Cass. Sez. III n. 51604 del 15 novembre 2018 (UP 18 set 2018)
Pres. Lapalorcia Est. Ramacci Ric. Monfrecola
Urbanistica.Nuove costruzioni ed incidenza sul carico urbanistico

La realizzazione di nuove costruzioni in totale assenza di qualsivoglia titolo abilitativo evidenzia, inequivocabilmente, la sussistenza del fumus del reato urbanistico, sicché la mera indicazione di tale evenienza, anche attraverso il richiamo alla incolpazione cautelare, deve ritenersi del tutto sufficiente. Nel caso di abusiva costruzione di un manufatto su area non edificata, l’aggravio del carico urbanistico può essere desunto sulla base della mera consistenza delle opere, della loro destinazione d’uso e della destinazione urbanistica dell’area ove esse insistono, trattandosi di elementi idonei a fornire una oggettiva indicazione dell’incidenza dell’intervento sulle esigenze urbanistiche di zona.


RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 28 marzo 2018, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di un’area e di alcuni manufatti emesso il 20 febbraio 2018 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale in relazione al reato di cui all'articolo 44, lett. b) d.P.R. 380/2001, per il quale risulta indagato José Walter MONFRECOLA in qualità di committente dei lavori.
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.  

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione dell'articolo 309, comma 9 cod. proc. pen.,  richiamato dall'articolo 324, comma 7 cod. proc. pen., lamentando che il Tribunale non avrebbe fatto buon governo di tali disposizioni, in quanto non avrebbe tenuto conto del fatto che il decreto di sequestro impugnato sarebbe stato privo di autonoma valutazione da parte del giudice che l'aveva emesso.
Richiamata quindi la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, osserva che i giudici del riesame avrebbero, sostanzialmente, ammesso la possibilità di una motivazione implicita da parte del giudice, che, in realtà, la legge non ammette.
Osserva, inoltre, che il Tribunale non avrebbe comunque potuto integrare la carente motivazione del giudice per le indagini preliminari.
Insiste pertanto, per l’accoglimento del ricorso.   



CONSIDERATO IN DIRITTO


1. Il ricorso è infondato.

2. Si rileva, dal provvedimento impugnato, che il sequestro riguarda un'area recintata di circa 1200 metri quadrati, in comune di Napoli e ricadente nella fascia di rispetto della tangenziale, all'interno della quale sono state eseguite alcune opere edilizie che si indicano come meglio specificate nel verbale di sequestro e che i giudici del riesame così, testualmente, descrivono: “un manufatto in tendostruttura di circa 160 mq., ancorato al suolo, con altezza variabile da m. 2,70 a m. 3,50 con pannellatura in legno esterna ed interna al calpestio e ricoperto con pannellatura lignea, chiuso nella parte anteriore con pannelli di alluminio e vetri, adibito a sala per feste; un manufatto in muratura di circa mq. 12, con altezza di m. 2,70 e coperto da lamiere coibentate, adibito a WC; un manufatto ligneo di mq. 4, poggiato su ruote, adibito a deposito di materiali; un manufatto misto ligneo e pannelli termoisolanti di mq. 9, adibito ad ufficio; un manufatto in tendostruttura di mq. 10, con struttura in ferro, chiuso su tre lati, adibito a sala per feste”.

3. Il ricorrente riproduce testualmente la parte di motivazione del provvedimento di sequestro in punto di esigenze cautelari nei seguenti termini “considerato, inoltre, che sussisteva il pericolo che la libera disponibilità di quanto sopra potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato ipotizzato, in quanto, in materia edilizia, è ipotizzabile la sussistenza delle esigenze cautelari richieste dalla legge per disporre il sequestro preventivo dell'immobile anche qualora lo stesso sia stato ultimato, atteso che le conseguenze che tale misura tende ad evitare sono ulteriori rispetto alla fattispecie tipica già realizzata e che in materia urbanistica l'esistenza di una costruzione abusiva può aggravare il cosiddetto carico urbanistico e quindi protrarre le conseguenze del reato (vedi Cass. Pen. Sez. 3, 18/5/2002 n. 11146)”. A seguire, una nota con la riproduzione, in calce, della massima della sentenza richiamata.
Ritiene quindi il ricorrente che tale motivazione evidenzi la mancanza di una autonoma valutazione delle esigenze cautelari, in quanto si risolverebbe nella mera riproduzione di una parte del contenuto letterale dell’art. 321 cod. proc. pen. e di una massima di giurisprudenza e richiama, a tale proposito, quanto evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte.

