CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE JULIANE KOKOTT presentate il 18 ottobre 2012
Causa C‑260/11 The Queen, su istanza di David Edwards e a. contro Environment Agency e a.
(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Supreme Court [Regno Unito])
«Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/35/CE – Direttiva 85/337/CEE – Valutazione dell’impatto ambientale – Direttiva 96/61/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Accesso alla giustizia – Nozione di procedimenti giurisdizionali “eccessivamente onerosi”»
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE JULIANE KOKOTT presentate il 18 ottobre 2012 (1) Causa C‑260/11 The Queen, su istanza di David Edwards e a. contro Environment Agency e a. (domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla Supreme Court [Regno Unito]) «Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/35/CE – Direttiva 85/337/CEE – Valutazione dell’impatto ambientale – Direttiva 96/61/CE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Accesso alla giustizia – Nozione di procedimenti giurisdizionali “eccessivamente onerosi”» I – Introduzione 1. Quanto può costare un procedimento giurisdizionale in materia ambientale? La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte su tale quesito. Infatti, ai sensi della convenzione di Aarhus (2) e delle disposizioni per il suo recepimento nella direttiva VIA (3) e nella direttiva IPPC (4), i procedimenti giurisdizionali concernenti controversie in materia ambientale non possono essere eccessivamente onerosi. 2. In Inghilterra e nel Galles, tuttavia, sussistono rischi di spese rilevanti nel procedimento giurisdizionale, soprattutto in ragione degli onorari ivi dovuti solitamente ai rappresentanti processuali. In seguito alla conclusione di un procedimento in materia ambientale, la Suprema Corte chiede pertanto in che modo essa debba applicare la convenzione e le corrispondenti disposizioni delle direttive nell’ambito di una controversia sulla condanna alle spese. II – Contesto normativo A – Diritto internazionale 3. Le prescrizioni applicabili alle spese giudiziali inerenti a procedimenti in materia ambientale sono contemplate dalla convenzione di Aarhus, firmata dall’allora Comunità europea il 25 giugno 1998 ad Aarhus (Danimarca) (5). 4. L’accesso alla giustizia viene menzionato nei considerando 7, 8 e 18 della convenzione: «[Le Parti della presente convenzione], [r]iconoscendo altresì che ogni persona ha il diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e il dovere di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future; [c]onsiderando che, per poter affermare tale diritto e adempiere a tale obbligo, i cittadini devono avere accesso alle informazioni, essere ammessi a partecipare ai processi decisionali e avere accesso alla giustizia in materia ambientale e riconoscendo che, per esercitare i loro diritti, essi possono aver bisogno di assistenza; (…) [i]nteressate a che il pubblico (comprese le organizzazioni) abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi e di assicurare il rispetto della legge; (...)». 5. Il principale obiettivo della convenzione è formulato nell’articolo 1: «Per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere, ciascuna parte garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale in conformità delle disposizioni della presente convenzione». 6. L’articolo 3, paragrafo 8, della convenzione menziona le spese processuali: «Ciascuna Parte provvede affinché coloro che esercitano i propri diritti in conformità della presente convenzione non siano penalizzati, perseguiti o soggetti in alcun modo a misure vessatorie a causa delle loro azioni. La presente disposizione lascia impregiudicato il potere dei giudici nazionali di esigere il pagamento di un importo ragionevole a titolo di spese processuali». 7. L’articolo 9 della convenzione disciplina l’accesso alla giustizia in materia ambientale. I paragrafi 4 e 5 trattano, inter alia, delle spese: «4. Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. (…) 5. (…) e [ciascuna Parte] prende in considerazione l’introduzione di appositi meccanismi di assistenza diretti ad eliminare o ridurre gli ostacoli finanziari o gli altri ostacoli all’accesso alla giustizia». 8. Infine, occorre fare riferimento alla prassi decisionale del comitato di controllo dell’osservanza della convenzione di Aarhus (Aarhus Convention Compliance Committee, in prosieguo:il «comitato di controllo»). Tale comitato di controllo, composto da esperti, è stato istituito dalle parti contraenti al fine di contribuire alla verifica, prevista dall’articolo 15 della convenzione, concernente l’osservanza delle sue disposizioni. Esso si occupa anzitutto di ricorsi individuali (6). Le sue indagini si concludono con le cosiddette «conclusioni e raccomandazioni». B – Diritto dell’Unione 9. Nell’attuazione della convenzione di Aarhus, la direttiva 2003/35/CE (7) ha inserito un articolo 10 bis nella direttiva VIA e un articolo 15 bis nella direttiva IPPC. Entrambe le disposizioni disciplinano l’accesso alla giustizia in determinate controversie in materia ambientale e dispongono rispettivamente al paragrafo 5 (8): «Tale procedura è giusta, equa, tempestiva e non eccessivamente onerosa». III – Fatti e domanda di pronuncia pregiudiziale 10. Il presente procedimento prende le mosse da un ricorso presentato dal sig. David Edwards per il riesame di una decisione della Environment Agency, con la quale veniva autorizzata l’attività di un cementificio. Da quanto risulta, l’impresa interessata non aveva preso parte a tale procedimento. 