TAR Lazio (RM) Sez. II-quater n.9223 del 11 luglio 2019
Urbanistica.Acquisizione del bene abusivo e dell’area di sedime

Ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, l’acquisizione concerne ordinariamente non solo il bene e la relativa area di sedime, ma anche l’area necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (nel limite massimo, tuttavia, del decuplo della complessiva superficie utile abusivamente costruita). Nella chiara configurazione normativa l’acquisizione di tale area ulteriore è una sanzione che l’ordinamento pone come conseguenza automatica e doverosa dell’inottemperanza all’ordine demolitorio dell’opera abusiva (salvo i casi in cui venga ad incidere sui diritti dei terzi o sulle porzioni di manufatti legittimi, nel qual caso l’acquisizione è limitata al manufatto abusivo e alla sua sola area di sedime) e non è, come tale, soggetta a specifici obblighi motivazionali in ordine alle ragioni di pubblico interesse. L’applicazione della norma in esame impone, tuttavia, all’Amministrazione comunale di assolvere all’obbligo motivazionale in ordine alle modalità del calcolo (in relazione ai parametri urbanistici in astratto applicabili per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusivamente realizzate) con cui perviene all’individuazione di tale “area ulteriore”.


Pubblicato il 11/07/2019

N. 09223/2019 REG.PROV.COLL.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

omissis


per l’annullamento,

I. quanto al ricorso n. 11313 del 2010:

- dell’ordinanza di demolizione n. 131 del 2010 adottata dal Comune di Ariccia sulla base dell’accertamento effettuato da personale del Comando di Polizia Municipale in data 18.06.2010;

II. quanto al ricorso n. 11316 del 2010:

- dell’ordinanza di demolizione n. 139 del 2010 adottata dal Comune di Ariccia sulla base dell’accertamento effettuato da personale del Comando di Polizia Municipale in data 18.06.2010;

III. quanto al ricorso n. 8678 del 2011:

- della determinazione n. 596 del 2011, avente ad oggetto il rigetto domanda di condono edilizio, nonché per il risarcimento danno;

IV. quanto al ricorso n. 8680 del 2011:

- della determinazione n. 597del 2011, avente ad oggetto il rigetto domanda di condono edilizio, nonché per il risarcimento danno.

V. quanto al ricorso n. 10220 del 2011:

- ordinanza di demolizione di opere abusive n. 194 del 2011, adottata in seguito al provvedimento di rigetto del condono edilizio n. 597 del 2011, nonché per il risarcimento danno.

VI. quanto al ricorso n. 10222 del 2011:

- dell’ordinanza di demolizione di opere abusive n. 195 del 2011 adottata in seguito a provvedimento di rigetto domanda della domanda di condono n. 596 del 2011, nonché per il risarcimento danni.

VII. quanto al ricorso n. 10223 del 2011:

- dell’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 196 del 2011, nonché per il risarcimento del danno;

VIII. quanto al ricorso n. 822 del 2012:

- della determina dirigenziale n. 1094 del 2011 nella parte in cui ha rigettato l’istanza di permesso di costruire presentata ai sensi dell’art. 36 del d.p.r. 380/01, dep. il 20/09/2010 prot. n. 24959.

IX. quanto al ricorso n. 3245 del 2012:

- della determinazione n. 159 del 2012 avente ad oggetto: impianti per l’eliminazione o il recupero di carcasse e di residui animali con capacità di trattamento oltre le 10 t/giorno - riesame dell’autorizzazione integrata ambientale ai sensi dell’art 29 octies d lgs 152/06 - risarcimento danni.

X. quanto al ricorso n. 4997 del 2012:

- della determinazione dirigenziale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Provincie di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo del 23/04/2012, prot. 0011718, avente ad oggetto il parere negativo espresso ai sensi dell’art. 167 co. 4 e 5 d.lgs. 42/04 sulla domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica sui lavori di realizzazione di tettoie e locali tecnici;

XI. quanto al ricorso n. 8607 del 2012:

- della determinazione dirigenziale n. 619 del 28 agosto 2012 del Comune di Ariccia con la quale, a seguito dell’accertata inottemperanza da parte della stessa società alle ordinanze di demolizione n. 131/2010, n. 139/2010, n. 194/2011, n. 195/2011, n. 196/2011, nonché del provvedimento n. 1094/2011 di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità avanzata ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, veniva disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree di cui alla nota prot. n. 8522 del 23/03/2012 (con la quale è stato trasmesso il frazionamento n. 331521.1/2012) e della nota prot. 9037 del 29/03/2012;


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Ariccia, della Provincia di Roma (ora Città Metropolitana di Roma Capitale) e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Provincie di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 aprile 2019 la dott.ssa Silvia Coppari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con undici ricorsi distinti rubricati, rispettivamente, ai nn. di R.G. 11313/2010, 11316/2010, 8678/2011, 8680/2011, 10220/2011, 10222/2011, 10223/2011, 822/2012, 3245/2012, 4997/2012, 8607/2012, la società Centro Grassi Ariccia s.r.l. (C.G.A. s.r.l.) ha impugnato una serie di provvedimenti – adottati dal Comune di Ariccia, dalla Provincia di Roma (ora Città Metropolitana) e dalla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Lazio – incidenti sull’assetto urbanistico-ambientale dell’area, di cui è proprietaria, sita in Ariccia, via delle Molette 57 (loc. Valle Ariccia), distinta al catasto al fg. 13, part.lle nn. 426 – 427 – 428 – 429 – 430 – 431 – 433 – 434 – 435 – 487, ove svolge l’attività industriale di raccolta e trasformazione dei grassi di origine animale ed attività connesse – come lo smaltimento di olii esausti alimentari –, in forza di “conformi autorizzazioni e concessioni amministrative” fra cui: l’autorizzazione edilizia n. 19 del 7.04.1981 e la successiva variante n. 40 del 31.07.1981, nonché i “nulla osta ai sensi dell’art. 7 della legge n. 149/1939 n. 915 del 24.02.1981 della Sovrintendenza per i Beni Ambientali ed architettonici del Lazio”, trattandosi di area sottoposta ai vincoli di cui alla legge n. 1497/1939).

