Prime note in ordine al Decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 cosiddetto Salva Casa
di Massimo GRISANTI

Ad onta delle intenzioni che hanno mosso il legislatore, esplicitate nel preambolo, le disposizioni del Decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 acuiscono, anziché risolverle, le incertezze interpretative ed applicative della disciplina edilizia, qualora esistano per davvero quelle alle quali ha inteso porre fine.
Prima di iniziare ad esplicitare le riflessioni maturate, esaminato il testo, ritengo necessario anticipare che le disposizioni del Salva Casa celano l’intento di rendere inapplicabili, comunque svuotarli nel loro contenuto precettivo, la legge urbanistica n. 1150/1942 (LUN) e il decreto interministeriale n. 1444/1968, visto che rendono irrilevante la pianificazione urbanistica e le regole preposte alla formazione degli strumenti e volte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni delle urbanizzazioni primarie e secondarie quali standard caratterizzanti il vivere civile nei centri abitati e così impedirne il degrado anche sociale (l’humus in cui prolifera la criminalità).
Ciò che lascia interdetti è il fatto che il Governo, apparendomi bipolare, si prodiga da un lato a recuperare a Caivano le infrastrutture pubbliche, al fine di sottrarre i giovani alle organizzazioni criminali, e dall’altro lato a rendere inutile la pianificazione, che quel degrado è preposta ad impedirne l’insorgenza. Il tutto senza adeguatamente considerare che la disciplina edilizia è dichiaratamente funzionale all’attuazione della disciplina urbanistica, giammai alla sua implicita abrogazione o sostanziale disapplicazione. Invero, “La disciplina urbanistica si attua a mezzo … delle norme sull’attività costruttiva edilizia, sancite dalla presente legge o prescritte a mezzo di regolamenti”, così l’art. 4 della LUN.
La disciplina urbanistica attiene essenzialmente all’uso del territorio, a fronte del quale scolora la decennale strumentale contrapposizione tra ius utendi e ius aedifcandi che, a ben vedere, già dall’entrata in vigore dell’art. 80 d.P.R. 616/1977 non ha più ragion d’essere visto che ciò che conta ai fini degli standard urbanistici, ossia del corretto rapporto tra qualità e quantità di insediamenti e di servizi, è «il come viene utilizzato il costruito» giammai «il come costruire»: “Urbanistica - Le funzioni amministrative relative alla materia “urbanistica” concernono la disciplina DELL’USO del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e GESTIONALI riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente”.
Per questo le apportate modifiche all’art. 23-ter d.P.R. 380/2001 ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. c) del decreto-legge in esame – contrastando frontalmente con gli artt. 4 e 41-quinquies LUN e con gli artt. 3, 4 e 5 del decreto 1444/1968, nonché con l’art. 80 d.P.R. 616/1977, a causa del fatto che non solo rende irrilevante la suddivisione del territorio comunale per zone omogenee, ma che elimina ogni diversità quantitativa e qualitativa degli standard urbanistici prescritti in funzione della categoria degli insediamenti – sono giuridicamente inefficaci ex art. 44 LUN perché trattasi di norme NON complementari o integrative della LUN: “Norme integrative e di esecuzione della legge - Con decreti Reali, su proposta del Ministro per i lavori pubblici, di concerto coi Ministri interessati, saranno emanati, a termini degli articoli 1 e 3 della legge 31 gennaio 1926-IV, n. 100, il regolamento di esecuzione della presente legge, nonché le norme complementari ed integrative della legge stessa, che si rendessero necessarie”. Infatti, secondo le innovazioni apportate all’art. 23-ter TUE gli strumenti urbanistici comunali possono solo fissare condizioni di una pregnanza tale da non essere impedenti il, o non risultare impeditive del, mutamento di destinazione d’uso tra categorie urbanistiche, visto che quest’ultimo è stato espressamente reso SEMPRE AMMESSO.
Ammettere, in un modo o in un altro, che tali modifiche all’art. 23-ter TUE abbiano giuridica efficacia equivale a riconoscere l’abrogazione implicita della LUN. E ciò è evidentemente troppo, anche perché le motivazioni che dichiaratamente sorreggono la formazione del decreto-legge Salva Casa, giustificandone l’urgenza, non risiedono nella necessità di SORPASSARE LA LEGGE URBANISTICA NAZIONALE.
Qui di seguito le altre critiche puntuali.
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MODIFICHE ALL’ART. 9-BIS D.P.R. 380/2001.
Lo stato legittimo dell’immobile è un requisito oggettivo, non dipendente dall’attività amministrativa del funzionario, perché solo la legge, i regolamenti e gli strumenti urbanistici definiscono lo statuto di legalità dell’opera realizzata (cfr. ex plurimis Cass. penale, n. 49840/2016) ed è a tali presupposti che implicitamente rimandano anche le disposizioni dell’art. 9-bis visto che diversamente opinando il permesso di costruire, e prima di esso la concessione o la licenza edilizia, apparterrebbe al genus delle concessioni costitutive di diritti anziché delle autorizzazioni accertative di diritti spettanti al proprietario, o titolare di altro diritto reale che consenta l’edificazione, secondo i limiti fissati dalla disciplina urbanistica. E ciò è impossibile (cfr. Corte costituzionale n. 5/1980 e n. 127/1983).
