TAR Liguria, Sez. I, n. 726, del 39 aprile 2013
Urbanistica.Disciplina urbanistica degli alberghi

I vincoli per l'uso alberghiero di un immobile di durata temporalmente limitata, in via di principio sono legittimi, in quanto espressione di un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l'iniziativa private, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici, hanno ragione di esistere in funzione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi. Pertanto, le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo, sconfinano oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa, venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00726/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00732/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 732 del 2011, proposto da: 
Societa' Residenza Cavi Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Angelo Paone, Andrea Masetti, Matteo Borello, con domicilio eletto presso Andrea Masetti in Genova, Xii Ottobre 2/63;

contro

Regione Liguria, rappresentato e difeso dagli avv. Marina Crovetto, Leonardo Castagnoli, con domicilio eletto presso Marina Crovetto in Genova, via Fieschi, 15; Comune di Lavagna;

nei confronti di

Societa' Vista Golfo Srl;

per l'annullamento

deliberazione di Giunta regionale n. 211 del 4\3\2011. pubblicata sul burl 6\4\2011, avente ad oggetto approvazione di variante del p.r.g. e conseguente delibera consiliare comunale n. 23 del 18\4\2011 nonché di ogni atto connesso;



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Liguria;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2013 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso notificato in data 6 giugno 2011 alla Regione Liguria e al Comune di Lavagna e depositato il successivo 20 giugno 2011 la società ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, i provvedimenti di cui in epigrafe. In particolare, la deliberazione della Giunta regionale ha ad oggetto l’approvazione della variante generale al prg ex art. 2 l. r. 1\2008 con cui è stata approvata la disciplina alberghiera del Comune di Lavagna nella parte in cui, nel ribaltare la valutazione comunale di cui alle delibere consiliari nn. 8 e 32\2010 che avevano accolto l’istanza di svincolo dell’esponente società, ha escluso che in relazione alla struttura alberghiera denominata Albergo pensione Cavi ricorressero le condizioni per l’esclusione del vincolo esistente ai sensi dell’art. 2, comma 1 l.r. 1/08

Avverso il provvedimento impugnato la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

- violazione dell’art. 2 l.r. 1/08, e dell’art. 12 delle preleggi, eccesso di potere per difetto di presupposto, incompetenza e sviamento in quanto la regione poteva solo approvare e non modificare;

- violazione dell’art. 10 comma 2 l.r. 1 cit. e 10 l. 1150\1942, illegittimità costituzionale della l.r. 1/08 per contrasto con gli artt. 3 e 117 Costituzione, per l’approvazione da parte della Regione di modifiche d’ufficio senza il rispetto del necessario sub procedimento partecipativo;

- analoghi vizi sotto il profilo dell’atipicità del procedimento seguito;

- violazione dell’art. 2 cit., 3 l. 241\1990 e 97 Cost., eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, perplessità e sviamento in ordine ai presupposti per respingere lo svincolo;

- analoghi vizi sotto il profilo della mancata valutazione degli elementi addotti dall’istante privato;

- analoghi vizi per disparità di trattamento con omologhe situazioni di alberghi vicini;

- in subordine illegittimità costituzionale della disciplina art. 2 cit. per violazione degli artt. 3, 41, 42 e 43 Cost.

La ricorrente concludeva per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento impugnato con vittoria delle spese di giudizio.

Si costituiva in giudizio l’amministrazione regionale che contro deduceva punto per punto chiedendo il rigetto del gravame.

All’udienza pubblica del 28 marzo 2013 il ricorso è passato in decisione.



DIRITTO

1. La presente controversia ha ad oggetto la vexata quaestio concernente la disciplina urbanistica degli alberghi, con particolare riferimento al vincolo di destinazione alberghiera ed alla possibilità di ottenerne il superamento da parte del privato interessato.

