Cass. Sez. III n. 7755 del 26 febbraio 2021 (CC 21 gen 2021)
Pres. Izzo Est. Di Stasi Ric. Duranti  
Urbanistica.Modifica destinazione uso con opere

In tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del citato d.P.R. che, nell'estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10/10/2019, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 06/07/2017 del Tribunale di Firenze – con la quale l’attuale ricorrente era stato dichiarato responsabile del reato di cui agli artt. 110 cod.pen. e 44 lett. c) d.P.R. n. 380/2001 (per avere eseguito in assenza del permesso di costruire lavori di ristrutturazione degli immobili indicati in imputazione, sottoposti a vincolo paesaggistico, con realizzazione nei relativi vani accessori di opere finalizzate all’utilizzo degli stessi come vani di abitazione permanente in assenza dei requisiti igienico-sanitari) e condannato alla relativa pena – assolveva l’imputato limitatamente agli interventi eseguiti sugli appartamenti contraddistinti dalle lettere E,F,G,H, perché il fatto non sussiste e rideterminava la pena in mesi quattro di arresto ed euro 20.000,00 di ammenda.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Duranti Andrea, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione dei criteri legali della prova e correlato vizio di motivazione per travisamento del contenuto degli elementi probatori.
Argomenta che la Corte territoriale aveva ritenuto provata la volontà del ricorrente di adibire la soffitta degli immobili contrassegnato dalle lettere B-C-D a civile abitazione, con argomentazioni contraddittorie e manifestamente illogiche, dando rilievo alla circostanza che fossero stati realizzati impianto elettrico, impianto di riscaldamento ed impianto di raffreddamento dell’aria; la presunta finalità del costruttore di rendere abitabile un vano accessorio non era provata in quanto è assolutamente normale che una soffitta sia dotata di impianto elettrico o di riscaldamento al fine di evitare dispersione di calore o di aria fredda.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, lamentando che il diniego di applicazione delle circostanze attenuanti, con apprezzamento non condivisibile e parziale, era stato giustificato dalla Corte territoriale con la non ricorrenza di elementi positivi.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha confermato l’affermazione di responsabilità con riferimento agli interventi eseguiti sugli appartamenti contraddistinti dalle lettere B-C-D-, di cui all’imputazione, rimarcando che la condotta illecita era consistita nel realizzare, in assenza del permesso di costruire, nei locali soffitta degli appartamenti in questione impianti di riscaldamento e raffreddamento dell’aria nonché impianto elettrico con predisposizione di prese elettriche in vari punti (per consentire la sistemazione di un arredo proprio di una camera abitabile), circostanze tutte che, complessivamente valutate, dimostravano che i locali accessori non erano stati adibiti ad esclusive funzioni complementari delal residenza, comportanti la presenza saltuaria delle persone, ma ad un uso residenziale non autorizzato.
La motivazione è congrua e logica e conforme ai principi di diritto affermati in subiecta materia da questa Suprema Corte.
E’ stato, infatti, affermato che, in tema di reati urbanistici, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile previa esecuzione di opere edilizie, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo irrilevanti le modifiche apportate dall'art. 17 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014) all'art. 3 del citato d.P.R. che, nell'estendere la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria al frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, se comportante variazione di superficie o del carico urbanistico, richiede comunque che rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d'uso Sez.3, n.3953 del 16/10/2014, dep.28/01/2015, Rv.262018 – 0).
Ed è stato precisato che la modifica di destinazione d'uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne (cfr Sez.3,n.27713 del 20/05/2010, Rv.247919 – 01, in fattispecie di mutamento in abitazione del sottotetto mediante la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia; Sez. F, n.43885 del 30/08/2012, Rv.253585 – 01, secondo cui la trasformazione di una cantina in mini-appartamento eseguita in zona vincolata richiede il preventivo rilascio sia del permesso di costruire che dell'autorizzazione paesaggistica, potendo anche le sole opere interne integrare una modifica di destinazione d'uso penalmente rilevante.; Sez.3, n. 42453 del 07/05/2015, Rv.265191 – 01, che ha affermato che è configurabile il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, commesso mediante il mutamento abusivo, con opere, della destinazione d'uso di un immobile, quando viene effettuata la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia all'interno di un vano autorizzato come "vuoto tecnico", in quanto tale tipologia di intervento costituisce circostanza idonea per ritenere la destinazione abitativa dell'immobile).
Il ricorrente, peraltro, neppure confrontandosi criticamente con tale consolidata giurisprudenza, si dilunga in inammissibili considerazioni in punto di fatto e richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
2.Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche, oggetto di un giudizio di fatto, non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
Va, quindi, ribadito il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell'art. 62 bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere l'incensuratezza dell'imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere ritenuto l'assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (Sez.3, n.44071 del 25/09/2014, Rv.260610; Sez. 1,n.39566 del 16/02/2017, Rv.270986).
3.Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/01/2021