Cons. Stato, Sez. IV , n. 5306 del 17 ottobre 2012
Urbanistica. Ridefinizione urbanistica dei suoli di proprietà.

La previsione di una tipologia urbanistica “a verde pubblico” non configura né un vincolo preordinato all'espropriazione e neppure un'inedificabilità assoluta, in quanto si tratta di una prescrizione normalmente diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, che attiene ad una “potestà conformativa” che è propria dello strumento urbanistico generale, e la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall'art. 11, l. 17 agosto 1942 n. 1150. Il Comune ha l'obbligo di provvedere sull'istanza con cui il proprietario di un'area, solo se ricorre il presupposto della decadenza del vincolo espropriativo su di essa gravante a causa della scadenza del termine quinquennale ex art. 9, d.lg. 8 giugno 2001 n. 327.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05306/2012REG.PROV.COLL.
N. 05087/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5087 del 2012, proposto da:
Rosanna Miccoli, Anna De Falco, Matteo Ardito, rappresentati e difesi dall'avv. Vincenzo Parato, con domicilio eletto presso Giuseppe Pio Torcicollo in Roma, via Carlo Mirabello N.11;
contro
Comune di Squinzano, rappresentato e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso Studio Legale Bdl in Roma, via Bocca di Leone, 78;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 00571/2012, resa tra le parti, concernente accertamento illegittimità del silenzio serbato dal comune di Squinzano in ordine all'istanza volta ad ottenere la ridefinizione urbanistica del suolo di proprietà dei ricorrenti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Squinzano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Vincenzo Parato e Giuseppe Mescia in sostituzione di Ernesto Sticchi Damiani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame i ricorrenti, proprietari di alcune aree, impugnano la sentenza del TAR Lecce con cui era stato respinta la loro richiesta di declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione comunale di Squinzano sulla domanda diretta ad ottenere la ridefinizione urbanistica dei suoli di loro proprietà, avanzata con atto di diffida del 20 aprile 2011 notificato il 21 aprile 2011.
In sintesi per il TAR, la destinazione a verde attrezzato, data dal piano regolatore ad aree di proprietà privata, non comportava l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma conformativo perché non comportavano l’azzeramento del diritto di proprietà ma, ammettevano anche interventi edilizi privati, a prescindere dal “quantum” che il proprietario potesse ipotizzare di ricavare dall’attuazione degli interventi ammessi.
L’appello sotto un’unica rubrica, articolata su vari profili, denuncia l’erroneità della decisione per violazione dell’art. 67 delle NTA allegate al PRG.
Si è costituito in giudizio il Comune che con memoria ha confutato analiticamente le censure di controparte.
Chiamata alla Camera di Consiglio, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
L’appello è infondato.
Gli appellante assumono l’erroneità delle motivazioni della sentenza che non tengono conto delle previsioni delle NTA del piano urbanistico generale del Comune di Squinzano ed in particolare:
-- dell’articolo 67 il quale a proposito delle zone F1 (attrezzature standard urbanistici) prevede che “l’acquisizione del comune delle aree destinate alle suddette attrezzature avvenga attraverso gli strumenti di comparto esecutivi estesi ai comparti di intervento unitario che lo comprendono…. ovvero mediante interventi esecutivi diretti di iniziativa pubblica”;
-- dell’articolo 71, in base al quale in tali aree è vietata a qualsiasi edificazione ad eccezione delle piccole costruzioni occorrenti per gli attrezzi destinati al giardinaggio, servizi igienici, ecc. ecc. .
-- dell’articolo 23, che con riferimento invece ad una perequazione urbanistica, dispone che i proprietari sono potenzialmente titolari di volumetria trasferibile nelle zone C, realizzabile in sede di piano urbanistico esecutivo; e che i soggetti proprietari che avrebbero ceduto gratuitamente all’amministrazione comunale tali aree al fine di consentire la realizzazione dei servizi necessari, sarebbero divenuti assegnatari di volumi secondo il rapporto di conversione previsto.
Per gli appellanti sarebbe dunque evidente che non sarebbe possibile alcun intervento di iniziativa privata o anche mista, in quanto le loro aree avrebbero dovuto essere cedute integralmente e gratuitamente all’amministrazione comunale per la realizzazione delle opere pubbliche previste. La perequazione urbanistica non opererebbe nel senso indicato ai primi Giudici bensì solo in caso di cessione gratuita dei propri terreni.
In conclusione i vincoli per cui è causa non potrebbero che rivestire natura doppiamente espropriativa obbligando i proprietari alla cessione alla p.a. a titolo gratuito come affermato dal Consiglio di Stato.
L’assunto non ha complessivamente pregio.