2.1 In materia il legislatore regionale, come noto, è intervenuto con la legge regionale oggetto di discussione tra le odierne parti. In particolare, l’art. 2 l.r. 1\2008 cit. (nel testo vigente all’epoca, anteriormente quindi alle modifiche di cui alla recentissima l.r. 18 marzo 2013 n. 4) disponeva, per quanto di interesse nel caso de quo, che: “Dalla data di entrata in vigore della presente legge, le strutture ricettive classificate "albergo" e le relative aree asservite e di pertinenza, ai sensi della normativa vigente in materia, quelle la cui attività sia cessata e non ancora oggetto di interventi di trasformazione in una diversa destinazione assentiti con titoli abilitativi edilizi già rilasciati in data anteriore, quelle in corso di realizzazione e quelle realizzate successivamente o divenute successivamente tali, sono soggette a specifico vincolo di destinazione d’uso ad albergo, con divieto di modificare tale destinazione, se non alle condizioni previste dai commi 4 e 5” (comma 1).

Al successivo secondo comma si disponeva quindi che i Comuni debbano effettuare il censimento delle strutture ricettive, anche sulla scorta di proposte degli imprenditori alberghieri, definendo le esigenze di miglioramento o ampliamento delle strutture alberghiere, con “…apposita modifica al vigente strumento urbanistico comunale secondo le procedure di cui al comma 10…”.

In termini di presupposti, il successivo quarto comma stabiliva che: “I Comuni, con la modifica dello strumento urbanistico comunale vigente, possono proporre, su richiesta del proprietario e acquisito il parere del gestore, il non assoggettamento al vincolo di cui al comma 1 delle strutture esistenti censite per le quali non sia più esercitabile l’attività alberghiera in relazione alla sopravvenuta inadeguatezza a mantenere la presenza sul mercato dell'offerta ricettiva e alla non sostenibilità economica della stessa, motivate da almeno una delle seguenti cause:

a) oggettiva impossibilità dell’immobile ad adeguare le sue caratteristiche distributive, funzionali e dimensionali al livello degli standard qualitativi del settore alberghiero, a causa dell’esistenza di vincoli paesaggistici, monumentali od urbanistico-edilizi non superabili;

b) collocazione della struttura in un contesto le cui caratteristiche urbanistiche o territoriali determinino l’incompatibilità o l’insostenibilità della funzione alberghiera” (comma 4).

2.2 Dal punto di vista procedimentale, la disciplina legislativa appare piuttosto scarna, dovendo conseguentemente essere integrata attraverso il richiamo ai principi fondamentali (di origine statale in tema di governo del territorio) ed alla disciplina generale regionale per la parte a valle dei predetti principi. Incidentalmente va evidenziato come le eventuali carenze o contraddittorietà vanno superate, fin dove possibile, attraverso l’adozione di un’opzione ermeneutica costituzionalmente orientata, secondo un consolidato principio costituente faro della giurisprudenza costituzionale.

Invero, diversamente da quanto opinato dalla difesa regionale, la disciplina non appare solo parzialmente difforme da quella propria della pianificazione urbanistica, quanto effettivamente carente, in specie nella parte concernente l’approvazione (a conferma di ciò la recentissima modifica ha interessato ed integrato tutta la norma in questione); ciò in disparte del fatto che l’invocata possibilità di dettare una disciplina parzialmente difforme possa (ma ciò, come si vedrà, va escluso) spingersi a violare, superare ovvero ignorare i principi fondamentali o generali in materia.

La legge regionale in questione, dal punto di vista procedimentale statuiva, oltre a quanto sopra richiamato, al comma 2 il percorso di adozione comunale: “. I Comuni, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, effettuano il censimento delle strutture ricettive di cui al comma 1, anche sulla scorta delle proposte avanzate dagli imprenditori alberghieri, e individuano le esigenze di miglioramento e/o ampliamento delle strutture medesime. A tal fine i Comuni adottano apposita modifica al vigente strumento urbanistico comunale secondo le procedure di cui al comma 10, mediante la quale individuano gli interventi e le norme tecnico-urbanistiche idonei alla soddisfazione delle esigenze riscontrate, tenuto conto delle caratteristiche degli immobili e del contesto urbanistico e paesistico in cui gli stessi sono collocati, individuando una specifica disciplina per i centri storici”.

