TAR Lazio (RM) Sez.II-bis n. 16165 del 6 settembre 2024
Urbanistica.Interventi edilizi eseguiti in assenza di autorizzazione su aree di proprietà pubblica

Nessuna doppia conformità può ammettersi per opere non assentibili ai sensi della disciplina applicabile agli interventi edilizi eseguiti da privati di cui al titolo II del d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di opere pubbliche realizzate da un concessionario di servizi pubblici soggette allo speciale procedimento abilitativo previsto dall’art. 7, comma 1, lett. b) del d.P.R. cit. e dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383. Ne consegue che le opere in questione costituiscono interventi edilizi eseguiti, in assenza di autorizzazione, su aree di proprietà pubblica, per le quali l’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 prevede, quale unico rimedio sanzionatorio, l’ordine di demolizione, dovendosi interpretare la relativa disposizione con particolare rigore, in quanto l'abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L'art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto.

Pubblicato il 06/09/2024

N. 16165/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01998/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1998 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto da
S.S.D. “Juventus Nuoto” a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessio Tuccini, Andrea Accardo e Claudia Simonetti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Alessio Tuccini in Roma, via Giunio Bazzoni 3;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

previa sospensione

Per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

della nota di Roma Capitale –Dipartimento Sport e Politiche Giovanili notificata il 16.12.2021, con la quale, tra l'altro, si è disposto che “l'Accertamento di conformità–richiesta di permesso in sanatoria, prot. 11916 del 27.10.2021 e prot. 11978 del 29.10.2021, ai sensi dell'art. 36 del DPR 380/01 ed art. 22 LR 15/08 presentato da codesta SSD Juventus Nuoto Roma a r.l. non è accoglibile e, pertanto, questo Ufficio non rilascerà entro sessanta giorni dalla richiesta il permesso in sanatoria, di cui all'art. 36 c.2 del DPR 380/2001”;

nonché di ogni atto presupposto e consequenziale, ed in particolare, per quanto occorrer possa, dell'eventuale silenzio rigetto che si ritenga formato, ai sensi dell'art. 36, comma 3, DPR 380/2001, sull'istanza di sanatoria presentata dalla ricorrente in data 27.10.2021.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da S.S.D. “Juventus Nuoto” a r.l. il 22/4/2022:

della Determinazione Dirigenziale prot. CD/8608/2022, rep. CD/164/2022, del 24.01.2022, di Roma Capitale – Municipio III – Direzione Tecnica – P.O. Edilizia Privata: Ispettorato, Insegne, Idoneità, Alloggiative – Ufficio Disciplina Edilizia Privata e Urbanistica, notificata in data 09.02.2022, con la quale è stata ingiunta all'odierna ricorrente “la demolizione ai fini della rimessa in pristino dello stato dei luoghi, entro 60 (sessanta) giorni dalla notifica del presente provvedimento, di tutte le opere abusivamente realizzate come descritte in premessa e delle eventuali opere abusive nel frattempo eseguite nel sito ubicato in Roma, Via Casal Boccone n. 283”, nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto.

Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da S.S.D. “Juventus Nuoto” a r.l. il 5/7/2022:

- della Determinazione Dirigenziale prot. CD/45688, del 14.04.2022, di Roma Capitale – Municipio III – Direzione Tecnica –Servizio Edilizia Privata – Ufficio Ispettorato Edilizio, notificata in data 14.04.2022, con la quale è stata ritenuta “l'inammissibilità e di conseguenza l'improcedibilità” della domanda di Permesso di Costruire in accertamento di conformità prot. CD/128263 del 29.10.2021 richiesto dalla SSD Juventus Nuoto Roma a r.l.

- di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale, ancorché non conosciuto.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2024 il dott. Giuseppe Licheri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con atto di gravame introduttivo notificato e depositato nei termini di rito, la società sportiva ricorrente avversava la nota prot. n. EA/2021/13746 del 16.12.2021 con la quale il Dipartimento capitolino sport e politiche giovanili respingeva l’istanza di accertamento di conformità presentata dalla ricorrente, ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380/2001, con note prot. nn. 11916 del 27.10.2021 e 11978 del 29.10.2021.

Esponeva la ricorrente di essere affidataria in concessione (in quanto mandataria di un RTI con altra società sportiva) della gestione del “Punto verde qualità” sito in Roma alla via di Casal Boccone n. 283, composto da una ampia area destinata a parco pubblico ed una articolata struttura sportiva comprensiva, all’atto di immissione in possesso, da due campi da padel ed un campo da paintball.

Attesa l’emergenza pandemica in corso nel biennio 2020-2021 e la necessità, quindi, di far fronte al relativo azzeramento del volume d’affari che aveva coinvolto le società sportive, la ricorrente manifestava a Roma Capitale, sin dal 15.12.2020, l’intenzione di realizzare 4 nuovi campi da padel e di spostare i due esistenti, in modo da approntare 6 campi complessivi, di cui 4 coperti.