11. Il ricorso veniva respinto in primo grado nel 2005. Il sig. Edwards presentava in seguito un’impugnazione contro tale decisione dinanzi alla Court of Appeal. In tale grado la sig.ra Pallikaroupolos interveniva nelle residue fasi del procedimento in qualità di ricorrente dopo che il sig. Edwards si era ritirato. La sua responsabilità per le spese giudiziali dinanzi alla Court of Appeal veniva limitata a priori a GBP 2 000,00. La Court of Appeal rigettava l’impugnazione e nel 2006 statuiva sulle spese giudiziali, condannando la sig.ra Pallikaropoulos alle spese sostenute dalle controparti nell’impugnazione nei limiti dell’importo menzionato. 12. A seguito di ciò la sig.ra Pallikaropoulos proponeva un ricorso dinanzi alla House of Lords. In limine litis, essa presentava istanza di provvedimenti cautelari concernenti le spese, chiedendo la limitazione della sua responsabilità per le spese di detto procedimento di impugnazione. La House of Lords rigettava però la sua istanza, tra l’altro, perché la sig.ra Pallikaropoulos non aveva fornito indicazioni relative alla sua situazione patrimoniale né all’identità e alla situazione patrimoniale di tutti i soggetti da essa rappresentati. 13. Con decisione del 16 aprile 2008, la House of Lords confermava la sentenza della Court of Appeal, con la quale era stata respinta l’impugnazione proposta dalla sig.ra Pallikaropoulos. Il 18 luglio 2008 la House of Lords statuiva sulle spese, stabilendo che la sig.ra Pallikaropoulos era condannata a sostenere tutte le spese dell’impugnazione presentata dinanzi allo stesso giudice. 14. La controversia sulla decisione relativa alla spese è attualmente pendente dinanzi alla Supreme Court che, medio tempore, è subentrata alla House of Lords. In tale procedimento la Supreme Court ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni: 1. In che modo un giudice nazionale debba affrontare la questione della condanna alle spese di un membro del pubblico, rimasto soccombente come ricorrente in una controversia in materia ambientale, alla luce delle prescrizioni dell’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, quale attuato dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC. 2. Se la questione se le spese della controversia siano da considerarsi «eccessivamente onerose» o meno, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, quale attuata dalle direttive, debba essere decisa sulla base di criteri oggettivi (considerando, ad esempio, la capacità di un membro «ordinario» del pubblico di far fronte alla potenziale responsabilità per le spese giudiziali), o di criteri soggettivi (considerando i mezzi di cui dispone un ricorrente in particolare), o sulla base di una combinazione di tali due criteri. 3. Oppure se si tratti invece di una questione che rientra interamente nel diritto nazionale dello Stato membro, soggetto all’unica condizione di raggiungere il risultato prefissato dalle direttive e, precisamente, che il procedimento di cui trattasi non sia «eccessivamente oneroso». 4. Se sia rilevante, al fine di valutare se il procedimento sia o meno «eccessivamente oneroso», che il ricorrente non sia stato, di fatto, dissuaso dal proporre ricorso o dal proseguire il procedimento. 5. Se, in fase di (i) appello o (ii) di ulteriore impugnazione, sia ammissibile un approccio a tali questioni diverso da quello che occorre adottare in primo grado. 15. La sig.ra Pallikaropoulos, il Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, il Regno di Danimarca, l’Irlanda, la Repubblica ellenica e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte nonché orali all’udienza del 13 settembre 2012. IV – Valutazione giuridica 16. Occorre rispondere congiuntamente alle questioni prima e terza della Supreme Court, in quanto riguardano in astratto il margine di discrezionalità degli Stati membri nell’attuazione delle disposizioni di cui trattasi (al riguardo, v. sub A). Sulla base della risposta fornita a tali due questioni possono essere risolte, nell’ordine, le altre questioni riguardanti aspetti specifici (al riguardo, v. sub B, C e D). A – Sulle questioni prima e terza; margine di discrezionalità relativo alle misure nazionali 17. Le questioni prima e terza mirano a chiarire se la Corte possa stabilire in che modo un giudice nazionale debba affrontare la questione della condanna alle spese di un membro del pubblico, rimasto soccombente come ricorrente in una controversia in materia ambientale alla luce dell’obbligo di prevenire procedimenti giurisdizionali eccessivamente onerosi, oppure se si tratti di una questione da definire interamente in base al diritto nazionale dello Stato membro, sempreché il procedimento di cui trattasi non diventi «eccessivamente oneroso». 18. L’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, nonché l’articolo 10 bis, paragrafo 5, della direttiva VIA e l’articolo 15 bis, paragrafo 5 della direttiva IPPC prescrivono rispettivamente che le procedure in materia ambientale siano giuste, eque, tempestive e non eccessivamente onerose. 