1.1. In particolare, con il primo ricorso R.G. 11313/2010, la società impugnava l’ordinanza di demolizione n. 131 del 2010 adottata dal Comune di Ariccia sulla base dell’accertamento effettuato da personale del Comando di Polizia Municipale in data 18.06.2010, con la quale veniva contestata l’abusività dei seguenti manufatti:

«1. sulla sinistra dell’entrata è presente una tettoia con copertura in lamiera zincata, struttura in ferro con pali a sezione quadrangolare imbullonati su piastra in ferro su plinto in cemento, le misure sono di m. 11,00 x 5,30 con altezza che varia da m. 2,40 a 2,70, tetto ad una falda;

2. a seguire si rileva un’altra tettoia, anche questa in uso come parcheggio, dalle medesime caratteristiche costruttive di cui al punto 1) ed avente misure di m. 7,10 x 20,60 con altezza minima e massima di m. 3,10 x 3,50;

3. a ridosso di un magazzino in muratura è stato realizzato un manufatto con struttura in ferro, copertura in lastre di alluminio coibentate, chiuso su tre lati, le pareti perimetrali sono costruite da un cordolo in cemento armato alto circa cm. 50 sovrastato da lastre di alluminio coibenta, pavimentazione in cemento, avente misure di m. 7,50 x 8,80 altezza variabile tra m. 3,20 e m. 3,50, in uso come deposito contenitori olii alimentari esausti;

4. sul lato dell’impianto industriale è presente un manufatto in uso come deposito di olii esausti con struttura in ferro e copertura e pareti in lastre di alluminio coibentate avente misure di m. 5,00 x 7,00 altezza m. 3,00 circa;

5. a ridosso dell’impianto industriale è situata la tettoia n. 5, a copertura di parte dello stesso impianto, avente misure di m. 7,00 x 7,70 ed altezze circa m. 8,00, con la stessa struttura in ferro e copertura in lastre di alluminio coibentate;

6. dall’altro lato dell’impianto industriale è presente un’altra tettoia, di parziale copertura dello stesso con altezza di circa 7,00 mt con copertura in lastre di alluminio coibentato divisa in due falde aventi misure di m. 9,50 x 8,00 e 8,00 x 2,00 circa;

7. trattasi di due baracche in lamiera, accostate ed istallate nella zona dell’impianto industriale, in uso come magazzino, aventi ciascuna misure di m. 5,00 x 2,50 con altezza di circa m. 2,20;

8. trattasi di un piccolo manufatto in uso come deposito olio, con piattaforma e cordolo con cemento armato alto cm. 50, copertura e tre pareti in lastre di alluminio coibentate, misure di m. 1,80 x 3,00 con altezza m. 2,20;

9. all’ingresso dell’ufficio amministrativo è stata realizzata una copertura in p.v.c. con struttura in ferro imbullonato al suolo a forma trapezoidale con lato di m. 3, 90 e basi di m. 2, 90 e 4,30 altezza media m. 2,30».

1.4. Con il citato ricorso R.G. 11313/2010, la società lamentava l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione n. 131 del 2010 per il vizio di difetto di istruttoria, giacché i manufatti contestati sarebbero stati conformi agli strumenti urbanistici esistenti “sia al momento della loro realizzazione”, sia al momento dell’accertamento suddetto, trattandosi di mere “appendici” di manufatti già presenti. La società allegava di aver, in ogni caso, richiesto un provvedimento di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.

2. Sempre a seguito della relazione di accertamento del 18.06.2010, il Comune adottava poi l’ordinanza n. 139 del 20/08/2010, con la quale ingiungeva alla medesima società la demolizione di ulteriori manufatti presenti nel lotto, in quanto anch’essi realizzati in assenza di titolo autorizzatorio e di nulla osta da parte dell’Autorità preposta alla tutela dei vincoli insistenti sull’area. Le opere abusive venivano così descritte: «1) in aderenza alla “cabina elettrica Enel A”, il manufatto con struttura in legno e teli in plastica delle dimensioni pari a ml. 2,97 x 2,95 con H min. ml. 1,72 e H max. ml. 2,25 in aderenza alla “cabina elettrica Enel A”»; 2) «in aderenza agli “uffici B”, due manufatti di cui una tettoia chiusa su tre lati di forma trapezoidale delle dimensioni pari a di circa mq. 4,75 con H min. ml. 1,68 e H max. ml. 1,90, ed un locale inaccessibile, anch’esso di forma trapezoidale delle dimensioni circa di circa mq. 18,53 con h. circa ml. 1,90»; 3) «in prossimità della “cabina pesa C”, a) “serbatoio gasolio riportato nella sola planimetria ubicativa della C.E. in sanatoria n° 60/97, che risulta coperto da un manufatto chiuso su tre lati con struttura in ferro e lamiera con alla base muri perimetrali in cemento di h. 0,55, copertura a due falde, delle dimensioni pari a ml. 3,33 x 5,00 con H max. ml. 3,40 e H min. ml. 3, 1 O”; b) “in prossimità del manufatto a copertura del serbatoio gasolio esiste un prefabbricato in lamiera (tipo box da cantiere)”: c) “sempre in prossimità del prefabbricato in lamiera sono presenti macchinari dismessi coperti con teli di protezione nonché due silos in disuso”». Inoltre l’Amministrazione contestava, quanto all’«edificio principale indicato nei punti 4 - 5 - 6 -7 - 8», relativamente al “locale ricevimento merci D”, al “locale trasformatori E”, alla “centrale termica e depurazione fumi F” e al “locale lavorazioni merci G”, la non corrispondenza nelle dimensioni, nella sagoma e in alcuni prospetti, “al grafico allegato alla Concessione Edilizia a sanatoria n. 60/1997”.

2.1. La società impugnava l’ingiunzione di demolizione n. 139 del 2010 con il ricorso rubricato al n. di R.G. 11316/2010, assumendo che le contestazioni avrebbero riguardato opere edilizie già autorizzate ed altre opere condonate, facendo altresì presente di aver in ogni caso richiesto un provvedimento di sanatoria ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 “per tutte quelle opere residuali considerate come sanabili”.

3. Con successiva determina dirigenziale n. 596 del 10/06/2011, il Comune rigettava la domanda di condono edilizio presentata da C.G.A. s.r.l. in data 27 ottobre 1994, prot. n. 20639 (cfr. supra § 1.1.), in quanto, da un lato, la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Lazio, con determinazione n. 122 del 15/12/2002, aveva annullato il parere favorevole al condono originariamente espresso dal Comune per contrasto con le norme di P.T.P. n. 9 che destinavano l’area a zona “AR3” (agricola con rilevante valore paesistico ambientale); dall’altro, la società interessata non aveva prodotto una serie di documenti (fra i quali l’attestazione versamenti delle rate dell’oblazione) che l’Amministrazione aveva richiesto nel corso del procedimento con l’avvertimento che, in mancanza di tempestivo deposito degli stessi, la richiesta di sanatoria sarebbe stata rigettata.

3.1. Tale provvedimento di rigetto veniva impugnato dalla società C.G.A. s.r.l. con il ricorso rubricato al n. di R.G. 8678/2011, con il quale venivano dedotti i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per carenza di istruttoria e dei presupposti, tenuto conto: a) della pendenza del ricorso avverso il decreto in data 2.2.2004 della Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio con il quale era stato revocato il parere favorevole espresso dallo stesso Comune di Ariccia (n. R.G. 5851/2004); b) del fatto che l’area in oggetto non ricadeva “più all’interno della zona AR3” del P.T.P., “ma in zona paesaggio degli insediamenti urbani”.