L’amministrazione, tuttavia, non prendeva in considerazione la richiesta sicché nel marzo 2021 la ricorrente, ritenendo di poter ricorrere alla facoltà concessa dall’art. 264, lett. f) del d.l. n. 34/2020 (e disciplinata da Roma Capitale con la delibera di Assemblea Capitolina n. 125/2020) di avvalersi di una CILA per la realizzazione di attrezzature sportive all’aperto, provvedeva a realizzare i nuovi campi da padel ed allo spostamento di quelli esistenti, rappresentando come, per effetto degli interventi eseguiti, tutti e 6 i campi previsti sarebbero stati allocati in luogo del preesistente campo da paintball, riducendo la superficie complessiva dell’impianto dai 4.290 mq. precedentemente occupati ai 1.400 mq. risultanti all’esito dell’intervento effettuato.

Tuttavia, con nota del 4.8.2021, il Municipio III di Roma Capitale, ritenendo l’intervento effettuato esorbitante dal novero di quelli sottoposti a previa CILA ai sensi dell’art. 6-bis, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, comunicava l’avvio del procedimento sanzionatorio edilizio a carico della ricorrente.

In esito a ciò, essa depositava, in data 27.10.2021, l’istanza di accertamento di conformità sia presso il Dipartimento sport e politiche giovanili sia presso il Municipio III, corrispondendo i relativi oneri e le relative sanzioni.

In riscontro, il 16.12.2021 il Dipartimento capitolino informava parte ricorrente della non accoglibilità dell’istanza in parola, rilevando che:

- le opere da eseguirsi all’interno di impianti sportivi di proprietà comunale (la cui gestione sia stata concessa in affidamento a privati) devono rispettare la cornice normativa prevista dal codice dei contratti pubblici (vigendo all’epoca dei fatti il d.lgs. n. 50/2016), richiedendo quindi l’approvazione con provvedimento espresso, da parte dell’ente proprietario dell’impianto, dei relativi progetti;

- gli interventi edilizi su immobili di proprietà pubblica richiedono sempre l’autorizzazione dell’amministrazione proprietaria del bene;

- ai sensi dell’art. 8 del regolamento per gli impianti sportivi di proprietà comunale, approvato con delibera di Assemblea Capitolina n. 11/2018, le discipline sportive ivi praticabili sono definite dall’amministrazione ed il concessionario può introdurre la pratica di nuove discipline solo a seguito di autorizzazione dell’amministrazione comunale;

- è fatto obbligo ai concessionari, sempre ai sensi del citato regolamento, di non modificare la destinazione d’uso dei diversi spazi dell’impianto concesso in affidamento.

Il Dipartimento dello sport infine, pur evidenziando di non avere la competenza a normare una richiesta di permesso di costruire in sanatoria, rappresentava ancora come le opere soggette ad istanza fossero ancora in corso di esecuzione e che la medesima era stata presentata successivamente all’irrogazione delle sanzioni edilizie, concludendo infine per la non accoglibilità della domanda di accertamento di conformità avanzata dalla ricorrente.

Contro il provvedimento in questione, la società sportiva “Juventus nuoto” avanzava i seguenti motivi di gravame, non prima di aver premesso come, a suo avviso, la nota del Dipartimento sport capitolino non avesse contestato la doppia conformità urbanistica delle opere in questione, avendo l’impianto sempre mantenuto la propria vocazione a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale impressa dagli strumenti regolatori, sì da ritenere incontestabilmente acclarata tale circostanza.

Con il primo motivo di gravame, essa deduceva l’incompetenza del Dipartimento dello sport di Roma Capitale a definire la propria domanda di accertamento di conformità presentata ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380/2001, ritenendo il menzionato ufficio competente esclusivamente alla gestione degli aspetti inerenti il rapporto contrattuale in essere con i concessionari delle strutture sportive di proprietà comunale, ma non certo abilitato ad esprimersi su aspetti concernenti la disciplina edilizia del territorio.

A causa, poi, della dedotta incompetenza del Dipartimento dello sport a pronunciarsi espressamente sull’istanza avanzata dalla ricorrente (incompetenza, peraltro, ad avviso della parte ammessa finanche dal Dipartimento capitolino nella nota impugnata, nella quale si legge che “l’Accertamento di conformità – richiesta di permesso in sanatoria sopra indicato non è normato da questo Dipartimento, … e, pertanto, tale procedura non è prevista nello Sportello Unico Attività Sportive tanto è che codesta SSD ha utilizzato la modulistica, del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica e dei Municipi …”) essa, sempre con il primo mezzo di gravame, impugnava anche il silenzio-diniego eventualmente formatosi sull’istanza di accertamento di conformità.

Col secondo motivo di ricorso, essa denunciava la violazione degli artt. 35, 36 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, ritenendosi legittimata a richiedere il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ancorché essa non fosse la proprietaria dell’area in questione, in sintonia con il dettato normativo (artt. 36 e 37, d.P.R. cit.) che riconoscono la facoltà di presentare istanze di sanatoria tanto al proprietario quanto al responsabile dell’abuso, espressione che va comunque riferita ad un soggetto che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell'ambito di un rapporto di locazione.

In altri termini, secondo la ricorrente, il profilo attinente i rapporti tra concedente e concessionario - sotto l’aspetto della eventuale mancata autorizzazione del primo alla realizzazione delle opere – andrebbe tenuto distinto da (e sarebbe privo di incidenza su) quello pubblicistico - attinente la normativa edilizia ed urbanistica - sotto il quale non sarebbe contestabile, sempre a giudizio della ricorrente, la possibilità di sanatoria, ferma restando ovviamente la necessità per l’Amministrazione di valutare la ricorrenza dei presupposti concreti.