19. Come rammenta l’Irlanda, ai sensi dell’articolo 288, paragrafo 3, TFUE, una direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Tale fondamentale libertà di scelta degli Stati membri non viene messa in dubbio dal fatto che, mediante le direttive, venga attuata anche la disposizione, dal tenore sostanzialmente identico, di una convenzione internazionale. 20. Nel presente caso, il margine di discrezionalità così concesso è particolarmente ampio, in quanto le menzionate disposizioni non contengono prescrizioni più dettagliate sul modo in cui le spese eccessive debbano essere evitate nel caso concreto. 21. L’estrema varietà delle normative in materia di spese giudiziali negli Stati membri accentua la necessità di tale margine di discrezionalità. Né l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione, né le disposizioni delle direttive hanno l’obiettivo di armonizzare completamente dette normative, ma richiedono esclusivamente i necessari specifici adeguamenti. 22. A titolo di conclusione intermedia, si può pertanto dichiarare che, in linea di principio, sia compito degli Stati membri stabilire in che modo venga conseguito il risultato previsto dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, dall’articolo 10 bis della direttiva VIA e dall’articolo 15 bis della direttiva IPPC, vale a dire che i procedimenti giurisdizionali ivi contemplati non siano eccessivamente onerosi. 23. Tuttavia il margine di discrezionalità degli Stati membri non è illimitato. In merito alla convenzione la Corte ha già rammentato che, in mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti a garantire, in ogni caso, la tutela effettiva di tali diritti (9). 24. Pertanto, le normative degli Stati membri devono effettivamente prevenire, in ogni singolo caso, che i procedimenti giurisdizionali ivi contemplati siano eccessivamente onerosi. 25. Non può essere lasciata agli Stati membri la decisione sul modo in cui debba essere interpretata la nozione di «eccessivamente oneroso», vale a dire come determinare il risultato previsto dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione e dalle direttive. Infatti, dalle esigenze di un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del suo senso e della sua portata, devono di norma dar luogo, nell’intera Unione, ad un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e della finalità perseguita dalla normativa in questione; la Corte richiama inoltre, a tal proposito, anche il principio di uguaglianza (10). E, a differenza, ad esempio, delle nozioni di «interesse sufficiente» e di «violazione di un diritto», in merito alla nozione di «eccessivamente oneroso», le direttive non rinviano al diritto nazionale. 26. Indicazioni utili su cosa si debba intendere per prevenzione di procedimenti giurisdizionali eccessivamente onerosi si ricavano non solo dal testo della disposizione, ma anche dal suo contesto (11), cioè, in mancanza di ulteriori indicazioni contenute nella direttiva 2003/35, in primo luogo dalla convenzione di Aarhus. Inoltre, risultano rilevanti i requisiti generali in materia di recepimento e applicazione del diritto dell’Unione, in particolare la necessità di un recepimento sufficientemente chiaro (12), il principio di effettività e di equivalenza (13), nonché il rispetto dei diritti fondamentali del diritto dell’Unione (14). 27. Il termine «eccessivo», sottolineato dalla Commissione, che in alcune versioni linguistiche delle direttive e nelle corrispondenti traduzioni della convenzione caratterizza le spese giudiziali da evitare (15), potrebbe richiamare il principio di proporzionalità. Quest’ultimo deve, in ogni caso, essere rispettato nell’interpretazione e nell’attuazione delle direttive (16) ed osta per sua natura alle spese eccessive per l’accesso alla giustizia previsto dalla convenzione di Aarhus e dalle direttive. 28. Limitare la tutela in materia di spese processuali al principio di proporzionalità non sarebbe però sufficiente. Infatti, nelle tre versioni linguistiche vincolanti della convenzione, non viene impiegato il termine «eccessivamente». In base alla versione francese, le spese processuali non possono essere proibitive (17) e secondo quella inglese i procedimenti non dovrebbero essere proibitivamente costosi (18). Sebbene la versione russa non utilizzi il termine «proibitivo», tuttavia anch’essa mira ad evitare che i procedimenti siano inaccessibili per effetto di elevate spese processuali (19). 29. Di conseguenza, non si tratta solo di prevenire spese processuali eccessive, cioè sproporzionate rispetto al procedimento, ma i procedimenti non possono essere soprattutto tanto onerosi che i suoi costi minaccino di impedirne lo svolgimento. Spese ragionevoli eppure proibitive possono sorgere, in particolare, nelle procedure in materia ambientale relative a grandi progetti, in quanto questi ultimi possono risultare, sotto ogni aspetto, molto onerosi, ad esempio con riguardo alle questioni giuridiche, economiche e tecniche sollevate, nonché al numero di partecipanti. 