4. Con successiva determina dirigenziale n. 597 del 10/06/2011, il Comune rigettava anche la domanda di condono edilizio presentata dalla società Centro Grassi Ariccia s.r.l. in data 9 dicembre 2004, prot. n. 35615, relativa a due manufatti non residenziali (ufficio -magazzino), in ragione del ritenuto contrasto con l’articolo 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326/2003, nonché [dell’art. 3] comma 1, lettera b), della legge regionale n. 12 dell’8 novembre 2004”, assumendo che i suddetti manufatti ricadessero in area sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del d.lgs. n. 42/2004 (ex legge n. 1497 /39) e non risultassero eseguiti in conformità alle norme vigenti in quanto l’area ricadeva in zona E2 - “agricola normale” ed era sottoposta alle prescrizioni della legge regionale n. 38/1999. Il Comune escludeva infatti che gli abusi edilizi in questione potessero essere qualificati come “interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo (corrispondenti ai numeri 4, 5 e 6 della tabella C allegata alla legge n. 326/2003)”.

4.1. La società C.G.A. avversava anche il suddetto diniego con ricorso rubricato al n. di R.G. 8680/2011, deducendo i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere per carenza di istruttoria, poiché, contrariamente a quanto contestato con il diniego impugnato, le opere in questione sarebbero state condonabili, trattandosi di manufatti che, “pur se ininfluenti al [recte: sul] ciclo produttivo industriale della Centro Grassi Ariccia in senso stretto”, avrebbero ciò nondimeno partecipato alla “conservazione e manutenzione dell’intero sito” nel quale sarebbero stati “perfettamente armonizzati ed integrati”, senza determinare alcun impatto ambientale negativo al punto “da non poter essere ammessi alla domanda di condono”.

5. Con i successivi ricorsi rubricati ai nn. di R.G. 10220/2011 e 10222/2011, la società impugnava, per illegittimità derivata dagli stessi vizi contestati nei confronti delle determine n. 596/2011 e n. 597/2011, rispettivamente, le ordinanze n. 194 e n. 195 del 20/07/2011, con le quali il Comune ordinava la demolizione delle opere abusive che avevano formato oggetto delle richieste di sanatoria poi rigettate.

5.1. Nel dettaglio, l’ordinanza n. 194 del 20/07/2011 aveva ad oggetto la demolizione dei “manufatti non residenziali (ufficio e magazzino-lavorazione)” siti “in via della Moletta n. 57, su terreno distinto in catasto al foglio 13 particelle 426-427-428-429-430-431-432-433-434-435-484-485-486-487”, in ordine ai quali era stata resa la determina n. 597 del 2011 di “diniego della domanda di sanatoria presentata dal Centro Grassi Ariccia s.r.l. in data 9.12.2004, prot. 35614/04”. Mentre l’ordinanza n. 195 del 20/07/2011 si riferiva ad “un manufatto non residenziale (ufficio), in Via della Moletta n. 57, su terreno distinto in catasto al foglio 13, particelle 426-427-428-429-430-431-433-434-435-487”, in ordine al quale era stata adottata la determina n. 596 del 2011 di rigetto della domanda di condono edilizio presentata da C.G.A. s.r.l. in data 27 ottobre 1994, prot. n. 20639/1994, ai sensi della legge n. 724/94.

6. Successivamente il Comune archiviava il procedimento avviato per l’eventuale revoca ovvero annullamento in autotutela della concessione edilizia in sanatoria n. 60/1987 (rilasciata alla società ricorrente in data 8.9.1997), in quanto “sebbene con numerose imprecisioni” detto titolo consentiva “comunque di identificare l’oggetto della sanatoria stessa ed accertare la reale consistenza dell’immobile sanato”. Il Comune nondimeno, con l’ordinanza n. 196 del 20/07/2011, ulteriormente specificata con l’ordinanza n. 206 del 27/07/2011, ordinava alla C.G.A. s.r.l di rimettere in pristino lo stato dei luoghi, previa demolizione entro 90 giorni dalla notifica del provvedimento delle opere abusive consistenti in “ampliamenti e difformità di sagoma e prospetti del fabbricato principale rispetto al titolo originario in sanatoria n.60/97”.

6.1. La società C.G.A. s.r.l., con ricorso rubricato al n. di R.G. 10223/2011, impugnava entrambe le ordinanze n. 196 e n. 206 del 2011 denunciando violazione di legge ed eccesso di potere per pretesa carenza di istruttoria, contestando la sussistenza di alcuna discordanza tra la sagoma attuale del fabbricato industriale e quella raffigurata per ottenere la concessione in sanatoria n. 60/1997, così come di aver realizzato una maggiore cubatura dello stabilimento, rispetto a quanto autorizzato.

7. Con determina dirigenziale n. 1094 del 09/11/2011, il Comune di Ariccia, premesso di aver svolto “sopralluoghi” volti ad «accertare la regolarità degli immobili da destinare ad impianto per l’eliminazione o il recupero di carcasse e di residui animali con capacità di trattamento di oltre 10 tonnellate al giorno» e di aver rilevato la presenza di “numerosi manufatti o opere realizzate in violazione delle norme edilizie ed urbanistiche” nonché la mancata demolizione di quanto precedentemente ordinato: a) dichiarava l’inottemperanza della Centro Grassi Ariccia alle ordinanze n. 131 del 30/07/2010, n. 139 in data l/09/2010, n. 194 del 20/07/2011, n. 195 del 20/07/2011 e n. 196 del 20/07/2011; b) rigettava la domanda di permesso di costruire presentata ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 dalla ricorrente con istanza del 20/09/2010 prot. n. 24959 (pratica edilizia n. 40/2010); c) dava atto che “i termini previsti per l’ottemperanza alle (…) ordinanze n. 131/2010 e n. 139/2010” riprendevano per entrambe (per i restanti 74 giorni di efficacia) dalla notifica dell’ordinanza n. 1094 medesima, essendo decorso il termine di sospensione previsto dalla legge per la presentazione in data 20/09/2010 dell’istanza ex art. 36 del DPR n. 380/2001.

7.1. In particolare, quanto al mancato accoglimento della richiesta ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 depositata in data 20/09/2010, prot. 24959 (pratica edilizia n. 40/2010), “per la realizzazione di opere in assenza di titoli abilitativi del complesso di trasformazione di prodotti animali e annessi all’agricoltura, ovvero per la realizzazione di un impianto per l’eliminazione o il recupero di carcasse e di residui animali con capacità di trattamento di oltre 10 tonnellate al giorno sito in Ariccia, Via della Moletta n. 57 – 59 – 61 distinto al catasto foglio 13”, l’Amministrazione aveva ritenuto la pratica “non procedibile”, “non essendo le opere conformi alle norme urbanistiche ed edilizie per le zone agricole, in zona con vincolo paesistico, di Parco e sismico” e ritenendo che le stesse fossero “oggetto di ordinanze di demolizione e rimessa in pristino” rispetto alle quali risultavano anche decorsi i termini per ottemperare.

