.

7. Inoltre, quanto al parere favorevole al progetto della s.n.c. Giuducci & Pierantoni, espresso dalla Conferenza dei Servizi ed impugnato col secondo ricorso di primo grado, come ha correttamente evidenziato l’appellante non risulta pertinente il rilievo con cui il T.A.R. ha disatteso le censure di primo grado.

Il TAR, al riguardo, ha rilevato che la Soprintendenza, “avuta la possibilità di esprimere il proprio avviso, ha fondato la propria contrarietà (ma forse sarebbe preferibile parlare di perplessità) al progetto”, in riferimento alla presenza di aree boscate e alla intervisibilità con la chiesa della Madonna del Sasso, “il tutto senza un particolare supporto documentale o motivazionale”, mentre sarebbero occorsi argomenti ben più analitici e consistenti, rispetto alle generiche affermazioni formulate dalla Soprintendenza, per mettere in discussione, in parte qua, il parere favorevole espresso dalla Provincia nell’ambito della procedura di VIA.

Osserva al riguardo la Sezione che – contrariamente a quanto rilevato dal TAR – il parere espresso dal rappresentante della Soprintendenza ha specificamente segnalato una notevole alterazione dei valori tutelati ed una sostanziale deroga al vincolo, che sarebbero state causate dalla realizzazione del progetto: il medesimo rappresentante ha manifestato una netta contrarietà, non semplici ‘perplessità’, riguardo al progetto stesso.

Quanto alle esigenze di supporto documentale o motivazionale, il rappresentante della Soprintendenza ha segnalato l’aspetto della presenza di aree boscate: poiché la relativa esistenza e la presenza del vincolo paesaggistico erano note ed indiscusse, erano le sue osservazioni a dover far rendere ancor più necessari gli approfondimenti istruttori in loco.

D’altra parte, a fronte di un progetto che per l’area considerata prevedeva l’eliminazione (per ettari 2,6479, come riferisce la Provincia) della superficie boscata per attivare la cava, appare del tutto pertinente e compiuta la motivazione espressa dal rappresentante della Soprintendenza, che ha fatto perno su un giudizio di prevalenza, nella comparazione degli interessi contrapposti, di quello oggetto di tutela, tenuto anche conto che si trattava, nella specie, di motivare un apporto, anche in termini di valutazione di merito, all’attività della Conferenza dei Servizi da svolgersi ex art. 13, comma 3, L.R. n. 71 del 1997 e non un atto di annullamento, per profili di legittimità, della autorizzazione paesaggistica.

In altri termini, il grave deficit motivazionale, nel corso del procedimento, non è riferibile a quanto espresso dal rappresentante della Soprintendenza per il Paesaggio, ma alle risultanze della Conferenza, che non ha svolto ulteriori accertamenti di fatto, né ha motivato il perché si discostava dalle valutazioni della Autorità per di più specificamente competente a negare l’approvabilità del progetto (salve le previsioni legislative, nel caso di motivato dissenso dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo).

8. Per le ragioni sin qui esposte e potendosi dichiarare assorbite le censure non esaminate, l’appello merita, quindi, accoglimento, onde, in riforma della sentenza impugnata, i ricorsi di primo grado vanno accolti e va disposto l’annullamento, in relazione ai vizi sopra evidenziati, dei provvedimenti effettivamente lesivi impugnati in primo grado, ossia del provvedimento del 25 luglio 2008 di positiva valutazione di impatto ambientale con valenza di autorizzazione paesaggistica, nonché del provvedimento della Conferenza dei Servizi tenutasi il 21 settembre 2009.

Le spese e gli onorari dei due gradi del giudizio, compensate nei confronti della Associazione Italia Nostra Onlus, seguono per il resto la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello n. 5962 del 2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie i ricorsi di primo grado ed annulla il provvedimento n. 52016 del 25 luglio 2008 della Provincia di Pesaro e Urbino e le risultanze della Conferenza dei Servizi tenutasi il 21 settembre 2009, salvi gli ulteriori motivati provvedimenti, da emanare sulla base dei principi affermati nella presente sentenza.

Condanna la Provincia di Pesaro e Urbino e la s.n.c. F.lli Guidicci e Pierantoni, a rifondere al Comune di Pergola le spese del giudizio che liquida in complessivi € 8.000,00 (ottomila), di cui € 4.000,00 per ciascuna parte resistente, oltre i.v.a. e c.p.a., senza vincolo di solidarietà.

Compensa le spese nei confronti della Associazione Italia Nostra Onlus.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/03/2012