Cons. Stato, Sez. IV n. 4977 del 19 settembre 2012
Urbanistica. Legittimità diniego comunale per approvazione piano di lottizzazione.

E’ legittimo il diniego comunale all’approvazione di un Piano di lottizzazione, non avendo la ditta richiedente previsto la realizzazione delle opere di urbanizzazione all’esterno dell’area da lottizzare, stante che non rientra nella programmazione delle opere pubbliche comunali ed, inoltre, la zona è priva delle reti essenziali di allaccio. L’intervento prospetta tipologie residenziali non ammesse dalla N.T.A. del P.R.G. La proposta singola di lottizzazione non è coordinata con le altre proposte, arrecando un disordinato sviluppo urbanistico dell’unica zona destinata a vocazione turistica di pregio ambientale. Gli interventi dei piani di lottizzazioni segmentati in sette richieste in tal modo sono sottratti alla legittima procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). Ai sensi dell’art. 23 e ss. del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, recanti la disciplina vigente in materia, la stessa attua nel nostro ordinamento le direttive comunitarie in materia di VIA. ed impone, in buona sostanza, l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale ogniqualvolta la struttura progettata sia, in concreto, capace di provocare un serio impatto sull’ambiente, e ciò a prescindere dalla fissazione di soglie automatiche o da criteri che rendano difficile la procedura di valutazione medesima. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 04977/2012REG.PROV.COLL.

N. 07345/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7345 del 2009, proposto da:

Morabito Giovanni, rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Scalzi, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Antonio Corace, via della Balduina, 28;

contro

Comune di Catanzaro (Cz), in persona del Sindaco pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Raffaele Mirigliani, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Frezza, 59;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sede di Catanzaro, Sez. I, n. 627 dd. 6 giugno 2008, resa tra le parti e concernente diniego approvazione piano di lottizzazione “Topazio”.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Catanzaro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 marzo 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Giovanni Morabito l’Avv. Francesco Scalzi e per il Comune di Catanzaro l’Avv. Raffaele Mirigliani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.1. Le vicende riguardanti il presente giudizio iniziano allorquando la Sig.ra Maria Iannelli ha chiesto in data 13 marzo 2006 al Comune di Catanzaro l’approvazione di un Piano di lottizzazione, denominato “Topazio” da localizzare in località Bellino in area ricadente nella zona territoriale omogenea G1 del vigente Piano Regolatore Generale del Comune medesimo.

L’art. 58 delle N.T.A. ammette per tale zona, tra le altre destinazioni d’uso - e per quanto qui segnatamente interessa - quelle di residenza stagionale e/o funzionale alla gestione delle strutture turistico - ricettive, strutture alberghiere e villaggi turistici, camping, servizi e funzioni complementari, attività di culto, attività di servizio diffuso, esercizi pubblici e locali di divertimento, attività commerciali ed artigianali con determinate caratteristiche, servizi culturali e sociali di iniziativa pubblica e privata, verde pubblico attrezzato ed attrezzature del verde e dello sport.

Nelle more dell’istruttoria la Sig.ra Iannelli è deceduta, e l’iniziativa è stata proseguita dal suo erede, Sig. Giovanni Morabito.

Va sin d’ora evidenziato che l’iniziativa medesima si inserisce nel quadro di altre iniziative di lottizzazione curate dal medesimo imprenditore, nonché da altre imprese, ricadenti nella stessa località e nella stessa zona territoriale omogenea, interessata, peraltro, anche da un piano attuativo di iniziativa pubblica in variante al Piano Regolatore e approvato dal Consiglio Comunale a seguito di conferenza di servizi decisoria del 24 novembre 2005.

Tale strumento urbanistico di iniziativa pubblica contempla a sua volta la realizzazione di infrastrutture viarie e di altri interventi concernenti le opere di urbanizzazione primaria ed interessa un ampio comparto denominato Giovino - Bellino, comprendente anche l’area su cui sono localizzati gli anzidetti piani di lottizzazione di iniziativa privata.

Il piano di lottizzazione di iniziativa privata proposto dapprima dalla Iannelli e poi dal Morabito è stato disaminato in sede di conferenza di servizi tenuta in data 22 maggio 2006 e conclusasi con esito favorevole, a seguito dell’acquisizione dei pareri, nulla osta ed autorizzazioni previsti a’ sensi dell’art. 14 della L. 7 agosto 1990 n. 241, peraltro con l’imposizione di alcune prescrizioni puntualmente indicate nel relativo verbale.

Nondimeno, il procedimento non è poi proseguito, e in dipendenza di ciò il soggetto proponente ha notificato vari atti di diffida diretti all’Amministrazione Comunale al fine di ottenere la positiva conclusione del procedimento medesimo mediante la deliberazione consiliare di approvazione del Piano di lottizzazione.

Il Morabito, non avendo le diffide inizialmente ottenuto riscontro da parte dell’Amministrazione Comunale, ha proposto innanzi al T.A.R. per la Calabria, Sede di Catanzaro, tre ricorsi avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione medesima, rispettivamente rubricati sub R.G. 1063 del 2007, R.G. 1227 del 2007 e R.G. 1228 del 2007.

Tali ricorsi sono stati poi dichiarati improcedibili per difetto di interesse alla loro decisione, rispettivamente con sentenze n. 2059 dd. 13 dicembre 2007, n. 120 dd. 4 febbraio 2008 e n. 121 dd. 4 febbraio 2008 rese tutte dalla Sezione I dell’adito T.A.R., posto che nelle more dei relativi giudizio l’Amministrazione Comunale ha definito con provvedimenti espressi le relative pratiche.

Infatti, con deliberazione n. 525 dell’11 ottobre 2007 la Giunta Municipale ha dapprima chiesto parere ad un legale in ordine ai piani di lottizzazione.

Tale parere è stato sollecitamente reso in data 30 ottobre 2007 nel senso della necessità di denegare l’approvazione delle iniziative di lottizzazione: e, in conseguenza di ciò, è stato pertanto introdotto un emendamento alla proposta di deliberazione di approvazione del predetto piano “Topazio”, contemplante, all’opposto, il diniego dell’approvazione stessa.

Il diniego è stato espresso con deliberazione del Consiglio Comunale n. 93 dd. 5 novembre 2007, elaborata sulla scorta del parere predetto e di una relazione integrativa dd. 31 ottobre 2007 predisposta dagli Uffici del Comune.

Nella parte motiva di tale deliberazione si legge – tra l’altro, e per quanto qui segnatamente interessa - che “…si impone l’obbligo di tutelare il territorio e gli interessi collettivi della collettività amministrata (e che) si impone l’obbligo di realizzare nel comprensorio Giovino - Bellino un polo turistico d’eccellenza alla stregua delle previsioni del PRG vigente… (e) che pertanto è necessaria la rivisitazione del piano attuativo di iniziativa pubblica, che contempli anche l’auspicata compartecipazione dei privati interessati, e stesa a tutto l’ambito ZTO G1 individuato dal PRG, in un’ottica di programmazione complessiva del territorio di che trattasi e preveda l’adeguata dotazione oltre delle infrastrutture anche quella dei servizi e delle attrezzature funzionali finalizzati allo sviluppo armonico dell’area, alla massima fruibilità collettiva e alla compatibilità con le valenze ambientali e paesaggistiche e quindi con un diverso complessivo assetto convenzionale”.

Pertanto, l’approvazione era ricusata sulla base delle seguenti considerazioni:

“a) L’area da lottizzare allo stato non ha alcuna accessibilità, non avendo la ditta richiedente previsto la realizzazione delle opere di urbanizzazione all’esterno dell’area da lottizzare, stante che non rientra nella programmazione delle opere pubbliche comunali ed, inoltre, la zona è priva delle reti essenziali di allaccio;

b) L’intervento prospetta tipologie residenziali non ammesse nell’art. 58 della N.T.A., che prevede esclusivamente “residenza stagionale e/o funzionale alla gestione delle strutture turistico ricettive”;

c) La proposta singola non è coordinata con le altre proposte, arrecando un disordinato sviluppo urbanistico dell’unica zona destinata a vocazione turistica di pregio ambientale, non prevedendosi costruzioni con destinazioni d’uso assortite secondo le indicazioni della destinazione urbanistica prevista dall’art. 58 delle N.T.A.;

d) Gli interventi dei piani di lottizzazioni segmentati nelle sette richieste si sono sottratti alla legittima procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) riferito alle sette lottizzazioni nel loro complesso. Non è sufficiente infatti il parere rilasciato limitatamente alla lottizzazione Di Tocco - Ferragina, ma è necessario un nuovo esame ed un nuovo parere che comprenda tutte le lottizzazioni, esteso comunque all’intero comprensorio ZTO G1”.

Nella stessa deliberazione è stata inoltre affermata la necessità della costituzione di un consorzio pubblico-privato per progettare e realizzare un piano di dettaglio particolareggiato, che ridisegni urbanisticamente un “quartiere turistico” organico con il supporto di un adeguato piano economico-finanziario, dando quindi mandato al competente Settore dell’Amministrazione Comunale di predisporre in tempi rapidi una proposta operativa.

Inoltre, e più in generale, il Consiglio Comunale rivendica con lo stesso provvedimento “poteri più ampi, anche di carattere discrezionale”, precisando poi “che la proposta di deliberazione predisposta inizialmente dagli uffici con una serie di rilievi e prescrizioni essenziali era evidentemente dettata dall’ipotesi di un percorso condiviso per rendere conforme a legalità ed ad opportunità di interesse pubblico, la pratica in oggetto, senza radicalmente ostacolarla; che eventi successivi, di natura giudiziaria ed extragiudiziaria, inducono ad assumere determinazioni compiute sulla basi degli atti esistenti, salvo riesame in sede di reimpostazione della programmazione urbanistica nelle sue varie fasi; che pertanto è necessaria la rivisitazione del piano attuativo di iniziativa pubblica, che contempli anche l’auspicata compartecipazione dei privati interessati, estesa a tutto l’ambito ZTO GI individuato dal P.R.G., in un’ottica di programmazione complessiva del territorio di che trattasi e (che) preveda l’adeguata dotazione oltre delle infrastrutture anche quella dei servizi e delle attrezzature funzionali finalizzati allo sviluppo armonico dell’area, alla massima fruibilità collettiva e alla compatibilità con le valenze ambientali e paesaggistiche e quindi con un diverso, complessivo assetto convenzionale” .

1.2. Con ricorso proposto sub R.G. 41 del 2008 innanzi al T.A.R. per la Calabria, Sede di Catanzaro, il Morabito ha pertanto chiesto l’annullamento della testè riferita deliberazione del Consiglio Comunale di Catanzaro n. 93.

In tale primo grado di giudizio il Morabito ha dedotto al riguardo quanto segue.

1) Violazione del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, della L.R. 16 aprile 2002 n. 19, della L. 7 agosto 1990 n. 241, del T.U. approvato con D.L.vo 18 agosto 2000 n. 267, nonché eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, travisamento dei fatti, sviamento di potere.

In particolare, il Morabito ha affermato che il provvedimento di diniego non sarebbe stato preceduto dall’avviso di reiezione della domanda, contemplato dall’art. 10-bis della medesima L. 241 del 1990, e che sarebbe stato altresì violato l’art. 7 della stessa L. 241 del 1990 in quanto la deliberazione impugnata revocherebbe e disapplicherebbe atti presupposti, quali quelli posti in essere nel corso del procedimento e – segnatamente - nell’ambito della conferenza di servizi.

In ogni caso - sempre secondo la tesi del Morabito - la deliberazione impugnata sarebbe stata motivata in modo del tutto insufficiente, avendo il Consiglio Comunale omesso di prendere in considerazione i pareri acquisiti nel corso del procedimento, immotivatamente disattendendoli; né, all’uopo, potrebbe soccorrere il riferimento alla relazione illustrativa, a sua volta secondo il medesimo ricorrente in primo grado carente di motivazione e, comunque, afflitta da vizi suoi propri, in quanto sottoscritta da soggetti non aventi competenza in relazione all’attività di pianificazione e comunque non conseguita da un’approfondita istruttoria.

Il Morabito ha dedotto anche la violazione dell’art. 49 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000, in quanto il parere ivi prescritto non sarebbe stato reso dal dirigente competente.

2) Ulteriore violazione del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, della L.R. 19 del 2002. della L. 241 del 1990, del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000, nonché eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di motivazione e di istruttoria, sviamento di potere.

Secondo il Morabito la deliberazione impugnata non avrebbe tenuto conto della rilevanza determinante del piano attuativo, negando invece le previsioni dello stesso e prospettando la necessità di una sua rivisitazione; e, peraltro, il piano attuativo di iniziativa pubblica non sarebbe stato annullato né revocato, né sarebbero stata comunque addotte motivazioni di sorta in ordine alla necessità di rivisitazione, posto che L’intenzione di rivederne il contenuto sarebbe connessa alla sola volontà politica di non approvare un intervento concordato, disattendo e disapplicando in tal modo lo stesso piano attuativo approvato ad iniziativa dello stesso Comune.

Sempre secondo lo stesso Morabito, in presenza del piano attuativo, ossia di uno strumento di esecuzione dello strumento urbanistico generale, il Consiglio Comunale era chiamato semplicemente a verificare la conformità delle previsioni del piano di iniziativa privata al piano stesso oltre che al Piano Regolatore Generale; né risultavano esatte le affermazioni, contenute nella stessa deliberazione impugnata, secondo le quali l’area da lottizzare sarebbe priva di accesso, le tipologie previste non sarebbero conformi alle previsioni dell’art. 58 N.T.A. e gli interventi non sarebbero coordinati fra di loro; né, ancora, sarebbe richiesta in ogni caso la valutazione di impatto ambientale, e neppure sussisterebbero disposizioni normative che prevedano l’obbligo di costituzione di un consorzio tra soggetti pubblici e/o privati per l’attuazione del piano di lottizzazione

3) Ulteriore violazione del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, della L.R. 19 del 2002, della L. 241 del 1990, della L.R. 19 del 2002, della L. 241 del 1990 e del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000, eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di motivazione ed i istruttoria, sviamento di potere, violazione dei principi sugli atti ed i provvedimenti amministrativi e di adeguatezza, eccesso di potere per illogicità manifesta, incongruenza ed incompetenza.

Secondo il Morabito l’Amministrazione Comunale si sarebbe illegittimamente avvalsa dell’ausilio esterno di un professionista che ha reso il parere legale, il quale peraltro ha disatteso i pareri già esistenti e resi dagli organi istituzionali; né al professionista esterno sarebbero stati peraltro sottoposti dei quesiti, essendo stata rimessa allo stesso la sola valutazione di tutti gli atti del procedimento; e – ancora – il parere sarebbe stato chiesto da un organo a ciò incompetente, ossia la Giunta Comunale, né sarebbe stato preceduto dalla stipulazione di un contratto scritto fra le parti.

Il professionista, inoltre, ad avviso del Morabito sarebbe incorso nella stesura del parere in errori di fatto, stante l’assenza di adeguata istruttoria al riguardo.

Secondo la tesi dello stesso Morabito la deliberazione consiliare recante il diniego di approvazione della lottizzazione risulterebbe comunque viziata da sviamento di potere, atteso che la stessa si fonderebbe non già sull’erroneità del piano di dettaglio, quanto sull’intento di ridisegnare urbanisticamente un quartiere turistico in luogo delle lottizzazioni proposte; e tale sviamento risulterebbe comprovato in modo testuale anche dal contenuto dello stesso parere reso dal professionista, segnatamente laddove si propone di azzerare l’intero procedimento allo scopo di delineare un assetto diverso del territorio.

1.3. Nel primo grado di giudizio si è costituito il Comune di Catanzaro, deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

1.4. Con motivi aggiunti di ricorso il Morabito ha esteso l’impugnazione anche ai verbali delle sedute della Giunta Comunale di Catanzaro del 13 dicembre 2007 e dell’8 gennaio 2008, riguardanti la nomina della Commissione avente il compito di predisporre una proposta operativa per la pianificazione del comparto Giovino del Comune di Catanzaro.