7.2. La società C.G.A., con ricorso n. R.G. n. 822/2012, impugnava anche tale provvedimento lamentando, quanto alla parte che non interessava il diniego alla domanda di sanatoria ex art. 36 cit., l’irrilevanza giuridica di essa, non essendo nelle “competenze” del Comune di Ariccia di “determinare il trascorrere dei termini per l’adempimento di un provvedimento”. Quanto al diniego della richiesta ex art. 36, la società eccepiva la carenza dei presupposti atteso che, diversamente da quanto sostenuto dall’Amministrazione: a) le opere sarebbero state “compatibili con i vincoli ambientali e sanabili”, proprio come riconosciuto dallo stesso Comune di Ariccia in data 2.11.2004, cosicché il diniego contraddiceva un proprio precedente provvedimento circa la compatibilità dell’attività della ricorrente con la stessa destinazione della “zona agricola”; b) nella domanda di condono sarebbero stati inseriti soltanto i manufatti sanabili e che non erano stati interessati dalle precedenti domande; c) nella domanda di condono sarebbero stati “chiaramente inserite le grafizzazioni ante e post operam, relativamente ai manufatti da rimuovere, (…) e di quelli da modificare”. Le opere sarebbero state in ogni caso compatibili sia con gli strumenti urbanistici vigenti sia con i vincoli ambientali.

8. Con successiva determinazione dirigenziale R.U. n. 159 del 19/01/2012, la Provincia di Roma, ora Città metropolitana di Roma Capitale, determinava ai sensi dell’art. 29 – octies, comma 4, del d.lgs. n. 152/06, l’avvio del procedimento di riesame dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) rilasciata in favore del Centro Grassi Ariccia s.r.l. con Determinazione Dirigenziale n. 4721 del 25/06/2010, disponendo altresì di convocare, in sede istruttoria, un’apposita conferenza di servizi nell’ambito della quale sarebbero state discusse le tematiche inerenti le contestazioni presentate dal Comune di Ariccia e riguardanti le problematiche di natura urbanistica e le eventuali ricadute di queste sull’attività produttiva e sugli ordinari livelli di sicurezza degli impianti. Con tale provvedimento l’Amministrazione obbligava altresì la società, nelle more della definizione del procedimento di riesame, allo scrupoloso rispetto delle prescrizioni autorizzative già emanate.

8.1. La società ha impugnato l’ordinanza n. 159 del 2012 con ricorso R.G. 3245 del 2012, deducendo l’improcedibilità ovvero la nullità della determina per “intervenuta prescrizione” del diritto del Comune a svolgere contestazioni che, in tesi, avrebbero dovuto essere svolte nell’ambito della conferenza di servizi conclusasi con il rilascio dell’A.I.A., nonché la violazione delle norme sul procedimento ed il vizio di eccesso di potere sotto molteplici profili, giacché le presunte opere edilizie abusive, per la cui valutazione sarebbe stato avviato il procedimento di riesame, sarebbero state tutte preesistenti al rilascio dell’autorizzazione e come tali già ritenute compatibili e oggetto di specifico esame in Conferenza di Servizi cui partecipò lo stesso Comune di Ariccia dando il proprio parere favorevole al provvedimento conclusivo di autorizzazione.

9. Con ulteriore ricorso R.G. 4997/2012, la società Centro Grassi Ariccia s.r.l proponeva ricorso avverso la determinazione dirigenziale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Provincie di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo del 23/04/2012, prot. 0011718, con la quale veniva espresso parere negativo sulla conformità e compatibilità paesaggistica delle opere edilizie eseguite dalla medesima società, in assenza di autorizzazione comunale, nel complesso immobiliare della C.G.A. s.r.l. sito nel Comune di Ariccia, Via della Moletta n.ri 57-59-61, su terreno distinto in catasto al foglio n.13 particella 822.

9.1. La società lamentava che il provvedimento negativo, in primo luogo, violava il termine perentorio di 90 giorni di cui all’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/2004; in secondo luogo, era stato adottato in eccesso di potere per essersi la Soprintendenza illegittimamente sostituita a valutazioni urbanistiche di carattere strettamente “tecnico-discrezionale” adottate sia dal Comune che dalla Regione, “esulando così dal compito di mera valutazione ambientale che” le sarebbe spettato per legge. In particolare la società ribadiva che il Comune, in data 2.11.2004, aveva accertato la compatibilità “delle aree oggetto di contestazione al piano urbanistico regionale e che la Regione Lazio, in data 2.11.2011 (prot. 214198/10) aveva attestato che, dall’istruttoria effettuata, le opere eseguite risultavano conformi alla normativa paesaggistica”. Nel parere negativo invece la Soprintendenza riteneva fra l’altro che: “(3) il magazzino (manufatto 4) non può essere definito un locale tecnico in quanto non è un locale necessario a contenere e a consentire l’accesso ad un impianto; (4) le dimensioni dei corpi G e E, nelle tabelle riportate sugli elaborati grafici, risultano ampliate sia in superficie, a scapito dei corpi D e F, sia in altezza (il solo corpo G): nel complesso, dalle predette tabelle, risulta un aumento di superficie e di cubatura; (5) l’area è classificata come Paesaggio degli insediamenti urbani ma è limitrofa a zone ancora sostanzialmente integre”. Tali motivazioni metterebbero in evidenza come la Soprintendenza si sarebbe sostituita “non solo alla valutazione operata dalla Regione (…) ma anche all’accertamento di compatibilità urbanistica già effettuato dal Comune”.

9.2. Il provvedimento impugnato sarebbe in ogni caso erroneo in quanto la Soprintendenza avrebbe espresso il proprio parere negativo sul presupposto per cui, premesso che il parere di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 dovrebbe essere rilasciato soltanto per abusi commessi su edifici “legittimamente esistenti”, nel caso di specie si sarebbe trattato di opere del tutto nuove e non preesistenti. Tuttavia, ad avviso della ricorrente, per ciò che riguarda le opere destinate ad impiantistica dello stabilimento (serbatoi, silos, impianti di rifornimento carburanti ecc.) dovrebbe ritenersi sufficiente la certificazione rilasciata dagli installatori, trattandosi di opere prive di rilevanza ai fini urbanistici in termini di superfici e di volumi proprio perché “macchinari amovibili e oggetto di continue modifiche” imposte per legge. Quanto poi ai “porticati di copertura”, essi avrebbero come “obiettivo principale la riduzione dell’impatto visivo dei macchinari stessi e del rischio di guasti o di esplosioni”, “anche in ottemperanza” al d.lgs. n. 81/1980. Tali manufatti sarebbero quindi “pertinenze del fabbricato principale già realizzato originariamente e quindi esistente nonché legittimo”, in quanto regolarmente assentito. La società C.G.A. ha quindi contestato l’affermazione contenuta nel parere secondo cui “alcuni manufatti oggetto di istanza (nn. 5 e 17) sono definiti porticati ma non presentano i lati aperti per tutta la loro altezza”. Sul punto la società ha richiamato la descrizione dei manufatti in questione operata con la “relazione tecnica urbanistica” a firma del geom. Emiliano Leoni, ritualmente depositata in giudizio, sulla base della quale dovrebbe escludersi che si tratti di edifici “chiusi”, risultando evidente, anche dalla documentazione fotografica allegata, il loro carattere pertinenziale rispetto al fabbricato principale.

