Cass. Sez. III n. 5821 del 6 febbraio 2019 (Ud 15 gen 2019)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. Dule
Urbanistica.Manufatti precari e materiali utilizzati
I richiami, effettuati dalla giurisprudenza alla destinazione dell’opera che ne evidenzia la precarietà ed al fatto che ai fini della individuazione di tale caratteristica non rileva la tipologia dei materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, hanno lo scopo di puntualizzare la specificità degli interventi precari, chiarendo che anche l’immobile realizzato con materiali non abitualmente impiegati nella realizzazione di stabili costruzioni e facilmente rimovibile, se comporta una modifica dell’assetto del territorio, non può definirsi precario e richiede il permesso di costruire, poiché ciò che rileva è la sua obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti e limitate nel tempo.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d'Appello di Ancona, con sentenza del 6 novembre 2017 ha confermato la decisione con la quale, in data 7 ottobre 2016, il Tribunale di Macerata aveva affermato la responsabilità penale di Saimir DULE in ordine i reati di cui agli artt. 44, lett. c), 93, 93 4 e 95 d.P.R. 380/2001 per aver realizzato, in assenza di validi titoli abilitativi, in zona sismica e sottoposta a vincolo paesaggistico, una platea in conglomerato cementizio avente una superficie di circa 100 metri quadrati e tramezzature perimetrali in laterizio di lunghezza complessiva di metri 25 ed altezza variabile tra metri 1,80 e metri 3,10, dichiarando non doversi procedere in ordine al reato di cui all'art. 181, comma 1 d.lgs. 42/04, così qualificata l'originaria imputazione, perché estinto ai sensi dell'art. 181 comma 1-quinquies dello stesso decreto (fatti accertati in Camerino, nel mese di maggio 2013).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la natura precaria del manufatto costruito, il quale sarebbe stato destinato a ricovero degli attrezzi necessari per i lavori in corso nella casa della moglie dell'imputato e realizzato in tal modo per preservare gli utensili in esso custoditi, avendo egli già subito furti in precedenza.
Aggiunge che, nel pervenire alla decisione impugnata, i giudici del merito avrebbero disatteso precisi principi giurisprudenziali sulla base di mere probabilità ed ipotesi e non anche di oggettivi elementi di prova.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la violazione di legge, osservando che i giudici del gravame avrebbero erroneamente escluso, nella fattispecie, l'applicabilità della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis cod. pen.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va osservato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che gli interventi edilizi precari, categoria già individuata dalla giurisprudenza e dalla dottrina con inequivocabile indicazione delle specifiche caratteristiche, sono ora espressamente menzionati dall’art. 6 del d.P.R. 380/01 che, nell’attuale formulazione, li descrive, al comma 1, lett. e-bis), come opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all'amministrazione comunale.
In precedenza, il testo unico dell’edilizia conteneva riferimenti indiretti, che riguardavano gli interventi di cui all’articolo 3, comma primo, lettera e.5 e quelli per le attività di ricerca descritti nell’articolo 6.
L’opera precaria, per la sua stessa natura e destinazione, non comporta effetti permanenti e definitivi sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un titolo abilitativo e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che l’intervento precario deve necessariamente possedere alcune specifiche caratteristiche: la sua precarietà non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore; sono irrilevanti le caratteristiche costruttive i materiali impiegati e l’agevole amovibilità; deve avere una intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo; deve essere destinata ad una sollecita eliminazione alla cessazione dell’uso (cfr. ex. pl. Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni e altro, Rv. 267759; Sez. 3, n. 6125 del 21/1/2016, Arcese, non massimata; Sez. 3, n. 16316 del 15/1/2015, Curti, non massimata; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014 (dep. 2015), Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 25965 del 22/06/2009, Bisulca, non massimata).
Tali principi, pienamente condivisi dal Collegio, sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale posto in evidenza le dimensioni, le caratteristiche costruttive dell’immobile in corso di realizzazione e la inverosimiglianza della tesi difensiva della destinazione a ricovero di attrezzi, considerando anche che il fabbricato era privo di chiusure e che la tipologia ed i costi dei materiali utilizzati deponevano inequivocabilmente per una destinazione stabile e diversa.
A fronte di tali coerenti ed inequivocabili considerazioni, il ricorrente ribadisce le medesime censure formulate con l’atto di appello ed efficacemente confutate dal giudice del riesame, riproponendo la inverosimile giustificazione della temporanea destinazione a ricovero per attrezzi dell’opera abusivamente realizzata attraverso una personale lettura delle emergenze processuali, non proponibile in questa sede di legittimità ed una ancor più personale interpretazione della richiamata giurisprudenza.