Tali attività, sempre ad avviso del Morabito, costituirebbero prova della sussistenza del vizio di sviamento di potere da lui dedotto nei confronti della deliberazione consiliare di diniego dell’approvazione della lottizzazione laddove l’approvazione medesima sarebbe stata – sempre a suo dire – denegata non già con riguardo ad una pretesa irregolarità o a ad un asserito contrasto tra i piani attuativi e lo strumento urbanistico generale, ma per addivenire ad una variante della strumentazione urbanistica vigente.

Secondo il ricorrente in primo grado tale sviamento sarebbe reso evidente dalle relazioni introduttive, laddove si farebbe espresso riferimento all’intento di giungere ad un diverso assetto convenzionale e si evidenzierebbe che i piani di lottizzazione sono stati istruiti dalla precedente Amministrazione Comunale; né andrebbe sottaciuto che le relazioni del Sindaco e della Giunta Comunale prospetterebbero l’intervento come espressione di attività degli stessi organi, anche di concerto con i gruppi consiliari di maggioranza, invadendo un ambito di competenza proprio - per contro - dei dirigenti e del Consiglio Comunale.

Il Morabito ha da ultimo rimarcato, negli stessi motivi aggiunti di ricorso, che gli atti impugnati sarebbero illegittimi anche laddove conferirebbero un incarico preordinato alla revoca o modifica di un provvedimento pianificatorio, e ciò in quanto mancherebbe ogni motivazione quanto sul fine e sul contenuto della variante, e la Giunta Comunale avrebbe dovuto nel caso di specie adottare delle formali deliberazioni e non agire mediante semplici verbali.

1.5. Con sentenza n. 626 dd. 6 giugno 2008 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso del Morabito, compensando integralmente tra le parti le spese di tale primo grado di giudizio.

2.1.1. Il Morabito chiede ora la riforma di tale sentenza.

L’appellante ripropone in buona sostanza i medesimi motivi di ricorso da lui proposti nel primo grado del giudizio, riferendoli al contenuto della sentenza impugnata e modificando il loro ordine di esposizione, in modo da introdurre immediatamente “i motivi specifici posti dalla deliberazione” recante la reiezione del progetto di lottizzazione, in modo da entrare “immediatamente nel vivo delle problematiche inerenti la mancata approvazione della proposta di lottizzazione”; e ciò, “pur riconfermando il carattere preliminare ed assorbente delle eccezioni” di carattere formale attinenti alla dedotta violazione degli artt. 10-bis e 7 e ss. della L. 241 del 1990 (cfr. pag. 9 dell’atto introduttivo del presente grado del giudizio).

2.1.2. Ciò posto, il Morabito contesta innanzitutto l’assunto per cui l’area da lottizzare sarebbe priva di accesso: e ciò in quanto l’accesso medesimo già esisterebbe in punto di fatto, nel mentre per quanto attiene all’ulteriore viabilità ed urbanizzazione afferente tutto il comprensorio, anche eccedente la lottizzazione, esisterebbe la specifica normazione del Piano attuativo formato dal Comune e progettato dagli stessi dirigenti comunali unitamente alle opere di urbanizzazione riferite alla macroarea, con conseguente obbligo dei lottizzanti alla realizzazione delle stesse a propria cura e spese.

L’appellante pertanto rimarca la circostanza che le urbanizzazioni estese anche al di fuori del comprensorio di lottizzazione non solo sono previste in maniera vincolante dal piano attuativo la cui esecuzione è imposta anche dalla stipulanda convenzione, ma anche che sono state minuziosamente previste e disciplinate nei minimi particolari, ivi compresi pure quelli di carattere meramente esecutivo, come comprovato dalle tavole progettuali prodotte nel primo grado di giudizio

L’appellante, nell’evidenziare che per la realizzazione dell’arteria principale è stato già effettuato dal Comune stesso l’appalto giusta contratto n. 104 dd. 26 aprile 2006 rileva anche che la sentenza ignorerebbe tutto questo, limitandosi – anche perché su tale punto, oltreché per gli altri specifici motivi nulla avrebbe replicato la difesa del Comune - a ripetere l’inesatta prospettazione contenuta nella deliberazione che consapevolmente vorrebbe tacere il contenuto delle previsioni del Piano Attuativo generale e prospetta come carenze l’insieme dei profili che o stesso Comune intenderebbe introdurre come varianti al Piano Attuativo medesimo.

Inoltre, sempre ad avviso del Morabito, la sentenza stessa avrebbe omesso di considerare che il piano attuativo di iniziativa privata si atteggia come esecutivo e consequenziale del pianto esecutivo generale di iniziativa pubblica per cui non era censurabile stante la conformità a tale piano generale e vincolante.

Semmai, secondo l’appellante, la revisione - prospettata nella seduta del Consiglio Comunale - delle previsioni di zona integrerebbe un’inammissibile ed immotivata revoca del Piano esecutivo generale di iniziativa dello stesso Comune, oltretutto redatto dagli stessi dirigenti che hanno partecipato al procedimento in esame e che pertanto, inspiegabilmente, muovono dal presupposto della inidoneità di quanto da loro stessi progettato: revisione ispirata ad un preteso ed indeterminato interesse pubblico.

Né la sentenza avrebbe considerato che tutte le urbanizzazioni del comparto generale, poste anche a servizio della lottizzazione singola, erano contenute nel Piano attuativo generale, approvato anche in variante al P.R.G. e che alle previsioni del medesimo piano attuativo generale pubblico aveva partecipato anche l’attuale appellante, che si era anche assunto oneri particolarmente gravosi concorrendo alla realizzazione delle urbanizzazioni generali al di fuori della lottizzazione, assolutamente non dovuti per legge e per regolamento posto che il lottizzante è tenuto a corrispondere contributi economici per le opere di urbanizzazione del proprio suolo lottizzato, non a quelle esterne.

2.1.3. Secondo il Morabito l’intervento di cui trattasi contemplerebbe la realizzazione di tipologie residenziali perfettamente conformi alle previsioni dall’art. 58 della N.T.A. – nondimeno lacunosamente enunciate dalla deliberazione - e comprendenti espressamente anche

“villaggi turistici”; né potrebbe contestarsi che le medesime previsioni tipologiche contemplate dalla lottizzazione rispecchino strutture turistiche alberghiere secondo le tipologie più proprie, che-comprendono oltre alla struttura unica alberghiera anche l’esistenza di servizi e strutture centrali, nonché la creazione di strutture articolate, così come avviene in tutti gli insediamenti turistico-alberghieri di una certa entità.

La stesa sentenza ometterebbe anche di considerare che acquista, in merito, valore decisivo e determinante la destinazione d’uso impressa, la quale ha valore vincolante quanto alla concreta utilizzazione degli immobili.

La pretestuosità dell’assunto contenuto nella deliberazione impugnata sarebbe confermata anche dal fatto che la conformità urbanistica è stata accertata e dichiarata del parere obbligatorio dell’Amministrazione Regionale, viceversa contraddetto dalla deliberazione impugnata senza motivazione e senza che il parere medesimo sia stato finanche preso in esame o menzionato: ciò in palese violazione delle regole motivazionali contenute nell’art. 3 della L. 241 del 1990; inoltre l’asserito contrasto sarebbe soltanto affermato e non motivato, e - anzi – trasparirebbe chiaramente il fatto che sarebbe stata considerata genericamente la tipologia senza prendere in esame le specifiche tipologie che non sono uguali, ma differenti per le sette lottizzazioni proposte per l’approvazione.

Sempre secondo il Morabito, la stessa sentenza qui impugnata darebbe la dimostrazione dell’infondatezza di tale motivo di diniego, laddove afferma testualmente: “3.4.3 Quanto al secondo aspetto rilevato in delibera, quello della non conformità delle tipologie contemplate alle previsioni dell’art. 58 N.T.A., va detto che l’affermazione secondo cui l’intervento prospetta tipologie residenziali non ammesse suscita perplessità. L’art. 58 delle N.T.A. prevede espressamente, tra le tipologie edilizie ammesse, le residenze stagionali, di talché non è revocabile in dubbio che sia consentita la realizzazione di strutture di tipo residenziale” (cfr. pag. 37 della sentenza impugnata).

Il Morabito, sempre a tale riguardo, rimarca ancora una volta che tutti i presupposti, anche di conformità alla vigente strumentazione urbanistica vigente, sono stati approvati e ritenuti esistenti in sede di conferenza di servizi dd. 22 maggio 2006, i cui risultati non potevano essere disattesi senza specifica motivazione e senza il rispetto delle regole del procedimento proprio degli atti di ritiro e di mutazione di pareri obbligatori resi.

2.1.4. L’appellante afferma pure che non corrisponderebbe alla realtà l’assunto secondo cui la

singola proposta di lottizzazione non sarebbe coordinata con le altre proposte, con ciò determinando un disordinato sviluppo urbanistico, anche perché:

a) si tratterebbe anche in questo caso di mere affermazioni non sorrette da alcuna motivazione o risultanza istruttoria;

c) non sussisterebbe, comunque, alcun obbligo giuridico vincolante in merito poiché lo strumento urbanistico si limiterebbe a prevedere la lottizzazione determinando solo la superficie minima dell’intervento, senza altro adempimento;

c) indipendentemente dalla mancanza di alcuna disposizione in merito sussisterebbe comunque - come detto innanzi - il coordinamento per tutta la macroarea, essendo lo stesso effettuato dal Piano attuativo pubblico, esteso a tutta la macroarea esistente con previsione di tutte le urbanizzazioni;

d) sempre per quanto detto innanzi, le tipologie previste sarebbero esattamente quelle di cui all’art.58 delle N.T.A. del PRG, e anche in questo caso varrebbe la specificazione

vincolante contenuta nel piano generale- attuativo.

2.1.5. L’appellante insiste anche nell’affermazione secondo la quale non sarebbe nella specie richiesta la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.), anche perché:

a) l’affermazione della necessità di tale procedura sarebbe perlomeno arbitraria, e comunque non sorretta da alcuna motivazione, a’ sensi del generale principio contenuto nell’art. 3 della L. 241 del 1990;

b) neppure sarebbe motivato e, comunque, non risulterebbe sussistere l’onere di acquisire la V.I.A. per tutta la macroarea in esame, posto che era ed è in esame la lottizzazione singola redatta nei limiti di ammissibilità della stessa, per come previsto dallo strumento urbanistico generale;

c) non solo la deliberazione non recherebbe una concreta motivazione della necessità di acquisire nella specie la V.I.A., ma neppure indica una disposizione normativa che segnatamente richieda la V.I.A. per tutta la macroarea, posto che la V.I.A. medesima non sarebbe comunque richiesta in nessun caso, nemmeno per estensione maggiore del terreno lottizzato; in tal senso l’appellante rimarca che la V.I.A. è normativamente richiesta, in concorso con gli ulteriori presupposti anche di carattere tipologico, soltanto per i progetti edilizi e per gli atti di pianificazione urbanistica;

d) la sentenza impugnata richiamerebbe in senso favorevole alla necessità della V.I.A.

una giurisprudenza asseritamente non applicabile nella specie e che atterrebbe invece, sempre ed unicamente, ad ipotesi non già di provvedimenti pianificatori, ma di episodi edilizi costruttivi in cui la V.I.A. risulterebbe necessaria allorquando si tratti di episodi di notevole entità.

Sempre in tal senso, l’appellante rimarca che, ove fosse richiesta la V.I.A. come atto preliminare ad un piano urbanistico, la stessa avrebbe dovuto essere richiesta anche per il piano attuativo generale già approvato dal Comune e per quello che si vorrebbe approvare in via sostitutiva

2.1.6. Il Morabito afferma anche che non sussiste, inoltre, alcuna norma che imponga la costituzione di un consorzio pubblico-privato per progettare e realizzare un piano di dettaglio particolareggiato che ridisegni urbanisticamente un “quartiere turistico” organico con l’adeguato piano economico finanziario, per come affermato nella deliberazione che, anche in questo caso pretenderebbe di strumentalizzare il piano di dettaglio, di natura meramente esecutiva ed attuativa, per mutare previsioni e discipline che sono proprie dello strumento urbanistico generale.

Lo stesso appellante afferma che - peraltro, e indipendentemente da tale carenza di presupposti e di motivazione - un consorzio tra i proprietari interessati alle varie lottizzazioni nella zona G 1 è previsto e contemplato anche in sede di convenzione e con previsione di attuazione prioritaria rispetto all’esecuzione concreta di quanto oggetto della lottizzazione; senza sottacere – altresì – un richiamo al fondamentale principio secondo il quale, per quanto attiene alle urbanizzazioni, l’Amministrazione Comunale nulla potrebbe chiedere oltre quanto espressamente previsto dalla legge anche per prestazioni imposte che possono trovare fondamento solo nella legge in forza della riserva relativa contenuta nell’art. 23 Cost.

2.1.7. Per quanto poi attiene alla motivazione ulteriore in forza della quale la deliberazione, recependo la proposta effettuata dalla consulenza esterna, ha ritenuto di esercitare un non meglio identificato potere discrezionale di diniego in funzione di un diverso futuro assetto convenzionale del territorio interessato, il Morabito afferma l’illegittimità di una simile pretesa, la quale sarebbe priva di qualsivoglia fondamento normativo in quanto fuoriuscirebbe dalla funzione propria del piano attuativo e sarebbe comunque carente di tutti i presupposti, anche di motivazione e di istruttoria, nonché errata anche quanto agli elementi di fatto indicati e viziata in via derivata dall’illegittimità del parere posto a fondamento della deliberazione.

Secondo il Morabito, pertanto, risulterebbe con ciò intrinsecamente illegittima la pretesa di fondare il diniego in base a valutazioni di natura puramente discrezionale, posto che il Piano attuativo si atteggia ontologicamente solo come atto di esecuzione dello strumento urbanistico generale per cui, nella specie, l’Amministrazione Comunale era chiamata solo a verificare, sulla base degli atti e pareri del procedimento (da cui avrebbe potuto discostarsi solo a seguito di puntuale e specifica motivazione) la conformità del piano ad iniziativa privata allo strumento urbanistico generale e più specificamente al Piano attuativo ad iniziativa pubblica costituente il presupposto vincolato della successiva azione amministrativa.

L’appellante reputa, quindi, che in tale contesto non troverebbe spazio l’asserita discrezionalità amministrativa, la quale - al limite - potrebbe essere esercitata solo limitatamente a profili di carattere esecutivo degli strumenti generali, non potendo a suo avviso concepirsi che, in sede di pianificazione esecutiva e di dettaglio, si proceda a delle varianti che attingerebbero nella sostanza alla pianificazione urbanistica generale: senza considerare – altresì - che ogni valutazione in merito dovrebbe essere adeguatamente motivata e giustificata anche, e soprattutto, quanto alle scelte discrezionali, posto che – per l’appunto - la motivazione è l’elemento che distingue la discrezionalità dal mero arbitrio.

Il Morabito ritiene che nella specie la discrezionalità (comunque, per quanto sopra, inammissibile) sarebbe stata in ogni caso soltanto enunciata e sarebbe stata assolutamente immotivata quanto alle censure genericamente mosse, specie in considerazione del fatto che sia nella deliberazione consiliare da lui impugnata, sia nel parere legale da essa richiamato ci si riferisce in via del tutto generica ad un preminente interesse pubblico che occorrerebbe tutelare, senza tuttavia illustrarne il contenuto e – quindi – definendo solo una mera volontà politica di dare alla zona un diverso assetto, sostanziale e convenzionale, nemmeno specificato o giustificato.

