TAR Lazio (RM) Sez. IIbis sent.2694 del 17 aprile 2009
Urbanistica. Risarcimento danni

Sui presupposti per il risarcimento del danno nei confronti della PA per il ritardo nel rilascio di un provvedinmento

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Sent. n.
R.G. 9660/2003
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma – Sez. II Bis
composto dai Magistrati
Eduardo PUGLIESE Presidente
Francesco RICCIO Consigliere
Mariangela CAMINITI 1° Referendario, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 9660/2003, proposto dalla società FABEL S.r.l., con sede in Mentana (Roma), via Arno, n.1, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Biz e Alessandro Cardelli ed elettivamente domiciliata con gli stessi in Roma, via dei Liburni, n. 2, presso lo studio del primo,
contro
il COMUNE di SANT’ANGELO ROMANO (Roma), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Stefano Paternò, sostituito dall’avv. Federica Magnanti ed elettivamente domiciliato con la stessa in Roma, via Luigi Capuana, n.175,
per il risarcimento
del danno ingiusto conseguente alla violazione dell’interesse pretensivo all’ottenimento della richiesta concessione edilizia.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato, la documentazione e le memorie difensive depositate;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla Pubblica udienza del 4 dicembre 2008 il 1^ Referendario Mariangela Caminiti, e uditi l’avv. R.Biz, per la società ricorrente, e l’avv. F.Magnanti per il Comune resistente, come da verbale di udienza allegato agli atti del giudizio;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1. La società Fabel Srl riferisce che in data 28.9.1991, prot. n. 3292/91 ha richiesto al Comune di Sant’Angelo Romano il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione di un laboratorio/magazzino sul lotto di terreno di sua proprietà sito nel Comune stesso, località “Osteria Nuova”, censito al Catasto al Foglio n. 16, prt.lla 888, destinazione urbanistica “Zona D1” di PRG: “Insediamenti produttivi”.
A seguito di accesso ai documenti del procedimento presso l’ufficio comunale, la società ricorrente ha appreso dell’esito favorevole della CEC nella seduta del 20.11.1991 e, confidando del buon esito dell’istanza, la stessa ha stipulato in data 14.1.1992 con un’impresa di costruzioni un contratto di appalto per la realizzazione del fabbricato. La comunicazione dell’approvazione del progetto da parte della CEC è stata formalizzata dal Comune con nota del 1.8.1992 nella quale ha anche precisato che la concessione edilizia potrà essere rilasciata non appena sarà approvato il P.I.P., allo stato in fase di studio.
Dopo l’autorizzazione regionale (Delibera GR 9.4.1992, n. 24274), il Consiglio comunale con delibera n. 123 del 27.11.1993 ha adottato in via definitiva il PIP, con la conferma per l’area in questione della medesima destinazione riconosciuta dal PRG.
Nonostante ciò, il Comune, anche a seguito di varie sollecitazioni da parte della ricorrente e degli istituti di credito interessati dalla stessa ai fini del finanziamento dell’opera, non ha rilasciato la concessione edilizia, ma anzi con nota n. 510 del 6.2.1995 ha richiesto l’adeguamento del progetto e della documentazione.
In seguito, su insistenza dei rappresentanti della società riguardo la non necessità di detto adeguamento, il Comune, con delibera del C.C. n. 108 del 20.9.1995, ha approvato la convenzione per l’attuazione del PIP tra la società Fabel e il Comune stesso. Detta delibera, però, è stata annullata da parte del Co.re.Co nella seduta del 2.11.1995 e così solo con successiva Delibera del C.C. n. 21 del 19.4.1996 il PIP del Comune è stato definitivamente approvato. Lamenta la società che nonostante ciò il Comune non si sarebbe attivato al rilascio della concessione edilizia richiesta e avrebbe tenuto un comportamento elusivo del proprio obbligo di provvedere provocando ulteriore danno alla ricorrente (risoluzione del contratto di appalto, decadenza dei finanziamenti ottenuti).