Le Norme tecniche di attuazione che consentono l’intervento diretto dei privati nella realizzazione di attrezzature sportive o per il verde, costituiscono disposizioni che hanno tipicamente una “natura conformativa” (cfr. Corte costituzionale, 20 maggio 1999 , n. 179; e da ultimo Consiglio di Stato, Sez. IV 13 luglio 2011 n. 4242; Consiglio di Stato, Sez. IV 19 gennaio 2012 n. 244).
La zonizzazione del territorio (con i connessi vincoli che incidono con carattere di generalità e in modo obiettivo su intere categorie di beni) è connaturata normalmente alla pianificazione urbanistica, per cui non può essere ex sé considerata di natura ablatoria. La possibilità che il diritto di proprietà subisca alcune limitazioni in ragione dell'interesse pubblico costituisce un rischio fisiologico connesso al diritto stesso (cfr. Corte costituzionale, 20 maggio 1999, n. 179).
La previsione di una tipologia urbanistica “a verde pubblico” non configura quindi né un vincolo preordinato all'espropriazione e neppure un'inedificabilità assoluta, in quanto si tratta di una prescrizione normalmente diretta a regolare concretamente l'attività edilizia, che attiene ad una “potestà conformativa” che è propria dello strumento urbanistico generale, e la cui validità è a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall'art. 11, l. 17 agosto 1942 n. 1150 (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 10 giugno 2010 , n. 3700).
Il Comune ha l'obbligo di provvedere sull'istanza con cui il proprietario di un'area, solo se ricorre il presupposto della decadenza del vincolo espropriativo su di essa gravante a causa della scadenza del termine quinquennale ex art. 9, d.lg. 8 giugno 2001 n. 327. Ma tale ipotesi qui non ricorre affatto.
Nel caso in esame, come esattamente rilevato dalla difesa dell’amministrazione è proprio la lettura sistematica della normativa attinente alle Zone F1 ed in particolare delle aree “F.1.4 - Aree pubbliche sistemate a verde e le attrezzature per attività ricreative e sportive dei bambini e dei ragazzi” che indica chiaramente che, nel caso, sui terreni dei ricorrenti insisteva un tipico vincolo conformativo e non vincolo espropriativo.
Infatti l’art. 67 delle NTA prevede la possibilità che l’acquisizione delle aree potesse avvenire “attraverso gli strumenti urbanistici estesi ai comparti di intervento unitario che lo comprendono……, ovvero anche attraverso interventi diretti di iniziativa pubblica” : il che dimostra al contrario che l’attività di realizzazione del P.R.G. poteva e doveva avvenire in via ordinaria attraverso gli strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa privata.
Inoltre il riferimento al rapporto di perequazione implica che, una volta identificate nelle aree sulle quali realizzare le dotazioni minime di cui al D. M. n. 1444/1968, sulle restanti parti è possibile o l’edificazione o comunque il riconoscimento della volumetria al titolo di perequazione urbanistica.
Al riguardo, le norme del NTA di Squinzano non prevedono affatto un obbligo di cessione gratuita delle aree occorrenti, proprio in quanto consentivano l’intervento diretto ad iniziativa privata.
Nel caso non può quindi concordarsi con l’appellante che ricorresse un concreto svuotamento di ogni contenuto della proprietà, al punto di far luogo ad una sostanziale ed occulta ablazione del relativo diritto in quanto l’art. 71 del PUG dispone, peraltro, un preciso rapporto di conversione per la realizzazione della perequazione urbanistica, pari a 0,30 fondiario.
Se, come esattamente ricordato dal TAR, tale indice non è ritenuto soddisfacente delle aspettative di lucro dei privati ciò non toglie che, tutti i proprietari, compresi quelli dei lotti destinati ad essere ceduti all’amministrazione beneficiano “pro quota” della potenzialità volumetrica complessivamente assegnata al comparto sotto forma di indice territoriale che è riferito pertanto all’intero comparto e non ai singoli lotti.
E ciò a prescindere dai vincoli d’inedificabilità ai fini di dotazione di spazi da riservare alle opere collettive, e comunque dall’effettiva localizzazione della capacità edificatoria sulle singole proprietà.
In definitiva dunque sulla proprietà dei ricorrenti insistevano dei vincoli di natura conformativa, che come tali non erano soggetti a decadenza per cui, non essendo decaduto il relativo vincolo a verde pubblico, restavano comunque valide le destinazioni urbanistiche che consentivano intervento diretto anche dei privati.
In conseguenza la sentenza appare esente dalle predette mende non sussistendo il presupposto dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere su un’istanza del privato fondata sull’erroneo presupposto giuridico dell’applicazione del secondo comma dell’art. 9 del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327.
L’appello in conclusione è infondato e deve essere respinto.
Secondo le regole generali le spese, ai sensi dell’art. 26 del c.p.a. , seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
___ 1. respinge l'appello, come in epigrafe, proposto.
___ 2. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che vengono liquidate in € 2.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 settembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore



L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)