L’appellante rimarca a tale ultimo proposito che le necessità di adeguare la lottizzazione ad esigenze nuove e sopravvenute non solo non sarebbero motivate, ma che comunque non sussisterebbero, posto che il P.R.G. comunale non è antico, ma recente, essendo stato approvato con decreto dirigenziale regionale n. 14350 dd. 8 novembre 2002; che le esigenze attuali del territorio sarebbero state prese in esame e regolate dal più volte richiamato Piano attuativo comunale che costituirebbe pertanto presupposto ultimo della lottizzazione singola; e che, significativamente, da ultimo, lo stesso Consiglio Comunale di Catanzaro con deliberazione n. 120 dd. 4 dicembre 2007 ha dichiarato il “non contrasto” delle previsioni del P.R.G. vigente rispetto alle linee guida regionali, a’sensi dell’art.65, comma 2, della L.R. 19 del 2002, riconoscendo con ciò la piena rispondenza dello strumento urbanistico primario del Comune a tutte le esigenze sopravvenute, anche di carattere paesaggistico ed ambientale, tanto da non rendere necessario alcun atto di adeguamento.

A tale ultimo riguardo l’appellante rileva che tale deliberazione consiliare è stata adottata sulla scorta di un parere reso al riguardo dal dirigente competente nella materia, Arch. Biagio Cantisani per cui, paradossalmente, si avrebbe la conseguenza che il dirigente competente preposto all’urbanistica ed alla pianificazione reputa il P.R.G. in vigore perfettamente adeguato e rispondente ad ogni esigenza passata e sopravvenuta,nel mentre il dirigente non competente in materia perché preposto ora ad altro servizio avrebbe accettato ed espresso pareri sulla necessità di rivisitazione della pianificazione esistente.

2.1.8. Il Morabito afferma che nella specie assumerebbe rilievo decisivo la figura sintomatica dello sviamento di potere: e ciò in relazione alla circostanza che il diniego risulterebbe preordinato al raggiungimento di un fine diverso ed ulteriore, quale la rivisitazione dell’assetto generale vigente e dato dallo stesso Comune con il Piano attuativo generale di iniziativa pubblica (voluto dal Comune medesimo e progettato dai suoi dirigenti), che ora si vorrebbe sostituire con l’altro piano in corso di formazione.

L’appellante reputa particolarmente esplicito e significativo in tal senso quanto da lui dedotto in primo grado con motivi aggiunti formulati avverso le deliberazioni della Giunta Comunale dd. 8 gennaio 2008 e 13 febbraio 2007, relative all’attuazione di un “intento di realizzare l’assetto urbanistico del comprensorio G1 in conformità ai principi già precostituiti nella deliberazione del Consiglio Comunale, attualizzando e rettificando, per quanto necessario, soprattutto gli aspetti attinenti: a) al ripristino della viabilità pubblica soprattutto lato mare e con fruibilità della collettività; b)determinazione dei limiti e delle proporzioni di edificabilità delle residenze; c)il dettaglio degli oneri di urbanizzazione interni ed esterni; d) il rispetto ed il potenziamento dei lavori”.

Il Morabito afferma in proposito che da ciò risulterebbe confermato il già dedotto sviamento di potere, risultando che il motivo reale del diniego dell’assenso alle lottizzazioni convenzionate non sarebbe costituito da pretese irregolarità o illegittimità o contrasti tra le lottizzazioni medesime e lo strumento urbanistico generale, ma piuttosto dell’intento di procedere ad una variante urbanistica costituente tra l’altro modifica e rettifica al Piano attuativo generale già deliberato ed approvato dalla stessa Amministrazione Comunale e progettato dagli stessi dirigenti poi nominati per procedere immotivatamente alla sua modifica. per come peraltro già evidenziato sia dal parere legale condiviso dal Consiglio Comunale, laddove segnatamente si legge che “occorre una reimpostazione, che può anche partire dalla rivisitazione del piano attuativo, o, comunque da diverso complessivo assetto convenzionale. Palla al centro, per così dire”, ovvero che sarebbe “necessaria la rivisitazione del piano attuativo di iniziativa pubblica, che contempli anche l’auspicata compartecipazione dei privati interessati, estesa a tutto l’ambito ZTO G1 individuato dal P.R.G., in un’ottica di programmazione complessiva del territorio di che trattasi e preveda l’adeguata dotazione oltre delle infrastrutture anche quella dei servizi e delle attrezzature funzionali finalizzati allo sviluppo armonico dell’area, alla massima fruibilità collettiva e alla compatibilità con le valenze ambientali e paesaggistiche e quindi con un diverso complessivo assetto convenzionale”.

Sempre in tal senso il Morabito rileva la contraddittorietà ed il difetto di motivazione dei verbali consiliari, anche perché:

a) si afferma che il mandato da conferire al gruppo di progettazione sarebbe conforme ai “principi già precostituiti nella deliberazione del Consiglio Comunale”, mentre la deliberazione non recherebbe al riguardo alcuna precostituzione specifica;

b) si renderebbe manifesta la circostanza che non sussistono nel piano di lottizzazione quelle deficienze enunciate anche quanto alle opere di urbanizzazione ed alla destinazione urbanistica che invece esistono e sono conformi al piano attuativo voluto ed approvato dalla stessa Amministrazione Comunale, poiché l’intento perseguito risulterebbe invece quello di modificare le previsioni del medesimo Piano attuativo anche quanto alla viabilità, considerato che il mandato di variante attiene alla modifica della viabilità del Piano attuativo mediante ripristino della viabilità preesistente anche quanto alla “viabilità pubblica soprattutto lato mare”.

Secondo l’appellante lo sviamento si coglierebbe anche nelle relazioni introduttive così come risultanti dalla trascrizione della seduta del Consiglio Comunale, sia del Sindaco (cfr. ivi, pag. 5 e ss.) sia dell’Assessore all’Urbanistica Domenico Iaconantonio (cfr. ibidem, pag.46 e ss.), i quali hanno poi esplicitamente affermato che il rigetto delle istanze di lottizzazione prodotte è stato disposto solo “per procedere, con diverso approccio collaborativo dei privati, ad un diverso assetto convenzionale, che interessi l’intero comparto ZTO- G1 e quindi con l’intervento pianificatorio anche delle altre zone, allo stato non oggetto di lottizzazione” (cfr. ibidem, pag.66).

Il Morabito afferma pure, a sua volta, che il diniego medesimo risulterebbe ripetutamente ispirato ad un intento che sarebbe, per così dire, “punitivo” e di reazione alle sue precedenti iniziative di richiesta di intervento sostitutivo regionale e di ricorso in sede giudiziale nei riguardi del silenzio serbato dall’Amministrazione Comunale: iniziative esplicitamente definite come “gesto grave, di arroganza e di prevaricazione” che avrebbe impedito un’ulteriore concertazione (cfr. in tal senso, segnatamente, la pag. 17 della trascrizione della seduta); né lo stesso Morabito sottace che sia il Sindaco, sia l’Assessore competente nella materia urbanistica hanno esplicitamente rimarcato nelle rispettive relazioni che i piani di lottizzazione erano stati presentati ed istruiti dalla passata Amministrazione Comunale, e che la nuova Amministrazione in carica aveva tentato di trasformare il tutto in conformità alle proprie vedute ispirate, secondo la prospettazione del Sindaco, all’esempio di un risalente e non completato progetto di variante generale redatto dal ben noto e stimato Arch. Marcello Vittorini.

2.1.9. Nel riproporre, quindi, i motivi preliminari di carattere procedimentale, il Morabito insiste nell’affermazione della fondatezza della censura di violazione dell’art.10-bis della L. 241 del 1990, non essendo stato il diniego di approvazione del piano di lottizzazione preceduto dalla preventiva comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della relativa domanda.

Il Morabito reputa tale omissione lesiva del fondamentale diritto alla partecipazione ed al

contraddittorio, nonché particolarmente rilevante nella specie pure in quanto non esclusa dall’art. 13 della L. 241 del 1990, anche perché non verrebbe nella specie in considerazione il profilo della disciplina della pianificazione, che è proprio dello strumento urbanistico generale, ma l’accoglimento di una domanda che ha come atto terminale un rapporto convenzionato per cui si verte nel tipico procedimento “ad istanza di parte” , destinato a concludersi con un contratto da stipulare in conformità di uno schema predisposto dalla parte ed accettato dall’Amministrazione.

Il Morabito rimarca inoltre che il provvedimento negativo posto in essere conclude un lungo e laborioso procedimento concertato fin nei minimi dettagli con l’Amministrazione Comunale, la quale ha imposto le sue vedute e le sue posizioni, anche con l’assunzione da parte del proponente di spese e di oneri di gran lunga superiori a quelli dovuti mediante la realizzazione di tutte le urbanizzazioni afferenti non solo al comprensorio lottizzato, ma anche alla macroarea costituita da tutto il territorio di 232 ettari, variamente normati .

Secondo il Morabito, in tale contesto il repentino ed immotivato mutamento di indirizzo dell’Amministrazione Comunale che, in presenza di tutti gli atti e pareri di legge, dopo aver sottoposto al Consiglio uno schema di deliberazione di approvazione, approva in sede di consiglio un emendamento che trasforma l’approvazione in diniego avrebbe richiesto come non mai un valido contraddittorio, se non altro al fine di consentire di eliminare le più vistose antinomie ed erroneità, anche in punto di fatto, e garantendo comunque gli apporti partecipativi previsti specificamente dall’art.2, comma 2, della L.R. 19 del 2002.

2.1.10. Il Morabito insiste anche nella prospettazione della violazione dell’art. 7 della L.241 del 1990, e ciò in quanto – a suo dire - la deliberazione impugnata costituirebbe revoca o disapplicazione dei suoi atti presupposti, con conseguente necessità dell’avviso di inizio del relativo procedimento nei confronti dei soggetti destinatari del provvedimento finale.

2.1.11. Secondo lo stesso appellante, sarebbe oltremodo significativo – altresì - il fatto che risulterebbe disattesa, senza motivazione e senza il rispetto degli artt. 7 e 10 della L. 241 del 1990, la conferenza dei servizi specificamente effettuata per la lottizzazione in esame e che viene con ciò caducato, in funzione di una successiva rielaborazione, anche il più volte richiamato presupposto Piano particolareggiato generale di iniziativa pubblica, redatto ed approvato dallo stesso Comune e contenente anche obbligazioni specifiche afferenti il presentatore della proposta di lottizzazione; il che varrebbe pure per gli atti endoprocedimentali già definitivamente posti in essere anche in sede di conferenze dei servizi che hanno anche natura provvedi mentale, specie in considerazione del sistema vigente delle competenze che vede attribuita ai dirigenti in via generale ed esclusiva la competenza per gli atti dì gestione.

Secondo il Morabito, la circostanza che in tale “sistema” la legge attribuisca al Consiglio Comunale, ossia ad un organo politico e non di gestione, la competenza ad emettere l’atto finale dì approvazione della lottizzazione convenzionata (ora, nel contesto della L.R. 19 del 2002 Piano urbanistico unitario - P.A.U.) non snaturerebbe il“sistema” medesimo, nè eliderebbe la natura provvedimentale degli atti dei dirigenti, per cui l’atto di approvazione della lottizzazione convenzionata verrebbe a configurarsi come atto complesso a complessità ineguale secondo una sistematica che, peraltro, appare frequente e ricorrente anche, ad esempio, per il caso del Piano Regolatore Generale, nel quale il provvedimento finale della Regione non eliderebbe la natura autonoma degli atti del procedimento, i quali sono presupposti e concorrenti alla produzione dell’atto complesso.

Ma - prosegue sempre l’appellante - anche considerando gli atti al livello di pareri, sta il fatto che tutti i pareri espressi nel procedimento - ivi dunque compreso quello di conformità urbanistica reso dall’Autorità Regionale e gli altri resi dai competenti dirigenti comunali - sono stati contraddetti dalla deliberazione di diniego senza addurre la necessaria motivazione al riguardo, non dovendosi obliterare la circostanza che nella specie tutti i pareri, ivi compresi quelli acquisiti nelle conferenze dei servizi, sono stati favorevoli all’approvazione mentre il Consiglio Comunale si è acriticamente uniformato al solo parere esterno, oltre a tutto illegittimamente acquisito, a sua volta privo di istruttoria e non motivato quanto al fatto che venivano ad essere disattesi i pareri obbligatori già acquisiti da tempo.

Né la motivazione idonea a giustificare il fatto che sono stati disattesi i pareri obbligatori sarebbe rinvenibile nella Relazione Integrativa dd. 31 ottobre 2007, a firma dei dirigenti Avv. Gabriella Celestino e Ing. Vincenzo Belmonte e costituente l’allegato “A” dell’impugnata deliberazione consiliare, e ciò in quanto anche tale atto non prende in esame, né menziona il contenuto dei pareri obbligatori acquisiti, limitandosi ad un generico richiamo alla relazione del consulente esterno.

La relazione Celestino – Belmonte sarebbe inoltre illegittima anche perchè:

a) il dirigente preposto al Settore Legale non avrebbe alcuna competenza in ordine al procedimento di formazione di una lottizzazione convenzionata, specie se si considera che sono in questione delle valutazioni di carattere tecnico che vanno effettuate dal dirigente tecnico competente;

b) neppure risulterebbe competente ad esprimersi al riguardo l’Ing. Vincenzo Belmonte, in quanto al momento della formulazione della relazione egli non era più il dirigente preposto al Settore Urbanistica essendo stato nominato ad altro ufficio, nel mentre al Settore Urbanistica era stato preposto l’Arch. Biagio Cantisani, professionista esterno nominato con decreto sindacale Prot. n. 63298 dd. 22 agosto 2007 nel quadro di un complesso di nomine dirigenziali poste in essere dal Sindaco medesimo senza asseritamente ottemperare alla normativa di rilevanza costituzionale che sancisce l’accesso alla dirigenza per il tramite di concorsi pubblici.

Il Morabito afferma che la relazione Celestino – Belmonte comunque non sarebbe configurabile quale autonoma determinazione dirigenziale poiché, da un lato, si limiterebbe a far propria una consulenza esterna e, dall’altro lato, dichiarerebbe di dare esecuzione ad una direttiva della Giunta Comunale (parimenti incompetente a provvedere al riguardo) laddove in premessa afferma che “nella seduta del 31 ottobre2007 la Giunta Comunale prendendo atto del parere reso dall’Avv. Raffaele Mirigliani … ha dato mandato agli uffici Urbanistica e Legale di procedere ad una rivisitazione delle proposte di deliberazione già depositate presso la Presidenza del Consiglio Comunale, soprattutto alla luce dei contenuti del parere fornito dal predetto legale”.

Singolare sarebbe inoltre – sempre secondo l’appellante - che il parere legale predetto è stato depositato il giorno 30 ottobre 2002 alle ore 13,10 e che la relazione integrativa in questione reca la data del giorno successivo (31 ottobre 2007), dopo una “approfondita lettura ed analisi delle motivazioni tecnico-giuridiche affrontate e prospettate in punto di fatto e di diritto” nondimeno effettuata in una sola giornata.

2.1.12. L’appellante insiste, relativamente alla posizione del dirigente Ing. Vincenzo Belmonte, nella censura di violazione dell’art.49 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000, secondo il quale - per l’appunto - su ogni proposta di deliberazione che non sia di mero indirizzo “deve essere richiesto il parere in ordine alla regolarità tecnica del responsabile del servizio interessato”: violazione che si determina non essendo il Belmonte - come detto innanzi -“responsabile del servizio interessato”.

2.1.13. L’appellante afferma anche che la sentenza impugnata erroneamente disattenderebbe il terzo motivo di ricorso, con il quale è stato dedotto l’eccesso di potere per difetto ed erroneità di presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà,difetto di motivazione e di istruttoria, sviamento di potere, violazione dei principi sugli atti e provvedimenti amministrativi, nonché violazione del principio di adeguatezza, illogicità manifesta, incongruenza ed incompetenza.

Il Morabito rileva che il parere esterno è stato chiesto dalla Giunta Comunale, è stato reso velocemente nei venti giorni successivi ed è stato recepito dalla Giunta medesima chiedendo ai Settori Urbanistica e Legale una rivisitazione delle proposte di lottizzazione già depositate per uniformarsi al parere negativo reso dal consulente stesso: il che , per quanto descritto innanzi,è stato prontamente effettuato dalla relazione integrativa precipitosamente redatta il giorno successivo e che si adegua a quanto disposto in sede politica.