In seguito in data 18 dicembre 1998, prot. n. 005845, la soc. Fabel srl ha proposto al Comune esplicita diffida ad adempiere.
Lamenta la società che l’Assessorato all’Urbanistica invece di provvedere ha richiesto con nota 25.1.1999, prot. n. 351 all’Assessorato Reg. Sviluppo Economico e Att. Produttive, all’Assessorato regionale all’Urbanistica della Regione e al Co.Re.Co un parere di legittimità preventivo circa la possibilità giuridica di rilasciare concessioni edilizie autonome in zona PIP, successivamente all’approvazione definitiva del piano. Con nota dell’11 marzo 1999, prot. n. 544, l’Assessorato Sviluppo Economico ed Attività Produttive della Regione Lazio ha comunicato che il Comune può rilasciare le concessioni edilizie alle imprese artigianali proprietarie dei terreni che ne fanno richiesta, mentre l’Assessorato Urbanistica della Regione ha rimesso la questione all’Avvocatura regionale e il Co.re.Co si è dichiarato incompetente.
A questo punto, il Comune con nota del 14 aprile 1999, prot. n. 1607 ha richiesto al rappresentante della società la sussistenza dell’interesse ad ottenere la concessione edilizia attesa l’adesione alla soluzione prospettata dall’Ass. Sviluppo economico, sia pure con riserva dell’Assessorato urbanistica. La società ha comunicato all’Amministrazione il suo assenso
E così la società, a seguito di accesso agli atti amministrativi, ha preso visione della nota 8 giugno 1999, prot. n. 5573 dell’Assessorato Urbanistica della Regione inviata al Comune, con la quale lo stesso, deducendo l’assenso dell’Avvocatura, avrebbe fatto proprie le conclusioni dell’Assessorato all’Industria, confermando la possibilità del rilascio della concessione edilizia in questione.
Dopo un ulteriore atto di diffida ( atto 18.6.1999, prot. n. 2591), inoltrato dalla società al Comune lo stesso ha rilasciato in data 27 settembre 1999 la concessione edilizia per la esecuzione delle sole opere di urbanizzazione, previa stipulazione della convenzione tra la società e il Comune (rogito rep. n. 129000, racc.n.3222, reg. a Tivoli il 6.8.1999) e la società ricorrente riferisce di aver sottoscritto due preliminari di compravendita con soggetti interessati all’acquisto del terreno e della realizzazione del fabbricato, preliminari però risolti per il ritardo dell’adozione del provvedimento autorizzatorio.
Infine, in data 18 maggio 2000, il Comune, su ulteriore parere favorevole della CEC (disp. n. 1 del 16.2.2000), ha rilasciato la concessione edilizia, concludendo così il procedimento amministrativo avviato il 28 settembre 1991.
Lamenta la società che tutte le argomentazioni sollevate dall’Amministrazione nel corso del periodo a giustificazione dell’inerzia a provvedere sull’istanza sarebbero state pretestuose e prive di fondamento e la stessa avrebbe dovuto rilasciare la concessione fin dall’8.7.1994, data di approvazione del Piano degli Insediamenti produttivi da parte della Regione Lazio o, comunque, fin dal 19.4.1996, anno di definitiva approvazione del PIP da parte del Comune.
Al riguardo, ritenendo lesa una situazione soggettiva d’interesse tutelata dall’ordinamento, la società Fabel srl ha chiesto a questo Tribunale amministrativo regionale l’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune in ordine all’istanza del 28.9.1991 per il rilascio di concessione edilizia e della responsabilità dello stesso, con la conseguente condanna del medesimo al risarcimento dei danni subiti, allegando al gravame i seguenti motivi Violazione e/o falsa applicazione dell’art.4 L.4 dicembre 1993, n. 493;Violazione e/o falsa applicazione dell’art.97 Cost e delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi: la condotta omissiva imputabile al Comune nella definizione dell’istanza concessoria avrebbe ritardato la facoltà edificatoria della ricorrente nel terreno di sua proprietà e sarebbe lesiva dell’interesse legittimo della stessa in quanto avvenuta contra legem e in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione dell’azione amministrativa.