Con il terzo motivo, parte ricorrente denunciava l’irrilevanza ai fini del rilascio del titolo edilizio in sanatoria, delle asserite violazioni del regolamento per gli impianti sportivi di proprietà comunale contestate nell’impugnata nota, comunque ritenute dalla ricorrente insussistenti in punto di fatto.

In particolare, osservava la parte come il suddetto regolamento non fosse applicabile all’area ad essa concessa in uso dall’amministrazione capitolina, essendo essa classificata non come impianto sportivo capitolino, bensì come punto verde qualità, tale precisazione comportando, infatti, l’assenza, nel rapporto contrattuale in essere tra la ricorrente e l’amministrazione capitolina, dell’obbligo, che solitamente contraddistingue la concessione di impianti sportivi, di rispettare le tariffe massime da applicare al pubblico determinate dall’amministrazione comunale.

Col quarto mezzo di ricorso, veniva censurata la contestazione, avanzata da Roma Capitale, secondo cui l’istanza di accertamento di conformità presentata dalla ricorrente avrebbe avuto ad oggetto opere non già eseguite ma ancora in corso di esecuzione e, inoltre, essa sarebbe stata presentata successivamente all’irrogazione delle sanzioni edilizie.

A parere della ricorrente, entrambe le affermazioni sarebbero destituite di fondamento, in quanto le opere sarebbero state concluse nel maggio del 2021 (laddove l’istanza era stata presentata alla fine di ottobre 2021) e, inoltre, il Municipio III avrebbe comunicato alla ricorrente solamente l’avvio del procedimento sanzionatorio, senza aver emanato alcuna ingiunzione di riduzione in pristino delle opere sottoposte ad istanza di sanatoria.

Infine, con il quinto motivo di gravame, la ricorrente sosteneva la riconducibilità delle opere in questione alla categoria di intervento edilizio della ristrutturazione c.d. leggera, avendo essa compiuto, nei fatti, un’attività di demolizione e ricostruzione del precedente manufatto riducendone, peraltro, anche l’ampiezza della superficie di sedime e passando, così, da due campi da padel ed un campo di paintball occupanti oltre 4.000 mq. a 6 campi da padel estesi su una superficie inferiore a 2.000 mq., sicché l’intervento in questione, secondo la parte, non avrebbe comportato una trasformazione edilizia integrante un’opera di ristrutturazione “pesante”, con la conseguenza che, a suo dire, la fattispecie in esame integrerebbe gli estremi per il rilascio del titolo in sanatoria ai sensi dell’art. 37, comma 4, d.P.R. n. 380/2001, dichiarando comunque la medesima di aver presentato la più gravosa (anche per i relativi oneri economici) istanza ex art. 46 d.P.R. cit. in via cautelativa.

Con atto di motivi aggiunti depositato in giudizio il 22.4.2022, la società ricorrente avversava la sopravvenuta determinazione dirigenziale n. 165 del 24.1.2022 con cui il Municipio III di Roma Capitale, ritenuto che l’intervento eseguito fosse difforme da quanto previsto dall’art. 6-bis, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001 e da quanto effettuabile alla stregua dell’art. 265, lett. f) del d.l. n. 34/2020, che quindi la CILA presentata fosse inidonea a legittimare le opere realizzate e, infine, che le opere in questione fossero state eseguite su immobili di proprietà pubblica in assenza dell’autorizzazione dell’ente proprietario degli stessi, intimava alla ricorrente il ripristino, entro 60 giorni, dello stato legittimo dei luoghi pena, in caso di inottemperanza, la demolizione coattiva delle opere a spese e carico dell’intimata.

Contro la determina gravata con atto di motivi aggiunti, la società ricorrente avanzava le seguenti doglianze.

Con il primo motivo, essa lamentava la violazione degli artt. 3, 7 e 10-bis della l. n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost., per avere l’amministrazione adottato il provvedimento sanzionatorio impugnato senza aver minimamente tenuto conto dell’istanza di sanatoria presentata dalla ricorrente né, tantomeno, del gravame proposto avverso la nota del Dipartimento dello sport, ritenendo inoltre il provvedimento avversato carente di motivazione ed istruttoria in quanto con esso l’amministrazione, anziché indagare sull’effettività conformità degli interventi compiuti alla disciplina urbanistica-edilizia di riferimento, avrebbe intimato la demolizione degli stessi solo per vizi formali concernenti la parziale difformità rispetto alle dichiarazioni rese nella CILA.

Con il secondo motivo di ricorso, essa lamentava la violazione degli artt. 364, lett. f) del d.l. n. 34/2020, degli artt. 6, 6-bis e 35 del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 15, L.R. n. 15/2008, della delibera di A.C. n. 125/2020, dell’art. 8 del regolamento regionale n. 26/2020, nonché l’eccesso di potere del provvedimento gravato per travisamento dei presupposti e difetto di istruttoria.