Secondo l’appellante anche tale procedimento risulterebbe intrinsecamente illegittimo e, pertanto, viziante della deliberazione di diniego di approvazione della lottizzazione, in quanto ciò violerebbe il fondamentale principio secondo il quale l’attività amministrativa deve essere posta in essere dagli organi istituzionali, anche per quanto riguarda i pareri, con divieto di ricorrere all’ausilio esterno salvo che per ipotesi particolari e quando esista e sia motivata l’impossibilità di avvalersi di organi istituzionali interni; nella specie non sussisterebbe, e comunque non risulterebbe motivata tale impossibilità, dovendosi per contro evidenziare che il Comune si sarebbe dotato di recente dei dirigenti prescelti come soggetti particolarmente esperti e capaci di assolvere ai compiti istituzionali e che, paradossalmente, l’ausilio esterno sarebbe stato disposto non solo in sostituzione degli organi istituzionali, ma addirittura per disattendere i pareri già esistenti resi dagli organi istituzionali.

Il Morabito, sempre a tale riguardo, reputa – altresì – significativa la circostanza per cui non è stato nemmeno richiesto un parere in senso tecnico comportante la formulazione di uno o più quesiti individuati, ma è stata rimessa ad organo non istituzionale la valutazione indiscriminata di tutti gli atti e del procedimento posti in essere in funzione di una proposta di provvedimento da assumere, con evidente lesione delle prerogative organiche completamente obliterate.

Il parere stesso, poi – sempre secondo il Morabito - non avrebbe potuto essere chiesto dalla Giunta Comunale, posto che la richiesta di parere costituisce attività di gestione di competenza del dirigente comunale preposto al servizio: in tal modo, pertanto, l’organo politico si sarebbe nella specie arrogato il potere di spogliare i dirigenti di loto attribuzioni istituzionali per attribuirle ad una consulenza esterna.

L’appellante rimarca pure che la consulenza, a sua volta e al pari di ogni contratto dell’Amministrazione Comunale, implicava la stipula del contratto medesimo, che deve essere rivestito da forma scritta a pena di nullità, e rileva che la consulenza medesima sarebbe comunque carente di istruttoria e di motivazione, tanto da incorrere in errori di fatto, come ad esempio l’assunto secondo il quale le lottizzazioni investirebbero tutto il territorio residuo edificabile di circa 200 ettari: il che non risponderebbe a verità, poiché la macroarea in località Bellino, dell’estensione di circa 232 ettari, è variamente utilizzata, poiché 122 di essi sono normati in zona G1 e, di questi, solo 65 ettari costituirebbero la somma dei terreni di tutte e sette le lottizzazioni (cfr. al riguardo le tavole 2 e 5 del Piano attuativo): dal che discenderebbe che l’area delle lottizzazioni, ben lungi dall’interessare tutta la estensione dell’area, risulterebbe meno di un quarto della stessa.

2.1.14. Da ultimo, ad avviso del Morabito il giudice di primo grado avrebbe anche omesso di considerare e prendere in esame l’ultimo motivo di ricorso, con il quale era stata censurata l’illegittimità consistente nel fatto che è stato espresso il diniego totale in violazione del principio di adeguatezza: principio che avrebbe dovuto essere comunque rispettato, specie a fronte della necessità di conservazione degli atti e procedimenti posti precedentemente in essere dall’Amministrazione Comunale medesima e dai privati.

2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di Catanzaro, concludendo per la reiezione dell’appello.

3. Alla pubblica udienza del 6 marzo 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

4.2. Va premesso che il Morabito, pur riproponendo sostanzialmente le medesime censure già da lui dedotte in primo grado, ha modificato nel presente giudizio d’appello l’ordine di esposizione delle censure stesse, dichiaratamente privilegiando nella loro nuova graduazione quelle rivolte contro il contenuto stesso delle considerazioni motivazionali con le quali il Consiglio Comunale ha reputato di non approvare il proposto piano motivazionale: e ciò all’evidente fine, consentito dalla stessa struttura normativa del processo amministrativo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 dicembre 2011 n. 6625), di prefigurare, nell’ipotesi di accoglimento delle censure collocate per prime nel nuovo ordine di esposizione, un giudicato di annullamento a lui più favorevole in quanto dotato di un contenuto conformativo ben più stringente per l’Amministrazione Comunale rispetto a quello che potrebbe viceversa discendere dall’eventuale accoglimento delle censure subordinate che lo stesso Morabito ha comunque dedotto nel presupposto dell’avvenuta violazione delle regole del giusto procedimento (ad esempio, quelle contenute negli artt. 10-bis e 7 della L. 241 del 1990) e che parimenti – secondo la prospettazione dell’attuale appellante – il Comune avrebbe violato.

Ciò posto, il Collegio reputa a sua volta di confermare, anche in tale diverso contesto espositivo delle censure anzidette, il ben fondato rilievo preliminare del giudice di primo grado, ossia che anche tale nuova impostazione fatta propria dal Morabito sconta comunque una ricostruzione solo parziale, ossia non completa, dei contenuti della deliberazione consiliare da lui impugnata innanzi al T.A.R., della quale vanno nondimeno rilevate e censurate l’assoluta disorganicità e disordine, “tali da rendere disagevole la lettura” (cfr. pag. 33 della sentenza impugnata).

In tal senso il giudice di primo grado ha evidenziato che il diniego di approvazione del proposto piano di lottizzazione consegue al voto favorevole espresso su di un emendamento con il quale – per l’appunto – è stato proposto di ricusare l’approvazione del piano.

Ma l’originaria proposta di deliberazione consiliare, sulla quale ha infatti inciso tale emendamento, non era peraltro strutturata come approvazione sic et simpliciter del piano di lottizzazione, ma come approvazione con alcune imposizioni e condizioni, scaturenti non solo dalle prescrizioni dei soggetti istituzionali intervenuti nel corso del procedimento, ma da alcuni aspetti critici in tali sedi evidenziati, primo tra tutti la mancanza di accessibilità: problema, questo che – come correttamente colto dallo stesso giudice di primo grado - non è connesso alla mancanza delle relative previsioni urbanistiche, ma è dovuto alla circostanza che l’Amministrazione Comunale non ha inserito nella programmazione triennale né la realizzazione delle opere viarie, né quella delle opere di urbanizzazione primarie, quali l’allaccio alle reti idriche, fognarie, delle acque bianche, elettrica, telefonica, del gas e della pubblica illuminazione.

Nel corso dell’istruttoria è stato pertanto evidenziato che la proposta del lottizzante contempla, di per sé, soltanto le opere di urbanizzazione interne alla lottizzazione: e da qui, pertanto, l’imposizione in sede di conferenza di servizi di una prima prescrizione ivi definita, al pari delle altre, essenziale ed inderogabile, di costituire un consorzio tra il lottizzante medesimo e gli altri privati interessati, finalizzato alla realizzazione della strada di accesso e delle altre opere primarie.

Altro aspetto critico già evidenziato sempre in epoca precedente all’esame della proposta di lottizzazione da parte del Consiglio Comunale era costituito dall’interdizione dell’accesso al mare: e ciò in quanto, nonostante la previsione di una strada di penetrazione, a monte della spiaggia è ubicata una striscia di terreno boscato di proprietà privata e che risulta escluso dalla lottizzazione.

A tale constatazione si riallacciava, quindi, la previsione di una convenzione di disciplina dell’uso pubblico del tratto di pineta di proprietà del lottizzante, al fine di garantire a chiunque l’accesso al mare.

Altro aspetto critico concerneva la tipologia delle costruzioni previste nell’ambito della lottizzazione, posto che era stato già evidenziato che la presentazione di distinti piani di lottizzazione non consentiva un’organizzazione sinergica dell’intervento di pianificazione in modo tale da individuare congrue ed armoniche costruzioni con destinazioni d’uso assortite, secondo le indicazioni della destinazione urbanistica prevista dall’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G. vigente.

Sotto questo particolare profilo va da subito rimarcato che l’intervento proposto contempla due tipologie di edifici, una residenziale, quadrifamiliare, con unità residenziali tra loro autonome ed una pluriuso pensata come struttura alberghiera composta da locali con unità bicamere, dotate di bagno, angolo cottura e giardino e monolocali, dotati di terrazzo e bagno.

Era stato pertanto già denotato in proposito che una buona parte della volumetria era destinata alla realizzazione di residenze stagionali, trascurando con ciò le ulteriori destinazioni funzionali che caratterizzano un comprensorio turistico - ricettivo, ossia le strutture alberghiere, le attività di servizio diffuso, gli esercizi pubblici, i locali di divertimento, le attività commerciali e i servizi culturali e sociali; e in tal senso era stata pertanto imposta una prescrizione nel senso che la percentuale di destinazione a “residenze stagionali” non doveva superare una determinata percentuale della volumetria totale, pari al 15 - 25%, con sostituzione della volumetria eccedente a tale quota con le altre tipologie previste dall’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G.

Con l’emendamento la richiesta di approvazione con prescrizioni inderogabili è stata quindi sostituita dalla proposta di non approvazione della lottizzazione.

A ragione il giudice di primo grado ha affermato a tale riguardo che, in disparte la questione circa l’effettiva fondatezza o consistenza dei rilievi, l’alternativa in tal senso era di fatto obbligata, non essendo concepibile che l’approvazione di un piano di lottizzazione potesse rimettere alla scelta del privato la determinazione delle tipologie di intervento, fatta salva solo una percentuale predefinita.

“Delle due, quindi, l’una: o si superavano i rilievi degli uffici rinvenibili nella proposta di deliberazione oppure si giungeva, come si è giunti, ad un diniego di approvazione” (cfr. pag. 35 della sentenza impugnata).

Nell’esaminare, quindi, qui appresso le motivazioni addotte dall’anzidetto emendamento a supporto del diniego va peraltro evidenziato che esse non coincidono del tutto con i rilievi presenti nell’iniziale proposta di deliberazione di“approvazione condizionata”.

4.3. Premesso ciò, ai fini della reiezione del progetto di lottizzazione nella deliberazione impugnata si afferma che l’area non avrebbe alcuna accessibilità: assunto, questo, essenzialmente ancorato alla circostanza secondo la quale non sarebbe prevista nella programmazione delle opere pubbliche la realizzazione di opere ed infrastrutture, con la conseguenza dell’imposizione della costituzione di un consorzio tra proprietari per la realizzazione di tali opere esterne alla lottizzazione.

Il giudice di primo grado ha respinto le censure dedotte al riguardo nel ricorso proposto in primo grado, rilevando che quanto affermato sul punto nella deliberazione consiliare di reiezione del progetto di lottizzazione ha una sua consistenza, non essendo per certo ammissibile una sfasatura nell’attività di esecuzione dei due piani attuativi, quello di iniziativa pubblica e quello di iniziativa privata, con il concreto rischio della realizzazione di un intervento di lottizzazione privo di ogni contatto con la rete infrastrutturale esterna e con la conseguenza della non evanescente possibilità dell’insorgenza di rilevanti problematiche e di contestazioni fra le parti.

Si è visto innanzi (cfr. § 2.1.2 della presente sentenza) che il Morabito, nei propri motivi d’appello, contesta innanzitutto l’assunto per cui l’area da lottizzare sarebbe priva di accesso: e ciò in quanto l’accesso medesimo già esisterebbe in punto di fatto, nel mentre per quanto attiene all’ulteriore viabilità ed urbanizzazione afferente tutto il comprensorio, anche eccedente la lottizzazione, esisterebbe la specifica normazione del Piano attuativo formato dal Comune e progettato dagli stessi dirigenti comunali unitamente alle opere di urbanizzazione riferite alla macroarea, con conseguente obbligo dei lottizzanti alla realizzazione delle stesse a propria cura e spese.

Il Morabito ha pure evidenziato la circostanza che le urbanizzazioni estese anche al di fuori del comprensorio di lottizzazione non solo sono previste in maniera vincolante dal Piano attuativo ad iniziativa pubblica, la cui esecuzione è imposta anche dalla stipulanda convenzione, ma anche che esse sono state minuziosamente previste e disciplinate nei minimi particolari, ivi compresi pure quelli di carattere meramente esecutivo, come comprovato dalle tavole progettuali prodotte nel primo grado di giudizio.

Il medesimo Morabito, nell’evidenziare che per la realizzazione dell’arteria principale è stato già disposto dal Comune stesso il necessario appalto dei lavori giusta contratto n. 104 dd. 26 aprile 2006, afferma anche che la sentenza ignorerebbe tutto questo, limitandosi – anche perché su tale punto, oltreché per gli altri specifici motivi nulla avrebbe replicato la difesa del Comune - a ripetere l’inesatta prospettazione contenuta nella deliberazione che consapevolmente vorrebbe tacere il contenuto delle previsioni del Piano attuativo generale e prospetta come carenze l’insieme dei profili che lo stesso Comune intenderebbe introdurre come varianti al Piano attuativo medesimo.

Inoltre, sempre ad avviso del Morabito, la sentenza stessa avrebbe omesso di considerare che il Piano attuativo di iniziativa privata si atteggia come esecutivo e consequenziale del pianto esecutivo generale di iniziativa pubblica per cui non era censurabile stante la conformità a tale Piano generale e vincolante; e – semmai - la revisione - prospettata nella seduta del Consiglio Comunale - delle previsioni di zona integrerebbe un’inammissibile ed immotivata revoca del Piano esecutivo generale di iniziativa dello stesso Comune, oltretutto redatto dagli stessi dirigenti che hanno partecipato al procedimento in esame e che pertanto, inspiegabilmente, muovono dal presupposto della inidoneità di quanto da loro stessi progettato: revisione ispirata ad un preteso ed indeterminato interesse pubblico.

Né la sentenza avrebbe considerato che tutte le urbanizzazioni del comparto generale, poste anche a servizio della lottizzazione singola, erano contenute nel Piano attuativo generale, approvato anche in variante al P.R.G. e che alle previsioni del medesimo piano attuativo generale pubblico aveva partecipato anche l’attuale appellante, che si era anche assunto oneri particolarmente gravosi concorrendo alla realizzazione delle urbanizzazioni generali al di fuori della lottizzazione, assolutamente non dovuti per legge e per regolamento posto che il lottizzante è tenuto a corrispondere contributi economici per le opere di urbanizzazione del proprio suolo lottizzato, non a quelle esterne.

Il Collegio, per parte propria, evidenzia che il pur disposto appalto per la realizzazione dell’arteria principale, risalente addirittura nel 2006 e in ordine al quale – nondimeno – le parti in causa significativamente non forniscono ad oggi, ossia sei anni dopo, notizie circa l’avvenuta esecuzione (o meno) della relativa opera, non significa – di per sé – che per la lottizzazione di cui trattasi sia disponibile un conveniente accesso.

Più in generale, anche se è comprovato che il Piano attuativo contempli in via minuziosa l’esecuzione di opere di urbanizzazione anche in area esterna alla lottizzazione medesima, per di più anche a carico dello stesso lottizzante (circostanza, questa – si conviene con l’appellante - invero anomala ma nondimeno da lui liberamente accettata nell’evidente speranza di poter con ciò ottenere un esito favorevole per il proprio progetto), se sembra assicurare una coerenza di fondo tra le previsioni del P.R.G., del Piano attuativo di iniziativa pubblica e il Piano di lottizzazione, nondimeno non elimina la possibilità della paventata sfasatura nell’attività di esecuzione dei due piani attuativi, idoneamente evitabile proprio con l’anzidetta soluzione del consorzio pubblico-privato incaricato di coordinare ogni iniziativa in proposito.

Proprio tale soluzione, del resto, destituisce di fondamento la tesi del Morabito secondo la quale la deliberazione consiliare qui impugnata, anche se si risolve nell’auspicio di una futura revisione del contenuto della strumentazione esistente, equivarrebbe ad un’implicita revoca del Piano attuativo ad iniziativa pubblica.