Mentre il successivo comma 3 stabiliva il potere sostitutivo regionale in caso di inerzia comunale, il comma 10 statuiva quanto segue: “La modifica al vigente strumento urbanistico comunale di cui ai commi 2, 4 e 5, previa consultazione con le Organizzazioni sindacali dei lavoratori, le Associazioni di categoria e i Sistemi Turistici Locali interessati, è adottata dal Comune con la seguente procedura:

a) pubblicazione della modifica e della relativa deliberazione consiliare mediante deposito a libera visione del pubblico presso la segreteria comunale per quindici giorni consecutivi, previo avviso da affiggersi all'albo pretorio, da pubblicarsi nel Bollettino Ufficiale della Regione Liguria;

b) ricevimento fino a quindici giorni dopo la scadenza del periodo di deposito di osservazioni da parte di chiunque vi abbia interesse;

c) pronuncia sulle osservazioni pervenute, senza necessità di dar luogo ad una nuova pubblicazione nel caso in cui le osservazioni vengano accolte;

d) approvazione da parte della Regione nel termine perentorio di centottanta giorni dal ricevimento degli atti da parte del Comune, decorso il quale la modifica al vigente Piano regolatore generale o Piano urbanistico comunale si intende approvata.”

3. Prima di analizzare la disciplina regionale rilevante ai fini di causa, in specie relativamente alle censure dedotte da parte ricorrente, occorre svolgere alcune considerazioni di ordine generale, al fine di correttamente inquadrare la normativa vigente nel contesto dei principi fondamentali dell’ordinamento.

In via preliminare, infatti, occorre osservare come la questione dell’ambito di applicazione, dell’efficacia spaziale e della durata temporale dei vincoli di destinazione d'uso a carattere alberghiero sia stata analizzata funditus dalla giurisprudenza, sia del Tribunale che più in generale da tutte le corti amministrative, anche (e doverosamente) alla luce delle indicazioni della Consulta (cfr. ad es. CdS n. 5487\2011).

In tema di inquadramento ordinamentale di vincoli di tale specie e natura, ed in particolare di quelli apposti sine die, va ribadito quindi come la questione della durata dei vincoli di destinazione alberghiera sia stata esaminata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 4 del 28 gennaio 1981 dove, dichiarando la illegittimità costituzionale dell'art. 5 del d.1. 27 giugno 1967, n. 460, convertito nella legge 28 luglio 1967, n. 628, il giudice delle leggi si è espresso per la intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l'uso alberghiero di un immobile. Tali vincoli, in via di principio legittimi, in quanto espressione di "un diverso approccio del legislatore al modo di vincolare l'uso dell'immobile, e di instaurare quel controllo sulla proprietà e l'iniziativa private, che costituisce il riflesso dell'interesse, e qui dello stesso aiuto pubblico, all'espansione e al miglioramento dei servizi turistici", hanno ragione di esistere in funzione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi. Pertanto, le discriminazioni introdotte con un regime vincolistico troppo lungo, sconfinano "oltre il ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa", venendo così a violare il principio costituzionale di eguaglianza. La posizione della Corte costituzionale è diventata quindi canone di azione del legislatore. Con la legge 17 maggio 1983, n. 217 "Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell'offerta turistica", pur prevedendo all'art. 8 "Vincolo di destinazione", la possibilità di istituire un vincolo di destinazione per le strutture ricettive, veniva espressamente disposto, al comma 5, la possibilità di rimozione del detto vincolo, dando carico alle Regioni, al successivo comma 6, di procedere all'individuazione delle modalità, fermo rimanendo che la detta limitazione dovesse in ogni caso venir meno "su richiesta del proprietario solo se viene comprovata la non convenienza economicoproduttiva della struttura ricettiva e previa restituzione di contributi e agevolazioni pubbliche eventualmente percepiti e opportunamente rivalutati ove lo svincolo avvenga prima della scadenza del finanziamento agevolato". Gli interventi normativi a livello nazionale successivi, ossia la legge 29 marzo 2001, n. 135 ed ora il D.Lgs. 23 maggio 2011 n. 79, hanno spostato a livello di legislazione regionale il piano delle attribuzioni, senza però ovviamente poter intaccare i principi di rango costituzionale che permeano la materia, oltre che quelli inquadrabili dal punto di vista urbanistico quali principi fondamentali in tema di governo del territorio.