30. Pertanto, è ora possibile fornire una risposta utile alle questioni prima e terza. Conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, all’articolo 10 bis della direttiva VIA e all’articolo 15 bis della direttiva IPPC, in linea di principio, spetta agli Stati membri stabilire come impedire che i procedimenti giurisdizionali ivi contemplati non vengano portati a termine a causa delle loro spese. Tali misure devono però essere sufficientemente chiare e assicurare in maniera vincolante che le finalità della convenzione di Aarhus vengano soddisfatte in ogni singolo caso e rispettare, nello stesso tempo, i principi di effettività e di equivalenza, nonché i diritti fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’Unione. B – Sulla seconda questione; i criteri applicabili 31. In secondo luogo, la Supreme Court chiede se la questione se le spese della controversia siano da considerarsi «eccessivamente onerose» o meno debba essere decisa sulla base di criteri oggettivi o di criteri soggettivi oppure di una combinazione di tali due criteri. Al riguardo essa menziona, a titolo esemplificativo, la capacità di un membro «ordinario» del pubblico di far fronte alle spese e i mezzi economici di cui dispone un ricorrente in particolare. 32. In ultima analisi, detta questione consiste, in sostanza, nello stabilire in che modo un giudice nazionale debba decidere se le spese della controversia siano ancora o non siano più compatibili con l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus e con le disposizioni delle direttive che ne hanno effettuato il recepimento. 33. È vero che la Corte non può rispondere a tale domanda in maniera esaustiva e definitiva non solo a causa del margine di discrezionalità degli Stati membri, ma anche in ragione della molteplicità di situazioni configurabili. Il contesto dell’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus consente tuttavia di individuare elementi che possono risultare utili con riguardo alla determinazione delle spese giudiziali ammissibili. 34. Si deve anzitutto rilevare che l’articolo 3, paragrafo 8, della convenzione di Aarhus consente espressamente un importo ragionevole a titolo di spese. L’articolo 9, paragrafo 4, e le disposizioni delle direttive non ostano pertanto ad una condanna alla spese, a condizione che tale importo non sia proibitivo (20). 35. Non esistono criteri semplici per stabilire quando le spese richieste siano proibitive. Allorquando la Corte ha statuito che le tasse di un importo pari a EUR 20,00 ovvero a EUR 45,00 non costituivano un ostacolo all’esercizio dei diritti di partecipazione ad una valutazione di impatto ambientale, essa non ha fornito alcun motivo per una tale constatazione (21). La Corte non ha fornito motivazione neanche del perché le spese direttamente derivanti dalla comunicazione di informazioni ambientali, fino ad un importo di circa EUR 5 000, non dovrebbero dissuadere i singoli dall’esercizio del diritto di accedere a tali informazioni, mentre le spese indirette, come ad esempio un contributo alle spese fisse dell’autorità, li dissuaderebbero (22). 36. Il comitato di controllo (23) si è già pronunciato più volte sulla questione delle spese giudiziali proibitive, nella maggior parte dei casi proprio in relazione al Regno Unito (24). Detto comitato effettua, di volta in volta, un’approfondita valutazione delle circostanze del rispettivo caso ovvero del sistema nazionale. Tale modus operandi si impone già per il fatto che l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione ‑ proprio come le disposizioni delle direttive ‑ non contiene alcun criterio specifico. 37. La Commissione invoca anche il caso Kreuz (25) della CEDU. Esso tuttavia non riguardava le spese complessive del procedimento giurisdizionale, bensì solo un cospicuo acconto sulle spese processuali che il ricorrente doveva corrispondere. A tal riguardo, la CEDU faceva menzione del fatto che l’importo equivaleva ad uno stipendio annuale medio nello Stato interessato. Secondo la Commissione, questo costituirebbe un elemento idoneo a stabilire un criterio oggettivo. Tale idea non ha trovato, tuttavia, nella più ampia motivazione della sentenza, alcuna esplicita formulazione. Come osservato dal Regno Unito, si trattava piuttosto, in primo luogo, della capacità individuale di far fronte alle spese, cioè di un criterio soggettivo (26). 38. La capacità individuale di far fronte alle spese è rilevante anche per il principio della tutela giurisdizionale effettiva, di cui all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. Ai sensi dell’articolo 47, paragrafo 3, a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia. È vero che la convenzione, all’articolo 9, paragrafo 5, non esige imperativamente l’introduzione di meccanismi di assistenza come il patrocinio a spese dello Stato (27), ma solo la presa in considerazione dell’«introduzione di appositi meccanismi di assistenza». Il patrocinio a spese dello Stato permette, però, in certi casi, di prevenire il rischio di spese giudiziali proibitive (28). Laddove si tratti dell’attuazione di disposizioni di diritto dell’Unione, tale patrocinio può essere imposto in modo addirittura vincolante qualora i rischi di spese in linea di massima ammissibili, in ragione della limitata capacità dell’interessato di farvi fronte, costituiscano un insormontabile ostacolo all’accesso alla giustizia (29). 