Né, comunque, il Morabito contesta la circostanza di fondo attualmente in essere: ossia che, anche al di là dell’affermata concordanza tra i tre piani, comunque l’Amministrazione Comunale non ha inserito nella programmazione triennale la realizzazione delle opere viarie, né quella delle opere di urbanizzazione primarie, quali l’allaccio alle reti idriche, fognarie, delle acque bianche, elettrica, telefonica, del gas e della pubblica illuminazione.

In tale contesto, quindi, l’imposizione della creazione di un consorzio pubblico-privato non può essere censurato dal Morabito quale imposizione non prevista da alcuna disposizione di legge e comunque contraria al principio di ordine generale stabilito dall’art. 23 Cost. (cfr. supra il § 2.1.5. della presente sentenza per l’illustrazione del relativo motivo di appello), ma va colta come necessaria funzionalizzazione dell’iniziativa privata al perseguimento del pubblico fine contemplabile nel contesto della potestà dell’organo consiliare specificatamente deputata ad assumere ogni utile iniziativa per la corretta applicazione della disciplina di pianificazione (cfr. amplius sul punto il susseguente § 4.4.)

4.4. Per quanto attiene al rilievo contenuto nell’impugnata delibera circa la non conformità delle realizzazione contemplate dal Piano di lottizzazione rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G., nella stessa sentenza qui impugnata non si sottace che l’affermazione secondo cui l’intervento prospetta tipologie residenziali non ammesse “suscita perplessità” (cfr. pag. 37 della sentenza impugnata); e ciò in quanto lo stesso art. 58 testè riferito “prevede espressamente, tra le tipologie edilizie ammesse, le residenze stagionali, di talché non è revocabile in dubbio che sia consentita la realizzazione di strutture di tipo residenziale” (cfr. ibidem).

Il problema è stato quindi correttamente colto dallo stesso giudice di primo grado “a monte”, e a suo avviso “concerne non le previsioni del piano di lottizzazione, quanto piuttosto quelle delle N.T.A., che, nel prevedere tra le tipologie ammesse una categoria di incerta configurazione quale la residenza stagionale, approntano una rete a maglie eccessivamente larghe, lasciando ai privati la possibilità di realizzare strutture dalle caratteristiche non predeterminate, che possono giungere ad essere assai vicine a quelle delle unità abitative residenziali vere e proprie”, nel mentre va fatto un “discorso diverso … riguardo all’aspetto ulteriore dedotto nella deliberazione” impugnata, “inerente al fatto che la proposta singola non è coordinata con le altre proposte, arrecando un disordinato sviluppo urbanistico dell’unica zona destinata a vocazione turistica di pregioambientale, non prevedendosi costruzioni con destinazioni d’uso assortite, secondo le indicazioni delle destinazioni urbanistiche previste dall’art. 58 del P.R.G. È questo un aspetto di estrema rilevanza perché attiene alla corretta e completa realizzazione della pianificazione urbanistica quale prefigurata dallo strumento generale, in ordine alla quale deve pienamente esplicarsi quella discrezionalità nella valutazione delle previsioni del piano attuativo di iniziativa privata, di cui si è detto in precedenza. Si sono richiamate le previsioni del più volte menzionato art. 58, che include, tra le destinazioni d’uso ammesse nella ZTO G1, le seguenti: residenza stagionale e/o funzionale alla gestione delle strutture turistico - ricettive, strutture alberghiere e villaggi turistici, camping, servizi e funzioni complementari, attività di culto, attività di servizio diffuso, esercizi pubblici e locali di divertimento, attività commerciali ed artigianali con determinate caratteristiche, servizi culturali e sociali di iniziativa pubblica e privata, verde pubblico attrezzato ed attrezzature del verde e dello sport. Tra tali attrezzature vengono espressamente contemplate, fra l’altro, campi di gioco di diversa natura, zona di sport nautici, spiaggia attrezzata, campi da tennis, di palla a volo e di pallacanestro, luogo di pesca sportiva, parco giochi” (cfr. pag. 38 e ss. della sentenza impugnata).

Lo stesso giudice di primo grado si è quindi espresso nel senso che se fondatamente si afferma che il Consiglio Comunale nell’approvare un piano di lottizzazione non pone in essere un atto dovuto, ma adotta un provvedimento che costituisce sempre espressione di potere discrezionale anche in ordine ai modi con i quali dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale, deve per ineludibile consequenzialità ammettersi anche che lo stesso Consiglio Comunale, proprio in quanto organo di indirizzo politico - amministrativo del Comune, ben può valutare anche le modalità con le quali il Piano attuativo di iniziativa privata dà attuazione alla strumentazione urbanistica di rango primario: e ciò nella pregnante considerazione che l’organo consiliare non è deputato ad una mera verifica della corrispondenza delle tipologie progettate in sede di Piano di lottizzazione rispetto a quanto previsto al riguardo dalle N.T.A. del P.R.G., ma può – o meglio, deve – sindacare (beninteso negli stessi limiti di quanto previsto dalle stesse norme tecniche del Piano regolatore generale) il modo in cui la disciplina enunciata dalla norma primaria urbanistica è attuata sotto il profilo tipologico, dimensionale, strutturale e della collocazione sul territorio.

Secondo il giudice di primo grado la valutazione effettuata nel caso di specie dal Consiglio Comunale attiene propriamente alla concreta attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico primario laddove reputa conforme all’interesse pubblico rilevare la mancanza nel Piano di lottizzazione di previsioni volte ad effettivamente realizzare tipologie differenziate aderenti alle ampie previsioni dell’art. 58 delle N.T.A., censurando in tal modo un’incoerente prevalenza della tipologia residenziale, ancorchè stagionale, rispetto a quella ricettivo-alberghiera,.

Va in tal senso evidenziato che tale valutazione è stata effettuata non con riferimento al singolo intervento, ma con riguardo al complesso di sette lottizzazioni proposte: e, sempre a tale proposito il giudice di primo grado ha correttamente rilevato che “tale soluzione era obbligata, dal momento che l’obiettivo del corretto assetto del territorio può essere perseguito unicamente sulla base della considerazione complessiva del tessuto urbanistico sul quale i singoli interventi sono destinati ad incidere” e che “con ciò non si pone un obbligo di coordinamento tra i piani, non previsto da alcuna norma”, come invece afferma il Morabito, “ma si colloca l’attività pianificatoria, sia pure di iniziativa privata, nell’ottica della realizzazione di un assetto complessivo del territorio, le cui caratteristiche non possono che essere rimesse, sempre nei limiti delle previsioni dello strumento generale, all’organo consiliare” (cfr. pag. 39 e ss. della sentenza impugnata).

Sempre secondo il giudice di primo grado, il coordinamento non può discendere dal Piano attuativo di iniziativa pubblica, esteso a tutta l’area, in quanto quest’ultimo riguarda la rete infrastrutturale, che, almeno nel caso in esame, se condiziona, in varia misura la progettazione dei piani di lottizzazione, non può certo determinarne i contenuti concreti.

Il T.A.R. conclude quindi la sua disamina sul punto evidenziando che le censure di difetto di motivazione formulate al riguardo dal Morabito “peccano di eccessiva astrattezza, risultando basate, in sostanza, sull’affermazione della mancata evidenziazione dell’interesse pubblico perseguito” e che, per contro, nella deliberazione impugnata “vengono esattamente individuate, sia pure in modo sintetico, gli specifici obiettivi di interesse pubblico sottesi al diniego di approvazione, connessi alla piena realizzazione delle previsioni dello strumento urbanistico mediante la realizzazione di tipologie rispondenti alle destinazioni d’uso diversificate previste nello strumento urbanistico generale” (cfr. ibidem).

Il Collegio, per parte propria, condivide appieno le sopradescritte notazioni di fondo espresse al riguardo dal giudice di primo grado.

Il Morabito, per contro, nei propri motivi d’appello riassunti nel § 2.1.3. e nel § 2.1.4. della presente sentenza ribadisce la piena conformità delle tipologie di edifici contemplato dal Piano di lottizzazione rispetto alle ben ampie categorie di realizzazioni contemplate dall’anzidetto art. 58 delle N.T.A. del P.R.G., ossia anche “villaggi turistici”, non potendo contestarsi che le medesime previsioni tipologiche contemplate dalla lottizzazione medesima rispecchino strutture turistiche alberghiere secondo le tipologie più proprie, che comprendono oltre alla struttura unica alberghiera anche l’esistenza di servizi e strutture centrali, nonché la creazione di strutture articolate, così come avviene in tutti gli insediamenti turistico-alberghieri di una certa entità.

Il Morabito afferma che la stessa sentenza ometterebbe anche di considerare che acquista, in merito, valore decisivo e determinante la destinazione d’uso impressa, la quale ha valore vincolante quanto alla concreta utilizzazione degli immobili e che la conformità urbanistica del Piano di lottizzazione non solo è stata affermata in sede di conferenza di servizi dd. 22 maggio 2006, ma è stata accertata e dichiarata anche dal parere obbligatorio dell’Amministrazione Regionale, viceversa contraddetto dalla deliberazione impugnata senza motivazione e senza che il parere medesimo sia stato finanche preso in esame o menzionato.

Il Morabito – inoltre – per quanto segnatamente attiene all’assunto contenuto nella deliberazione impugnata in primo grado secondo il quale la singola proposta di lottizzazione non sarebbe coordinata con le altre proposte, con ciò determinando un disordinato sviluppo urbanistico, ne contesta la fondatezza trattandosi di affermazione del tutto indimostrata, e sostenendo che non sussisterebbe, comunque, alcun obbligo giuridico vincolante in merito poiché lo strumento urbanistico si limiterebbe a prevedere la lottizzazione determinando solo la superficie minima dell’intervento, senza altro adempimento.

Da ultimo, il Morabito reputa che il coordinamento per tutta la macroarea sussisterebbe comunque proprio in forza del Piano attuativo pubblico, esteso a tutta la macroarea medesima con contestuale previsione di tutte le urbanizzazioni che devono essere ivi realizzate.

Il Collegio rileva, a sua volta, che tutte le sopradescritte obiezioni del Morabito si incentrano sostanzialmente sul rilievo dell’invero non smentibile conformità delle realizzazioni previste dal Piano di lottizzazione rispetto all’elencazione delle tipologie di edifici realizzabili nell’area in questione, a’ sensi dell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G.: ma, per quanto detto innanzi, la tesi complessivamente emergente dalla motivazione della deliberazione consiliare di reiezione della proposta di lottizzazione si sostanzia nel rilievo dell’illogica prevalenza della tipologia residenziale rispetto a quella recettivo-alberghiera, quest’ultima all’evidenza reputata preferibile per l’auspicato miglior indotto turistico.

Né il Morabito riesce a smentire l’assunto, puntualmente motivato dal giudice di primo grado, per cui al Consiglio Comunale compete senza dubbio il controllo delle modalità di attuazione dello strumento urbanistico generale anche per quanto segnatamente attiene all’invero ampia previsione contenuta nell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G.; e, comunque, la circostanza che lo strumento urbanistico sovraordinato si limiti nella specie a prevedere la lottizzazione determinando solo la superficie minima dell’intervento, senza altro adempimento, non oblitera per certo tale competenza dell’organo consiliare.

Né – ancora – tale competenza dovrebbe escludersi in quanto il coordinamento tra le sette diverse proposte di lottizzazione sarebbe comunque garantito per effetto del Piano attuativo pubblico, esteso a tutta la macroarea medesima con contestuale previsione di tutte le urbanizzazioni che devono essere ivi realizzate: e ciò in quanto, come puntualmente rilevato dallo stesso giudice di primo grado, tale Piano attuativo, attenendo essenzialmente alla rete infrastrutturale della zona, non può determinare i contenuti concreti delle lottizzazioni che si intenderebbero ivi localizzare.

4.5. Il profilo attinente alla necessità della V.I.A., affermata dalla deliberazione consiliare impugnata come adempimento necessario per tutti gli interventi di lottizzazione, involge secondo il giudice di primo grado “profili di estrema delicatezza” (cfr. pag. 41 della sentenza impugnata), posto che le sette lottizzazioni innegabilmente impegnano una porzione assai vasta del territorio, estesa diverse decine di ettari ed implicano la realizzazione di strutture ed infrastrutture che, per dimensioni e caratteristiche, possono avere un impatto notevole sull’ambiente.

Il T.A.R. ha quindi richiamato l’art. 23 e ss. del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152, recanti la disciplina vigente in materia, rilevando che la stessa attua nel nostro ordinamento le direttive comunitarie in materia di valutazione di impatto ambientale (in particolare, per quanto qui interessa, le direttive 2001/42/CE e 85/337/CEE) imponendo, in buona sostanza, l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale ogniqualvolta la struttura progettata sia, in concreto, capace di provocare un serio impatto sull’ambiente, e ciò a prescindere dalla fissazione di soglie automatiche o da criteri che rendano difficile la procedura di valutazione medesima.

A tale riguardo lo stesso giudice ha richiamato la consonante decisione di Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2001 n. 5169, nonché la sentenza della Corte di Giustizia U.E. 10 giugno 2004 causa C-87/02, rilevando inoltre che l’obiettivo anzidetto “è stato realizzato delineando in termini estremamente vasti la possibilità di ricorso alla procedura di valutazione, anche per interventi non incidenti su aree protette, rientranti in una delle tipologie di cui agli allegati (tra tali interventi figurano, a solo titolo di esempio, campeggi, villaggi turistici, centri turistici residenziali ed alberghieri ecc.)”,e che a fronte di tutto ciò “appare, perlomeno, riduttiva l’impostazione del ricorrente, che sottolinea che il procedimento riguarda la singola lottizzazione e non tutti gli interventi oppure gli interventi edilizi e non i piani. Tale prospettiva condurrebbe, se accettata, a consentire l’agevole elusione di previsioni che sottopongono alla procedura di valutazione intervento aventi, secondo la terminologia invalsa a livello comunitario, un notevole impatto sul territorio” (cfr. pag. 42 e ss. della sentenza impugnata).

Il T.A.R. ha pertanto ritenuto che l’affermazione contenuta nella deliberazione impugnata in primo grado circa la necessità di una valutazione di impatto ambientale o, meglio, circa la sottoposizione alle procedure finalizzate all’effettuazione di tale valutazione sul complesso degli interventi lottizzatori, “pur nella sua eccessiva sinteticità, appare rispondente al quadro normativo di riferimento, in quanto aggancia la necessità delle procedure stesse alla vastità degli interventi, oltre che al pregio naturalistico ed ambientale della località” (cfr. ibidem).

Sul punto l’appellante ha svolto le proprie censure descritte dianzi al § 2.1.5 della presente sentenza, così riassumibili:

a) l’affermazione della necessità della V.I.A. sarebbe perlomeno arbitraria, e comunque non sorretta da alcuna motivazione, a’ sensi del generale principio contenuto nell’art. 3 della L. 241 del 1990;

b) neppure sarebbe motivato e, comunque, non risulterebbe sussistere l’onere di acquisire la V.I.A. per tutta la macroarea in esame, posto che era ed è in esame la lottizzazione singola redatta nei limiti di ammissibilità della stessa, per come previsto dallo strumento urbanistico generale;

c) non solo la deliberazione non recherebbe una concreta motivazione della necessità di acquisire nella specie la V.I.A., ma neppure indica una disposizione normativa che segnatamente richieda la V.I.A. per tutta la macroarea, posto che la V.I.A. medesima non sarebbe comunque richiesta in nessun caso, nemmeno per estensione maggiore del terreno lottizzato; in tal senso l’appellante rimarca che la V.I.A. è normativamente richiesta, in concorso con gli ulteriori presupposti anche di carattere tipologico, soltanto per i progetti edilizi e per gli atti di pianificazione urbanistica;

d) la sentenza impugnata richiamerebbe in senso favorevole alla necessità della V.I.A.

una giurisprudenza asseritamente non applicabile nella specie e che atterrebbe invece - sempre ed unicamente - ad ipotesi non di provvedimenti pianificatori, ma di episodi edilizi costruttivi in cui la V.I.A. risulterebbe necessaria allorquando si tratti di episodi di notevole entità.