In sintesi, ad avviso del ricorrente:

- la contestazione, contenuta nel provvedimento avversato, di aver realizzato “6 campi da padel stabilmente ancorati a terra con pavimentazione sintetica e con strutture e impianti che hanno comportato un’importante trasformazione del territorio consistente in scavi, rinterri ed opere di contenimento” in luogo dei “campetti esterni con fondo in gioco in sabbia di dimensioni max 14x22 (max due campetti per ogni impianto sportivo”)” sarebbe priva di fondamento in quanto:

1) la discrasia tra quanto indicato nella CILA e lo stato dei luoghi si spiegherebbe in ragione del fatto che la modulistica predisposta dal Comune - in difformità rispetto alle previsioni di cui al d.l. n. 34/2020 ed alla stessa delibera di A.C. n. 125/2020 – avrebbe limitato sia il numero di campi realizzabili (fissandolo in “due campetti”, a prescindere dalle dimensioni dell’impianto in concessione), sia il fondo di gioco (“in sabbia”), mentre gli altri due campi non sono stati dichiarati nella CILA poiché non realizzati ex novo, ma solo spostati e sostituiti perché usurati, così da creare un corpo unico di n. 6 campi;

2) nessun importante impatto sul territorio sarebbe derivato dall’esecuzione degli interventi contestati in quanto i medesimi sarebbero avvenuti sostituendo il campo da paintball preesistente, con la conseguenza che la superficie occupata post operam sarebbe stata sensibilmente inferiore a quella utilizzata in precedenza;

3) alla stregua di taluni insegnamenti giurisprudenziali, la realizzazione di campi da padel integrerebbe gli estremi dell’attività di ristrutturazione “leggera”, non comportando trasformazioni urbanistiche ed edilizie significative;

- del pari, secondo la ricorrente anche la contestazione relativa all’installazione dei container prefabbricati e dei gazebi sarebbe infondata, trattandosi di interventi volti “ad assicurare l'ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all'emergenza sanitaria da COVID-19”, come prescritto dall’art. 264, lett. f) del d.l. n. 34/2020, avendo essa consentito di spostare all’esterno le attività già svolte al chiuso nella sala pesi e nella sala fitness, e di organizzare i locali spogliatoi per gli utenti dei nuovi campi;

- nessun rilievo poi, a dire della ricorrente, andrebbe annesso alla circostanza che i ridetti container e gazebi poggino su di un basamento in cemento, considerando che la struttura in questione sarebbe un semplice livellamento, temporaneo e rimuovibile, appoggiato e non infisso sul terreno per dare stabilità e sicurezza alle attrezzature sovrastanti e favorire l’incolumità dell’utenza, in linea, peraltro, con quanto disposto dalla delibera A.C. n. 125/2020, che autorizza espressamente le “attrezzature per la pavimentazione e di finitura di spazi esterni funzionali all’esercizio di attività sportive”;

- infine, analoghe considerazioni la ricorrente spendeva con riferimento alla contestazione di aver realizzato una tettoia con profili metallici, ritenuta da essa un semplice pergolato costituito da elementi leggeri a sostegno di teli di tessuto con funzione esclusivamente ombreggiante.

Con il terzo motivo di ricorso, poi, parte ricorrente reiterava la doglianza, già proposta con il ricorso introduttivo, in ordine al presunto difetto di legittimazione della medesima alla proposizione dell’istanza di accertamento di compatibilità.

Il gravame accessorio si concludeva con l’articolazione dell’istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.

Si costituiva in giudizio Roma Capitale depositando documentazione amministrativa.

In vista della camera di consiglio fissata per la discussione dell’incidente cautelare, parte ricorrente depositava memoria informando che, successivamente alla proposizione dei motivi aggiunti di gravame, il Municipio III capitolino aveva notificato un provvedimento espresso di reiezione dell’istanza di accertamento di compatibilità da essa presentata, riservandosene l’impugnazione con ulteriore atto di motivi aggiunti e traendo da esso ulteriori argomenti a sostegno della sussistenza dei presupposti per la sospensione cautelare del provvedimento impugnato.

Con ordinanza n. 3343 del 26.5.2022, il Collegio respingeva l’istanza di sospensione ex art. 55 c.p.a., con statuizione confermata dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare.

Con ulteriore atto di motivi aggiunti depositato in giudizio il 5.7.2022, parte ricorrente, come preannunciato, avversava la nota n. 45688 del 14.4.2022 con cui il Municipio III di Roma Capitale dichiarava inammissibile ed improcedibile l’istanza di accertamento di compatibilità presentata presso di esso dalla ricorrente il 29.10.2021.

Contro di esso, parte ricorrente avanzava i seguenti, ulteriori, motivi aggiunti di gravame.

Con il primo, essa censurava l’illegittima inversione procedimentale tra la valutazione dell’istanza di sanatoria e l’emissione dell’ordine di demolizione dei manufatti realizzati, contestando l’esercizio del potere sanzionatorio da parte del Municipio III di Roma Capitale intervenuto prima che esso si fosse pronunciato, esaminandola, sull’istanza di accertamento precedentemente presentata dall’odierna ricorrente.

Sotto altro profilo, essa censurava il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, il quale non avrebbe contenuto alcuna valutazione in ordine alla doppia conformità degli interventi edilizi eseguiti rispetto sia alla disciplina emergenziale recata dall’art. 264, lett. f) del d.l. n. 34/2020 sia alla normativa edilizio-urbanistica di riferimento nel caso di specie, come imposto dagli artt. 36 e 37 del d.P.R. n. 380/2001.

