Corte costituzionale n. 165 del 1 luglio 2022
Oggetto: Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi - Norme della Regione Lazio - Accertamento di conformità delle opere realizzate in parziale difformità dal titolo abilitativo - Prevista determinazione della misura dell'oblazione nel doppio dell'incremento del valore di mercato dell'immobile, anziché in un importo pari a due volte il contributo di costruzione.

Dispositivo: illegittimità costituzionale

SENTENZA N. 165

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giuliano AMATO; Giudici : Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia), nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, nel procedimento vertente tra R.D. Trasporti srl e il Comune di Civitavecchia, con ordinanza del 4 agosto 2021, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Udito nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 il Giudice relatore Filippo Patroni Griffi;

deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 4 agosto 2021, iscritta al n. 180 del registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia) nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione), nella parte in cui subordina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, per taluni interventi edilizi, al pagamento, per oblazione, di un importo pari al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile conseguente alla esecuzione delle opere.

1.1.− Il rimettente espone che la società di costruzione ricorrente ha impugnato, tra gli altri, il provvedimento del Comune di Civitavecchia con cui è stato determinato in euro 185.675 l’importo dalla stessa dovuto a titolo di oblazione, a seguito dell’accoglimento dell’istanza di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», per le opere eseguite in discostamento dal posseduto permesso di costruire, importo che è pari al doppio del conseguenziale incremento del valore di mercato dell’immobile.

1.2.− Illustra, inoltre, che con sentenza non definitiva sono state disattese le contestazioni del ricorso sulla qualificazione giuridica della tipologia di abuso e sulla conseguente individuazione della norma applicabile nella determinazione di quanto dovuto. Il Collegio, infatti, ha ritenuto corretta la sussunzione, operata dal provvedimento comunale, delle opere realizzate nella fattispecie di abuso «per parziale difformità dal titolo» di cui all’art. 18 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008, e conseguenzialmente esatta la somma calcolata dall’ente locale per oblazione, in applicazione del predetto criterio, previsto per tali interventi dall’art. 22, comma 2, lettera b), della stessa legge regionale, nel testo vigente al tempo di adozione dell’atto impugnato.

1.3.− Il giudice a quo rileva, ancora, che il legislatore regionale, con l’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, è intervenuto modificando l’art. 22 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008, per adeguarsi al dictum della sentenza n. 2 del 2019 di questa Corte relativa a diversa tipologia di intervento edilizio (opere realizzate in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità), riducendo anche l’importo dovuto a titolo di oblazione per la fattispecie al suo esame (opere in difformità parziale dall’ottenuto titolo abilitativo) a «due volte il contributo di costruzione». Il TAR Lazio esclude, tuttavia, l’applicabilità di tale norma al giudizio a quo, in quanto non avente efficacia retroattiva.

2.− Il rimettente dubita, quindi, della legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 nel testo previgente al 28 febbraio 2020.

2.1.− La questione di legittimità costituzionale della norma censurata sarebbe rilevante in quanto sulla sua applicazione si fonda la quantificazione provvedimentale dell’oblazione e perché, per effetto del suo accoglimento, l’atto impugnato andrebbe annullato con necessità di rideterminazione da parte del Comune.

2.2.− In punto di non manifesta infondatezza, ad avviso del giudice rimettente, la norma regionale applicabile ratione temporis contrasterebbe con l’art. 3 Cost. in quanto stabilisce l’oblazione in valore pari alla sanzione pecuniaria prevista dall’art. 18 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 per gli stessi interventi edilizi (eseguiti in parziale difformità dal titolo abilitativo posseduto) ma non sanabili, e per i quali l’amministrazione escluda di dar seguito alla demolizione a causa del rischio di pregiudizio derivante alle ulteriori opere conformi al titolo.

In particolare, il legislatore regionale avrebbe irragionevolmente fissato il «“costo”» della sanatoria di un abuso solo «“formale”», perché sanabile in virtù della doppia conformità alla normativa edilizia ed urbanistica, nello stesso quantum di quello previsto per la fattispecie più grave dell’abuso «“sostanziale”», perché non sanabile per sussistenti difformità dalle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, ma non materialmente demolibile.

A comprova della non manifesta infondatezza della questione, il TAR evidenzia che la somma dovuta a titolo di oblazione, fatta applicazione del criterio contestato (pari a due volte l’incremento di valore), assurge ad euro 185.675, mentre l’illegittimità costituzionale della norma censurata porterebbe all’ammontare, notevolmente inferiore, di euro 3.670,84 (pari a due volte il contributo di costruzione), e ciò in virtù dell’applicazione del diverso criterio più favorevole stabilito dalla legge reg. Lazio n. 1 del 2020, corrispondente, sul punto, a quello adottato dal legislatore statale all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.