10. Con il ricorso n. R.G. 8607 del 2012, la società C.G.A. ha infine chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della determinazione n. 619 del 28/08/2012 del Comune di Ariccia con la quale, a seguito dell’accertata inottemperanza da parte della stessa società alle ordinanze di demolizione n. 131/2010, n. 139/2010, n. 194/2011, n. 195/2011, n. 196/2011, nonché del provvedimento n. 1094/2011 di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità avanzata ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, veniva disposta l’acquisizione al patrimonio comunale delle aree di cui alla nota prot. n. 8522 del 23/03/2012 (con la quale è stato trasmesso il frazionamento n. 331521.1/2012) e della nota prot. 9037 del 29/03/2012 (con la quale è stato trasmesso il frazionamento n. 353826).

10.1. La ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, contestando “l’eccedenza delle aree gratuitamente occupate dal Comune rispetto a quelle che, in astratto, lo stesso avrebbe potuto acquisire ai sensi dell’art. 31” citato, posto che la misura della superficie indicata nel provvedimento impugnato pari a mq. 8.810, eccederebbe il limite tassativo posto dalla norma, posto che “la superficie oggetto di acquisizione avrebbe dovuto esser pari a mq. 364,90”. Inoltre l’Amministrazione non avrebbe motivato né esplicitato le “particolari esigenze urbanistico-edilizie che potessero giustificare l’esigenza, nonché la scelta dalla stessa operata, di acquisire gratuitamente aree di entità maggiore rispetto a quella di sedime prescritta dalla legge”.

10.2. La società ha denunciato altresì i vizi di eccesso di potere e di violazione di legge, posto che l’Amministrazione non avrebbe atteso l’esito né dei ricorsi giurisdizionali proposti avverso le ordinanze di ingiunzione e demolizione dei manufatti abusivi poste a fondamento del provvedimento di acquisizione gratuita; né dell’iter avviato con la conferenza di servizi “volto proprio ad accertare l’eventuale abuso e la sua entità” nell’ambito del procedimento per il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale del sito della Centro Grassi Ariccia avviato dalla Provincia di Roma.

11. Inoltre, con i gravami sopra indicati, la ricorrente allegava di subire “gravissimi danni” in particolare per effetto del rigetto delle domande di condono edilizio presentate in data 27 ottobre 1994, prot. n. 20639, e in data 9 dicembre 2004, prot. n. 35615, riservandosi la relativa quantificazione in corso di causa.

12. Il Come di Ariccia si costituiva ritualmente in tutti i giudizi, contestando l’ammissibilità e in ogni caso la fondatezza di ciascun dei ricorsi proposti.

12.1. Nel ricorso R.G. n. 3245/2012 si costituiva anche la Provincia di Roma (ora Città Metropolitana di Roma Capitale) eccependo la sopravvenuta carenza di interesse, atteso che il procedimento di riesame avverso il cui atto di avvio la società aveva proposto ricorso si era concluso con la determinazione dirigenziale n. 132 del 14 gennaio 2013 di conferma della validità dell’AIA.

12.2. Nel ricorso R.G. 4997/2012 si costituiva in giudizio anche la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici per le Province di Roma, Frosinone, Latina, con memoria meramente formale.

13. Con ordinanza n. 4442/2012 adottata alla camera di consiglio del 6 dicembre 2012 dalla Sez. II-bis di questo Tribunale veniva accolta la domanda di sospensiva che, tuttavia, veniva riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 1007/2013, disponendo in ogni caso che “il Comune di Ariccia non” modificasse “la situazione in atto fino” alla data di fissazione della discussione del merito, consentendo in tal modo lo svolgimento dell’attività d’impresa.

14. Su richiesta della parte ricorrente depositata in data 29.5.2015 e ribadita all’udienza di merito del 24.6.2015 fissata per la discussione di tale ricorso (R.G. 4997/2012), la causa veniva rinviata a data da destinarsi per consentire alla medesima società di proporre eventuali motivi aggiunti avverso il provvedimento sopravvenuto del 6.5.2015, nonché al fine di una trattazione congiunta dello stesso ricorso con gli altri ad esso connessi.

14.1. Con due successive ordinanze collegiali n. 11661 e n. 3517 rese rispettivamente il 14 maggio 2015 e il 22 marzo 2016 sui ricorsi n. 10220/2011, n. 11313/2010, n. 11316/2010, n. 10222/2011, n. 10223/2011, n. 00822/2012, n. 08607/2012, la Sezione Seconda bis, ritenuto che la connessione di tali gravami anche con altri pendenti dinanzi alla Sezione II-quater suggerisse la loro trattazione congiunta (così come peraltro segnalato dalla parte ricorrente), rimetteva le cause al Presidente della Seconda Sezione per l’eventuale assegnazione alla Sezione II-quater di tutti di ricorsi, quale sezione competente per materia.

14.2. Tutte le cause di cui agli odierni ricorsi venivano quindi assegnate a questa Sezione con fissazione, per la trattazione congiunta dei relativi meriti, dell’udienza pubblica del 30 aprile 2019.

14.3. In vista di tale udienza sia la parte ricorrente, sia il Comune di Ariccia, hanno depositato memorie difensive e di replica precisando le loro opposte conclusioni e, dopo rituale discussione, tutte le cause sono state trattenute in decisione.

14.4. In particolare nella memoria di replica depositata nei ricorsi n. r.g. 4997/2012 e n. 8607/2012 il Comune contestava la rilevanza sull’odierno thema decidendum della produzione documentale effettuata dalla ricorrente in data 18/03/2019, per la strumentalità e l’inconferenza dei documenti relativi alla richiesta di riesame del diniego del condono edilizio e di accertamento di compatibilità paesaggistica alla Regione Lazio – trattandosi di “provvedimenti impugnati alla luce di un P.T.P.R che allo stato attuale è semplicemente inesistente” –, così come dei documenti riguardanti l’A.I.A in quanto non riguardanti gli abusi edilizi contestati.

15. Preliminarmente, malgrado l’espressa opposizione formulata dal Comune di Ariccia (cfr. memorie ex art. 73 del Comune di Ariccia nell’ambito del ricorso R.G. 8607/2012, datate 19 maggio 2015, nonché 29 marzo 2019), il Collegio ritiene che gli odierni ricorsi risultino avvinti da un rapporto di connessione sia soggettiva che oggettiva e che, pertanto, vada disposta la loro riunione.

16. Ancora in via preliminare deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso 3245/2012 per sopravvenuta carenza di interesse, tenuto conto dell’adozione della determina n. 132 del 2013 con la quale è stata definitivamente confermata la validità dell’A.I.A. Peraltro, la stessa parte ricorrente ha espressamente rinunciato al gravame dandone atto a verbale nel corso dell’udienza di trattazione del 30 aprile 2019.

17. Deve ora passarsi ad esaminare il merito dei restanti ricorsi.

17.1. I ricorsi R.G. n. 11313/2010, n. 11316/2010, n. 10220/2011, n. 10222/2011, e n. 10223/2011 proposti rispettivamente avverso le ordinanze di demolizione n. 131 del 2010, n. 139 del 2010, n. 194 del 2011, n.195 del 2011, n. 196 e 206 del 2011 sono manifestamente infondati.