Da tale ricostruzione, emerge che il rispetto del canone di temporaneità e di modificabilità del vincolo di destinazione d’uso alberghiero, lungi dall’essere una possibilità liberamente valutabile dal legislatore regionale, appartiene alla stessa ragion d’essere della sua istituzione e deve ritenersi a questo intrinseco. Inoltre, in tale contesto appare evidente come la relativa disciplina assuma evidenti connotati urbanistici (prevedendo l’adozione e la seguente approvazione di modifiche di pianificazione urbanistica che dettano il vincolo di destinazione d’uso ed i limiti della connessa ed ammessa attività edificatoria, al pari di ogni disciplina urbanistica), cosicchè il relativo iter deve seguire i principi fondamentali e generali dell’ordinamento in materia, eventualmente integrando la disciplina di specie in caso di carenza o contraddittorietà.

3.1 Le osservazioni sopra riportate pongono in palese evidenza, in primo luogo, la circostanza che l'apposizione di un vincolo di destinazione d'uso alberghiero in tanto sia costituzionalmente compatibile in quanto non sia destinato a perpetuarsi indefinitamente nel tempo. A tal proposito, la legge regionale Liguria n. 1 del 7 febbraio 2008 "Misure per la salvaguardia e la valorizzazione degli alberghi e disposizioni relative alla disciplina e alla programmazione dell'offerta turisticoricettiva negli strumenti urbanistici comunali", di cui va data lettura costituzionalmente orientata nei termini predetti, contiene previsioni – già sopra riportate - che rendono esplicita la temporaneità del vincolo stesso, prevedendo all'art. 2, comma 4, il suo venir meno in presenza di alcune circostanze (in particolare, articolando altresì il modulo procedimentale necessario, la legge precisa che il vincolo possa venir meno in presenza di una delle seguenti cause: "a) oggettiva impossibilità dell'immobile ad adeguare le sue caratteristiche distributive, funzionali e dimensionali al livello degli standard qualitativi del settore alberghiero, a causa dell'esistenza di vincoli paesaggistici, monumentali od urbanisticoedilizi non superabili; b) collocazione della struttura in un contesto le cui caratteristiche urbanistiche o territoriali determinino la incompatibilità o la insostenibilità della funzione alberghiera").

3.2 In secondo luogo, per ciò che concerne la necessaria completezza della normativa regolatoria del relativo iter, richiamata la normativa regionale previgente in quanto ratione temporis rilevante nella specie, è già stato evidenziato come alla puntuale disciplina della fase dinanzi al Comune non faccia riscontro analoga regolazione della fase di approvazione regionale, cui la norma parrebbe affidare un potere finale esterno ed autonomo, scollegato dalle fasi pregresse (ma a tacer d’altro ciò è stato più volte escluso, anche alla luce della giurisprudenza del Giudice di appello che ha accolto pregressi ricorsi proprio sul difetto di motivazione della autonoma e diversa scelta regionale).