L’ordinanza di rimessione denuncia, dunque, l’irragionevole equiparazione del trattamento economico delle due forme di abuso, nonostante la loro differente natura e gravità.

2.3.− Il TAR dubita, inoltre, della legittimità costituzionale della disposizione per un ulteriore profilo di irragionevolezza, già riscontrato da questa Corte con la citata sentenza n. 2 del 2019 in relazione alla lettera a) del medesimo comma 2 dell’art. 22 della legge regionale e che, nel caso di specie, sarebbe addirittura amplificato.

La norma censurata fisserebbe, infatti, l’ammontare dell’oblazione per le opere in parziale difformità dal titolo nel doppio della sanzione comminata per l’ipotesi di interventi eseguiti in base a titolo annullato di ufficio o in via giurisdizionale (art. 20 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008) e non suscettibili di sanatoria («pari […] all’incremento del valore di mercato dello stesso conseguente all’esecuzione delle opere»): si avrebbe, quindi, un regime più favorevole per gli abusi sostanziali più gravi.

La previsione censurata, pertanto, sarebbe irragionevole anche perché in contrasto con i princìpi di gradualità ed adeguatezza desumibili dagli artt. 34, 36 e 38 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il denunciato vizio sarebbe poi avvalorato dalla sopravvenuta norma regionale che, come visto, ha rideterminato l’oblazione nei termini corrispondenti alla previsione statale.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia) – nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione) – nella parte in cui subordina il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, per taluni interventi edilizi, al pagamento, per oblazione, di un «importo pari al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile conseguente alla esecuzione delle opere».

Il rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 della Costituzione, sotto un duplice profilo.

In primo luogo, secondo il TAR rimettente, la norma violerebbe il principio di uguaglianza in quanto tratta in maniera uguale situazioni diverse: il costo dell’oblazione per abuso sanabile, in quanto conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia, è stabilito in misura pari alla sanzione pecuniaria («pari al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile conseguente alla esecuzione delle opere» abusive) prevista dall’art. 18 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 per lo stesso intervento edilizio, ma non sanabile e non tecnicamente demolibile.

In secondo luogo, la norma censurata sarebbe irragionevole perché, fissando l’ammontare dell’oblazione nel doppio della sanzione comminata dall’art. 20, comma 1, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 per le ipotesi di interventi eseguiti in base a titolo annullato, di ufficio o in via giurisdizionale, e non abbattibili («sanzione pecuniaria pari […] all’incremento del valore di mercato dello stesso conseguente all’esecuzione delle opere»), regolerebbe in maniera deteriore una fattispecie meno grave, con ulteriore contrasto con i princìpi di gradualità ed adeguatezza desumibili dagli artt. 34, 36 e 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)».

2.– In via preliminare, deve rilevarsi che la questione di legittimità costituzionale attiene al testo della lettera b) dell’art. 22, comma 2, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 abrogato, nel corso del giudizio a quo, ad opera dell’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, che ha stabilito la più mite misura della pretesa oblativa nel doppio del contributo di costruzione.

Il TAR rimettente prende in considerazione l’intervenuta novella, ma esclude che la disposizione sopravvenuta sia applicabile alla fattispecie al suo esame, in quanto successiva al tempo di adozione dell’atto impugnato e non retroattiva.

L’ordinanza di rimessione fa, dunque, corretta applicazione del principio –pacifico anche nella giurisprudenza amministrativa – del tempus regit actum, secondo cui la legittimità di un provvedimento amministrativo deve essere valutata con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione, salvo il caso, qui non ricorrente, di retroattività della norma regolatrice della fattispecie.

3.− La disamina nel merito delle censure richiede un breve inquadramento della disciplina dei lavori edilizi realizzati in difetto di, o in difformità dal, permesso di costruire o dalla denuncia di inizio di attività (ora segnalazione certificata di inizio di attività), contenuta nella legge reg. Lazio n. 15 del 2008.

L’art. 22 di quest’ultima, dettata nell’esercizio della potestà legislativa concorrente nella materia del «governo del territorio», stabilisce la misura dell’oblazione dovuta per il rilascio in sanatoria di titolo abilitativo dell’opera che, pur eseguita in sua originaria carenza o in suo discostamento, sia regolarizzabile, perché rispondente alla disciplina urbanistico-edilizia vigente, tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza di «accertamento di conformità» (cosiddetto abuso formale, sanabile per doppia conformità).

La scelta del legislatore regionale è stata quella di quantificare la somma dovuta, non in misura unica per tutti i tipi di illecito sanabile e parametrata al contributo di costruzione, come stabilito dal legislatore statale (art. 36 t.u. edilizia) e da altre leggi regionali, bensì in misura gradata a seconda della tipologia dell’opera e correlata, nel testo applicabile ratione temporis, al (più elevato) valore del bene.

