Cass. Sez. III n. 35011 del 18 settembre 2007 (Ud. 26 apr. 2007)
Pres. Onorato Est. Fiale Ric. Camarda
Urbanistica. Realizzazione veranda

Una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durate nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile. Né può sostenersi che tale manufatto sia destinato alla protezione dagli agenti atmosferici allorché sia stato ottenuto in concreto "un nuovo vano adibito ad ufficio ed in tal senso arredato", sicché con la c.d. "veranda" sia stato posto in essere un aumento della volumetria abitativa ed assicurato nuovo spazio al corpo immobiliare
preesistente.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 26/04/2007

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA

Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1330

Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - N. 35563/2006

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CAMARDA Salvatore, nato a Messina il 25.3.1956;

avverso la sentenza 10.1.2006 della Corte di Appello di Messina;

Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. Passacantando Guglielmo, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore, Avv.to Stracuzzi Ottavio, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 10.1.2006, confermava la sentenza 25.2.2005 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Camarda Salvatore in ordine ai reati di cui:

- al D.P.R n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere realizzato, in assenza del prescritto permesso di costruire, la chiusura e copertura di una veranda, per una superficie di mt. 3,70 x 3,85, posta ai primo piano di un preesistente fabbricato, mediante pannelli coibentati con soprastante manto di tegole - acc. in Spadafora, il 29.9.2003);

- al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95.

e, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo aveva condannato alla pena complessiva di mesi due di arresto ed Euro 6.500,00 di ammenda, ordinando la demolizione delle opere abusive.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Camarda, il quale ha eccepito violazioni di legge:

- per il mancato accoglimento di una richiesta di perizia tecnica, che doveva considerarsi prova decisiva rivolta ad accertare la natura e le caratteristiche della costruzione (art. 606 c.p.p., comma 1 - lett. d);

- per l'erronea applicazione della L.R. n. 37 del 1985, art. 9 e L.R. n. 4 del 2003, art. 20;

- per l'assenza totale di motivazione in ordine alle doglianze riferite nei motivi di appello alla non assoggettabilità del manufatto di nuova costruzione alla normativa antisismica. MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato e genericamente formulato, in violazione di quanto prescritto dall'art. 581 c.p.p., lett. c), essendo privo dell'indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta.

Il medesimo atto di gravame - nella parte in cui si riferisce esclusivamente "per relationem" alle doglianze svolte con i motivi di appello - si pone, altresì, in violazione del principio della c.d. autosufficienza del ricorso che, consolidato nella giurisprudenza riguardante il giudizio di Cassazione in sede civile, deve essere ormai applicato anche nel processo penale in base alla nuova formulazione dell'art. 606 c.p.p. come introdotta dalla L. n. 46 del 2006.

1. Quanto al primo motivo di ricorso, va rilevato che nel vigente codice di procedura penale la rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.

L'ipotesi di rinnovazione del dibattimento prevista dall'art. 603 c.p.p. comma 1, riguarda prove preesistenti o già note alla parte ed è subordinata alla condizione che il giudice di appello ritenga, secondo la sua valutazione discrezionale, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (giudizio che, se sorretto da motivazione adeguata, non è censurabile in sede di legittimità). L'impossibilità di decidere allo stato degli atti può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonché quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza. Nella fattispecie in esame il difensore dell'imputato, con 1 motivi di appello, aveva chiesto che venisse disposta una perizia finalizzata ad accertare "in maniera chiara e definitiva la situazione reale dei luoghi ed i comportamenti effettivi del Camarda".

La Corte di merito ha respinto la richiesta sui rilievi che vi era già in atti una relazione di consulenza tecnica disposta dal P.M. nella fase delle indagini preliminari e che sull'oggettiva entità dell'opera realizzata erano stati escussi due agenti della polizia municipale nonché il tecnico comunale ed un funzionario dell'ufficio tecnico regionale.

Tale motivazione afferma incontestabilmente l'irrilevanza della prova e l'apprezzamento di merito sulla rilevanza probatoria sfugge al sindacato di legittimità allorquando (come è nel caso in esame) abbia formato oggetto di apposita motivazione immune da vizi logico- giuridici.