Il Comune di Sant’Angelo Romano si è costituito in giudizio per resistere al ricorso e ha controdedotto alle difese attoree, eccependo profili di inammissibilità del ricorso per mancanza dei presupposti per poter accordare la pretesa richiesta di risarcimento, non sussistendo un comportamento omissivo dello stesso, attesa la conclusione del procedimento e non potendosi così concretizzare la contestata inerzia dell’Amministrazione.Tra l’altro, il Comune ha censurato la prescrizione della pretesa di risarcimento del danno per decorso del termine quinquennale atteso che dall’opposto rifiuto alla richiesta nel 1996 e fino alla notifica del ricorso (26.7.2000) sarebbero trascorsi più di cinque anni per far valere il diritto eventualmente leso.
Con memoria depositata in data 20 aprile 2006, prot. n. 23258, il Comune ha comunicato la sostituzione del difensore costituito, insistendo sulla inammissibilità del gravame.
Alla Pubblica Udienza del 4 dicembre 2008 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Viene in decisione il ricorso interposto dalla società Fabel srl per l’accertamento dell’illegittimità del comportamento e della responsabilità del Comune di Sant’Angelo Romano in ordine al ritardo nel rilascio della concessione edilizia a seguito dell’istanza presentata dalla società stessa in data 28.9.1991 e per la conseguente condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente.
Si premette che, con atto 27 settembre 1999, prot. n. 3022, il Comune ha concesso alla società di eseguire i lavori di urbanizzazione secondo le norme del PIP e rispettando integralmente la convenzione e, con successivo provvedimento in data 18 maggio 2000, ha concesso alla stessa l’atto autorizzatorio per l’esecuzione dei richiesti interventi edilizi.
Asserisce la società di avere titolo alla tutela risarcitoria per l’illegittimo ritardo nel rilascio della concessione edilizia evidenziando come, nella specie, l’istanza è stata definita a distanza di un lungo lasso di tempo e che le argomentazioni sollevate dall’Amministrazione nel corso del procedimento sulla complessità giuridica del caso, peraltro, non sussisterebbero. Il danno patrimoniale subito è stato quantificato dalla società ricorrente in una somma di euro 250.000,00 (duecentocinquantamila), ovvero di quella ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione.
La pretesa è stata contrastata dal Comune resistente che ha eccepito profili di inammissibilità del gravame atteso che non vi sarebbe stata una condotta omissiva da parte del medesimo, in quanto la concessione edilizia non sarebbe stata rilasciata per le stesse ragioni esplicitate nel ricorso e cioè, per mancanza del PIP, né la società avrebbe impugnato il rifiuto opposto dal Comune contro la diffida nel quale ha espresso la necessaria approvazione del PIP.
1.1. Il Collegio rileva che il ricorso presenta profili di inammissibilità alla luce delle considerazioni di seguito riportate.
Va premesso che nel nostro diritto positivo non è previsto, allo stato attuale della legislazione, un meccanismo riparatore dei danni causati dal ritardo procedimentale in sé e per sé considerato. A questo proposito, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che in presenza del mancato tempestivo soddisfacimento dell’obbligo dell’Autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative, si è al cospetto di interessi legittimi pretensivi del privato, la cui tutela ricade, per loro intrinseca natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo (e, trattandosi della materia urbanistica-edilizia, nella sua giurisdizione esclusiva); come tali esulano dai meri “comportamenti” della P.A. invasivi dei diritti soggettivi del privato ed espunti dalla giurisdizione amministrativa in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 (cfr. Cons. Stato, Ad. Plenaria, n. 7 del 15 settembre 2005; Tar Lazio, Roma, sez. III quater, 31 marzo 2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I, 20 novembre 2008, n. 2901).