Con il secondo motivo, veniva reiterata anche nei confronti della nota del Municipio III la censura (già mossa nel gravame introduttivo e nel primo atto di motivi aggiunti) in ordine alla legittimazione della ricorrente ad avanzare istanze di sanatoria nonostante essa non sia la proprietaria del bene pubblico in questione, ma solo una detentrice qualificata.

Con il terzo motivo infine, veniva riproposta la censura concernente la sostanziale legittimità delle opere eseguite alla luce sia degli artt. 6 e 6-bis del d.P.R. n. 380/2001 sia della normativa emergenziale introdotta dall’art. 264, lett. f) del d.l. n. 34/2020 e disciplinata da Roma Capitale con la delibera di A.C. n. 125/2020.

In vista della discussione di merito dell’affare, entrambe le parti depositavano documenti e memorie ai sensi dell’art. 73 c.p.a.

Roma Capitale prendeva posizione sui fatti di causa, contestando la fondatezza delle tesi sostenute da parte ricorrente negli atti di gravame proposti.

In particolare, con riferimento alla doglianza concernente l’asserita legittimazione della ricorrente ad avanzare istanze di sanatoria per opere eseguite sul bene gestito in concessione, nonostante essa non fosse la proprietaria dello stesso, Roma Capitale eccepiva che, ai sensi dell’art. 7 del d.P.R. n. 380/2001, la realizzazione di opere pubbliche da parte di concessionari di servizi pubblici sarebbe esclusa dall’applicazione delle disposizioni del testo unico dell’edilizia in materia di titoli autorizzativi e ricondotta, piuttosto, al regime dei contratti pubblici e, in particolare, alle modalità di approvazione dei progetti di opere pubbliche disciplinate dall’art. 27 del d.lgs. n. 50/2016.

In attuazione di tale assetto normativo, proseguiva Roma Capitale, con deliberazione di Assemblea Capitolina n. 11/2018 veniva approvato il nuovo regolamento sugli impianti sportivi comunali il quale subordina la realizzazione di qualsiasi intervento su di essi da parte del concessionario alla preventiva comunicazione e seguente rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione.

Ancora, quanto alla contestazione formulata nei confronti della ricorrente di aver mutato unilateralmente le discipline sportive praticabili presso l’impianto in questione, parte resistente faceva osservare come l’implementazione delle attività sportive richieda una preliminare valutazione rispetto all’effettiva richiesta del bacino di utenza, nell’ottica di preservare o comunque valutare l’interesse pubblico e, non secondariamente, di adeguare l’equilibrio economico-finanziario posto alla base del rapporto concessorio ai differenti flussi di cassa derivanti dall’introduzione sull’impianto di nuove (e diverse) discipline sportive.

Inoltre, quanto all’inapplicabilità del regolamento sugli impianti sportivi a strutture, quale quella gestita dalla ricorrente, insistenti su di un punto verde qualità, l’amministrazione resistente rilevava che il bene in questione, considerata proprio la sua natura di impianto esclusivamente sportivo, fosse stato trasferito dalla competenza del Dipartimento del patrimonio a quella del Dipartimento dello sport, con conseguente assoggettabilità alle regole previste per le strutture sportive comunali.

Infine, Roma Capitale evidenziava lo stato di inadempimento della società concessionaria agli obblighi di pagamento del canone concessorio.

Dal canto proprio parte ricorrente, oltre ad insistere nei motivi di gravame già dispiegati, replicava alle argomentazioni avanzate dall’amministrazione resistente osservando:

- quanto alla pretesa esposizione debitoria, essa sarebbe di gran lunga inferiore a quella indicata da Roma Capitale (vedasi a tal proposito la sentenza del 28.11.2021 del Tribunale ordinario di Roma che accoglieva, in parte, l’opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla ricorrente) e, in tesi, sarebbe destinata a ridursi ulteriormente in virtù sia di altre azioni avanzate in sede civile sia della sentenza n. 10247/2024 resa da questo Tribunale, con la quale veniva annullato il diniego opposto da Roma Capitale all’istanza di rideterminazione del canone concessorio avanzata dalla ricorrente, con discendente obbligo, per l’amministrazione capitolina, di esaminare e prendere posizione sulla medesima;

- ancora, l’assentibilità delle opere sarebbe stata, de facto, oggetto di un riconoscimento da parte della stessa amministrazione resistente la quale, con note versate in atti, avrebbe ritenuto di poter riesaminare le condizioni di equilibrio economico della concessione anche in relazione alle opere realizzate e all’introduzione di nuove attività sportive all’interno dell’impianto;

- tale ultima osservazione poi, ad avviso di parte ricorrente, imporrebbe un più approfondito esame in ordine all’accoglibilità dell’istanza in sanatoria alla luce dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’Amministrazione non soltanto può, ma anche deve valutare le conseguenze per l’interesse pubblico dell’inadempimento del concessionario, concretizzatosi nella realizzazione di opere senza titolo autorizzatorio, sotto il profilo della eventuale convenienza nel mantenere in tutto o in parte dette opere;

- infine, quanto alla dedotta incompetenza del Dipartimento dello sport ad evadere l’istanza ex art. 36, d.P.R. cit., avanzata dalla ricorrente, essa insisteva rappresentando che, ai sensi del regolamento sul decentramento amministrativo di Roma Capitale, trattandosi di un intervento edilizio di volume inferiore a 3.000 mc., la competenza ad esprimersi sarebbe stata esclusivamente in capo al Municipio territorialmente competente.