L'error in procedendo, in cui si sostanzia il vizio che l'art. 606 c.p.p., comma 1 - lett. d), ricomprende fra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva - secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema - solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa (vedi Cass., Sez. 1^, 2.12.2004, n. 46954). Ciò comporta che la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da potere inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento dei giudici di merito e tanto non è dato ravvisare nella sentenza in esame, tenuto pure conto che la perizia è mezzo di prova neutro ed è sottratta al potere dispositivo delle parti (le quali possono attuare il diritto alla prova anche attraverso proprie consulenze). La sua assunzione, pertanto, è rimessa al potere discrezionale del giudice e non è riconducibile al concetto di "prova decisiva", con la conseguenza che il relativo diniego non è sanzionatile ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1 - lett. d), e, in quanto giudizio di fatto, se assistito (come nella specie) da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità anche ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1 - lett. e), (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 6^: 28.2.2003, n. 9279 e 8.8.2003, n. 34089). 2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è costantemente orientata nel senso che la trasformazione ai un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica od altri elementi costruttivi, non costituisce intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera già soggetta a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire (vedi, tra le molteplici e più recenti pronunzie, Cass., Sez. 3^: 28.10.2004, D'Amelio; 13.1.2000, Spaventi). Il medesimo orientamento si rinviene nelle decisioni dei giudici amministrativi (vedi Cons. Stato, Sez. 5^: 8.4.1999, n. 394 e 22.7.1992, n. 675, nonché Cons. giust. Amm. Sic. Sez. riunite, 15.10.1991, n. 345).

In particolare, una veranda è da considerarsi, in senso tecnico- giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile. Nè può sostenersi che, nella specie, il manufatto realizzato fosse destinato alla protezione dagli agenti atmosferici allorché si consideri che è stato ottenuto in concreto "un nuovo vano adibito ad ufficio ed in tal senso arredato", sicché con la c.d. "veranda" è stato posto in essere un aumento della volumetria abitativa ed assicurato nuovo spazio al corpo immobiliare preesistente.

3. I meri riferimenti fatti in ricorso alla pretesa "erronea applicazione della L.R. n. 37 del 1985, art. 9 e L.R. n. 4 del 2003, art. 20 "non consentono a questa Corte di avere contezza della effettiva portata della censura così articolata.

Per completezza espositiva appare comunque opportuno rilevare che l'art. 20 della L.R. Siciliana 16 aprile 2003, n. 4, assoggetta ad un particolare regime di asseveramento applicabile anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie come previsto dalla L.R. 10 agosto 1985, n. 37, art. 9:

a) "la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie";

b) la realizzazione di verande, definite come "chiusure o strutture precarie relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati";

c) la realizzazione di altre strutture, comunque denominate (a titolo esemplificativo si fa riferimento a tettoie, pensiline e gazebo), che vengono assimilate alle verande, a condizione che ricadano su aree private, siano realizzate con strutture precarie e siano aperte almeno da un lato.

La norma in esame dispone altresì che:

aa) gli interventi dianzi descritti non sono considerati aumento di superficie utile o di volume ne' modifica della sagoma della costruzione;

bb) "sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione". Le disposizioni regionali anzidette, procedendo alla identificazione in via di eccezione di determinate opere precarie non soggette a permesso di costruire, privilegiano il "criterio strutturate" (la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili) a discapito di quello "funzionale" (l'uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata). Tali disposizioni, pertanto, non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti vedi Cass., Sez. 3^, 15.6.2006, Moltisanti ed In relazione alle stesse deve rilevarsi che non può comunque considerarsi "realizzato in modo tale da essere suscettibile di facile rimozione" un vano di non ridotte dimensioni (non rivolto oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitate nel tempo), stabilmente incorporato alle opere murarie già esistenti sì da non potersi procedere alla separazione degli elementi successivamente inseriti se non incidendo sull'integrità di dette opere.

4. La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, sicché non può tenersi conto della prescrizione dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95, scaduta (il 29.9.2006) in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dello stesso ricorso (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca).

5. Alla stregua della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale, rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2007.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2007