Cass. Sez. III n. 20846 del 20 maggio 2015 (Ud 11 mar 2015)
Pres. Fiale Est. Pezzella Ric. Chioma
Urbanistica.Ristrutturazione con modifica dei prospetti e necessità di permesso di costruire

Anche le recenti modifiche introdotte, non hanno prodotto novità per quanto riguarda quelle opere edilizie che comportino modifica dei prospetti. Il concetto di prospetto, infatti, non va confuso con quello di sagoma. Per sagoma deve intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro, considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma. La modifica di prospetti attiene alla facciata dell'edificio, per cui non va confusa e compresa nel concetto di sagoma, che indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l'edificio. I prospetti, in altri termini, costituiscono un quid pluris rispetto alla sagoma, attenendo all'aspetto esterno, e quindi al profilo estetico-architettonico dell'edificio. La chiusura di preesistenti finestre e la loro apertura in altre parti, l'apertura di balconi in luogo di finestre, così come l'allargamento del portone di ingresso, essendo relativi al prospetto, non afferiscono al concetto di sagoma. Pertanto un intervento di ristrutturazione edilizia, che ha visto una parziale demolizione e successiva ricostruzione del manufatto, mantenendo le medesime dimensioni di quello preesistente (e quindi la sua sagoma), ma comportando lo spostamento di una finestra dal lato est -dove veniva chiusa- al lato nord -dove veniva aperta- (e quindi modifica dei prospetti) necessitava di permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

RITENUTO IN FATTO

La Corte di Appello di Firenze, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente C.S., con sentenza del 14.6.2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze, emessa in data 12.12.2011, revocava l'ordine di demolizione, sostituendolo con l'ordine di remissione in pristino nello status quo ante gli abusi in oggetto della presente accusa.

Il Tribunale di Firenze aveva dichiarato C.S. responsabile dei seguenti reati: A) del reato di cui all'art. 110 cod. pen., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) per avere, realizzato le opere edilizie abusive in assenza del permesso di costruire, consistenti in: Realizzazione di ristrutturazione di un manufatto in muratura, presente nel giardino di proprietà delle dimensioni di mt.

6,50x3,00 circa con copertura in legno e tegole di laterizio, con altezza massima di mt. 2,83 circa adibito a ricovero attrezzi, mediante una parziale demolizione e successiva ricostruzione, mantenendo le medesime dimensioni di quella preesistente. Rispetto a detto manufatto risulta lo spostamento di una finestra dal lato Est (chiusura dell'apertura) al Iato Nord, sono stati inoltre sostituiti gli infissi e la porta d'ingresso (da due porte è diventata una), la copertura, il pavimento e creato uno scalino sotto la porta d'ingresso. B) Del reato di cui all'art. 110 cod. pen., D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (sanzionato dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per avere realizzato le opere edilizie indicate al punto a), prive della preventiva autorizzazione paesaggistica ambientale prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146; C) Del reato di cui all'art. 110 c.p., L. 2 febbraio 1974, n. 64, art. 17 per avere, in zona sismica, omesso di presentare preventivamente all'Ufficio Tecnico del Genio Civile di Livorno la denuncia dei lavori con allegato progetto delle costruzioni, debitamente firmato da tecnico abilitato e dal direttore dei lavori. Fatti commessi in epoca antecedente e prossima all'autunno dell'anno (OMISSIS).

L'imputata era stata condannata in primo grado, riuniti i reati sotto il vincolo della continuazione e concesse attenuanti generiche, alla pena di 12 giorni di arresto ed Euro 23.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, con pena sospesa, non menzione della condanna e ordine di demolizione del manufatto abusivo.

La coimputata C.M.T., veniva assolta per non avere commesso il fatto.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione C.S., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a. Intervenuta prescrizione.

La ricorrente deduce che l'avvenuta prescrizione del reato, in quanto in imputazione il fatto è stato contestato come commesso in epoca antecedente e prossima all'autunno 2008.

La prescrizione sarebbe maturata il 22 settembre 2013, data in cui inizia l'autunno.

b. Errata applicazione della normative edilizia e paesaggistica.

La Corte distrettuale, pur ritenendo il manufatto preesistente, avrebbe tratto delle conseguenze soltanto parziali sostituendo all'ordine di demolizione, l'ordine di remissione in pristino del manufatto, confermando la condanna penale.

La Corte di appello avrebbe affermato che lo spostamento di due finestre e della porta di ingresso richiedeva il permesso di costruire.

Ciò non corrisponderebbe a verità, in quanto sarebbe stata sufficiente una banale denuncia di inizio lavori.

Ancora rileva la ricorrente che le violazioni del vincolo paesaggistico sarebbero al di sotto del limite di rilevanza. Sul punto il giudice di appello avrebbe omesso ogni accertamento con conseguente illogicità e perplessità della motivazione nonchè violazione delle normative processuali.

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente statuizione.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, va dichiarato inammissibile.

2. Quanto al secondo motivo di ricorso, che logicamente va esaminato per primo, il difensore della ricorrente, invero assai genericamente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione.

E' ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693).

Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608).

3. Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d) (modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002), com'è noto, definisce ristrutturazione edilizia gli interventi rivolti a trasformare i manufatti attraverso un insieme sistematico di opere che possono condurre ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi possono comportare il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio e la eliminazione, la modifica, l'inserimento di nuovi elementi o impianti (cfr. questa sez. 3, n. 834 del 4.12.2008 dep. il 13.1.2009).

Orbene, va evidenziato che opere come quelle di cui all'odierno decidere non hanno visto modificato il loro regime autorizzatorio in virtù dei recenti e plurimi interventi normativi che pure hanno interessato negli ultimi mesi la disciplina urbanistica.

Va ricordato, infatti, che dal 21 agosto 2013 è in vigore la legge 9 agosto 2013, n. 98 di conversione del decreto "del fare" (D.L. 21 giugno 2013, n. 69), che ha introdotto in materia numerose novità, quali: 1) l'eliminazione del vincolo della sagoma come prescrizione necessaria ai fini dell'inquadramento degli interventi di demolizione e ricostruzione nella categoria edilizia della ristrutturazione edilizia; 2) la previsione nell'ambito della categoria della ristrutturazione edilizia anche degli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti, purchè si possa accertarne la preesistente consistenza; 3) fatti salvi alcuni casi, l'estensione della SCIA agli interventi di ristrutturazione edilizia nonchè delle cd. "varianti minori" ai permessi di costruire in caso di modifica della sagoma.

La nuova definizione di ristrutturazione edilizia semplifica, dunque, le procedure di rilascio del titolo abilitativo edilizio, poichè consente di effettuare i lavori con la segnalazione certificata inizio attività anche nei casi in cui la ristrutturazione edilizia comporti la modifica la sagoma dell'edificio preesistente, purchè l'intervento non sia sottoposto a vincolo dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni.

Negli interventi di ristrutturazione edilizia, dunque, il legislatore pone particolare attenzione sulla consistenza volumetrica o alla superficie dell'edificio demolito e consente invece la sua ricostruzione con sagoma diversa dalla precedente. La modifica di quest'ultima, in altri termini, con la sola eccezione degli immobili sottoposti a vincolo dei beni culturali e del paesaggio, non assume più rilevanza ai fini della individuazione del permesso di costruire come titolo abilitativo necessario per l'intervento di ristrutturazione edilizia.

E' poi intervenuto il D.L. n. 133 del 12 settembre 2014 (il cosiddetto "sblocca Italia") convertito con la L. 11 novembre 2014, n. 164, recante "Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive", che ha previsto, tra l'altro, che tra gli interventi di manutenzione straordinaria, vengono ora ricompresi anche quelli volti al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonchè del carico urbanistico purchè non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione d'uso.

4. Tuttavia, come si diceva, anche le modifiche introdotte, non hanno prodotto novità per quanto riguarda quelle opere edilizie che, come nel caso che ci occupa, comportino modifica dei prospetti.

Il concetto di prospetto, infatti, non va confuso con quello di sagoma.

Questa Corte di legittimità ha in più occasioni sottolineato come per sagoma debba intendersi la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro, considerato in senso verticale ed orizzontale, così che solo le aperture che non prevedano superfici sporgenti vanno escluse dalla nozione stessa di sagoma (cfr questa sez. 3, n. 19034 del 18.3.2004, Calzoni, rv. 228624).

Coerentemente con quanto afferma sul punto anche la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Puglia, Bari, sez. 3, 22.7.2004, n. 3210) la modifica di prospetti attiene alla facciata dell'edificio, per cui non va confusa e compresa nel concetto di sagoma, che indica la forma della costruzione complessivamente intesa, ovvero il contorno che assume l'edificio.

I prospetti, in altri termini, costituiscono un quid pluris rispetto alla sagoma, attenendo all'aspetto esterno, e quindi al profilo estetico-architettonico dell'edificio.

La chiusura di preesistenti finestre e la loro apertura in altre parti, l'apertura di balconi in luogo di finestre, così come l'allargamento del portone di ingresso, essendo relativi al prospetto, non afferiscono al concetto di sagoma.

Pertanto un intervento di ristrutturazione edilizia come quello del caso che ci occupa, che ha visto una parziale demolizione e successiva ricostruzione del manufatto, mantenendo le medesime dimensioni di quello preesistente (e quindi la sua sagoma), ma comportando lo spostamento di una finestra dal lato est - dove veniva chiusa - al lato nord - dove veniva aperta - (e quindi modifica dei prospetti) necessitava di permesso di costruire, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 10, comma 1, lett. c).

5. Manifestamente infondato, infine, è il primo motivo di ricorso in ordine alla prescrizione dei reati.

La stessa ricorrente, infatti, fa cadere il termine di prescrizione quinquennale alla data in cui comincia l'autunno, cioè il 21 settembre 2013, quindi in una data successiva a quella del 14.6.2013 in cui è stata pronunciata la sentenza impugnata.

Nè può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (Cass. pen., Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, rv. 239400; in ultimo Cass. pen. Sez. 2, n. 28848 dell'8.5.2013, rv. 256463).

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2015.