In proposito, dovendo procedersi ad interpretare ed eventualmente integrare la disciplina di tale fase, se da un canto appare eccessivo ed irragionevole reputare (così come fa parte ricorrente nell’infondato primo motivo di gravame) che la Regione non possa discostarsi dalla proposta comunale, a fronte dei principi generali e fondamentali che qualificano in termini di potere complesso le previsioni della disciplina urbanistica, dall’altro canto specularmente parimenti irragionevole è il presupporre la totale autonomia del potere regionale, il quale pertanto va correttamente inquadrato sulla scorta dei principi fondamentali in materia, oltre che a fronte della peculiarità dell’ambito interessato. Quindi, se per un verso vi è un obbligo valutativo degli elementi presupposti ex lege nonché della relativa declinazione nel caso di specie (cfr. precedenti giurisprudenziali della sezione nonché di appello resi sulla disciplina in questione), per un altro verso è necessario garantire una fase procedimentale adeguata, così come dettata sia dalla legislazione statale di principio (art. 10 l.u.) sia da quella generale regionale (l.r. 36\1997) anche, ad esempio, al fine di verificare la competenza tra gli organi regionali, non indicata dalla legge speciale in esame.

Nel caso di specie, come emerge dalla narrativa in fatto e dall’analisi degli atti, la proposta adottata dal comune risulta, sul punto specifico del vincolo sull’immobile in questione (per quanto di interesse nel caso de quo) completamente ribaltata dalla Regione, sulla scorta di una valutazione autonoma, priva di riscontro rispetto alle ragioni comunali.

4. Sulla scorta dell’inquadramento sin qui svolto il ricorso appare fondato sotto due distinti profili.

4.1 In primo luogo, sotto il versante più strettamente procedimentale, in considerazione della peculiarità del caso de quo laddove l’adozione comunale (dovendo qualificarsi in tali termini la modifica di piano adottata, non a caso, dall’organo consiliare) risulta del tutto ribaltata dall’approvazione (approvata peraltro dal diverso organo Giunta, in assenza di puntuali indicazioni normative sulla competenza), risultano fondati i vizi dedotti con il secondo ed il terzo ordine di rilievi.

A fronte della riscontrata carenza della disciplina specifica della fase di approvazione, occorre far riferimento ai principi fondamentali di cui alla legge statale ed alla normativa generale e di dettaglio di cui alla legislazione urbanistica regionale. Nella prima direzione è noto come, qualora la Regione ritenga che una qualche modifica di qualsivoglia portata si renda all'uopo necessaria, la stessa dovrà attivarsi necessariamente ed esclusivamente, in forza dell’inequivoca volontà espressa dal legislatore statale nonché regionale, il procedimento di controdeduzioni previsto dal comma 4 dell'art. 10 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (cfr. ad es. Tar Liguria 10393\2010, 985\2002 e CdS 7782\2003). Nella seconda direzione, dai medesimi precedenti si ricava come anche la legislazione regionale urbanistica preveda in ogni caso la predetta fase procedimentale in caso di modifiche in sede di approvazione (cfr. ad es. artt. 40, 44 e 82 l.r. 36 cit.).

Se in relazione al chiaro dettato legislativo (statale e regionale), come correttamente ricostruito dai precedenti richiamati, si ricavano elementi sufficienti per imporre in termini di principio la fase omessa nella specie, la rilevanza della questione (che tanto ha impegnato gli uffici regionali, i quali invero si sono trovati ad affrontare una non facile opzione esegetica e applicativa, con difficoltà di cui va dato espressamente atto) impone di svolgere alcune ulteriori considerazioni generali a fini di inquadramento della complessa disciplina urbanistica.

In proposito, sono noti e consolidati i seguenti due postulati: in via generale, la legge urbanistica fondamentale, pur non assumendo la qualificazione di legge quadro in senso proprio, contiene prescrizioni cui si deve riconoscere il carattere di principi fondamentali (in tema di governo del territorio) nei limiti dei quali il legislatore regionale si può muovere; in dettaglio, tale legge di principio, peraltro ripresa anche dalla legislazione regionale, configura una inegualità della complessità del procedimento di formazione degli atti pianificatori nel senso della preminenza della posizione dell'organo approvante rispetto a quella del comune. In tale contesto assume connotati di principio, anche al fine di dare ragionevolezza al sistema di atto complesso seppur ineguale, l’obbligo, in caso di modifiche di ufficio, di prevedere una sub fase procedimentale di pubblicazione, acquisizione di osservazioni e controdeduzioni, specie laddove (come nel caso de quo) la modifica d’ufficio porti al totale ribaltamento della previsione contestata.

