La questione della doppia conformità nella sanatoria edilizia. Un falso problema ?

di MASSIMO GRISANTI

L’accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n° 380/2001 (e prima l’art. 13 della Legge n° 47/1985) ha occupato in lungo e largo la dottrina e la giurisprudenza sia amministrativa che penale.

 

Ora con posizioni rigide, ora garantiste, e recentemente di nuovo rigide riguardo alla c.d. doppia conformità quale metro di giudizio per poter rilasciare la sanatoria estintiva del reato ed assicurante il mantenimento in vita della res abusiva.

 

Personalmente mi ha sempre intrigato la non chiara formulazione letterale, che qui riproduco:

In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.”.

 

L’utilizzazione della doppia congiunzione disgiuntiva “sia” – “sia”, rimarcata dall’utilizzazione della virgola “,”nella separazione delle due epoche temporali mi ha sovente portato a ritenere che il legislatore – in effetti – non abbia mai richiesto la doppia conformità ai fini dell’accesso alla sanatoria.

Del resto, anche nel normale lessico parlato la doppia congiunzione “sia” viene utilizzata per indicare indifferenza nella casualità dell’avveramento di condizioni predeterminate. Si pensi, ad esempio all’espressione: “Sia bello, sia brutto domani vado a vedere la partita”. E’ di tutta evidenza che il fatto avverrà in uno dei due casi tra loro diversi.

Così come sono diversi i momenti della realizzazione dell’opera e della presentazione della domanda.

 

Poiché la posta in gioco è ben più importante di una mera disquisizione grammaticale, occorre indagare se vi possa essere una ratio che giustifichi l’eventuale scelta del legislatore di non richiedere la c.d. doppia conformità, e ciò a tutela dell’ordinato assetto del territorio.

 

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Molti commentatori si sono soffermati sull’assenza, nell’attuale formulazione letterale dell’art. 36 T.U.E. e a differenza di quanto contenuto nel previgente art. 13 della legge n. 47/1985, del riferimento al contrasto con gli strumenti urbanistici adottati quale causa ostativa per ottenere la sanatoria.

A mio sommesso avviso non si tratta di una dimenticanza, ma di una modifica ben ponderata dovuta al fatto che:

  1. l’adozione degli strumenti urbanistici potrebbe essere una “mossa” che potenzialmente si può risolvere sia in favore, sia in danno del richiedente la sanatoria (invero, vi sono “politici amici”, ma anche “politici nemici”) e quindi non genuinamente aderente all’interesse pubblico da trasfondere nelle scelte di piano;
  2. le misure di salvaguardia si possono applicare solamente a permessi di costruire ordinari, cioè preventivi;
  3. la domanda di sanatoria è inammissibile se presentata successivamente all’irrogazione (e non già all’esecuzione) delle sanzioni amministrative e cioè successivamente all’adozione dell’ingiunzione/ordinanza di demolizione o di rimessa in pristino, che doverosamente deve intervenire – in caso di lavori in corso - entro 45 giorni dall’ordinanza di sospensione lavori;
  4. alla sanatoria non possono accedere gli interventi di lottizzazione abusiva.

 

Analizzando gli ultimi due punti si scorgerà come la vigilanza e la tempestività del Comune assume oltremodo rilevanza nel contrasto all’abusivismo edilizio, fermo restando che l’abusivismo urbanistico – per gli insediamenti abusivi realizzati dopo il 1° ottobre 1983 – non è mai rimediabile con strumenti urbanistici a sanatoria.

A tal riguardo è sufficiente il rimando all’art. 29 della Legge n° 47/1985 (contenuto al Capo III della Legge n° 47/1985) e al fatto che le successive disposizioni di sanatoria edilizia dell’art. 39 della Legge n° 724/1994 si applicano solamente per i Capi IV e V della suddetta Legge n° 47/1985.

 

La Cassazione Penale ha più volte sancito che l’accertamento di conformità ex art. 36 de D.P.R. n° 380/2001 (e prima dell’art. 13 della Legge n° 47/1985) non si applica alla lottizzazione abusiva.

Così come più volte ha sancito che costituisce lottizzazione abusiva (in quanto incidente sulla potestà pubblica di pianificazione che si esplicita anche con la doverosità di ricercare gli spazi di servizio per gli insediamenti e cioè gli standards di cui al D.M. n° 1444/68) non solo l’edificazione ex novo, ma anche la riutilizzazione del patrimonio edilizio esistente con mutamento di destinazione d’uso edilizia fra categorie urbanisticamente rilevanti in assenza di dimostrazione dell’esistenza (e giammai della previsione contenuta negli strumenti urbanistici) delle adeguate opere di urbanizzazione primaria e secondaria (c.d. standards).