In particolare, la lettera b) dell’art. 22, mediante il rinvio operato ai precedenti artt. 16 e 18, è dedicata al costo della fattispecie sanante in relazione agli interventi edilizi costituiti da ristrutturazioni sine titulo o totalmente difformi («[i]nterventi di ristrutturazione edilizia e cambi di destinazione d’uso in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali», di cui all’art. 16) e da opere in parziale difformità dal titolo posseduto («[i]nterventi di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia eseguiti in parziale difformità dal titolo abilitativo», di cui all’art. 18), definendolo, per come visto, in due volte l’ottenuto incremento di valore dell’immobile.

Per gli stessi lavori edilizi, se non sanabili per contrasto alla disciplina urbanistico-edilizia e per i quali l’amministrazione escluda l’ordinaria conseguenza della demolizione per materiale impossibilità (cosiddetti abusi sostanziali), la legge della Regione Lazio stabilisce, inoltre, la sanzione pecuniaria pari al «doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile» derivante dalla realizzazione delle opere (ancora, artt. 16, comma 3, e 18, comma 3, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008, pressoché corrispondenti alle previsioni sanzionatorie degli artt. 33 e 34 t.u. edilizia).

Il legislatore regionale completa la disciplina occupandosi delle conseguenze delle opere con titolo originariamente ottenuto, ma successivamente annullato, comminando una sanzione, “alternativa” all’impraticabile abbattimento, di entità pari all’incremento del valore di mercato del bene per le opere realizzate (art. 20 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 e art. 38 t.u. edilizia, cosiddetto abuso sostanziale sopravvenuto), contenendone, dunque, l’ammontare in considerazione dell’affidamento ingenerato nel privato dall’ottenimento del provvedimento favorevole.

La ragione dell’assimilazione dei due interventi edilizi in parola − sia nella censurata lettera b) del comma 2 dell’art. 22 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 ai fini del quantum dell’oblazione, sia nelle conseguenze pecuniarie alternative alla impraticabile riduzione in pristino − si rinviene nella loro comune sussumibilità negli “abusi intermedi”, in quanto, per la omologa “dose” di scostamento dal titolo prescritto, il legislatore regionale e quello statale ne prevedono, da un lato, un trattamento sanzionatorio più grave di quelli “lievi” («[i]nterventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività» di cui all’art. 19 della citata legge regionale e art. 37 t.u. edilizia) e “lievissimi” (realizzati in assenza di comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori di cui all’art. 6-bis del d.P.R. n. 380 del 2001) e, dall’altro lato, inferiore a quelli “gravi” («[i]nterventi di nuova costruzione eseguiti in assenza di titolo abilitativo, in totale difformità o con variazioni essenziali» di cui all’art. 15 legge reg. Lazio n. 15 del 2008 e all’art. 31 t.u. edilizia).

Proprio in relazione alla entità dell’oblazione per detti ultimi interventi, stabilita dall’originario testo della lettera a) dell’art. 22, comma 2, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 in importo pari al «valore di mercato dell’intervento eseguito», questa Corte è intervenuta con la sentenza n. 2 del 2019, constatandone l’irragionevole determinazione in misura pari alla sanzione pecuniaria fissata dall’art. 20 della stessa legge regionale per la diversa ipotesi di illecito “sostanziale sopravvenuto”, in virtù del differente disvalore dell’intervento conforme alla normativa urbanistico-edilizia rispetto a quello da essa difforme.

4.− Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, può quindi procedersi alla disamina della doglianza di violazione del principio di uguaglianza per ingiustificata equiparazione del costo della sanatoria per l’opera sanabile eseguita in parziale difformità dal titolo posseduto (art. 22, comma 2, lettera b, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008, applicabile ratione temporis) con il costo fissato per la medesima opera non sanabile, ma non tecnicamente rimovibile (art. 18, comma 3, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008).

4.1.− La questione è fondata.

Corretta è, anzitutto, l’invocazione da parte dell’ordinanza di rimessione del tertium comparationis, atteso che il «pagamento, a titolo di oblazione», assolve, per come già illustrato nella citata sentenza n. 2 del 2019, anche la finalità sanzionatoria che connota l’obbligo pecuniario stabilito per gli abusi sostanziali in alternativa alla riduzione in pristino.