4. La richiamata pronuncia del massimo organo nomofilattico (Sez. U, n. 18954 del 31/3/2016, Capasso, Rv. 266789) ha stabilito, come è noto, che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili - in virtù del rinvio operato dall'art. 324, comma settimo dello stesso codice - in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa.
Si è successivamente chiarito, in tema di motivazione delle ordinanze cautelari personali, che la previsione di "autonoma valutazione" delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta nell'art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice di esplicitare, indipendentemente dal richiamo in tutto o in parte di altri atti del procedimento, i criteri adottati a fondamento della decisione e non implica, invece, la necessità di una riscrittura "originale" degli elementi o circostanze rilevanti ai fini della disposizione della misura (Sez. 6, n. 13864 del 16/3/2017, Marra, Rv. 269648), ammettendosi peraltro, con specifico riferimento alle misure cautelari reali, anche la possibilità di ricorrere alla tecnica del richiamo per relationem, non essendo tale tecnica incompatibile con un'autonoma valutazione critica del materiale indiziario da parte dello stesso G.I.P. (così, Sez. 3 del 14/4/2016 n. 35296, Elezi, Rv. 268113. V. anche Sez. 2, n. 13838 del 16/12/2016 (dep. 2017), Schetter, Rv. 269970, nonché Sez. 3, n. 28979 del 11/5/2016, Sabounjian, Rv. 267350).
E’ stata anche riconosciuta la legittimità della motivazione redatta con la tecnica del c.d. copia e incolla della richiesta del pubblico ministero, riconoscendo l'autonomia della valutazione nell’accoglimento di una richiesta solo per talune imputazioni cautelari, ovvero solo per alcuni indagati, in quanto il parziale diniego opposto dal giudice costituisce, di per sé, indice di una valutazione critica e non meramente adesiva della richiesta cautelare, nell'intero complesso delle sue articolazioni interne (Sez. 2, n. 25750 del 4/5/2017, P.M. in proc. Persano, Rv. 270662; Sez. 6, n. 51936 del 17/11/2016, Aliperti, Rv. 268523).
La giurisprudenza di questa Corte, inoltre, ha ripetutamente affermato che, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge 47/2015, sussiste comunque il potere-dovere del tribunale del riesame di integrare le insufficienze motivazionali del provvedimento impositivo della misura, sempreché esso sia assistito da una motivazione che enunci le ragioni della cautela, anche in forma stringata ed espressa "per relationem" in adesione alla richiesta cautelare, a meno che non si sia in presenza di una motivazione del tutto priva di vaglio critico dell'organo giudicante, mancando, in tal caso, un sostrato su cui sviluppare il contraddittorio tra le parti (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017 (dep.2018), P.M. in proc. Liccardo e altri, Rv. 272596; Sez. 5, n. 3581 del 15/10/2015 (dep. 2016), Carpentieri, Rv. 266050; Sez. 3, n. 49175 del 27/10/2015, Grosso, Rv. 265365).