39. Tuttavia, come giustamente sottolineato dalla Commissione, la tutela giurisdizionale di cui alla convenzione di Aarhus va oltre l’effettiva tutela giurisdizionale di cui all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali. Tale articolo mira espressamente alla protezione di diritti propri. La valutazione della necessità di concedere assistenza ai fini della tutela giurisdizionale effettiva deve essere effettuata partendo, dunque, dalla stessa persona i cui diritti e libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati e non dall’interesse generale della società, per quanto tale interesse possa rilevare anch’esso ai fini di suddetta valutazione (30). 40. La tutela giurisdizionale nelle questioni ambientali invece, di norma, non è solo al servizio degli interessi individuali dei ricorrenti, ma anche o addirittura esclusivamente della collettività. Tale interesse generale assume un notevole peso nell’Unione, in quanto una delle sue finalità è rappresentata da un elevato livello di tutela dell’ambiente ai sensi dell’articolo 191, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali (31). 41. La convenzione tiene conto di siffatto duplice interesse. Ai sensi dell’articolo 1, ciascuna parte garantisce il diritto di accesso alla giustizia in materia ambientale per contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere. Il settimo e l’ottavo considerando della convenzione confermano detta finalità e la integrano con il dovere di ogni persona di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future. Pertanto, la convenzione, ai sensi del suo diciottesimo considerando, persegue l’interesse a che il pubblico (comprese le organizzazioni) abbia accesso a meccanismi giudiziari efficaci, in grado di tutelarne i legittimi interessi e di assicurare il rispetto della legge. 42. Il riconoscimento dell’interesse generale alla tutela ambientale è tanto più importante in quanto possono verificarsi molti casi in cui gli interessi giuridicamente tutelati di determinati individui non vengano affatto lesi oppure vengano lesi solo marginalmente. L’ambiente non può però difendersi da solo in giudizio, ma necessita di rappresentanza, ad esempio, mediante cittadini attivi oppure organizzazioni non governative. 43. Il duplice interesse alla tutela ambientale vieta di evitare i rischi di spese giudiziali proibitive esclusivamente in considerazione della capacità di far fronte alle spese da parte di coloro che si impegnano per l’attuazione del diritto ambientale. Non si può esigere da questi ultimi di sostenere l’intero rischio delle spese giudiziali fino al limite della loro capacità, qualora i procedimenti risultino essere contemporaneamente o addirittura in via esclusiva nell’interesse generale. 44. Pertanto, nella valutazione se le spese processuali siano proibitive, deve essere tenuto adeguatamente conto del rispettivo interesse generale. Inoltre, a giusto titolo, il comitato di controllo deduce tale presa in considerazione anche dal requisito di un giusto processo parimenti contemplato dall’articolo 9, paragrafo 4 (32). 45. La considerazione dell’interesse generale non impedisce però che siano inclusi eventuali interessi particolari dei ricorrenti. Si può esigere, di norma, una maggiore assunzione di rischi di spese giudiziali nei confronti di chi abbia propri considerevoli interessi economici connessi ad una procedura volta all’attuazione del diritto ambientale rispetto alla persona che non può attendersi alcun vantaggio economico. La soglia per riconoscere la sussistenza di spese giudiziali proibitive può pertanto collocarsi ad un livello più alto qualora siano presenti interessi economici particolari. Ciò può spiegare perché il comitato di controllo, in una lite tra vicini per immissioni maleodoranti, dunque in un caso di interesse generale comparativamente basso, non abbia considerato proibitiva una richiesta parziale di spese di oltre GBP 5 000,00 (33). 46. Al contrario, la sussistenza di interessi propri non può escludere che vengano presi in considerazione gli interessi generali contemporaneamente perseguiti. In tal senso, l’interesse proprio di alcuni soggetti interessati dal progetto di un aeroporto non può giustificare che venga trascurato, nella ponderazione delle spese giudiziali ammissibili, il rilevante interesse generale per la controversia, che si deduce già dal fatto che la cerchia di soggetti interessati sia molto più ampia (34). 47. La rilevanza dell’interesse generale può inoltre dipendere anche dalle prospettive di successo. Un ricorso che sia manifestamente senza possibilità di accoglimento non rientra nell’interesse della collettività, anche qualora quest’ultima sia interessata, in linea di principio, all’oggetto del medesimo. 48. Ai fini dell’importo delle spese giudiziali ammissibili è, infine, altresì rilevante il fatto che le disposizioni della convenzione sui procedimenti giurisdizionali vadano interpretate con l’obiettivo di offrire «un ampio accesso alla giustizia» (35). Sebbene l’«ampio accesso alla giustizia» venga espressamente menzionato all’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione e nelle corrispondenti disposizioni delle direttive unicamente in relazione ai presupposti del ricorso consistenti nell’interesse sufficiente e nella violazione di un diritto, tuttavia, almeno l’articolo 9, paragrafo 2, precisa che, a tal riguardo, si tratta di un obiettivo generale della convenzione. Tale principio interpretativo deve quindi valere anche ai fini della determinazione delle spese giudiziali ammissibili. Sarebbe incompatibile con un ampio accesso alla giustizia il fatto che i rischi di spese rilevanti siano idonei ad impedire, di norma, un procedimento. 