17.2. In particolare, quanto alle ordinanze n. 131 e n. 139 del 2010, i provvedimenti impugnati risultano pacificamente adottati sulla base degli accertamenti del Comando della Polizia Municipale del Comune di Ariccia del 18/06/2010, di cui sono state riportate fedelmente le risultanze, e contengono una descrizione analitica e dettagliata delle dimensioni e delle caratteristiche delle opere di cui si contesta l’abusività. Le opere in questione risultano infatti realizzate in assenza di titolo edilizio, in zona plurivincolata in quanto “sottoposta a tutela paesistica dichiarata con D. M. del 29/08/1959, in zona dichiarata sismica dal Decreto ministeriale 1° aprile 1983 art. 1”; ed interna “al perimetro del Parco di cui all’adozione commissariale con atto n. l del 31/03/1998 del Piano di assetto del Parco Regionale dei Castelli Romani del Commissario Regionale ad acta”. Sicché non può in alcun modo assumere rilievo la generica quanto indimostrata affermazione di pretesa “conformità” edilizia e urbanistica delle opere in contestazione sul presupposto per cui “le opere realizzate, come attualmente insistenti nel plesso”, servirebbero “esclusivamente al corretto funzionamento degli impianti tecnologici” e sarebbero “destinate unicamente al miglioramento del ciclo produttivo e gestionale dell’attività”.

17.3. Del pari, quanto al gravame proposto avverso le ordinanze nn. 196 e 206 del 2011, le censure sollevate dal Centro Grassi Ariccia di presunta violazione di legge, di eccesso di potere e di carenza di istruttoria, sono prive di fondamento non avendo quest’ultima società fornito in giudizio alcun principio di prova idoneo a scalfire gli accertamenti tecnici elaborati dal personale del Comune, sulla base dei quali sono state contestate a) le discordanze tra la sagoma attuale del fabbricato industriale e quella raffigurata per ottenere la concessione in sanatoria n. 60/1997; b) la realizzazione di una maggiore cubatura dello stabilimento.

17.4. Quanto alle ordinanze nn. 194 e 195 del 2011, è del pari infondata la censura di violazione di legge ed eccesso di potere fondata sul presupposto della proposizione del ricorso avverso i rispettivi presupposti, ossia (quanto all’ordinanza n. 194 del 20/07/2011) avverso la determina n. 597 del 2011 di “diniego della domanda di sanatoria presentata dal Centro Grassi Ariccia s.r.l. in data 9.12.2004, prot. 35614/04”, e (quanto all’ordinanza n. 195 del 20/07/2011) avverso la determina n. 596 del 2011 di rigetto della domanda di condono edilizio presentata da C.G.A. s.r.l. in data 27 ottobre 1994, prot. n. 20639/1994, ai sensi della legge n. 724/94.

17.5. Sul punto è infatti sufficiente osservare che la società ricorrente non ha mia chiesto alcuna sospensione in via cautelare dei provvedimenti impugnati, di talché la mera pendenza dei ricorsi suddetti non poteva in alcun modo incidere né sulla validità né sull’efficacia dei provvedimenti di rigetto del condono posti a fondamento delle ordinanze n. 195 e n. 196 del 2011.

17.6. Quanto alla pretesa conformità urbanistica delle opere medesime, a prescindere dalla genericità dell’affermazione, occorre al riguardo richiamare le osservazioni svolte nel merito della legittimità dei dinieghi di condono svolte infra ai §§ 18 e ss.

17.7. In tutte le ordinanze di demolizione richiamate, risulta inoltre chiaramente contestato che le opere in questione fossero state realizzate in zona sottoposta a tutela paesistica nonché dichiarata sismica senza che fosse stato mai ottenuto il relativo nulla-osta da parte delle Autorità preposte alla tutela del vincolo, senza che la ricorrente abbia sul punto fornito alcun elemento di prova di segno contrario.

17.8. Né risulta conferente la tesi, ribadita nella memoria conclusiva da parte della società ricorrente, secondo cui le “opere (coperture dei macchinari, ampliamento delle tettoie, coperture dei quadri elettrici, coperture dei veicoli destinati ai trasporti dei prodotti per l’industria, etc.)” sarebbero state tutte richieste dalle competenti autorità (ASL, Arpa, Provincia di Roma, etc.) al fine di adeguare l’impianto industriale del sito alle normative in materia sanitaria e di sicurezza sul lavoro e ridurre (abbattimento dei fumi ed immissioni in atmosfera) gli impatti ambientali dei macchinari industriali, conformandoli ai limiti previsti dalle norme e disposti dalle autorità”. Ed invero, anche ammessa la necessità delle opere suddette ai fini di adeguamento dell’impianto industriale alle normative vigenti in materia di sicurezza, ciò non elimina il necessario rispetto, per la relativa realizzazione, del regime edilizio ed urbanistico dell’area in cui avrebbero dovuto essere insistere.

18. Deve ora passarsi all’esame dei ricorsi R.G. 8678/2011 e R.G. 8680/2011 aventi rispettivamente ad oggetto i provvedimenti di diniego della richiesta di condono di cui alle determinazioni n. 596/2011 e n. 597/2011.

18.1. Quanto al primo, la società ricorrente espone di aver presentato richiesta di sanatoria per un locale non residenziale adibito ad ufficio in data 2 /10/1994 ex art. 39 L. n. 724/1994 e che il Comune di Ariccia aveva espresso al riguardo parere favorevole, ma che, successivamente, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio, con determinazione n. 122 del 15/12/2002, aveva annullato tale parere.

18.2. Ebbene deve al riguardo rilevarsi che il ricorso n. r.g. 5851/2004 proposto dall’odierna ricorrente avverso il decreto in data 2.2.2004 della Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio del Lazio, con il quale era stato annullato il parere favorevole espresso dallo stesso Comune di Ariccia, è stato definito con sentenza n. 4130/2016 che ha dichiarato estinto il relativo giudizio “per perenzione”.

18.3. Pertanto non può essere più ammessa alcuna censura avverso il decreto di annullamento n. 122 del 15/12/2002, posto a fondamento del diniego del condono impugnato, che costituisce l’atto presupposto del diniego gravato con il ricorso R.G. n. 8678/2011. Ne deriva che tale ricorso deve essere respinto.

18.4. Quanto al ricorso R.G. n. 8680/2011, con il quale la società ha avversato l’ulteriore determina dirigenziale n. 597 del 10/06/2011 di rigetto del condono edilizio presentata dalla società Centro Grassi Ariccia s.r.l. in data 9 dicembre 2004, prot. n. 35615, relativa a due manufatti non residenziali (ufficio -magazzino), in ragione del ritenuto contrasto con l’articolo 32, comma 27, lettera d), della legge n. 326/2003, deve ritenersi del pari infondato.