All’udienza pubblica del 15.7.2024, veniva dato avviso alla parte ricorrente, che conveniva, della sopravvenuta improcedibilità del gravame introduttivo del presente giudizio, il quale così veniva trattenuto in decisione relativamente ai motivi aggiunti di ricorso successivamente presentati.

Preliminarmente, in conformità alle conclusioni raggiunte in occasione dell’udienza di discussione nel merito dell’affare (e non contestate da parte ricorrente), deve dichiararsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il gravame introduttivo del presente giudizio.

Esso, infatti, è rivolto a contestare la legittimità della nota del 16.12.2021 con la quale il Dipartimento capitolino dello sport ha fornito riscontro, sfavorevole alla ricorrente, all’istanza di accertamento di compatibilità che essa aveva avanzato il 27.10.2021.

Giacché la medesima istanza, avente ad oggetto le medesime opere e recante lo stesso contenuto di quella presentata al Dipartimento dello sport risulta essere stata depositata, ad appena due giorni di distanza (ovvero il 29.10.2021) al Municipio III, e da questa evasa con la nota del 14.4.2022 fatta oggetto del secondo ricorso per motivi aggiunti di cui al presente giudizio, ne consegue che nessun interesse parte ricorrente può, all’attualità, nutrire in ordine alla decisione di un ricorso condotto avverso una nota che, quand’anche venisse annullata, non le consentirebbe il conseguimento del bene della vita agognato (ossia la sanatoria delle opere eseguite in assenza di titolo), a tale esito ostando la perdurante efficacia della nota municipale da ultimo citata.

Pertanto, il gravame introduttivo va dichiarato improcedibile ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), c.p.a., analogamente alle censure, riproposte anche nei successivi atti di impugnazione accessori, concernenti l’asserita incompetenza del Dipartimento dello sport ad esprimersi in ordine all’istanza di rilascio del titolo edilizio in sanatoria avanzata dalla ricorrente.

Resta inteso ovviamente che le doglianze contenute nel ricorso introduttivo, nella misura in cui sono richiamate anche dalle successive impugnazioni accessorie, formeranno oggetto di scrutinio da parte di questo Giudice.

In sintesi, la vicenda contenziosa sottoposta all’esame di questo Collegio può così riassumersi.

La società sportiva ricorrente, concessionaria dell’impianto in questione, al fine di far fronte alla pesante contrazione del volume d’affari conseguente all’emergenza pandemica, effettuava alcune opere volte alla sostanziale trasformazione dell’impianto sportivo esistente (formato da due campi di padel ed un campo di paintball) in un complesso unitario per la pratica del padel (costituito da 6 campi), oltre allo spostamento di un container, alla realizzazione di un porticato a servizio del locale accoglienza e all’installazione di alcuni gazebi per uso sala fitness e sala pesi.

A tal fine, ritenendo possibile avvalersi della disciplina emergenziale dettata dall’art. 264, lett. f), del d.l. n. 32/2923 e dalla delibera di A.C. n. 125/2020, essa effettuava gli interventi in questione e, successivamente, presentava istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 per regolarizzare i medesimi, ricevendo in risposta:

- il riscontro negativo del Dipartimento dello sport con nota del 16.12.2021, avversato con ricorso principale;

- l’ordine di demolizione emanato, ai sensi degli artt. 35, d.P.R. cit. e 21 L.R. n. 15/2008, dal Municipio III e fatto oggetto del primo atto di motivi aggiunti;

- la nota municipale del 14.4.2022, recante declaratoria di inammissibilità e improcedibilità dell’istanza di permesso di costruire in sanatoria, impugnata con il secondo atto di motivi aggiunti.

Ragioni di priorità logica suggeriscono al Collegio di principiare dall’esame di tale, ultimo, gravame accessorio.

Con esso parte ricorrente contesta la legittimità dell’atto recante il sostanziale diniego di accertamento di conformità da parte del Municipio III di Roma Capitale motivato sulla scorta della considerazione che le opere realizzate all’interno dell’impianto sportivo di proprietà comunale sono da considerarsi opere pubbliche attuabili non mediante le procedure autorizzative previste per l’edilizia privata, bensì attraverso le modalità individuate dall’art. 7, comma 1, lett. c) del d.P.R. cit., con conseguente inapplicabilità della sanatoria postuma prevista dall’art. 36 d.P.R. cit.

Parte ricorrente contesta tale assunto facendo appello ad un orientamento interpretativo secondo il quale “la natura pubblica dell’area nella specie non preclude affatto la sanabilità degli interventi realizzati dall’odierna ricorrente, posto che tanto l’art. 36 quanto l’art. 37, DPR n. 380/2001 riconoscono la legittimazione a richiedere la sanatoria non solo al proprietario, ma anche al “responsabile dell’abuso”, espressione che va comunque riferita ad un soggetto che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene, anche nell'ambito di un rapporto di locazione” e tanto anche a prescindere “dal consenso del proprietario concedente alla realizzazione delle opere, profilo che riguarda soltanto il rapporto civilistico sotteso alla concessione amministrativa” (pag. 14 del secondo atto di motivi aggiunti).