A titolo esemplificativo in giurisprudenza è stato evidenziato, in termini del tutto condivisibili, come le modifiche d'ufficio apportate dalla regione ad uno strumento urbanistico generale o a sua variante devono considerarsi eccezionali - da ammettersi soltanto nelle ipotesi tassativamente contemplate - sicché la delibera della regione concernente tali modifiche d'ufficio è illegittima se non adeguatamente motivata in relazione ai detti principi, tenendo anche conto delle controdeduzioni del comune autore dello strumento urbanistico de quo e, laddove la variante sia puntuale come nella specie, dei soggetti eventualmente interessati portati a conoscenza tramite la necessaria fase sub procedimentale predetta.

L’interpretazione posta a fondamento della censura accolta è d’altronde l’unica che si ponga in piena compatibilità con l’ulteriore principio fondante la natura di atto complesso ed ineguale: quello per cui il provvedimento finale di approvazione di uno strumento urbanistico costituisce un atto complesso alla cui formazione concorrono sia la volontà comunale che quella regionale e la partecipazione al procedimento della Regione è giustificata dalla necessità di tutelare gli interessi pubblici affidati dall'ordinamento alla Regione stessa e, in particolare, il paesaggio ed i complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici, come recita l'art. 10 comma 2, lett. c), l. 17 agosto 1942 n. 1150, norma che individua gli interessi che possono legittimamente giustificare prescrizioni regionali integrative dei piani urbanistici comunali, e ciò senza alcuna necessità della preesistenza di vincoli specifici (cfr. ad es. CdS n. 1004\2010). Anche nel caso in cui si ritenesse di aderire ad una tesi meno estesa circa la valenza della legge statale, come detto la stessa legislazione regionale ragionevolmente impone passaggi procedimentali e motivazionali tali da garantire l’effettività della natura di atto complesso delle delibere e delle scelte di valenza urbanistica.

Nella specie, se per un verso alla modifica di ufficio non ha fatto seguito alcuna fase di pubblicazione e controdeduzione, per un altro verso il Comune si è limitato a prendere atto, con atto definito “accettazione integrale”, immotivatamente (senza alcuna valutazione nella delibera si aderisce integralmente alle condizioni regionali) e senza fase di pubblicazione, della modifica regionale, non consentendo ai soggetti direttamente interessati, sia in termini procedimentali che normativi a fronte della espressa previsione legislativa regionale (cfr. art. 2 comma 4 l.r. 1 cit., nel testo ante modifica l. 4\2013).

4.2 In secondo luogo, sotto il versante sostanziale, appare fondato il dedotto difetto di motivazione in ordine agli elementi posti a base dell’istanza di svincolo, fatti propri dal consiglio comunale con le originarie delibere, tra cui l’inadeguatezza attuale e l’inoperatività della struttura alberghiera sin dal 1998.

La fondatezza emerge prima facie sulla scorta dell’orientamento più volte reiterato da questa sezione (che parrebbe in parte ripreso dal nuovo testo dell’art. 2, così come recentemente modificato), a mente del quale oggetto di vincolo sono solo le strutture per le quali alla data di entrata in vigore della legge esisteva una classificazione in corso di validità. In proposito, si è ritenuto che tali immobili siano definitivamente usciti dal circuito alberghiero e ricondurceli a forza significa non già vincolare la prosecuzione di un’attività ma bensì imporre l’avvio di una nuova attività ovvero il mantenimento a destinazione improduttiva di un cespite idoneo a produrre reddito ove utilizzato diversamente (cfr. ad es. sentenze 1150\2011 e 77\2013).