4.2.− Ebbene, l’identità tra le conseguenze pecuniarie poste a carico di chi abbia realizzato interventi in difformità dal titolo posseduto, ma doppiamente rispettose della disciplina urbanistico-edilizia (sia al momento dell’abuso che al momento della sanatoria), e come tali sanabili (“abuso formale”), e quelle poste a carico di chi abbia realizzato interventi in difformità dal titolo, non sanabili per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia (“abuso sostanziale”), ma di cui non sia praticabile la demolizione, non risulta sorretta da alcuna ragione e dà luogo alla violazione del principio di uguaglianza per ingiustificata omologazione di situazioni differenti (sentenze n. 185 e n. 143 del 2021, n. 274 del 2016, n. 264 e n. 144 del 2005, n. 5 del 2000).

Del resto, la stessa normativa statale disciplina ben differentemente le due fattispecie, richiedendo, rispettivamente, quale corrispettivo per il titolo sanante, il doppio del contributo di costruzione (art. 36 t.u. edilizia) e, per l’illecito non demolibile, il più cospicuo doppio del valore venale (art. 34 t.u. edilizia).

5.− Il rimettente dubita, altresì, della ragionevolezza della norma in esame per avere il legislatore regionale stabilito la misura dell’oblazione per lavori solo formalmente illegittimi in termini deteriori rispetto alla fattispecie più grave dei lavori sostanzialmente illegittimi.

Tale ulteriore profilo di illegittimità costituzionale coinvolge non solo gli interventi in parziale difformità dal titolo, ma anche quelli di ristrutturazione sine titulo o totalmente difformi, ai primi accomunati dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 22 della legge reg. Lazio n. 15 del 2008.

5.1.− Anche sotto questo profilo la questione di legittimità costituzionale è fondata.

La misura dell’oblazione prevista dal censurato art. 22, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 15 del 2008 per la sanatoria degli illeciti “intermedi” sanabili (individuata in un «importo pari al doppio dell’incremento del valore di mercato dell’immobile») è fissata in termini addirittura doppi rispetto alla sanzione stabilita dall’art. 20 per gli stessi interventi eseguiti in base a titolo annullato e non sanabili, individuata in un importo «pari […] all’incremento del valore di mercato dello stesso conseguente all’esecuzione delle opere».

La norma censurata ha così dato luogo a un regime sanzionatorio irragionevolmente più favorevole per le più gravi ipotesi delle res sostanzialmente illegittime, e solo tollerate dall’ordinamento per impraticabilità dell’abbattimento, rispetto a quelle meno gravi delle res prive di danno urbanistico con deficit di titolo regolarizzabile.

5.2.− La rilevata irragionevolezza è, altresì, corroborata dal confronto con la normativa statale, che determina la sanzione “alternativa” per gli abusi sopravvenuti (pari al valore venale della porzione eseguita, ai sensi dell’art. 38 t.u. edilizia) in misura sensibilmente maggiore dell’oblazione per il titolo in sanatoria (pari al doppio del contributo di costruzione, ai sensi art. 36 t.u. edilizia).

6.− In conclusione, il duplice confronto della obbligazione per oblazione degli abusi “intermedi” sanabili, stabilita dalla disciplina regionale applicabile ratione temporis con gli obblighi pecuniari imposti, sia per gli abusi sostanziali sopravvenuti, sia per quelli originari, evidenzia la complessiva distonia della disciplina con il principio di gradualità del loro trattamento, ragionevolmente correlato al disvalore dell’illecito, evincibile dagli artt. 33, 34, 36 e 38 t.u. edilizia (sentenze n. 185 del 2021, n. 113 e n. 88 del 2019 e n. 98 del 2015).

D’altro canto, il legislatore regionale del 2020, rideterminando l’oblazione, per i titoli in sanatoria rilasciati successivamente alla sua entrata in vigore, nella misura del doppio del contributo di costruzione, si è adeguato al principio di gradualità anche per gli abusi “intermedi”, analogamente a quanto stabilito dal legislatore statale e recependo le indicazioni rese da questa Corte nella sentenza n. 2 del 2019 per gli abusi gravi (così il novellato art. 22, comma 2, lettera b, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008).

7.− Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge reg. Lazio n. 15 del 2008, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge reg. Lazio n. 1 del 2020.

Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale − è appena il caso di precisarlo − non deriva alcun “vuoto” di disciplina atteso che, per la determinazione dell’oblazione relativa ai titoli in sanatoria rilasciati anteriormente alla entrata in vigore della legge reg. Lazio n. 1 del 2020, potrà applicarsi il criterio previsto dalla legislazione statale che, cedevole rispetto alla legislazione regionale (art. 2, comma 3, t.u. edilizia), riespande la sua operatività al venir meno della norma costituzionalmente illegittima.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, lettera b), della legge della Regione Lazio 11 agosto 2008, n. 15 (Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia), nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c), numero 2), della legge della Regione Lazio 27 febbraio 2020, n. 1 (Misure per lo sviluppo economico, l’attrattività degli investimenti e la semplificazione).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2022.