Sempre in tal senso, l’appellante rimarca che, ove fosse richiesta la V.I.A. come atto preliminare ad un piano urbanistico, la stessa avrebbe dovuto essere richiesta anche per il piano attuativo generale già approvato dal Comune e per quello che si vorrebbe approvare in via sostitutiva.

Il Collegio, per parte propria, rileva in via del tutto assorbente che lo stesso art. 10 della L.R. 19 del 2002, nel testo in vigore all’epoca dell’adozione della deliberazione consiliare di reiezione del Piano di lottizzazione, già contemplava l’assoggettamento alle procedure di verifica di impatto ambientale anche dei “sistemi abitativi” e, comunque, delle “modalità di intervento della pianificazione strutturale e operativa”: il che già smentisce la tesi del Morabito che vorrebbe limitare le procedure in questione ai soli progetti edilizi in senso stretto, escludendo quindi – parrebbe di capire - le pianificazioni in genere; senza sottacere, poi, che la mancata sottoposizione alle procedure medesime del Piano di attuazione di iniziativa pubblica, peraltro come detto innanzi limitato alle sole infrastrutture, non puòex se giustificare – come viceversa vorrebbe l’attuale appellante – l’esenzione dalla relativa procedura del pur subordinato Piano di lottizzazione, stante la ben evidente valenza di quest’ultimo – puntualmente colta dal giudice di primo grado – quale strumento di profonda trasformazione dell’originario stato dei luoghi.

4.6. Passando ora alla disamina delle censure più spiccatamente attinenti al procedimento seguito per l’adozione della deliberazione consiliare impugnata in primo grado, si è visto innanzi che il Morabito ha innanzitutto dedotto innanzi al T.A.R. l’avvenuta violazione dell’art. 10-bis della L. 241 del 1990, in quanto il diniego di approvazione del Piano di lottizzazione non sarebbe stato preceduto nella specie dalla previa comunicazione al suo proponente dei motivi ostativi al buon esito della relativa domanda.

Secondo la prospettazione del Morabito, tale comunicazione sarebbe stata necessaria in quanto non sarebbe in considerazione il profilo della pianificazione, quanto l’accoglimento di una domanda destinata a condurre ad un rapporto convenzionato: ossia si sarebbe trattato di un procedimento ad istanza di parte, per il quale la legge comunque e inderogabilmente impone la comunicazione del c.d. “preavviso di rigetto”.

Il T.A.R. ha respinto la relativa censura rilevando che l’art. 13 della L. 241 del 1990 expressis verbis esclude l’applicazione delle disposizioni contenute nel capo III della legge medesima, intitolato “partecipazione al procedimento amministrativo” all’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione, denotando quindi che, con particolare riferimento ai procedimenti di pianificazione e programmazione, le ragioni di tale deroga si fondano – anche e soprattutto – sulla circostanza che la disciplina di settore, sia statale che regionale, contempla specifiche forme di partecipazione procedimentale da parte dei soggetti interessati, cui è data ampia possibilità di interloquire con i soggetti pubblici, in funzione sia collaborativa sia difensiva.

Secondo lo stesso giudice di primo grado non esiste alcuna particolare ragione che possa indurre a ritenere che sfugga alla previsione della sopradescritta deroga di cui all’art. 13 della L. 241 del 1990 l’istituto della lottizzazione convenzionata, posto che nel relativo procedimento le possibilità partecipative dei soggetti interessati risultano estese al punto che il privato è chiamato, per certi versi, a cooperare alle scelte pianificatorie, mediante la predisposizione del piano da sottoporre all’approvazione da parte dell’Amministrazione Comunale; e in dipendenza di ciò, deve pertanto ragionevolmente concludersi nel senso che non sussiste nel caso di specie l’obbligo di comunicare i motivi che si opponevano all’accoglimento della domanda di approvazione del Piano di lottizzazione.

Il Morabito ha al riguardo dedotto uno specifico motivo di appello, il cui contenuto è stato esposto al § 2.1.9 della presente sentenza.

In buona sostanza l’appellante ha insistito nel configurare la propria domanda di approvazione del Piano di lottizzazione quale procedimento ad istanza di parte, invocando in particolare l’applicazione dell’istituto procedimentale di cui all’art. 10-bis della L. 241 del 1990 quale idonea tutela nei riguardi del “repentino ed immotivato mutamento di indirizzo dell’Amministrazione Comunale che, in presenza di tutti gli atti e pareri di legge, dopo aver sottoposto al Consiglio uno schema di deliberazione di approvazione, approva in sede di consiglio un emendamento che trasforma l’approvazione in diniego avrebbe richiesto come non mai un valido contraddittorio, se non altro al fine di consentire di eliminare le più vistose antinomie ed erroneità, anche in punto di fatto, e garantendo comunque gli apporti partecipativi previsti specificamente dall’art.2, comma 2, della L.R. 19 del 2002” (cfr. l’assunto contenuto nell’atto introduttivo del presente giudizio d’appello e puntualmente riprodotto al predetto § 2.19. della presente sentenza).

Il Collegio, per parte propria, concorda pienamente con la tesi enunciata dal T.A.R. rilevando che proprio il riferimento, da parte del Morabito, del predetto art. 2, comma 2, della L.R. 19 del 2002 risulta risolutivo al fine di affermare la specialità degli istituti di partecipazione contemplati dalla legislazione urbanistica rispetto a quelli di ordine generali disciplinati dalla L. 241 del 1990 e successive modifiche.

La disposizione citata dal Morabito afferma, infatti, che “nell’ambito della formazione degli strumenti che incidono direttamente su situazioni giuridiche soggettive, deve essere garantita la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, attraverso la più ampia pubblicità degli atti comunque concernenti la pianificazione, assicurando altresì il tempestivo ed adeguato esame delle deduzioni dei soggetti interessati e l’indicazione delle motivazioni in merito all’accoglimento o meno delle stesse”.

La disciplina testè descritta non contempla, quindi, alcuna previsione propria dell’istituto del c.d. “preavviso di rigetto”, né comunque reca rinvii alla disciplina di ordine generale che lo contempla e che è, per l’appunto, contenuta nell’art. 10-bis della L. 241 del 1990, ma si limita ad affermare l’obbligo della partecipazione degli interessati al procedimento, l’obbligo della pubblicità degli “atti comunque concernenti la pianificazione”, l’obbligo del “tempestivo ed adeguato esame delle deduzioni dei soggetti interessati” e l’obbligo di motivazione (ossia dell’ “indicazione delle motivazioni in merito all’accoglimento o meno delle stesse”).

Sul punto risulta comunque assorbente la circostanza della mancata deduzione in primo grado, da parte del Morabito, di una censura di violazione del surriportato art. 2, comma 2, della L.R. 19 del 2002, improponbile nel presente grado di giudizio per effetto sia del generale principio di cui all’art. 345 cod. proc. civ. (assodatamente applicabile anche al processo amministrativo: cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 21 maggio 2010 n. 3206 ) sia - ora - susseguentemente all’entrata in vigore del D.L.vo 2 luglio 2010 n. 104, dall’art. 104, comma 2, cod. proc. amm.

4.7. Il T.A.R. ha pure rettamente respinto la censura di violazione dell’art. 7 della L. 241 del 1990, rilevando innanzitutto che a base della stessa il Morabito aveva affermato che la deliberazione impugnata espressamente revocherebbe e disapplicherebbe precedenti atti presupposti della stessa Amministrazione, e che il riferimento esplicito in tal senso ha per oggetto precedenti atti assunti dai dirigenti nell’esplicazione dell’attività di gestione, che, unitamente all’atto finale adottato dal Consiglio Comunale, verrebbero ad integrare una fattispecie provvedimentale a complessità ineguale.

Secondo la prospettazione del Morabito, pertanto, la pretesa sussistenza di un obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento sarebbe connessa alla diversità della determinazione assunta in sede deliberativa, la quale implicherebbe – per l’appunto – la revoca o la modifica di pregressi atti di competenza dirigenziale.

Tale ricostruzione non ha convinto il giudice di primo grado, né convince questo stesso giudice d’appello, posto che – come è ben noto - nella fattispecie dell’atto complesso le manifestazioni di volontà, attinenti alla fase decisoria e tendenti ad un fine unico, si fondono a formare un medesimo atto, di carattere - per l’appunto – complesso, e che nel contesto di tale categoria di atti è invero annoverata anche la figura del c.d. “atto complesso ineguale”, invero configurabile nelle ipotesi in cui una delle due autorità che interviene nella fattispecie complessa ha il potere di modificare unilateralmente il contenuto dell’atto adottato dall’altra autorità (l’esempio correntemente proposito al riguardo è quello dell’atto regionale di approvazione dello strumento urbanistico primario adottato dal Comune).

A ragione il giudice di primo grado ha quindi affermato che “non è dato comprendere quale possa essere il punto di contatto tra la figura dell’atto complesso ineguale e la fattispecie concreta oggetto del presente giudizio”, posto che nella specie “è incontestato ed incontestabile, anche per l’assenza di qualsiasi dato normativo contrario, che la decisione in ordine all’approvazione dei pianidi lottizzazioni è rimessa alla volontà esclusiva dell’organo consiliare. Prima della deliberazione consiliare, al di là delle determinazioni concernenti la conformità urbanistica ed il rispetto di limiti e vincoli, non vi era alcun pronunciamento in ordine ai contenuti del piano di lottizzazione. Ma ancora più a monte, non risulta in alcun modo come l’eventuale natura di atto complesso ineguale potrebbe determinare l’insorgenza dell’obbligo di comunicazione di avvio. Al contrario, tale natura escluderebbe un obbligo del genere, non essendo configurabile rispetto all’atto complesso, per forza di cose, revoca o modifica di precedenti determinazioni. Se, invece, vi fosse riferimento, sebbene non esplicitato, al piano attuativo di iniziativa pubblica”, la logica conclusione è nel senso dell’“insussistenza di un legame preciso, sul piano giuridico, tra le previsioni del piano attuativo e la volontà consiliare espressa nella deliberazione impugnata.

Ciò conduce ad escludere la possibilità di configurare revoca, modifica o disapplicazione delle previsioni del piano di iniziativa pubblica”(cfr. pag. 17 della sentenza impugnata).

Invero, secondo la prospettazione del Morabito, anche a voler considerare quali meri pareri gli atti intervenuti nel corso del procedimento, resterebbe il fatto che essi sono stati disattesi dalla deliberazione di diniego di approvazione, con conseguente obbligo di diffusa ed espressa motivazione in ordine alle ragioni che hanno indotto a discostarsi dai pareri stessi, di carattere obbligatorio; e – sempre secondo l’attuale appellante - la deliberazione consiliare impugnata ometterebbe, perfino, di prendere in considerazione tali atti.

Ma, come ben puntualizzato dal primo giudice, la prospettazione medesima non prende in considerazione la circostanza che non vi è piena coincidenza di contenuti tra gli atti di diversa natura intervenuti nel corso del procedimento e la deliberazione del Consiglio Comunale, posto che quest’ultima è espressione di valutazioni ampiamente discrezionali in ordine ai contenuti del proposto Piano di lottizzazione, non già limitate alla mera osservanza delle prescrizioni urbanistiche, dei vincoli e dei limiti che si impongono all’attività di pianificazione, ma che attengono alla conformità delle soluzioni adottate agli orientamenti prevalsi in seno all’organo consiliare in ordine alle linee di sviluppo urbanistico.

Ciò risulta ben evidente se si considera che, al di là del riferimento al rispetto dell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G., gli altri argomenti addotti dal Consiglio Comunale nel senso della reiezione della proposta di Piano di lottizzazione attengono ad aspetti non trattati nel relativo procedimento, come per l’appunto la necessità della V.I.A., ovvero concernono profili comunque del tutto estranei alla conformità urbanistica degli interventi: e da ciò, quindi, correttamente lo stesso giudice di primo grado ha tratto la conseguenza che il Consiglio Comunale, proprio in quanto non si è espresso con valutazioni confliggenti con quelle precedentemente acquisite al procedimento, non era tenuto ad un obbligo specifico di confutazione o, comunque, di esposizione dettagliata delle motivazioni poste alla base di una determinazione difforme.

Tali notazioni risultando, ad avviso del Collegio, assorbenti anche nei confronti dei motivi di appello formulati dal Morabito e dianzi riferiti al § 2.1.10 della presente sentenza, in quanto meramente riproduttivi delle omologhe censure dedotte in primo grado dal medesimo appellante.

4.7. Il giudice di primo grado ha respinto le censure dedotte in primo grado dal Morabito in ordine all’anzidetta relazione integrativa redatto in data 31 gennaio 2007 dall’Avv. Gabriella Celestino e dall’Ing. Vincenzo Belmonte e reputata dal medesimo Morabito come non idonea a supportare la scelta di non attenersi ai pareri obbligatori acquisiti.

Si è visto innanzi che avverso tale relazione il Belmonte ha dedotto innanzitutto uno specifico vizio di incompetenza, rilevando che essa non sarebbe stata sottoscritta dal dirigente del settore urbanistica, ma da dirigenti di altri Settori, tra cui quello Legale.

Essa, infatti, è sottoscritta dall’Ing. Vincenzo Belmonte, oltre che dall’Avv. Gabriella Celestino.

Tale primo argomento di contestazione della relazione anzidetta è stato respinto dal giudice di primo grado con l’assorbente rilievo (in alcun modo contestato dal Morabito nello svolgimento dei propri motivi d’appello) dell’avvenuta astensione del dirigente preposto dal Settore urbanistica dalla trattazione della pratica: circostanza, questa, debitamente riferita nella parte motiva della deliberazione consiliare impugnata, non sottoscritta – a sua volta – dal dirigente medesimo proprio in dipendenza della sua astensione; senza sottacere – altresì – che i pareri di regolarità tecnica e contabile previsti dall’art. 49 del T.U. approvato con D.L.vo 267 del 2000 comunque non costituiscono un requisito di legittimità delle deliberazioni cui si riferiscono, in quanto svolgono essenzialmente la funzione di individuare sul piano formale, nei funzionari che li formulano, i responsabili eventualmente in solido con i componenti degli organi politici, in via amministrativa e contabile, con la conseguenza che la relativa omissione non incide sulla validità della deliberazione stessa, rappresentando al più una mera irregolarità (cfr. sul punto, ex plurimis, per quanto attiene all’enunciazione del relativo principio, Cons. Stato, Sez. V, 21 agosto 2009 n. 5012 a conferma della sentenza 8 maggio 2008 n. 859 resa dalla stessa Sez. I del T.A.R. per la Calabria, Sede di Catanzaro, nonché la più recente sentenza di Cons. Stato, Sez. IV, 26 gennaio 2012 n. 351, segnatamente pronunciata in materia di adozione di strumento urbanistico da parte del Consiglio Comunale).

In relazione a tutto ciò, pertanto, la Giunta Comunale ha conferito all’Ing. Belmonte l’incarico di procedere alla trattazione della pratica, in dipendenza del fatto che tale dirigente aveva avuto già modo di curarla in passato.

Il T.A.R. ha inoltre opportunamente evidenziato che il compito affidato al Belmonte non implicava, di per sé, l’adozione di atti rilevanti all’esterno: notazione, questa, che consente sin d’ora di affermare che l’attribuzione del compito medesimo, nell’eventuale concorso di ulteriori circostanze, potrebbe rilevare – al più – soltanto sotto il profilo dell’eccesso di potere: ma ciò deve, per l’appunto, escludersi proprio in quanto la decisione della Giunta Comunale di affidare la trattazione della pratica al Belmonte è stata necessariamente indotta dall’astensione del dirigente preposto al Settore urbanistica, nonché idoneamente confortata – per quanto attiene alla scelta del sostituto dell’astenuto – dalla circostanza che il medesimo Belmonte già era edotto delle varie problematiche che dovevano essere affrontate.