3. Va a tale proposito specificato che i richiami, effettuati dalla giurisprudenza alla destinazione dell’opera che ne evidenzia la precarietà ed al fatto che ai fini della individuazione di tale caratteristica non rileva la tipologia dei materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, hanno lo scopo di puntualizzare la specificità degli interventi precari, chiarendo che anche l’immobile realizzato con materiali non abitualmente impiegati nella realizzazione di stabili costruzioni e facilmente rimovibile, se comporta una modifica dell’assetto del territorio, non può definirsi precario e richiede il permesso di costruire, poiché ciò che rileva è la sua obiettiva ed intrinseca destinazione ad un uso temporaneo per specifiche esigenze contingenti e limitate nel tempo.
Nel caso di specie correttamente la Corte territoriale ha escluso la precarietà dell’intervento, il quale si compone, come descritto nell’imputazione, di una platea in cemento di 100 metri quadrati, la cui realizzazione, da sola, richiede il permesso di costruire (cfr. Sez. 3, n. 31399 del 11/5/2018, Spica, non ancora massimata) e da tramezzature in laterizio ed obiettivamente denota una futura stabile destinazione.
4. Il motivo di ricorso è, dunque, manifestamente infondato e ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso.
Si è già avuto modo di affermare (Sez. 3, n. 47039 del 8/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265450. Conf. Sez. 3, n. 19111 del 10/3/2016, Mancuso, Rv. 266586) che, per quanto concerne le violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo (tipologia di intervento, dimensioni e caratteristiche costruttive) costituisce solo uno dei parametri di valutazione utilizzabili ai fini della verifica della particolare tenuità del fatto, assumendo rilievo anche altri elementi, quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli (idrogeologici, paesaggistici, ambientali, etc.), l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente (ad es. l'ordinanza di demolizione), la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, le modalità di esecuzione dell'intervento, ritenendo anche indice sintomatico della non particolare tenuità del fatto la contestuale violazione di più disposizioni quale conseguenza dell'intervento abusivo, come nel caso in cui siano contestualmente violate, mediante la realizzazione dell'opera, anche altre disposizioni finalizzate alla tutela di interessi diversi (norme in materia di costruzioni in zone sismiche, di opere in cemento armato, di tutela del paesaggio e dell'ambiente, a quelle relative alla fruizione delle aree demaniali).
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente considerato l’avvenuta demolizione dell’intervento e l’esiguità del danno, valorizzando, al contrario, l’aspetto dimensionale che si assume, di per sé, non ostativo all’applicazione della invocata causa di non punibilità.
5. Anche in questo caso, tuttavia, tale deduzioni vengono fondate su una soggettiva lettura della giurisprudenza che viene richiamata in ricorso.
Va detto, in primo luogo, che il riferimento alle caratteristiche costruttive dell’intervento edilizio abusivo quale uno dei plurimi parametri di valutazione cui il giudice del merito deve fare ricorso per verificare la sussistenza delle condizioni di applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. non significa affatto che tale elemento non sia, da solo, sufficiente per escludere la particolare tenuità del fatto, ma sta più semplicemente ad indicare che la verifica cui il giudice è chiamato non deve basarsi soltanto su tale specifico parametro, ben potendosi individuare, quali elementi indicativi di una condotta non suscettibile di positiva valutazione, anche altri aspetti quali quelli in precedenza indicati.
Quanto alla demolizione, si è specificato che l'eliminazione dell'opera abusiva, attraverso la sua demolizione o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, implicando la cessazione della permanenza, può consentire, a condizioni esatte, l'applicazione della causa di non punibilità introdotta dall'art. 131-bis cod. pen. (così, in motivazione, Sez. 3, n. 50215 del 8/10/2015, Sarli, Rv. 265435. V. anche Sez. 3, n. 4123 del 11/7/2017 (dep. 2018), P.G. in proc. Zoccarato, Rv. 272039).
Nel caso di specie, dunque, la Corte del merito, ha ritenuto non applicabile l’art. 131-bis cod. pen. in ragione delle dimensioni dell’intervento e del fatto che lo stesso era stato realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Si tratta di motivazione sufficiente ed adeguata, dovendosi peraltro ricordare come questa Corte, richiamando quella giurisprudenza secondo la quale l'assenza dei presupposti per l'applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. può essere rilevata anche con motivazione implicita (Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016 Scopazzo, Rv. 268499. V. anche Sez. 5, n. 39806 del 24/6/2015, Lembo, Rv. 265317; Sez. 3, n. 24358 del 14/5/2015, Ferretti e altri, Rv. 264109), ovviamente in presenza di dati obiettivamente preclusivi di una valutazione di particolare tenuità del fatto, ritenendo quindi del tutto adeguata la motivazione espressa che valorizzi l’assenza anche di uno solo dei requisiti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen. (Sez. 3, n. 34151 del 18/6/2018, Foglietta e altro, Rv. 273678).
6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in data 15/1/2019