Cass. Sez. III n. 30044 del 2 agosto 2021 (UP 17 mar 2021)
Pres. Ramacci Est. Cerroni Ric. Spina
Urbanistica.Pertinenza e fondo agricolo

In materia edilizia la pertinenza non è configurabile in relazione ad un fondo agricolo o un’area, non potendo prescindere dal necessario collegamento con un edificio, quantunque non necessariamente residenziale

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 23 settembre 2019 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del 9 luglio 2018 del Tribunale di Nola, in forza della quale Luigi Spina era stato condannato alla pena, sospesa subordinatamente alla demolizione delle opere, di mesi sette di arresto e dodicimila euro di ammenda per i reati di cui agli artt. 44 lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; 83, 93 e 95 d.P.R. 380 cit. e 2 legge regionale Campania 7 gennaio 1983, n. 9.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione con due motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha osservato che l’intervento aveva riguardato un’area pertinenziale sulla quale insistevano tre manufatti, risalenti nel tempo, per il ricovero degli animali, e a detti manufatti andavano sostituite le lamiere di copertura con attività di manutenzione ordinaria. Al riguardo la sentenza impugnata aveva omesso di riferirsi alle caratteristiche costruttive dell’intervento edilizio, laddove l’intervento stesso non aveva comportato un mutamento nella destinazione d’uso ma solamente una conservazione degli immobili.
2.2. Col secondo motivo è stata eccepita l’intervenuta prescrizione, argomento cui la Corte territoriale si era limitata ad opporre il mancato completamento delle opere (mentre era stata altresì documentata la vetustà dell’immobile).
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In via del tutto preliminare, peraltro, osserva la Corte che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni (fatta eccezione per la concessione delle attenuanti generiche nel massimo grado, nel giudizio di appello), che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303).
4.2. Ciò posto, è nozione comune che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
4.2.1. In specie, la Corte territoriale ha dato conto degli esiti dell’istruttoria, in forza della quale – attesa anche la deposizione testimoniale del tecnico comunale - era emerso che le opere edilizie contestate all’odierno ricorrente costituivano un organismo diverso da quello preesistente, con modifica della sagoma e aumento del carico strutturale, costituito dalla realizzazione di volumi aggiuntivi rappresentati dai tre manufatti in contestazione, sì da escludere che si potesse parlare di manutenzione ordinaria e, ancor più, di manutenzione straordinaria, trattandosi di realizzazione ex novo di un complesso inesistente prima e che rendeva il manufatto del tutto diverso dall’originario.
In definitiva, pertanto, il ricorrente ha inteso proporre un’inammissibile differente ricostruzione in fatto, rispetto a quanto accertato dalla Corte territoriale con un percorso argomentativo di cui non si scorge la manifesta illogicità, tant’è che in ogni caso non è neppure contestato – ed anzi il ricorso neppure vi si confronta – l’affermato contenuto della deposizione del tecnico comunale, che appunto aveva ribadito la necessità tanto del permesso di costruire quanto della trasmissione del progetto al Genio civile in considerazione della natura sismica della zona, in quanto i manufatti non presentavano conformità alcuna con gli strumenti urbanistici.
4.2.2. Né, infine, poteva esservi questione circa la pretesa natura pertinenziale delle opere, dal momento che – come è stato correttamente evidenziato dalla stessa Corte territoriale – in materia edilizia la pertinenza non è configurabile in relazione ad un fondo agricolo o un’area, non potendo prescindere dal necessario collegamento con un edificio, quantunque non necessariamente residenziale (Sez. 3, n. 5456 del 28/11/2013, dep. 2014, Toso, Rv. 258973; Sez. 3, n. 6109 del 08/01/2008, Berretti, Rv. 238994).
4.3. In ordine poi all’eccepita prescrizione, parimenti la sentenza impugnata ha dato conto che all’epoca del sopralluogo del 14 ottobre 2014 i lavori erano ancora in corso. Al riguardo, invero, è stato ribadito che anche per i manufatti destinati ad uso non abitativo la permanenza cessa con la conclusione dei lavori interni ed esterni di rifinitura dell’opera (Sez. 3, n. 33821 del 17/09/2020, Amatucci, Rv. 280575).
4.3.1. Alcuna prescrizione poteva quindi considerarsi maturata alla data (23 settembre 2019) della pronuncia impugnata rispetto al momento del sopralluogo.
5. La manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione non consente invero in questa sede l’instaurazione del rapporto processuale, conseguendone pertanto l’inammissibilità del proposto ricorso.
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 17/03/2021