Il danno da ritardo, secondo l’orientamento giurisprudenziale, non ha un’autonomia strutturale rispetto alla fattispecie procedimentale da cui scaturisce ed è legato inscindibilmente alla positiva finalizzazione di quest’ultima (cfr. Cons. Stato, sez. V, 2 marzo 2009, n. 1162); infatti, secondo la richiamata decisione dell’Ad. Plen. n. 7/2005, non è risarcibile il danno da ritardo “puro” quando è disancorato dalla dimostrazione giudiziale della meritevolezza di tutela dell’interesse pretensivo fatto valere (e quando l’Amministrazione abbia adottato con notevole ritardo, un provvedimento negativo rimasto inoppugnato).
A queste premesse, va aggiunto che l’azione di risarcimento da ritardo della P.A., pur ammessa in astratto e rientrante nell’alveo del danno da lesione di interessi legittimi, in applicazione del principio dell’atipicità dell’illecito civile, deve essere ricondotta nell’ambito dell’art.2043 cod. civ., per l’identificazione degli elementi costitutivi dell’illecito, e a quello del successivo art. 2236 cod.civ., per delineare i confini della responsabilità.
E quindi, detta azione di risarcibilità del danno, inquadrandosi nella sua natura “extracontrattuale”, comporta che il bene della vita conseguito in modo differito sia avvenuto per il fatto altrui, quanto meno colpevole. E’ pacifico, per giurisprudenza ormai costante, che non è sufficiente la illegittimità (del provvedimento o) dell’inerzia amministrativa per ritenere integrata una fattispecie di responsabilità aquiliana della P.A., essendo essenziale ad integrare la fattispecie il giudizio di imputabilità soggettiva, quantomeno a titolo di colpa dell’apparato amministrativo procedente (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2008, n. 4242; idem, 2 marzo 2009, n. 1162).
Ne deriva che, per riconoscere la fondatezza della domanda così avanzata è necessario che il difettoso funzionamento dell’apparato pubblico sia riconducibile ad un comportamento negligente o ad una volontà di nuocere o si ponga in contrasto con le prescrizioni di legalità, imparzialità e buon andamento di cui all’art.97 della Cost., non essendo riconducibile il superamento dei termini di conclusione del procedimento in violazione dell’art.4 della Legge n.493 del 1993, attesa la natura acceleratoria degli stessi (cfr.Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7623; Tar Lombardia, Milano, sez.III,17 gennaio 2007, n. 71; Tar Lazio, Roma, sez. III quater, 31 marzo 2008, n. 2704; Tar Piemonte, sez. I, cit. n. 2901/2008).
Tale azione di risarcimento del danno, inquadrandosi nella sua natura extracontrattuale, richiede la prova della quantificazione dello stesso con riferimento sia al danno emergente che al lucro cessante, in quanto elementi costitutivi della relativa domanda, ai sensi dell’art. 2697 (cfr. Tar Puglia, Bari, sez. I, 26 giugno 2008, n. 1555; Tar Lazio, Roma, cit. n. 2704/2008).
Per di più, non va sottaciuto che nel caso specifico di domanda di risarcimento dei danni per il ritardo nel rilascio della concessione edilizia, il danno è da farsi conseguire, comunque, alla concreta esecuzione dell’opera, non essendo di per sé sufficiente il riconoscimento tardivo del titolo di legittimazione edificatoria, (cfr. Tar Sicilia, Catania, sez.I, 3 luglio 2007, n. 1158).