49. Occorre dunque rispondere alla seconda questione dichiarando che, nella valutazione se le spese processuali siano proibitive, devono essere prese in considerazione le circostanze oggettive e soggettive del caso di specie con l’obiettivo di consentire un ampio accesso alla giustizia. La mancanza di capacità del ricorrente di far fronte alle spese non deve costituire, nell’attuazione del diritto dell’Unione, un ostacolo al procedimento. Occorre sempre tenere adeguatamente conto, nel caso controverso, dell’interesse della collettività alla protezione ambientale, dunque anche in sede di calcolo delle spese esigibili dai ricorrenti capaci di farvi fronte. C – Sulla quarta questione; effettiva dissuasione 50. La quarta questione concerne la rilevanza dell’aspetto che il ricorrente non sia stato, di fatto, dissuaso dal proporre ricorso o dal proseguire il procedimento. 51. Un siffatto approccio potrebbe rendere superfluo il divieto di spese proibitive. Qualora un procedimento sia stato portato a termine, il rischio delle spese non l’ha evidentemente impedito. In mancanza di un procedimento, la questione delle spese resta a livello ipotetico. Non può però essere questa la conclusione. 52. La questione trova piuttosto spiegazione nel fatto che nel Regno Unito è possibile statuire su un’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese prima della trattazione della causa. Così, nel procedimento principale, il rischio delle spese giudiziali assunto dalla sig.ra Pallikaropoulos dinanzi alla Court of Appeal veniva limitato a GBP 2 000,00, mentre, per il giudice di ultimo grado, l’allora House of Lords, la sua istanza veniva rigettata. Dalla circostanza che la sig.ra Pallikaropoulos, ciò nonostante, abbia mantenuto la sua impugnazione davanti alla House of Lords, si potrebbe dedurre che il relativo rischio non fosse proibitivo. 53. A tal riguardo, va constatato anzitutto che uno strumento come l’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese, a prescindere da taluni problemi pratici attinenti alla sua impostazione(36), costituisce, in linea di principio, un elemento razionale di attuazione dell’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione e delle disposizioni delle direttive. La decisione su detta istanza consente, in primo luogo, di prevenire spese giudiziali proibitive, ed elimina così, contemporaneamente, un potenziale ulteriore ostacolo alla presentazione di un ricorso, vale a dire l’incertezza delle spese processuali incombenti. 54. Se la decisione sull’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese ha dato corretta attuazione all’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus e alle corrispondenti disposizioni delle direttive, tale conclusione, in generale, non deve essere più messa in discussione. Il rigetto dell’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese può essere quindi valutato come un indizio che il rischio di spese non ha frapposto alcun ostacolo al ricorso. In casi eccezionali può risultare però necessario limitare a posteriori le spese da sostenere, ad esempio qualora nel procedimento si manifestino nuovi aspetti decisivi per la ponderazione dell’interesse generale oppure qualora le spese si attestino su un importo significativamente più alto di quanto prospettato nella decisione sull’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese. 55. Qualora invece non siano stati sufficientemente presi in considerazione gli aspetti decisivi ai fini della prevenzione di spese giudiziali proibitive, non sarebbe possibile addurre la disponibilità alla presentazione del ricorso come indizio a favore del fatto che il rischio ammesso di spese giudiziali non fosse proibitivo. Ciò equivarrebbe a privare il ricorrente del suo diritto a prevenire spese proibitive. L’effetto utile di tali diritti dovrebbe piuttosto essere assicurato nel merito, nell’ambito della condanna alle spese dopo la conclusione del procedimento (37). 56. Così, si può tenere adeguatamente conto a posteriori, in sede di decisione sulle spese, della circostanza che il ricorrente, nonostante il rigetto di un’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese, non sia stato di fatto dissuaso dal proporre ricorso o dal proseguire il procedimento, qualora nella decisione su detta istanza sia stato rispettato l’obbligo di prevenire spese proibitive. D – Sulla quinta questione; limitazione delle spese nel corso dei gradi di giudizio 57. Infine, la Supreme Court chiede se riguardo alla limitazione delle spese sia ammissibile procedere in modo differente nei diversi gradi di giudizio. Nel procedimento principale è stato concesso un provvedimento cautelare relativo alle spese dinanzi alla Court of Appeal, ma non dinanzi alla House of Lords. 58. L’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione e le disposizioni delle direttive trattano solo di procedimenti e, a tal proposito, non fanno distinzione per grado. Sebbene la convenzione non imponga di garantire un determinato iter giudiziario o addirittura un mezzo d’impugnazione, tuttavia i procedimenti ivi contemplati si considerano conclusi solo quando la rispettiva sentenza acquisisca autorità di cosa giudicata. Pertanto le spese proibitive, contrariamente all’opinione della Danimarca, devono essere evitate in tutti i gradi del giudizio (38). 