 

Di conseguenza, non si pone alcun problema, ad avviso dello scrivente, per sanare gli abusi edilizi senza la c.d. doppia conformità, in quanto non deve comunque sussistere alcuna incidenza della res abusiva (sia in termini volumetrici ai fini del dimensionamento del piano, sia in termini di standards e di opere di urbanizzazione) rispetto alla pianificazione vigente sia al momento della sua realizzazione oppure al momento della domanda di sanatoria. Così la potestà pianificatoria pubblica non è stata incisa.

Peraltro, è sempre rimasto fermo il principio che lo Stato ammette le costruzioni solo se esistono le opere di urbanizzazione (almeno quelle di carattere primario, tra cui ricomprendere verde attrezzato e parcheggi pubblici).

 

Il legislatore statale ammette la sanatoria in caso di insediamento del nuovo “carico urbanistico” sganciato dalla preventiva pianificazione vigente purché la realizzazione dell’insediamento (uno o più edifici o loro ristrutturazione urbanisticamente rilevante) sia avvenuta entro e non oltre il 1° ottobre 1983. La sanabilità è comunque condizionata all’esistenza degli standards o alla previsione del loro reperimento e della loro realizzazione in concreto per mezzo della preventiva variazione degli strumenti urbanistici ai sensi dell’art. 29 della Legge n° 47/1985.

 

Per gli interventi edilizi che, invece, comportano l’insediamento di un nuovo “carico urbanistico” e che siano stati realizzati in data successiva al 1° ottobre 1983 non esiste alcuna possibilità di sanatoria perché il legislatore del 1985 – per contrastare efficacemente non solo l’abusivismo edilizio, ma anche la disordinata pianificazione – ha implicitamente vietato la variazione degli strumenti urbanistici (vedi il già citato art. 29 della Legge n° 47/1985).

Tale divieto ha posto la pianificazione e programmazione urbanistica in livello di primazia rispetto all’attività edilizia, con la conseguenza che alcun “nuovo” insediamento può essere sanato se il territorio che lo ospita non era stato preventivamente riconosciuto idoneo e come tale pianificato.

 

Ritengo, infine, che il recupero degli insediamenti abusivi, senza alcun limite temporale della loro esecuzione, possa essere ammesso solamente per quei Comuni che al 1° ottobre 1983 non erano dotati dello strumento urbanistico generale.

Così facendo, in ottica e in fase di prima pianificazione, i Comuni dovranno (in ossequio ai principi della Legge n° 1150/1942) obbligatoriamente considerare l’intero patrimonio edilizio e urbanistico esistente nel territorio comunale.

 

Se ci si pensa bene, il legislatore – fissando una data di ammissibilità per la sanatoria urbanistica ex art. 29 della Legge n° 47/1985 e al contempo vietando la sanatoria per le lottizzazioni abusive in fieri o future – ha voluto redarguire e penalizzare quei Comuni i quali non sono stati buon amministratori del proprio territorio, consentendo (più o meno esplicitamente) di far utilizzare ai privati, in modo insostenibile, i “beni comuni” che sono patrimonio della collettività e la cui tutela è garantita dall’art. 42 della Costituzione.

 

Infine si consideri che in ossequio ai principi comunitari sul c.d. “sviluppo sostenibile” non potranno essere redatte varianti a strumenti urbanistici che già contemplavano le valutazioni ambientali strategiche, in quanto una volta operata la “prima valutazione ambientale” contrastano icto oculi con i principi comunitari le successive valutazioni con effetti sananti nel concreto.

 

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Fermo restando quanto sopra esposto, sotto il profilo strettamente edilizio, poi, non si dimentichi che deve essere verificata l’aderenza al complesso della disciplina edilizia.

 

Ciò significa che può conseguire la sanatoria solo l’opera abusiva che risponde positivamente ai criteri edilizi vigenti solo al momento della presentazione dell’istanza.

 

Invero, qualora la res abusiva debba essere completata la relativa ultrattività edilizia non può che involgere (nella valutazione che l’Ufficio tecnico comunale dovrà obbligatoriamente esperire) l’opera nel suo complesso; nel caso in cui necessitino opere di adeguamento (alla disciplina edilizia vigente al momento della presentazione dell’istanza) di quanto già costruito ecco che non è possibile accogliere la domanda in quanto viene modificata la res abusiva oggetto di sanatoria.

 

Diversamente, qualora la res abusiva è completata ed è conforme alla sola disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione è fatto obbligo per l’Ufficio tecnico comunale operare quelle valutazioni che il legislatore prescrive per l’ottenimento del certificato di agibilità ex artt. 24 e 25 del T.U.E., in quanto non avrebbe alcun senso sanare un manufatto per il quale non può concedersi l’abilitazione alla sua utilizzazione.

Con la conseguenza che a seguito dell’accoglimento dell’istanza di sanatoria il rilascio del certificato di agibilità da parte del competente Ufficio comunale costituisce atto dovuto.

 

Si ricorda come il Consiglio di Stato, sentenza n. 3505/2011, abbia qualificato le valutazioni tecniche dell’Ufficio comunale come attività tipiche non delegabili e ineludibili.