5. Alla luce dei richiamati principi, che il Collegio condivide pienamente ed ai quali intende dare continuità, emerge chiaramente che, nella fattispecie in esame, non è dato rilevare la totale assenza di una autonoma valutazione critica da parte del giudice che ha emesso la misura cautelare reale e si è comunque in presenza di una legittima integrazione del provvedimento impugnato da parte dei giudici del riesame.
Invero, va tenuto conto, nella fattispecie, del reato oggetto di provvisoria incolpazione, nonché di consolidati principi giurisprudenziali in tema di sequestro di interventi edilizi abusivamente realizzati.
Come correttamente rilevato dai giudici del riesame, infatti, la realizzazione di nuove costruzioni in totale assenza di qualsivoglia titolo abilitativo evidenzia, inequivocabilmente, la sussistenza del fumus del reato urbanistico, sicché la mera indicazione di tale evenienza, anche attraverso il richiamo alla incolpazione cautelare, deve ritenersi del tutto sufficiente.

6. L’oggetto delle doglianze formulate in ricorso, comunque, riguarda esclusivamente la motivazione in punto di esigenze cautelari, ritenendosi meramente apparente quella in precedenza richiamata.
Tale assunto, tuttavia, non è fondato, perché non può a priori ritenersi meramente apparente la motivazione che richiami il contenuto di principi giurisprudenziali applicabili nel caso posto all’attenzione del giudice quando il riferimento sia pertinente alla situazione specifica e non si risolva in una mera enunciazione priva di concretezza.
Nella fattispecie in esame, invero, il richiamo alla possibilità del sequestro di un manufatto ultimato ed all’aggravio del carico urbanistico era certamente pertinente.
Occorre ricordare, con riferimento al sequestro preventivo di immobili abusivi ultimati, che la questione è stata oggetto di ampio dibattito da parte della giurisprudenza di legittimità ed il contrasto, sorto sulla corretta interpretazione dell’articolo 321 cod. proc. pen., è stato definitivamente risolto dalle Sezioni Unite con la decisione richiamata nel provvedimento impugnato (Sez. U, n. 12878 del 29/1/2003, P.M. in proc. Innocenti, Rv. 223721) dove, con argomentazioni pienamente condivisibili, è affermata la validità dell’orientamento che ne riconosceva l’ammissibilità.
In tale decisione viene operata una distinzione tra l'effetto lesivo del reato sul bene giuridico protetto, che permane nel tempo ma è comune a tutti i reati, anche istantanei e le conseguenze, necessariamente antigiuridiche ed ipotizzabili anche a consumazione del reato avvenuta, che potrebbero derivare dalla libera disponibilità del bene.
E’ così citata, a titolo di esempio, la violazione amministrativa sanzionata dall’art. 221 T.U. Leggi Sanitarie, conseguente all’utilizzazione di un immobile in assenza di certificazione di abitabilità o agibilità, ma si richiama l’attenzione anche sulla lesione dell'interesse alla vigilanza e controllo del territorio attraverso un adeguato governo pubblico degli usi e delle trasformazioni dello stesso e sull’aggravamento del carico urbanistico conseguente all’utilizzazione del manufatto abusivo.    
Riguardo a tale ultimo punto si è ulteriormente chiarito che l'incidenza di un intervento edilizio sul carico urbanistico dev'essere considerata con riferimento all'aspetto strutturale e funzionale dell'opera, ed è rilevabile anche nel caso di una concreta alterazione dell'originaria consistenza sostanziale di un manufatto in relazione alla volumetria, alla destinazione o all'effettiva utilizzazione, tale da determinare un mutamento dell'insieme delle esigenze urbanistiche valutate in sede di pianificazione, con particolare riferimento agli standard fissati dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (Sez. 3, n. 36104 del 22/9/2011, P.M. in proc. Armelani, Rv. 251251, cui si rinvia anche per i richiami ai precedenti. Conforme, Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep. 2012), Susinno, Rv. 252016).
Il sequestro preventivo di un immobile abusivo ultimato è stato, inoltre, ritenuto possibile anche nel caso di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, allorquando il manufatto presenti una consistenza volumetrica tale da determinare comunque un'incidenza negativa concretamente individuabile sul carico urbanistico, sotto il profilo dell'aumentata esigenza di infrastrutture e di opere collettive correlate (Sez. 3, n. 42717 del 10/9/2015, Buono e altro, Rv. 265195)
A corredo di tali principi si è ripetutamente affermato che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato, anche relativamente al carico urbanistico, deve presentare il requisito della concretezza, in ordine alla sussistenza del quale deve essere fornita dal giudice adeguata motivazione (Sez. 3, n. 4745 del 12/12/2007 (dep.2008), Giuliano, Rv. 23878301; conf. Sez. 6, n. 21734 del 4/2/2008, P.M. in proc. Bianchi e altro, Rv. 240984; Sez. 2, n. 17170 del 23/4/2010, De Monaco, Rv. 246854; Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011 (dep.2012), Susinno, Rv. 252016; Sez. 3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812).
Si tratta, invero, di una precisazione affatto superflua, stante l’esigenza di dare contezza delle ragioni per le quali, in determinate situazioni - quali quelle, già menzionate, di utilizzo dell'opera in conformità alle destinazioni di zona, di mero aumento della volumetria di un fabbricato preesistente o mutamento della originaria destinazione d'uso di un edificio - si è in presenza di un aggravio del carico urbanistico, nei termini dianzi specificati, che giustifica l’applicazione della misura cautelare.
Nondimeno, una simile necessità risulta significativamente attenuata allorquando la misura cautelare riguarda la realizzazione di uno o più manufatti ex novo in area inedificata (ed in assenza, ovviamente, del necessario permesso di costruire).
In un simile contesto, infatti, la incidenza sul carico urbanistico può essere di immediata evidenza.
Meritano di essere richiamate testualmente, a tale proposito, le parole della sentenza Innocenti delle Sezioni Unite, secondo la quale la nozione di carico urbanistico “deriva dall'osservazione che ogni insediamento umano è costituito da un elemento c.d. primario (abitazioni, uffici, opifici, negozi) e da uno secondario di servizio (opere pubbliche in genere, uffici pubblici, parchi, strade, fognature, elettrificazione, servizio idrico, condutture di erogazione del gas) che deve essere proporzionato all'insediamento primario ossia al numero degli abitanti insediati ed alle caratteristiche dell'attività da costoro svolte. Quindi, il carico urbanistico è l'effetto che viene prodotto dall'insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero delle persone insediate su di un determinato territorio”.