Ad avviso del Collegio, tale assunto non è persuasivo.

Preliminarmente, non pare discutibile che il rapporto che lega la società ricorrente all’amministrazione resistente sia giuridicamente qualificabile nei termini di una concessione di servizi, atteso il costante insegnamento pretorio secondo il quale “La gestione di impianti sportivi comunali integra un servizio pubblico locale, ai sensi dell'art. 112 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, per cui l'utilizzo del patrimonio si fonda sulla promozione dello sport che, unitamente all'effetto socializzante ed aggregativo, assume un ruolo di strumento di miglioramento della qualità della vita a beneficio non solo della salute dei cittadini, ma anche della vitalità sociale della comunità (culturale, turistico, di immagine del territorio, etc.). Ne discende che, sotto il profilo considerato, l'affidamento in via convenzionale di immobili, strutture, impianti, aree e locali pubblici, anche quando appartenenti al patrimonio indisponibile dell'ente, ai sensi dell'art. 826 c.c., purché destinati al soddisfacimento dell'interesse della collettività allo svolgimento delle attività sportive, non è sussumibile nel paradigma della concessione di beni, ma struttura, per l'appunto, una concessione di servizi” (così Cons. St., sez. V, n. 5915 del 18.8.2021 e riferimenti ivi contenuti; nella giurisprudenza di merito, vedasi T.A.R. Lombardia – Milano, sez. V, n. 26 del 4.1.2024; T.A.R. Campania – Napoli, sez. II, n. 5703 del 14.9.2022).

Premesso questo indiscutibile (e, del resto, non controverso) punto fermo, ne discende che, come correttamente eccepito da Roma Capitale, l’esecuzione di interventi edilizi sull’immobile oggetto di una concessione di servizi pubblici sfugge all’applicazione delle disposizioni in materia di titoli abilitativi applicabili all’edilizia privata ai sensi del titolo II del d.P.R. n. 380/2001 ma, giusta applicazione del disposto dell’art. 7 di cui al medesimo d.P.R. da ultimo cit., costituisce un’opera pubblica da realizzarsi “previo accertamento di conformità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni” (cfr. sul punto, Cons. St., sez. V, n. 5589 del 5.11.2012 e T.A.R. Sicilia – Catania, sez. I, n. 2248 del 19.9.2013).

Ciò comporta quindi l’inapplicabilità, nel caso di specie, dei titoli edilizi ordinariamente abilitanti l’esecuzione di attività edificatoria da parte dei soggetti privati e preclude, logicamente, il ricorso a strumenti normativi (quali l’accertamento di conformità ex art. 36, d.P.R. cit., o la SCIA ai sensi dell’art. 37, comma 4, del medesimo d.P.R.) che consentono la sanatoria ex post di interventi edilizi realizzati in assenza di un titolo abilitativo che, nella fattispecie concreta, la ricorrente mai avrebbe potuto conseguire in quanto trattasi di opere assoggettate a procedure abilitative diverse da quelle definite dal titolo II del d.P.R. n. 380/2001.

Pertanto, il secondo atto di gravame accessorio non può trovare accoglimento, essendo lo stesso destituito di fondamento.

Resta da scrutinare il primo atto di motivi aggiunti, con il quale parte ricorrente ha contestato la legittimità dell’ordine di demolizione impartito da Roma Capitale senza che l’amministrazione resistente si fosse ancora espressamente pronunciata sull’istanza di accertamento di conformità presentata dalla parte.

Anche la censura concernente l’inversione procedimentale lamentata dalla ricorrente non può trovare accoglimento.

In primo luogo perché, per costante insegnamento pretorio, l’ordinanza di demolizione emessa nelle more della valutazione dell’istanza di accertamento di conformità non è, per ciò solo, illegittima, ma la sua efficacia è temporaneamente sospesa sino alla definizione del procedimento ex art. 36 del d.P.R. N. 380/2001, senza che il rigetto della domanda di permesso di costruire in sanatoria imponga all’amministrazione locale l’emanazione di una nuova ingiunzione a demolire le opere prive di titolo (così Cons. St., sez. VI, n. 4633 del 24.5.2024; Cons. St., sez. VI, n. 5815 del 2.7.2024).

In secondo luogo perché, nel caso di specie, nessuna doppia conformità poteva ammettersi per le opere in questione in quanto, come osservato in precedenza, le stesse non erano assentibili ai sensi della disciplina applicabile agli interventi edilizi eseguiti da privati di cui al titolo II del d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di opere pubbliche realizzate da un concessionario di servizi pubblici soggette allo speciale procedimento abilitativo previsto dall’art. 7, comma 1, lett. b) del d.P.R. cit. e dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383.

Ne consegue che le opere in questione costituiscono interventi edilizi eseguiti, in assenza di autorizzazione, su aree di proprietà pubblica, per le quali l’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 prevede, quale unico rimedio sanzionatorio, l’ordine di demolizione, “dovendosi interpretare la relativa disposizione con particolare rigore, in quanto l'abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L'art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto”.