59. In via di principio, ciò vale anche per le impugnazioni presentate da un ricorrente che nel precedente grado abbia già goduto di un provvedimento cautelare in materia di spese. Già l’aspetto dell’equità processuale, che è parte del diritto fondamentale ad un equo processo (39), citato espressamente anche dall’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione quale principio processuale, vieta di esporre il ricorrente, nel procedimento d’impugnazione, al rischio di spese proibitive. Altrimenti si dovrebbe temere che la controparte imposti la propria strategia processuale sul fatto che sia praticamente precluso al ricorrente un mezzo d’impugnazione. 60. La sig.ra Pallikaropoulos sottolinea inoltre, giustamente, che, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, solo i giudici di ultimo grado, in caso di dubbio sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, sono tenuti a proporre alla Corte una questione pregiudiziale. Qualora questioni corrispondenti non siano state ancora sottoposte alla Corte nei precedenti gradi, non è lecito impedire di adire un giudice obbligato ad effettuare il rinvio pregiudiziale attraverso rischi di spese proibitive. 61. Nondimeno non è neanche escluso che, a seguito della decisione del grado precedente, l’interesse della collettività all’ulteriore svolgimento del procedimento venga meno o almeno sia ridotto. Pertanto, è compatibile con l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione e con le disposizioni delle direttive il fatto di valutare nuovamente, per ogni grado di giudizio, in che misura debbano essere prevenute le spese proibitive. V – Conclusione 62. Propongo pertanto alla Corte di statuire come segue: 1) Conformemente all’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, all’articolo 10 bis della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati nella versione della direttiva 2003/35/CE e all’articolo 15 bis della direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento nella versione della direttiva 2003/35/CE, in linea di principio, spetta agli Stati membri stabilire come impedire che i procedimenti giurisdizionali ivi contemplati non vengano portati a termine in ragione delle spese che essi comportano. Tali misure devono però essere sufficientemente chiare e assicurare in maniera vincolante che le finalità della convenzione di Aarhus vengano soddisfatte in ogni singolo caso e rispettare, nello stesso tempo, i principi di effettività e di equivalenza, nonché i diritti fondamentali dell’ordinamento giuridico dell’Unione. 2) Nella valutazione se le spese processuali siano proibitive, devono essere prese in considerazione le circostanze oggettive e soggettive del caso al fine di consentire un ampio accesso alla giustizia. La mancanza di capacità del ricorrente di far fronte alle spese non deve costituire un ostacolo al procedimento. Occorre sempre tenere adeguatamente conto, nel caso controverso, dell’interesse della collettività alla protezione ambientale, dunque anche in sede di calcolo delle spese esigibili dai ricorrenti capaci di farvi fronte. 3) Si può tenere adeguatamente conto a posteriori, nella decisione sulle spese, della circostanza che il ricorrente, nonostante il rigetto di un’istanza di provvedimenti cautelari inerenti alle spese, non sia stato di fatto dissuaso dal proporre ricorso o dal proseguire il procedimento, qualora nella decisione su detta istanza sia stato rispettato l’obbligo di prevenire spese proibitive. 4) È compatibile con l’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione di Aarhus, con l’articolo 10 bis della direttiva 85/337, nonché con l’articolo 15 bis della direttiva 96/61, il fatto di valutare nuovamente, per ogni grado di giudizio, in che misura devono essere prevenute le spese proibitive. 1 – Lingua originale: il tedesco. 2– Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2005, L 124, pag. 4). 3– Direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 maggio 1982, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU L 175, pag. 40), nella versione della direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU L 156, pag. 17), codificata dalla direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2012, L 26, pag. 1). 4– Direttiva del Consiglio 96/61/CE del Consiglio del 24 settembre 1996 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 257, pag. 26), nella versione della direttiva 2003/35, codificata dalla direttiva 2008/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 gennaio 2008 sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (GU L 24, pag. 8) e sostituita dalla direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU L 334, pag. 17). 5 – Approvata mediante la decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU L 124, pag. 1). 6 – V. http://www.unece.org/env/pp/pubcom.htm. 7– Cit. alla nota 3. 8– Ora articolo 11, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2011/92 ovvero, medio tempore., articolo 16, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2008/1 e ora articolo 25, paragrafo 4, secondo comma, della direttiva 2010/75. 