Nè è dato di comprendere per quale ragione non dovesse trattare la stessa pratica anche il Capo del Settore Legale del Comune, implicando la pratica anche valutazioni evidentemente attinenti a profili giuridico – amministravi; e – ancora – risulta del tutto irrilevante l’ulteriore censura del Morabito secondo la quale la relazione Celestino-Belmonte è stata redatta predisposta il giorno successivo al deposito del parere del professionista esterno.

In tal modo il Morabito parrebbe voler dimostrare che non vi sarebbe stata l’approfondita istruttoria pur menzionata nella relazione medesima: ma – come ha puntualmente denotato lo stesso giudice di primo grado - il tempo occorso per la stesura della relazione non può costituire idoneo indice di completezza o meno della relativa istruttoria; completezza valutabile, viceversa, soltanto per quanto segnatamente attiene agli intrinseci contenuti dell’atto.

Le censure complessivamente formulate al riguardo dal Morabito vanno pertanto respinte, non desumendosi nei motivi d’appello da lui formulati e descritti al § 2.1.12 e, in parte, al § 2.1.13 elementi ulteriori per un apprezzamento delle censure medesime in senso diverso da quello espresso dal T.A.R.

4.8.1. Il Morabito ha dedotto in primo grado, con il secondo motivo di ricorso ivi proposto, l’avvenuta violazione del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, della L.R. 19 del 2002, della L. 241 del 1990 e del T.U. approvato con D.P.R. 267 del 2000, nonché eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di motivazione ed i istruttoria, sviamento di potere.

Il relativo e quanto mai articolato motivo è stato riproposto dal Morabito in sede di appello con le deduzioni complessivamente illustrate nei § 2.1.7, 2.1.8 e 2.1.11. della presente sentenza e per ampia parte riproduttive degli argomenti già sviluppati dal medesimo Morabito innanzi al T.A.R.

Il giudice di primo grado ha respinto le tesi del Morabito con ampia e puntuale motivazione, dalla quale il Collegio non reputa di discostarsi.

Va comunque rimarcata la circostanza che tale ordine di censure attiene al complesso dei presupposti sostanziali che hanno assistito l’adozione della deliberazione consiliare di non approvazione della proposta di lottizzazione.

4.8.2. Le censure dedotte al riguardo dal Morabito possono convenientemente essere riassunte nei seguenti argomenti di fondo:

1) la funzione assolta dal Piano attuativo di iniziativa pubblica e la valenza vincolante del medesimo;

2) la latitudine delle valutazioni discrezionali esercitabili nella specie dal Consiglio Comunale;

3) la congruenza delle motivazioni addotte dal Consiglio Comunale a fondamento del diniego di approvazione della proposta di lottizzazione.

Giova anche in questa sede ripercorrere il percorso argomentativo del Morabito.

L’attuale appellante afferma – e ha affermato anche innanzi al T.A.R. - che il Piano attuativo di iniziativa pubblica prevede tutte le opere di urbanizzazione afferenti alla macro area comprendente l’area oggetto delle proposte di lottizzazione, da realizzare a cura e spese dei lottizzanti consorziati, nonché lo schema di convenzione, che prevede l’assunzione dell’impegno alla realizzazione di tali opere come condizione per il rilascio dei titoli abilitativi relativi a ciascun intervento.

Il medesimo Morabito afferma quindi che il Piano attuativo in variante costituirebbe la lex specialis disciplinante la lottizzazione, e che dagli atti acquisiti nel corso del procedimento prima della deliberazione consiliare qui impugnata si ricaverebbe che la proposta di lottizzazione dà piena attuazione a tale Piano di iniziativa pubblica.

Il Morabito sostiene che la deliberazione consiliare impugnata, recependo l’emendamento modificativo dell’originaria proposta di approvazione ma senza dare alcuna specifica motivazione al riguardo, sostanzialmente disconoscerebbe la rilevanza determinante del Piano attuativo laddove afferma, altrettanto immotivatamente, l’esigenza di rivisitazione del Piano attuativo medesimo.

Il medesimo Morabito afferma – sempre in tal senso – che il Piano attuativo imposto ai privati lottizzanti, avrebbe dovuto essere necessariamente attuato ed eseguito, essendo inammissibile la generica censura mossa allo stesso, e che l’eventuale inadeguatezza del Piano predetto avrebbe imposto – semmai – l’adozione di un atto di annullamento totale o parziale, basato sulla valutazione di un interesse pubblico attuale e concreto.

Sempre secondo il Morabito, l’affermata ma immotivata esigenza di rivisitazione del Piano attuativo discenderebbe dalla personale tesi espressa nel parere legale esterno richiesto dalla Giunta Comunale, la quale - a sua volta - avrebbe imposto al Consiglio Comunale di acriticamente conformarsi al parere medesimo.

Il Morabito reputa che tale richiesta di rivisitazione del Piano attuativo sarebbe stata comunque imposta da organi non muniti di competenza in materia urbanistica, ossia il Sindaco e la Giunta Comunale, sulla base di una mera volontà politica di non approvare la proposta di lottizzazione nonostante la precedente attività istruttoria ampiamente e minuziosamente effettuata sulla proposta di lottizzazione.

4.8.3. A ragione il T.A.R. non ha condiviso i surriportati argomenti del Morabito, evidenziando innanzitutto, che il rapporto insistente nella specie tra il Piano attuativo di iniziativa pubblica e il proposto Piano di lottizzazione non può essere affrontato e risolto in astratto, ossia sulla base della mera e del tutto apodittica affermazione secondo la quale l’approvazione del primo imporrebbe comunque di dare corso ad un’iniziativa costituente attuazione dello stesso.

Il giudice di primo grado ha correttamente rilevato che la circostanza per cui la proposta di Piano di lottizzazione di iniziativa privata non si discosta dalle previsioni del Piano attuativo non esclude ex se la possibilità di valutare la congruità delle soluzioni in concreto adottate nel primo e che non siano rigidamente imposte dalle linee tracciate nel secondo: ossia che la previsione da parte del Piano attuativo di un determinato assetto delle infrastrutture viarie e delle altre opere di urbanizzazione non rende, per ciò solo, indiscutibile una qualsiasi proposta di sistemazione del tessuto urbanistico che si conformi all’assetto stesso.

A giustificazione di tale assunto il giudice di primo grado ha addotto la notazione secondo la quale il Piano attuativo di iniziativa pubblica non delinea le modalità e le caratteristiche dell’intervento prospettato nei Piani di lottizzazione, limitandosi a definire le opere di urbanizzazione primaria ed, in primis, quelle viarie: e che la pur acquisita coerenza tra l’assetto conferito a queste ultime rispetto alle esigenze proprie dell’intervento di lottizzazione proposto dagli operatori privati non implica che le esigenze medesime diventino “metro valutativo assoluto” della rispondenza dell’intervento di lottizzazione alle linee di sviluppo urbanistico contenute nei sovrastanti strumenti di pianificazione.

Secondo lo stesso giudice, a ragione non emergono nel caso di specie quegli elementi che hanno indotto la giurisprudenza, in alcune situazioni, a disconoscere qualsiasi profilo di discrezionalità nell’approvazione del piano di lottizzazione in conseguenza dell’approvazione di un particolareggiato approvato dal Consiglio Comunale: e ciò in quanto non è dimostrata, né risulta comunque sussistere, l’altrimenti richiesto vincolo di diretta derivazione che induce ad equiparare, in siffatte ipotesi, il piano di lottizzazione ai piani cc.dd. “di terzo livello” (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 13 novembre 2007 n. 5816, con rimando sul punto a Cons. Stato, A,G., n. 21 novembre 1991 n.142), con conseguente negazione, in tali “casi-limite” della stessa competenza consiliare a provvedere proprio in considerazione dell’assenza in essi di effettivi margini di valutazione discrezionale.

Nella specie risulta dunque decisiva la notazione che il Piano attuativo approvato in precedenza e presupposto dalla proposta di lottizzazione non reca alcuna particolare conformazione delle aree oggetto dell’intervento voluto dal Morabito, ma - giova anche qui ribadire - si limita a delineare le linee di sviluppo delle opere di urbanizzazione esterne alle aree stesse e, in particolare, a disegnare il tracciato della rete viaria: e proprio questa considerazione di fondo impone di distinguere il profilo inerente la valutazione negativa del piano di lottizzazione da quello relativo alla prospettata necessità di rivisitare il piano attuativo di iniziativa pubblica, traendo da ciò le relative conseguenze.

In tal senso, infatti, la circostanza che il Consiglio Comunale abbia ritenuto il Piano attuativo non più rispondente ad un determinato assetto urbanistico non significa certamente che il diniego opposto ad una proposta di lottizzazione che pur ad esso si conformi implica anche, in via del tutto consequenziale e – per così dire –“automatica”, la disapplicazione o una qualsivoglia limitazione degli effetti del Piano attuativo predetto: e ciò in quanto “non può essere consentito … un rovesciamento dei termini logici della questione, giacché il fatto che il Piano di lottizzazione sia conforme al Piano attuativo di iniziativa pubblica non vuol dire affatto che a base del diniego di approvazione vi sia proprio la circostanza di tale conformità”; ossia “non vi è un inscindibile rapporto di consequenzialità tra contenuti del piano attuativo e contenuti del piano di lottizzazione”, posto che “la congenialità delle indicazioni del piano attuativo ad un determinato tipo di intervento non può condurre a rendere indiscutibili le soluzioni in concreto proposte.

Il riferimento alla necessità di un previo annullamento, totale o parziale, del piano attuativo di iniziativa pubblica appare, pertanto, del tutto fuor di luogo, non essendo ravvisabile un legame inscindibile tra mancata approvazione del piano di lottizzazione ed esigenza di revisione del Piano attuativo di iniziativa pubblica” (cfr. pag. 25 e ss. della sentenza impugnata).

Queste ben condivisibili considerazioni del giudice di primo grado, che il Collegio fa integralmente proprie, tolgono pertanto qualsivoglia fondamento alle tesi dell’attuale appellante circa la sussistenza di un asserito difetto di motivazione in ordine alla necessità di revisione del Piano attuativo.

Allo stesso tempo, va pure evidenziato che la sopradescritta autonomia tra la mancata approvazione della lottizzazione e le pur contestualmente enunciate necessità di revisione del Piano attuativo di iniziativa pubblica consente – altresì – di escludere la sussistenza nella specie del vizio di sviamento di potere, non constando in questo modo - e a differenza di quanto sostenuto dal Morabito, tra l’altro con particolare enfasi nel presente grado di giudizio - che la medesima mancata approvazione della lottizzazione sia stata disposta al mero e surrettizio fine di consentire l’avvio della revisione anzidetta.

4.8.4. Va ancora rimarcata la manifesta infondatezza della prospettazione del Morabito circa la pretesa incompetenza del Sindaco e della Giunta Comunale in materia di pianificazione urbanistica, non potendo per certo essere disconosciuto a tali organi dell’Amministrazione Comunale un ruolo di iniziativa propositiva in ordine alle materie rientranti nelle competenze proprie del Consiglio Comunale.

4.8.5. Il Morabito sostiene inoltre l’insussistenza, nella specie, di qualsivoglia spazio per valutazioni di carattere puramente discrezionale da parte del Consiglio Comunale in ordine al Piano di lottizzazione da lui proposto, posto che il Consiglio medesimo sarebbe stato tenuto, sulla base degli atti e pareri già acquisiti nel procedimento, a verificare la conformità della proposta di lottizzazione medesima alle previsioni dello strumento urbanistico generale e del Piano attuativo di iniziativa pubblica.

Secondo la tesi dello stesso Morabito uno spazio di discrezionalità potrebbe rinvenirsi in ordine ai profili di carattere esecutivo degli strumenti generali, nel mentre in sede di pianificazione esecutiva non sarebbe per certo possibile apportare varianti che attingerebbero alla pianificazione generale; e - del resto - ogni valutazione in proposito andrebbe adeguatamente motivata, nel mentre nel caso di specie sarebbe rinvenibile soltanto un epidermico e per certo insufficiente richiamo al preminente interesse pubblico: richiamo che, in realtà, maschererebbe la sola volontà politica di dare un diverso assetto sostanziale e convenzionale all’area in questione.

Né – sempre secondo il Morabito – sussisterebbe nella specie la necessità di adeguare la lottizzazione ad esigenze nuove e diverse, posto che il Piano regolatore generale di Catanzaro è stato approvato di recente e che le esigenze attuali del territorio sarebbero state prese in esame e regolate dal Piano attuativo di iniziativa pubblica; né andrebbe sottaciuto che anche in epoca recente avrebbe espressamente dato atto con propria deliberazione n. 120 dd. 4 dicembre 2007 - adottata a’ sensi dell’art. dell’art.65, comma 2, della L.R. 19 del 2002 - della conformità del P.R.G. in vigore rispetto alle linee guida regionali in materia di pianificazione urbana.

Va innanzitutto denotato che tali motivi di censura parzialmente si riconnettono alla già dianzi disaminata tematica della latitudine della discrezionalità riconosciuta al Consiglio Comunale in ordine alla valutazione dei Piani di lottizzazione sottoposti alla sua approvazione, e che la tematica medesima – in ultima analisi – viene ad identificarsi con quella inerente al rapporto tra il Piano di lottizzazione e la strumentazione di piano di rango superiore, ossia – nella specie - il Piano regolatore generale e il Piano attuativo di iniziativa pubblica.

Posto ciò, va evidenziato che l’approvazione del Piano di lottizzazione non è atto dovuto, ancorchè il Piano medesimo risulti conforme al Piano regolatore generale, essendo l’approvazione medesima sempre espressione di potere discrezionale dell’organo deputato a valutare l’opportunità di dare attuazione alle previsioni dello strumento urbanistico generale: e ciò in quanto tra quest’ultimo e i suoi strumenti attuativi sussiste un rapporto di necessaria compatibilità ma non di formale coincidenza (Cons. Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008 n. 248; 2 marzo 2004 n. 957 e 2 marzo 2001 n. 1181).

La medesima giurisprudenza rimarca – altresì – la funzione di strumento particolareggiato ed attuativo delle prescrizioni del P.R.G. assolta dal Piano di lottizzazione, con la conseguente necessità che il provvedimento negativo sia congruamente istruito e motivato mediante una valutazione comparata degli interessi pubblici coinvolti, e ciò in modo da consentire al richiedente di essere puntualmente edotto degli ostacoli che si frappongono all’estrinsecazione del suo ius aedificandi.

Questo assunto della giurisprudenza va coordinato con il precedente rilievo circa il fatto che la conformità urbanistica del Piano di lottizzazione non esclude la possibilità di una valutazione “piena” dei contenuti di quest’ultimo da parte dell’organo deputato alla sua approvazione e senza che ciò implichi un’incisione delle previsioni contenute nella strumentazione urbanistica di rango superiore qualora non sia ravvisabile – come, per l’appunto, nel caso di specie - un rapporto di necessaria consequenzialità tra i contenuti dell’uno e quelli dell’altro.

Va pertanto anche qui ribadito che la mancata approvazione del Piano di lottizzazione non pone in discussione l’attualità delle previsioni del Piano regolatore generale né, tanto meno, la sua conformità di esso alle linee guida regionali; né, di per sé, incide sull’attualità del Piano di attuazione di iniziativa pubblica, fino a quando il Consiglio Comunale non reputerà, in concreto e nell’autonomo apprezzamento delle necessità della sua “rivisitazione”, di sostituirlo con un testo “revisionato”: e ciò, come detto innanzi, in quanto la conformità allo strumento di piano di livello superiore non comporta necessariamente la condivisione delle scelte operate dallo strumento attuativo.