Anche recentemente la Suprema Corte di cassazione penale si è espressa in tal senso nella sentenza n. 35848/2023: “… RITENUTO IN FATTO … I ricorrenti lamentano: che il primo permesso di costruire, rilasciato in base alla c.d. legge Tognoli, con procedura estesa da una legge regionale, era perfettamente legittimo; in ogni caso, a distanza di anni, essi non avevano il potere di annullare quel titolo e, in forza della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, non avevano alcun onere di controllarne la legittimità; … CONSIDERATO IN DIRITTO … Con particolare riguardo, poi, all’elemento soggettivo, la colpa è stata ravvisata nel non aver i ricorrenti considerato che il preesistente manufatto, per le ragioni esposte e non specificamente contestate, era da ritenersi illegittimamente edificato, sicché del pari conseguentemente illegittimi erano gli ulteriori interventi sul medesimo effettuati. È consolidato e risalente, invero, il principio giusto il quale gli interventi ulteriori su immobili abusivi ripetono le caratteristiche di illegittimità dal manufatto principale, al quale ineriscono strutturalmente, sicché, così come non è in tal caso applicabile il regime della comunicazione di inizio lavori asseverata o della s.c.i.a. (Sez. 3, n. 41105 del 12/07/2018, C., Rv. 274063; Sez. 3, n. 30168 del 24/05/2017, Pepe, Rv. 270252; Sez. 3, n. 51427 del 16/10/2014, Rossignoli e aa., Rv. 261330), laddove trattisi di intervento assoggettato a permesso di costruire, il titolo abilitativo non può essere rilasciato, pena l'illegittimità dello stesso. Agli imputati, del resto, non si contesta di non aver revocato d’ufficio il primo permesso di costruire illegittimo, ma di non essersi colpevolmente avveduti – in forza della particolare competenza e del dovere di attenzione conseguenti alle funzioni amministrative svolte – della sua illegittimità e di aver conseguentemente violato il principio più sopra richiamato nell’autorizzare ulteriori interventi su un manufatto da ritenersi abusivamente realizzato …”.
Pertanto, alcuna rilevanza in termini di rimedio interpretativo o applicativo può avere la modifica dell’art. 9-bis TUE laddove stabilisce che «all’esito di un procedimento idoneo a verificare l’esistenza del titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa» il manufatto acquisisca lo status di immobile legittimo.
MODIFICHE ALL’ART. 31 D.P.R. 380/2001.
Premesso che ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio non esiste alcuna forma di sanatoria riguardo ai beni culturali, mentre per quelli paesaggistici è eccezionalmente rilasciabile in assenza di incrementi di superficie o volume rispetto a quelli autorizzati, ecco che la disposizione modificante il quinto comma dell’art. 31 TUE integra una forma surrettizia di sanatoria a favore dei beni immobili entrati a far parte del patrimonio comunale per effetto dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione.
Inoltre, la successiva disposizione che ne consente l’alienazione subordinando il contratto all’inveramento della condizione sospensiva dell’effettiva rimozione dell’abuso da parte dell’acquirente integra un manifesto abuso d’ufficio legalizzato a favore dei responsabili ex art. 29 d.P.R. 380/2001. E ciò perché siccome dichiaratamente il valore venale dell’immobile deve tener conto dei costi per la rimozione delle opere abusive, ecco che i responsabili dell’abuso edilizio possono andare esenti dal dover rifondere i costi della demolizione.
E se il valore venale fosse stimato esser negativo perché i costi di demolizione dell’abuso edilizio superano il valore del bene immobile depurato dalla res illecita cosa succede? Il Comune pagherà per disfarsene?
MODIFICHE ALL’ART. 34-BIS D.P.R. 380/2001.
L’introdotto comma 1-bis è manifestamente una sanatoria surrettizia perché riguardando gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, da un lato, e rimanendo invariato al 2% il limite previsto al comma 1 per le medesime casistiche, dall’altro lato, ecco che ciò che prima era un abuso edilizio inquadrabile nella parziale difformità – magari non sanabile ex art. 36 d.P.R. 380/2001 per assenza della cosiddetta doppia conformità; magari non sanabile nemmeno ai sensi delle nuove disposizioni ex art. 36-bis perché non rispondenti alla disciplina urbanistica vigente al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge Salva Casa – viene regolarizzato, a costo zero per il responsabile dell’abuso.
Stesso dicasi per le casistiche del comma 2-bis.
Ciò detto, coloro i quali, invece, che  hanno chiesto e ottenuto il permesso a sanatoria per le discrepanze eccedenti al limite del 2% ed oggi non più costituenti illecito, oppure hanno corrisposto la sanzione della fiscalizzazione, hanno diritto alla restituzione del denaro versato visto che a tal proposito niente viene disposto nel comma 4 dell’art. 3 “Norme finali e di coordinamento” del decreto-legge Salva Casa?
INTRODUZIONE DELL’ART. 36-BIS D.P.R. 380/2001.
Tralasciando taluni marchiani errori o espressioni denotanti assenza di stile giuridico – v. tra tutte “Il permesso presentato …” nel comma 2, spia del fatto che, all’evidenza, il testo non è stato redatto da un legale; un errore che pare esser passato inosservato anche nell’entourage quirinalizio – i commi 4 e 5 sono radicalmente inapplicabili perché ai sensi e per gli effetti dell’art. 32 TUE, non modificato dal decreto-legge, nelle zone in cui è operante il vincolo paesaggistico mai è configurabile un abuso del tipo della difformità parziale, essendo sempre automaticamente una variazione essenziale.
Se le disposizioni di tali commi fossero ritenute applicabili ciò significherebbe che il decreto Salva Casa avrebbe prodotto l’implicita abrogazione dell’art. 32, comma 3, ultimo periodo. Sia consentito dubitarne, visto che appare quantomeno opportuno che l’abrogazione di principi fondamentali avvenga in modo espresso, non foss’altro per le ricadute che una tale interpretazione avrebbe sulla disciplina sanzionatoria penale.