9 – Sentenza dell’8 marzo 2011, Lesoochranárske zoskupenie (C‑240/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47), v. anche sentenza del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, Racc. pag. I‑2483, punti 44 e segg.). 10 – Sentenze del 18 gennaio 1984, Ekro (327/82, Racc. pag. 107, punto 11); del 14 febbraio 2012, Flachglas Torgau (C‑204/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37), nonché del 19 luglio 2012, Pie Optiek (C‑376/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33). 11 – V. la sentenza del 15 ottobre 2009, Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (C‑263/08, Racc. pag. I‑9967, punto 45), sul riconoscimento delle organizzazioni non governative. 12 – Sentenze del 23 maggio 1985, Commissione/Germania (29/84, Racc. pag. 1985, 1661, punto 23), e del 16 luglio 2009, Commissione/Irlanda (C‑427/07, Racc. pag. I‑6277, punto 55), nonché la giurisprudenza ivi citata. 13 – Sentenze Lesoochranárske zoskupenie (cit. alla nota 9, punti 47 e segg.); del 12 maggio 2011, Trianel Kohlekraftwerk Lünen (C‑115/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43), nonché del 18 ottobre 2011, Boxus e Roua (da C‑128/09 a C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 52). 14 – Sentenze del 27 giugno 2006, Parlamento/Consiglio (C‑540/03, Racc. pag. I‑5769, punto 105); del 26 giugno 2007, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (C‑305/05, Racc. pag. I‑5305, punto 68), nonché del 1° luglio 2010, Speranza (C‑35/09, Racc. pag. I‑6577, punto 28). 15 – Ciò sembra riguardare, oltre alla versione tedesca, le versioni ceca, spagnola, ungherese, italiana, lituana, lettone, olandese, polacca e portoghese delle corrispondenti disposizioni. 16– Sentenza Speranza (cit. alla nota 14, punti 28 e segg.). 17 – La versione francese recita: «(L)es procédures … doivent être objectives, équitables et rapides sans que leur coût soit prohibitif». 18 – La versione inglese dispone: «(T)he procedures … shall … be fair, equitable, timely and not prohibitively expensive». 19 – La versione russa, all’articolo 9, paragrafo 4, così stabilisce: «Помимо и без ущерба для пункта 1 выше процедуры, упомянутые выше в пунктах 1, 2 и 3, должны обеспечивать адекватные и эффективные средства правовой защиты, включая при необходимости средства правовой защиты в виде судебного запрещения, и быть справедливыми, беспристрастными, своевременными и не связанными с недоступно высокими затратами». 20– Sentenza Commissione/Irlanda (cit. alla nota 12, punto 92). 21– Sentenza del 9 novembre 2006, Commissione/Irlanda (C‑216/05, Racc. pag. I‑10787, punto 45). 22– Sentenza del 9 settembre 1999, Commissione/Germania (C‑217/97, Racc. pag. I‑5087, punti 47 e segg.). 23 – V., sul comitato di controllo dell’osservanza della convenzione di Aarhus, supra, paragrafo 8. 24– Conclusioni e raccomandazioni del 24 settembre 2010, Morgan e Baker/Regno Unito (ACCC/C/2008/23, ECE/MP.PP/C.1/2010/6/Add.1, n. 49), Cultra Residents’ Association/Regno Unito (ACCC/C/2008/27, n. 44 e segg.), e ClientEarth e a./Regno Unito (ACCC/C/2008/33, ECE/MP.PP/C.1/2010/6/Add.3, n. 128 e segg.), nonché del 30 marzo 2012, DOF/Danimarca (ACCC/C/2011/57, ECE/MP.PP/C.1/2012/7, n. 45 e segg.). 25 – Sentenza della CEDU del 19 giugno 2001, Kreuz/Polonia (ricorso n. 28249/95, Recueil des arrêts et décisions 2001-VI, §§ 61 e segg.). 26 – V. pure le sentenze della CEDU del 26 luglio 2005, Podbielski and PPU Polpure/Polonia (ricorso n. 39199/98, § 67), e del 10 gennaio 2006, Teltronic-CATV/Polonia (ricorso n. 48140/99, in particolare §§ 50 e segg.), relative ad acconti significativamente più contenuti. 27 – V. però il comitato di controllo, conclusioni e raccomandazioni, del 18 giugno 2010, Plataforma Contra la Contaminación del Almendralejo/Spanien (ACCC/C/2009/36, ECE/MP.PP/C.1/2010/4/Add.2, pag. 12, n. 66). 28 – Comitato di controllo, conclusioni e raccomandazioni ClientEarth e a./Regno Unito (cit. alla nota 24, paragrafo 92). 29 – V. sentenza del 22 dicembre 2010, DEB Deutsche Energiehandels-und Beratungsgesellschaft (C‑279/09, Racc. pag. I‑13849, punti 60 e segg.), e ordinanza del 13 giugno 2012, GREP (C‑156/12, non pubblicata nella Raccolta, punti 40 e segg.). 30 – Sentenza DEB Deutsche Energiehandels-und Beratungsgesellschaft (cit. alla nota 29, punto 42). 31 – V. anche il nono considerando del preambolo del Trattato UE e l’articolo 11 TFUE. 32 – V. conclusioni e raccomandazioni Cultra Residents’ Association/Regno Unito (cit. alla nota 24, paragrafo 45). 33 – Conclusioni e raccomandazioni Morgan e Baker/Regno Unito (cit. alla nota 24, paragrafo 49). 34 – Risultano chiarificative le conclusioni e raccomandazioni Cultra Residents’ Association/Regno Unito (cit. alla nota 24). 35 – V. la sentenza Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (cit. alla nota 11, punto 45), sul riconoscimento delle organizzazioni non governative. 36 – V. conclusioni e raccomandazioni ClientEarth e a./Regno Unito (cit. alla nota 24, paragrafi 129 e segg.). 37 – V. la sentenza del 17 marzo 2011, Brussels Hoofdstedelijk Gewest e a. (C‑275/09, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37). 38 – In tal senso pure il comitato di controllo, conclusioni e raccomandazioni del 21 gennaio 2011, AJA e a./Spagna (ACCC/C/2008/24, ECE/MP.PP/C.1/2009/8/Add.1S. 20, n. 108). 39 – Sentenza Ordre des barreaux francophones et germanophone e a. (cit. alla nota 14, punti 29‑31).