Ciò posto, le restanti censure concernenti vizi procedimentali e difetti di motivazione dell’ingiunzione a demolire impugnata con il primo atto di motivi aggiunti non possono trovare accoglimento, dal momento che costituisce jus receptum che il provvedimento avente natura di atto vincolato -come quello in esame- non necessita di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, in quanto non è prevista, in capo all'amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico influenzabili da una fattiva partecipazione del soggetto destinatario, anche al fine di evitare l'inutile aggravio del procedimento (ex multis, Cons. St., Sez. IV, n. 5008 del 22.08.2018). Per l'effetto, lo stesso non può essere invalidato per omessa osservanza delle norme che disciplinano la partecipazione endoprocedimentale del privato, ciò anche alla luce di quanto stabilito dall'art. 21-octies, secondo comma, primo periodo, l. n. 241/1990, essendo palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato.

Da ultimo, benché possa risultare superfluo alla luce della reiezione dei motivi di ricorso sopra illustrati, ritiene il Collegio di dover esaminare, seppur sinteticamente, le doglianze concernenti l’asserita riconducibilità delle opere eseguite dalla ricorrente alla facoltà emergenziale concessa dall’art. 264, lett. f) del d.l. n. 34/2020 o, in subordine, all’art. 6-bis del d.P.R n. 380/2001.

Neppure esse colgono nel segno.

Infatti, la disposizione contenuta nel d.l. n. 34/2020 consentiva “dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 31 dicembre 2020” (data poi posticipata al 31 dicembre 2021 per effetto dell’art. 11-terdecies del d.l. n. 52/2021, conv. con mod. in l. n. 87/2021) l’ammissibilità degli interventi, “anche edilizi, necessari ad assicurare l'ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all'emergenza sanitaria da COVID-19”, anche in assenza di permessi, autorizzazioni ed atti di assenso (ad eccezione dei titoli abilitativi di cui alla parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), purché esse consistessero in “opere contingenti e temporanee destinate ad essere rimosse con la fine dello stato di emergenza” e, se diverse da quelle di cui all’art. 6 del d.P.R. n. 380/2001, previa CILA indirizzata all’amministrazione comunale e “asseverata da un tecnico abilitato e corredata da una dichiarazione del soggetto interessato che, ai sensi dell'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, attesta che si tratta di opere necessarie all'ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all'emergenza sanitaria da COVID-19”.

Nel caso di specie, il progetto inviato via PEC al Dipartimento dello sport dal legale rappresentante della ricorrente il 15.12.2020 era del tutto sprovvisto delle dichiarazioni e delle asseverazioni, rilasciate ai sensi dell’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000, previste dalla normativa emergenziale, di talché esso risultava del tutto inidoneo a legittimare l’esecuzione degli interventi in questione ai sensi della disciplina transitoria invocata dalla ricorrente.

Infine, anche traguardando le opere in questione sotto il profilo degli interventi edilizi che l’art. 6-bis, d.P.R. n. 380/2001 assoggetta ordinariamente a comunicazione asseverata di inizio lavori, non può concordarsi con la tesi di parte ricorrente secondo cui la realizzazione ex novo di 4 campi da padel e la traslazione dell’area di sedime di altri due possa costituire intervento non assoggettato a titolo abilitativo superiore, costituendo insegnamento pretorio consolidato quello secondo cui “La realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis in un campo da padel, costituisce una "nuova costruzione", per la cui realizzazione è necessario il permesso di costruire”, posto che esso, “per le sue caratteristiche complessive, connotate per l' installazione su apposita superficie, funzionale alla peculiare attività sportiva, di carpenteria e lastre di vetro perimetrali, incide sul territorio in termini di modifica del medesimo, e come tale rientra nel novero degli " interventi di nuova costruzione" di cui all'art. 3, lett. e), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380” (così Cass. pen., sez. III, n. 11999 del 6.3.2024. In termini del tutto analoghi, T.A.R. Sicilia – Catania, sez. II, n. 1867 del 20.5.2024, secondo cui “la realizzazione di un campo di padel, così come la conversione di un campo da tennis (o da calcio) in un campo da padel, costituisce una "nuova costruzione", che dà luogo, per le caratteristiche proprie di realizzazione dell'opera, ad una trasformazione significativa e permanente del territorio, la quale necessita del permesso di costruire (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 23 novembre 2021, n. 3232, il quale ha ritenuto che la costruzione di campi da padel costituisce una "trasformazione edilizia del terreno stante la realizzazione di un'opera di scavo e di un basamento in calcestruzzo in grado di incidere in modo definitivo sulla permeabilità del suolo", altresì precisando che "Emerge all'evidenza la differenza con campi da tennis e di calcio in cui può predicarsi un mero movimento terra di cui all'art. 3 della L.R. n. 16 del 2016 giacché il suolo non muta le sue caratteristiche originarie di permeabilità per l'impiego di materiali artificiali e di costruzione")”.

In definitiva, pertanto, entrambi gli atti di motivi aggiunti sono infondati e vanno, di conseguenza, respinti.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, in favore di Roma Capitale, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- dichiara improcedibile il gravame introduttivo;

- respinge, poiché infondati, entrambi gli atti di motivi aggiunti di ricorso;

- condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore di Roma Capitale, che liquida in Euro 3.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Pietro Morabito, Presidente

Salvatore Gatto Costantino, Consigliere

Giuseppe Licheri, Referendario, Estensore