Ed invero, nella specie, l’assetto completo degli interessi non appare definito al momento dell’adozione del tardivo titolo, per cui mancano i presupposti del risarcimento con riguardo al quantum (tale accertamento va determinato dopo l’edificazione, con il calcolo delle differenze tra il costo della costruzione ottenuta e quello rapportato ai prezzi dell’epoca in cui l’Amministrazione avrebbe dovuto emanare il provvedimento finale), nonché l’effettiva potenzialità reddituale di quanto realizzato. Ciò in quanto la configurabilità del danno emergente (maggior costo di costruzione) e del lucro cessante (mancata produzione del reddito a seguito dello sfruttamento dell’immobile) necessita di un termine di paragone essenziale costituito dalla realizzazione dell’opera e, in sua mancanza, viene meno la base del calcolo su cui liquidare il danno.
Premesso ciò, il Collegio rileva che, come emerge dall’esposizione in fatto, è pur vero che l’istanza di concessione edilizia per la realizzazione di un laboratorio/magazzino sul lotto di terreno di proprietà della società ricorrente risale al 1991 e soltanto in data 27 settembre 1999 e 18 maggio 2000 risulta denegata con formali provvedimenti, nonostante il parere favorevole della CEC; tuttavia, come è stato rappresentato dalla stessa società e confermato dagli atti depositati, nel citato lasso di tempo il procedimento si è articolato in una serie di fasi legate dapprima all’approvazione del PIP e alla convenzione conseguente, seguita dall’annullamento da parte del Co.re.CO della deliberazione di approvazione dello schema di convenzione di cui alla delibera del C.C. n. 108 del 1995; a ciò si è collegata una ulteriore fase del procedimento volta ad acquisire dagli Assessorati competenti della Regione Lazio e dallo stesso Co.re.Co un parere preventivo per il comportamento da seguire per il rilascio della concessione edilizia dopo il blocco procedimentale operato dal Co.re.CO medesimo (vedi nota del Comune n. 351 del 25.1.1999).
Peraltro, va posto in rilievo che il parere della Commissione edilizia comunale, reso prima dell’approvazione del PIP e della stipula della relativa convenzione, ha un contenuto endoprocedimentale e non è suscettibile di incidere su prescrizioni adottate con strumenti urbanistici sopravvenuti, come quelle recate dal successivo PIP e dalla convenzione; d’altra parte, tale parere, a causa della sua previetà, non può assumere valore interpretativo di dette prescrizioni né, pertanto, ingenerare affidamento legittimo in capo al privato.
Del resto, occorre osservare che nel lasso temporale del procedimento la società ricorrente ha contrapposto al comportamento dell’Amministrazione comunale solo degli atti di diffida, non utilizzando gli altri strumenti consentiti dall’ordinamento in materia di silenzio-inadempimento, senza opporre, altresì, gravame agli atti adottati dalle Amministrazioni coinvolte e ritenuti dalla stessa società ricorrente dilatori e lesivi; in tal modo, la società ha evidenziato un comportamento acquiescente a quello dell’Amministrazione comunale, con conseguente derivazione di profili di inammissibilità dell’odierno ricorso.
In definitiva, le vicende procedimentali non dimostrano l’evidenza di un comportamento colposo di inerzia da parte dell’Amministrazione, ma lo svolgimento di una articolata istruttoria da parte dell’apparato amministrativo che si è conclusa poi con il rilascio dell’invocata autorizzazione; in disparte, poi la circostanza, non meno rilevante, che la società ha formulato una richiesta di risarcimento sommaria, indicando una cifra forfetaria e generica del danno subito e non fornendo, anche da ultimo, specifici elementi di prova, la cui indicazione grava sulla parte richiedente il risarcimento (cfr. Tar Campania, Salerno, sez. II, 21 giugno 2008, n. 1988).
In conseguenza, il Collegio dichiara la inammissibilità del ricorso e, in relazione alla natura della controversia, stima equo disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti sussistendone giustificati motivi.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma – Sez. Seconda Bis – pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo dichiara inammissibile.
Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 4 dicembre 2008.
Eduardo PUGLIESE Presidente
Mariangela CAMINITI Estensore