Peraltro, nel caso di specie la censura appare fondata anche laddove si ritenga di dare preminenza alla diversa conclusione (motivazionale, non di esito) che emerge da alcune specifiche statuizioni del Giudice di appello (cfr. ex multis sent. 418\2013). Al riguardo, riprendendo altresì quanto sopra evidenziato circa gli obblighi motivazionali facenti capo alle amministrazioni coinvolte dall’atto complesso di valenza urbanistica, in specie laddove come nel caso de quo si incida su posizioni individuate ed aspettative create anche ex lege (cfr. art. 2 comma 4 l.r. 1 cit.), assumono preminente rilievo nel caso di specie gli specifici elementi prodotti in sede di originaria istanza del privato e la laconicità della motivazione della diversa scelta regionale, fondata sulla mera collocazione del bene e priva di qualsiasi valutazione di tutti gli ulteriori rilevanti elementi della fattispecie, secondo quanto imposto dalla stessa legislazione regionale.

A quest’ultimo proposito, è noto che il vincolo in questione può essere rimosso attraverso appunto la variante, nei modi e alle condizioni indicate nel comma 4 dell’art. 2 già citati più volte, ossia su richiesta dei proprietari e per le strutture per le quali non sia più esercitabile l’attività alberghiera, in relazione “…alla sopravvenuta inadeguatezza a mantenere la presenza sul mercato dell'offerta ricettiva e alla non sostenibilità economica della stessa, motivate da almeno una delle seguenti cause: a) oggettiva impossibilità dell’immobile ad adeguare le sue caratteristiche distributive, funzionali e dimensionali al livello degli standard qualitativi del settore alberghiero, a causa dell’esistenza di vincoli paesaggistici, monumentali od urbanistico-edilizi non superabili; b) collocazione della struttura in un contesto le cui caratteristiche urbanistiche o territoriali determinino l’incompatibilità o l’insostenibilità della funzione alberghiera”.

Nel caso di specie, la ricorrente aveva presentato istanza in data 11\7\2008 con cui chiedeva che fosse disposto il non assoggettamento al vincolo di destinazione alberghiera perché la struttura, inoperante da diversi anni, era inadeguata sotto il profilo dimensionale, distributivo, pertinenziale, producendo complessa e dettagliata relazione tecnica sul punto.

A fronte della condivisione comunale di tali elementi, oltre che della specificità degli stessi, è evidente che la deliberazione regionale avrebbe dovuto darsi carico di un esame esaustivo dei profili segnalati, e quindi considerare partitamente sia l’aspetto dimensionale e distributivo, che quello concernente la dotazione urbanistica, anche in rapporto all’offerta turistico-ricettiva assicurata da una struttura pacificamente non più operativa da anni.

All’opposto, non può essere sufficiente la considerazione della mera collocazione dell’immobile, in zona fortemente vocata alla destinazione urbanistica, come sarebbe dimostrato (leggendo la determinazione regionale) dalla presenza sul fronte opposto di altri due alberghi, ed il generico riferimento alle caratteristiche dimensionali dell’edificio che renderebbero ancora oggi valida la scelta di prg di destinazione ricettiva. Oltre alla genericità intrinseca della motivazione appena richiamata, nessuna valutazione risulta quindi essere stata svolta circa i numerosi elementi specifici indicati nella relazione e nell’istanza originaria, condivisa in sede di adozione della variante comunale.

A diverse conclusioni deve giungersi relativamente al dedotto eccesso di potere per disparità di trattamento, per assenza del necessario presupposto dell’identità di situazioni (cfr. ex multis Tar Campania n. 783\2013), atteso che ogni struttura, sia per operatività o meno e relativa epoca, sia per collocazione e caratteristiche strutturali e di dotazioni, non è sovrapponibile alle altre.

5. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso appare fondato nei termini indicati; per l’effetto va disposto l’annullamento degli atti impugnati di cui in epigrafe, la delibera di Giunta regionale 211\2011 e quella consiliare comunale 23\2011, in parte qua, cioè nella parte in cui involgono il bene immobile di parte ricorrente.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, anche alla luce della peculiarità della fattispecie e della laconicità della disciplina legislativa in materia, oggetto di modifica in epoca successiva ai fatti di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati in parte qua, nei limiti di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Santo Balba, Presidente

Davide Ponte, Consigliere, Estensore

Angelo Vitali, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)