Deve pertanto essere recisamente esclusa la fondatezza della tesi del Morabito secondo la quale la discrezionalità del Consiglio Comunale in tema di valutazione dei contenuti della strumentazione urbanistica di rango secondario riguarderebbe i meri profili di carattere esecutivo degli strumenti urbanistici generali; e – per contro – allo stesso Consiglio Comunale deve riconoscersi un ben ampio potere discrezionale nella valutazione delle soluzioni proposte in sede di pianificazione esecutiva , ivi compresa la pianificazione delle lottizzazioni, posto che tale organo del Comune esercita pur sempre poteri di pianificazione del territorio comunale e non di semplice riscontro della conformità della pianificazione attuativa rispetto allo strumento di pianificazione generale.

Risulta per certo assodato che l’esercizio di tale potere discrezionale deve avvenire mediante congrua motivazione, nel senso che le ragioni esposte a fondamento dell’eventuale diniego di approvazione della proposta di lottizzazione devono in concreto supportare la determinazione assunta dall’organo consiliare.

In tal senso correttamente il giudice di primo grado ha evidenziato che non è sufficiente per chi intende contestare in tale frangente il vizio di difetto di motivazione limitarsi ad un’astratta affermazione di una carenza della motivazione medesima, essendo per contro necessario riferire in via puntuale la pretesa carenza al concreto apparato argomentativo che l’organo consiliare ha addotto a supporto del provvedimento da esso adottato.

Nel caso in esame il Morabito ha invero puntualmente contestato i singoli profili richiamati nella deliberazione a fondamento del diniego di approvazione, reputandoli errati in fatto ed in diritto.

Come si è visto innanzi, egli ha contestato l’assunto motivazionale secondo il quale l’area da lottizzare sarebbe priva di accesso, nonché l’assunto secondo il quale le proposte tipologie residenziali non sarebbero conformi alle previsioni dell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G., l’assunto secondo il quale le diverse proposte di lottizzazione presentate sull’area in questione non risulterebbero tra di loro coordinate con la conseguente necessità di costituire un consorzio pubblico-privato per progettare e realizzare un piano di dettaglio particolareggiato e – da ultimo – l’assunto della necessità per il caso di specie della V.I.A. a supporto del Piano di lottizzazione.

Tuttavia – e sempre come si è visto innanzi, segnatamente ai § 4.3., 4.4. e 4.5. della presente sentenza –tutte tali censure sono state giudicate infondate.

4.9. Nel primo grado di giudizio il Morabito ha dedotto un terzo motivo di ricorso, sempre deducendo sotto ulteriore profilo l’avvenuta violazione del T.U. approvato con D.P.R. 380 del 2001, della L.R. 19 del 2002, della L. 241 del 1990 e del T.U. approvato con D.P.R. 267 del 2000, nonché eccesso di potere per difetto ed erroneità dei presupposti, travisamento dei fatti, contraddittorietà, difetto di motivazione ed i istruttoria, sviamento di potere, violazione dei principi sugli atti ed i provvedimenti amministrativi e di adeguatezza, eccesso di potere per illogicità manifesta, incongruenza ed incompetenza, riferendo tali vizi alla richiesta di parere esterno da parte della Giunta Comunale, nonché ai contenuti del parere medesimo.

L’insieme di tali censure è stato riformulato anche nell’atto d’appello e descritto nella presente sentenza al § 2.1.13.

Ad avviso del Morabito risulterebbe innanzitutto violato il principio secondo il quale l’attività amministrativa deve essere svolta dagli organi istituzionali, con divieto di ricorrere all’ausilio esterno, posto che il ricorso all’esterno sarebbe ammissibile per l’Ente locale soltanto nell’ipotesi in cui sussista un’oggettiva impossibilità di ottenere un responso in merito da parte degli organi e degli uffici dell’Ente medesimo; e, nella specie, tale impossibilità non sussisterebbe, atteso che il Comune si sarebbe dotato, anche di recente, di dirigenti particolarmente esperti e capaci.

Il Morabito ha inoltre rimarcato che l’ausilio esterno sarebbe stato chiesto non solo in sostituzione, ma addirittura contro i pareri già acquisiti nell’ambito del procedimento, che l’acquisizione del parere stesso non avrebbe potuto essere disposta dalla Giunta Comunale in quanto organo incompetente in materia e che l’acquisizione medesima avrebbe richiesto la stipula di un contratto nella forma scritta, come generalmente contemplato per tutti i contratti in cui è parte ina pubblica amministrazione.

Come ha rettamente denotato a tale riguardo il giudice di primo grado, con la formulazione di tali censure il Morabito ha inteso configurare la necessità di un puntuale vincolo tra l’azione amministrativa tesa all’acquisizione del parere di cui trattasi e la susseguente e la susseguente attività concretatasi nell’adozione della deliberazione impugnata, in modo che la legittimità di quest’ultima venga a dipendere dalla legittimità della prima.

Tale tesi, peraltro, non può essere condivisa.

In primo luogo non è esatto l’assunto secondo il quale il parere esterno sarebbe stato utilizzato al fine di disattendere i pareri già esistenti e resi dagli organi istituzionali del Comune: e ciò – come rimarcato dallo stesso giudice di primo grado – in quanto l’acquisizione del parere si configura quale iniziativa della Giunta Comunale deputata ad ottenere e ad utilizzare un supporto tecnico - giuridico in relazione ad un indirizzo che era stato già da essa fatto proprio sulla base di valutazioni coinvolgenti scelte in materia urbanistica ed ambientale del tutto estranee alle attività in precedenza poste in essere dagli uffici comunali.

In tal senso va anche qui richiamato l’assunto precedentemente enunciato al § 4.8.4 della presente sentenza laddove esclude in via categorica che la Giunta Comunale sia sfornita di competenza in materia urbanistico-edilizia, stante il suo ruolo di soggetto istituzionale che esercita un’iniziativa propositiva in ordine alle materie rientranti nelle competenze proprie del Consiglio Comunale.

Ma, in disparte di tale aspetto e per quanto segnatamente attiene alla dedotta violazione di principi che impedirebbero di demandare all’esterno attività proprie dell’Amministrazione Comunale, nonché alle censure relative alla forma dei contratti, sotto il profilo giuridico non può essere introdotto uno specifico e del tutto consequenziale legame tra l’attività, in sé considerata, di acquisizione del parere e la susseguente attività posta in essere dagli organi dell’Amministrazione Comunale che si sono avvalsi del parere medesimo.

Infatti, la circostanza che l’azione amministrativa complessivamente posta in essere da tali organi e che si è conclusa con l’adozione della deliberazione consiliare impugnata in primo grado dal Morabito sia stata influenzata nel suo esito, pur in certa qual rilevante misura, dai contenuti del parere di cui trattasi non può ex se giustificare la configurazione di una sorta di vincolo di presupposizione tra l’atto della Giunta Comunale e l’anzidetta deliberazione consiliare di reiezione della proposta di lottizzazione: e ciò in quanto l’eventuale illegittimità dell’acquisizione del parere esterno per i profili dedotti dal Morabito potrebbe – semmai - rilevare su altri piani e ad altri fini, primo tra tutti quello della regolarità contabile, non essendo - per contro - minimamente in grado di riflettersi sulla legittimità del provvedimento consiliare susseguentemente adottato e – per l’appunto – contestato innanzi al giudice amministrativo da parte dello stesso Morabito.

Ossia, conclusivamente, vitiatur sed non vitiat.

Pertanto anche tale ordine di censure, puntualmente riformulato quale motivo d’appello descritto nel § 2.1.13, non può trovare accoglimento, essendo – semmai – intrinsecamente inammissibile agli effetti che il medesimo Morabito si è prefisso adendo il plesso giurisdizionale amministrativo al fine di tutelare i propri interessi.

4.10. Il Morabito ha inoltre evidenziato l’errore di fatto in cui sarebbe incorso il professionista che ha redatto il parere laddove ha indicato quale estensione delle lottizzazione una superficie di circa 200 ettari.

Tale rilievo del medesimo Morabito, ove pur fosse riconosciuto esatto, risulterebbe ex se irrilevante, posto che ciò potrebbe influire sul piano della legittimità della deliberazione consiliare impugnata soltanto laddove fosse dimostrato che l’asserito errore abbia influito in concreto sulla formazione del processo volitivo dell’organo deliberante, sostanziando in tal modo un vizio del provvedimento adottato di eccesso di potere per travisamento o errore di fatto.

Il Morabito non ha dato alcuna comprova di tale eventuale circostanza, e a ragione pertanto il giudice di primo grado ha respinto la relativa censura.

4.11. Anche per quanto segnatamente attiene al parere reso dal professionista esterno il Morabito ha riproposto la censura di sviamento di potere già disaminata al precedente § 4.8.3., ossia nel senso che il diniego di approvazione della proposta di lottizzazione sarebbe stato espresso non in relazione all’effettiva erroneità del piano di dettaglio, ma per raggiungere un fine diverso ed ulteriore, consistente nell’intento di procedere ad un nuovo e diverso assetto convenzionale che ridisegni urbanisticamente un quartiere turistico; e, per l’appunto – sempre secondo la prospettazione del medesimo Morabito – tale sviamento risulterebbe confermato dal contenuto del parere del professionista esterno, nel quale si esorterebbe alla completa rinnovazione del procedimento, partendo quindi dalla reimpostazione dello stesso sulla base della rivisitazione del piano attuativo.

Sempre secondo il Morabito in sede di esame di un piano attuativo di iniziativa privata, non sarebbe comunque consentito deliberare la non approvazione di uno strumento urbanistico attuativo al fine di conseguire un fine diverso da quello proprio del provvedimento avente ad oggetto lo strumento medesimo.

Va anche evidenziato che tale censura di sviamento risulta pure formulata nei motivi aggiunti di ricorso proposti in primo grado dal medesimo Morabito, laddove a pretesa comprova del vizio ora riferito si afferma che dai verbali di nomina della Commissione per la predisposizione di una proposta operativa relativa alla pianificazione del comparto Giovino e dalle relazioni introduttive si desumerebbe con ineludibile chiarezza proprio l’anzidetto intento di procedere, con diverso approccio collaborativo dei privati, ad un diverso assetto convenzionale.

Il Morabito ha quindi, a tale riguardo, richiamato atti diversi da quello da lui impugnato e assunti quali elementi indiziari precedenti e successivi alla deliberazione consiliare di reiezione della proposta di deliberazione che ulteriormente comproverebbero la tesi dello sviamento di potere.

Il giudice di primo grado ha peraltro fondatamente respinto l’assunto di fondo dell’attuale appellante, secondo il quale l’intento del Consiglio Comunale di pervenire ad un diverso assetto del comparto implicherebbe la considerazione di un interesse pubblico diverso rispetto a quello in funzione del quale la legge riconosce al medesimo organo consiliare il potere di approvazione del piano di iniziativa privata; ed, infatti, “se è vero che le argomentazioni” del medesimo Morabito “risultano formulate in considerazione della complessità dello scenario procedimentale e provvedimentale su cui ha inciso la deliberazione impugnata - caratterizzato, tra l’altro, dall’intervenuta approvazione di un piano attuativo di iniziativa pubblica - è anche vero, tuttavia, che, su queste basi, non può configurarsi un tale restringimento delle facoltà di valutazione discrezionale spettanti all’organo consiliare ad un punto tale da ridurre le valutazioni stesseall’apprezzamento della conformità del piano attuativo di iniziativa privata alla pianificazione urbanistica dell’area di cui si tratta” (cfr. pag. 48 della sentenza impugnata).

Come più volte ribadito innanzi, dalla presenza (e dalla tutt’oggi perdurante vigenza) del Piano attuativo di iniziativa pubblica non può conseguire la sottrazione al Consiglio Comunale della potestà discrezionale di valutazione del concreto assetto conferito al territorio, contraddistinta non solo dalla disamina della conformità della proposta lottizzazione rispetto agli strumenti urbanistici di livello superiore, ma anche alla verifica della congruità delle scelte concretamente adottate nel proposto piano di iniziativa privata.

In tale contesto – si è sempre detto e ribadito innanzi - non è pertanto corretto affermare la sussistenza di una deviazione nell’esercizio della potestà discrezionale laddove venga assunto, quale obiettivo di riferimento dell’azione amministrativa deputata a completare la trama della pianificazione, la realizzazione di un assetto diverso rispetto a quello prefigurato nel proposto piano di lottizzazione, anche se quest’ultimo risulti conforme al piano attuativo di iniziativa pubblica: infatti, ove si ammetta che il Consiglio Comunale non è vincolato all’approvazione del piano di lottizzazione, deve pure ammettersi “per la contraddizion che nol consente” (Dante, Inferno, XXVII, 118-120) che l’organo consiliare può ben fondare le valutazioni di propria competenza su ogni aspetto attinente all’assetto del territorio, senza vincoli di sorta al riguardo se non quelli propri della destinazione urbanistica impressa all’area dallo strumento urbanistico primario.

4.12. Nel § 2.1.13. è stata riportata una specifica censura dedotta dal Morabito in sede di appello, secondo la quale il T.A.R. avrebbe anche omesso di disaminare l’ultimo motivo di ricorso contenuto nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, con il quale era stata censurata l’illegittimità consistente nel fatto che il Consiglio Comunale avrebbe espresso un diniego totale nei riguardi del proposto piano di lottizzazione, e ciò in violazione del principio di adeguatezza: principio che avrebbe dovuto essere comunque rispettato, specie a fronte della necessità di conservazione degli atti e procedimenti posti precedentemente in essere dall’Amministrazione Comunale medesima e dai privati.

A tale riguardo questo giudice osserva che i rilievi formulati dal Consiglio Comunale a fondamento della propria decisione (mancanza di accesso all’area lottizzata, incongrua applicazione dell’art. 58 delle N.T.A. del P.R.G., difetto di coordinamento tra le varie proposte di lottizzazione presentate e mancato assolvimento della V.I.A.) ragionevolmente non consentivano, per la loro intrinseca estensione al proposto Piano nel suo complesso, un’approvazione di quest’ultimo “per stralci”.

4.13. Per quanto da ultimo attiene ai motivi aggiunti proposti in primo grado dal Morabito, va denotato che – anche al di là della dianzi rilevata valenza “indiziaria” ad essi assegnata dal deducente medesimo (cfr. il § 4.11) – tale impugnativa ha per oggetto i verbali delle sedute della Giunta Comunale di Catanzaro del 13 dicembre 2007 e dell’8 gennaio 2008, riguardanti la nomina di Commissione avente il compito di predisporre una proposta operativa per la pianificazione del comparto Giovino del Comune di Catanzaro: segnatamente, la prima concerne l’istituzione di un gruppo di lavoro per le problematiche del comparto Giovino, nel mentre la seconda esprime l’intento di realizzare l’assetto urbanistico del comprensorio G1, in conformità ai principi ivi contestualmente espressi, attualizzando e rettificando aspetti attinenti, tra l’altro, al ripristino della viabilità lato mare, alla determinazione dei limiti e delle proporzioni di edificabilità delle residenze, al dettaglio degli oneri di urbanizzazioni interni ed esterni, nonché al rispetto ed il potenziamento dei valori ambientali.

Tali atti – come correttamente puntualizzato dallo stesso giudice di primo grado – non assumono effetti lesivi della sfera giuridica del Morabito, né comunque appaiono determinare l’insorgenza, la modificazione o l’estinzione di situazioni giuridiche soggettive dei terzi, posto che rivestono una mera valenza sul piano organizzativo interno dell’Amministrazione Comunale, ovvero recano una mera espressione di intenti priva di effetti concreti in ordine all’assetto del territorio: tant’è che lo stesso Morabito non ha dedotto, nei confronti degli atti medesimi, censure illustranti al riguardo specifici ed autonomi loro vizi.

In dipendenza di ciò, pertanto, va condivisa la pronuncia di inammissibilità dei motivi aggiunti resa dallo stesso T.A.R.

5. L’appello, per tutte le considerazioni che precedono, va dunque respinto.

Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, avuto riguardo alla quantità e alla complessità delle questioni che sono state sottoposte al Collegio.

Va peraltro dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 corrisposto per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del presente grado del giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 corrisposto per il presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2012 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Sergio De Felice, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/09/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)