18.5. Premesso che è incontestato che i due manufatti ricadano in area paesaggisticamente vincolata, come già osservato dalla Sezione (cfr. sentenza n. 9590/2018), la questione dell’ammissibilità del cd. “terzo condono edilizio” in area vincolata attiene in primo luogo all’esegesi dell’art. 32, comma 26, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in legge 24 novembre 2003, n. 326: “26. Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47; b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio”. Detto comma va letto in combinato disposto con le previsioni dell’Allegato 1: - Tipologia 1. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici; - Tipologia 2. Opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio, ma conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data di entrata in vigore del presente provvedimento; - Tipologia 3. Opere di ristrutturazione edilizia come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; - Tipologia 4. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio, nelle zone omogenee A di cui all’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444; - Tipologia 5. Opere di restauro e risanamento conservativo come definite dall’articolo 3, comma 1, lettera c) del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; 7/7/2019 6/9 - Tipologia 6. Opere di manutenzione straordinaria, come definite all’articolo 3, comma 1, lettera b), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo edilizio; opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume.

18.6. Nel caso in esame si verte inequivocabilmente in un caso di nuove costruzioni ricadenti nella Tipologia 1, che insistono in area sottoposta a vincolo paesistico, adottato ai sensi della legge n. 1497/1939.

18.7. Ebbene questa Sezione, con la recente sentenza 17 aprile 2018, n. 4220, ha ulteriormente ribadito che va confermato l’orientamento giurisprudenziale dominante, secondo il quale l’art. 32, comma 26, lettera a), della legge n. 326 del 2003, ha distinto le tipologie di illecito di cui all’allegato 1, numeri da 1 a 3 (opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in difformità dal titolo edilizio), per le quali è possibile la sanatoria in tutto il territorio nazionale, mentre nelle aree sottoposte a vincolo ha ammesso la sanatoria solo per le “le tipologie di illecito di cui all’allegato 1 numeri 4, 5 e 6”, opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6).

18.8. Pertanto, il condono edilizio di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 della legge n. 326 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato, 7/7/2019 7/9 sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Consiglio di Stato Sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4007).

18.9. Non possono invece essere sanate quelle opere che hanno comportato la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque di inedificabilità, anche relativa (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 maggio 2016 n. 1664; 17 marzo 2016 n. 1898, Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Consiglio di Stato Sez. IV, 27 aprile 2017, n. 1935).

19. Questa impostazione è stata invero recepita anche dalla giurisprudenza penale, la quale afferma che il condono edilizio del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass. pen., sez. III, 20 maggio 2016 n. 40676). 6. Analogamente si è pronunciato il TAR Campania - Napoli sez. III, 7 giugno 2017, n. 3074, che ha richiamato anche la giurisprudenza costituzionale nei seguenti termini: “Inoltre è opportuno osservare che la legge contempla globalmente tutti gli immobili vincolati, tant’è che è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che avevano ampliato l’area degli interventi ammessi a sanatoria attribuendo effetto impeditivo della sanatoria ai soli vincoli che comportino inedificabilità assoluta” (cfr. Corte cost., 27/2/2009, n. 54; 6/11/2009, n. 290). Per contro altre disposizioni si sono sottratte alla declaratoria di incostituzionalità solo in quanto interpretate in senso coerente con la normativa statale che nel citato art. 32, co. 27, lett d), comprende la salvaguardia anche dei vincoli di inedificabilità relativa (cfr. Corte cost., 10/2/2006, n. 49).

19.1. Pertanto, il diniego di condono impugnato risulta del tutto coerente con il quadro normativo di riferimento, giacché i due manufatti oggetto della richiesta di sanatoria devono essere considerati quali “opere di nuova costruzione”, in quanto tali insuscettibili di rientrare nelle tipologie 4, 5 o 6 del menzionato Allegato 1.

19.2. Né può rilevarsi alcuna carenza motivazionale del diniego in ordine al preteso impatto ambientale, trattandosi di un’ipotesi di insanabilità prevista direttamente dalla legge.

19.3. Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi anche il ricorso R.G. n. 8680/2011 deve essere respinto.

20. Quanto al ricorso n. R.G. 822/2012, esso ha ad oggetto la determinazione n. 1094/2011 nella parte in cui l’Amministrazione ha dichiarato non procedibile la domanda di permesso di costruire presentata dalla Centro 1 Grassi Ariccia s.r.l. in data 20/09/2010 ex art. 36 del DPR n. 380/2001 e si fonda sull’assunto per cui detto diniego sarebbe stato assunto in carenza dei presupposti e di istruttoria.

20.1. L’assunto, a prescindere dalla genericità della relativa formulazione, è infondato sotto entrambi i profili.

20.2. Ed invero, sul punto il provvedimento impugnato risulta così motivato: “non essendo le opere conformi alle norme urbanistiche ed edilizie per le zone agricole, in zona con vincolo Paesistico, di Parco e sismico, né risulta correttamente riportato che alcuni abusi sono stati dichiarati insanabili ai sensi delle domande introdotte una con legge n. 724/1994 e l’altra con legge n. 326/2003 e che le stesse sono oggetto di ordinanze di demolizione e rimessa in pristino” rispetto alle quali risultano “decorsi i tempi per ottemperare (…), né risulta graficizzata la proposta di post-operam finale di adeguamento dell’immobile/complesso edilizio omettendo di prevedere e graficizzare lo stato finale senza i numerosi abusi insanabili”.

20.3. Ebbene, la società non ha dimostrato l’erroneità di alcuno dei presupposti su cui si fonda il diniego in esame, giacché non è contestato né che i manufatti in questione ricadano in area sottoposta a vincolo paesaggistico, né che risultino eseguiti in violazione delle norme vigenti a tutela del Parco regionale dei Castelli Romani (di cui all’adozione commissariale con atto n. 1 del 31.3.1998), né che in relazione ad essi siano mai stati ottenuti, anche in via postuma, i necessari nulla-osta da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. A ciò va aggiunto che, contrariamente a quanto prospettato dalla ricorrente, dalla descrizione degli abusi effettuati con le ordinanze di demolizione sopra richiamate, la consistenza dei manufatti sia per il numero che per le dimensioni concrete risulta tutt’altro che trascurabile, avendo di fatto interessato gran parte della superficie occupata dall’opificio.

20.3. Pertanto, anche il ricorso R.G. n. 822/2012 deve essere respinto.

21. Passando ad esaminare il ricorso r.g. n. 4997/2012, la censura di pretesa tardività della determinazione della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo di diniego della compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 42/2004 (con riguardo alla realizzazione di “tettoie e locali tecnici”) è priva di fondamento.

21.1. Ed invero risulta in fatto che: a) la documentazione sia stata trasmessa alla Soprintendenza in data 3.11.2011, b) il preavviso di rigetto è stato adottato il 29.2.2012, c) la società ricorrente ha fatto pervenire le sue osservazioni in data 15.3.2012, d) il provvedimento definitivo è del 23.4.2012.