7. Da ciò consegue che, nel caso di abusiva costruzione di un manufatto su area non edificata, l’aggravio del carico urbanistico può essere desunto sulla base della mera consistenza delle opere, della loro destinazione d’uso e della destinazione urbanistica dell’area ove esse insistono, trattandosi di elementi idonei a fornire una oggettiva indicazione dell’incidenza dell’intervento sulle esigenze urbanistiche di zona.

8. Nel caso oggetto dell’impugnata ordinanza, dunque, il provvedimento del G.I.P. non poteva ritenersi del tutto privo di autonoma valutazione in punto di esigenze cautelari, poiché la considerazione della tipologia, consistenza e destinazione delle opere oggetto di sequestro (come descritte in precedenza), che il GIP deve necessariamente aver effettuato ed il riferimento al conseguente aggravio del carico urbanistico, supportato da un richiamo ad una massima di giurisprudenza, evidenziano l’esistenza di un autonomo giudizio valutativo, ancorché sintetico.
E’ evidente che il Giudice per le indagini preliminari ben avrebbe potuto integrare tale valutazione richiamando la tipologia e la consistenza delle opere ed il loro impatto sul territorio, ma a tale carenza ha sopperito, del tutto legittimamente, per le ragioni indicate in precedenza, il Tribunale, il quale ha posto in evidenza come le opere, indicate come adibite a sala per feste, ufficio e bagno, realizzate in un area che, come specificato nell’ordinanza, ospitava un rimessaggio di barche, risultassero chiaramente destinate a favorire un “utilizzo più intensivo dell’area”, conseguenza evidente se solo si consideri il maggiore afflusso di pubblico, l’incremento di traffico veicolare, la necessità di parcheggi e di altre infrastrutture che la destinazione dei nuovi manufatti comporta.

9. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in data 18/9/2018