Ebbene, come condivisibilmente osservato in giurisprudenza, la perentorietà del termine di 90 giorni previsto dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 non riguarda la sussistenza del potere, ma semplicemente l’obbligo di concludere la relativa fase del procedimento, obbligo che, se rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze (Consiglio di Stato sez. VI, 13/05/2016, n.1935). Quindi, nel caso di superamento del medesimo termine (così come avviene nel caso di superamento del termine di centottanta giorni, fissato dal medesimo art. 167, comma 5, per la conclusione del procedimento), non si realizza un’ipotesi né di inesistenza né di illegittimità del parere infine espresso, posto che il codice dei beni culturali e del paesaggio non ha previsto per tale fattispecie né la perdita del relativo potere, né la formazione di un silenzio qualificato o significativo.

21.2. Inoltre deve essere esclusa la natura pertinenziale degli interventi realizzati.

Infatti, la nozione generale di “pertinenza” è contenuta nell’ 817 c.c. (cose destinate, in modo durevole, a servizio o ad ornamento di un’altra cosa), tuttavia la nozione urbanistico-edilizia assume delle peculiarità, data la specificità della materia e la differente finalità pubblica posta a base della relativa normativa. Il concetto di pertinenza urbanistica è ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa meno ampio di quello definito dall’art. 817 c.c., tale da non poter consentire la realizzazione di opere soltanto perché destinate al servizio di un bene qualificato come principale (cfr. Cons. St. sez. IV, 17/5/2010, n. 3127).

La pertinenza urbanistica è, dunque, configurabile solo quando vi sia un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra la cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione del bene accessorio ad un uso pertinenziale durevole, sempreché l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (cfr. Cons. St., sez. VI, 29/1/2015, n. 406; Cons. St., sez. VI, 5/1/2015, n. 13).

21.3. Ebbene, nel caso di specie, sulla base dei documenti versati in atti nonché dei rilievi fotografici dello stato dei luoghi depositati dalla medesima ricorrente, si evince che i numerosi ampliamenti realizzati nonché le tettoie e porticati “a copertura” dei vari manufatti e/o macchinari integrano senza dubbio una concreta trasformazione edilizia che aggrava il carico urbanistico dell’area, con una modificazione altresì della sagoma e del prospetto originario dell’edificio principale, comportante aumenti di volumetria non irrilevanti che conducono ad escludere il rapporto pertinenziale. Peraltro deve persino escludersi che si tratti di opere che accedono a edifici “legittimamente esistenti”, considerato che per lo più esse riguardano manufatti già oggetto delle ordinanze di demolizione e dei dinieghi di condono edilizio sopra richiamati. Ad una valutazione complessiva, quindi, emergono ictu oculi modifiche strutturali e planovolumetriche dell’edificio originariamente assentito per consentire la realizzazione di una nuova struttura prive dei caratteri pertinenziali sostenuti con il ricorso, e ciò in una zona dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497/1939.

21.4. Pertanto, anche tale ricorso deve essere respinto sotto tutti i profili sollevati.

22. Infine occorre esaminare il ricorso 8607/2012 avente ad oggetto il provvedimento n. 619 in data 28.8.2012 di acquisizione gratuita delle particelle n. 861, 862, 863, per una superficie complessiva pari a mq 8810 (mq 7798 + mq 945 + mq 67). Secondo la ricorrente infatti tale provvedimento avrebbe determinato un’acquisizione superiore al decuplo della superficie relativa all’area di sedime dei manufatti abusivi “che avrebbe dovuto esser pari a mq. 364,90”. La ricorrente ha in ogni caso lamentato la carenza di un’adeguata motivazione in ordine all’acquisizione dell’ “area ulteriore”.

22.1. Sul punto occorre precisare che, ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380/2001, l’acquisizione concerne ordinariamente non solo il bene e la relativa area di sedime, ma anche l’area necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (nel limite massimo, tuttavia, del decuplo della complessiva superficie utile abusivamente costruita). Nella chiara configurazione normativa l’acquisizione di tale area ulteriore è una sanzione che l’ordinamento pone come conseguenza automatica e doverosa dell’inottemperanza all’ordine demolitorio dell’opera abusiva (salvo i casi in cui venga ad incidere sui diritti dei terzi o sulle porzioni di manufatti legittimi, nel qual caso l’acquisizione è limitata al manufatto abusivo e alla sua sola area di sedime) e non è, come tale, soggetta a specifici obblighi motivazionali in ordine alle ragioni di pubblico interesse. L’applicazione della norma in esame impone, tuttavia, all’Amministrazione comunale di assolvere all’obbligo motivazionale in ordine alle modalità del calcolo (in relazione ai parametri urbanistici in astratto applicabili per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusivamente realizzate) con cui perviene all’individuazione di tale “area ulteriore”. In sostanza, l’Amministrazione procedente deve indicare la classificazione urbanistica e il relativo regime per l’area oggetto dell’abuso edilizio e quindi sviluppare (in base agli indici di fabbricabilità, territoriale o fondiaria, conseguentemente applicabili) il calcolo della superficie occorrente per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive. La dettagliata descrizione e precisa individuazione della superficie oggetto di acquisizione è richiesta laddove il Comune intenda acquisire non solo la res abusiva e la relativa area di sedime, ma anche la superficie ulteriore, non superiore al decuplo di quella occupata con l’immobile abusivo, necessaria a realizzare opere analoghe a quella abusivamente realizzata.

22.2. Ebbene, dall’esame del provvedimento impugnato, l’Amministrazione si è limitata a richiamare i frazionamenti prot. n. 331521/2012 del 26.3.2012 e n. 353826/2012 del 29.3.2012, senza tuttavia che sia possibile evincere in che modo e sulla base di quali parametri l’Amministrazione sia pervenuta alla quantificazione dell’area ulteriore, né è specificato quale sia l’area di sedime in concreto considerata.

22.3. Ne deriva che il ricorso è fondato per l’assoluta carenza di motivazione in ordine alle modalità di calcolo utilizzate per la quantificazione dell’area ulteriore a quella di sedime occupata dai manufatti abusivi contestati cone le ordinanze di demolizione n. 131/2010, 139/2010, 194/2011, 195/2011 e 196/2011.

23. Alla luce delle reiezioni dei ricorsi sopra descritti, e prescindendo dall’assoluta genericità delle relative formulazioni, devono essere respinte anche tutte le domande di risarcimento dei danni con essi proposte, per il difetto dell’elemento oggettivo dell’ingiustizia del pregiudizio in tesi subito.

24. Tenuto conto del tempo trascorso dall’incardinamento dei ricorsi e di tutte le circostanze delle fattispecie sottoposte a scrutinio, sussistono nondimeno giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite con riguardo a tutti gli odierni ricorsi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, e previa loro riunione, così statuisce:

a) dichiara l’improcedibilità del ricorso r.g. n. 3245/2012 per sopravvenuta carenza di interesse;

b) accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso r.g. n. 8607/2012;

c) respinge i ricorsi nn. di r.g. 11313/2010, 11316/2010, 8678/2011, 8680/2011, 10220/2011, 10222/2011, 10223/2011, 822/2012 e 4997/2012.

Compensa le spese di lite in tutti i ricorsi riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:

Leonardo Pasanisi, Presidente

Floriana Rizzetto, Consigliere

Silvia Coppari, Primo Referendario, Estensore