Cass. Sez. III n. 20027 del 21 maggio 2024 (CC 20 mar 2024)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Sommella
Urbanistica.Alienazione manufatto e demolizione

L'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo

RITENUTO IN FATTO

            1. I sigg.ri Nicola Sommella e Giuseppina Felaco ricorrono per l’annullamento dell’ordinanza del 4 ottobre 2023 della Corte di appello di Napoli che, pronunciando quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di sospensione dell’ingiunzione a demolire emessa dalla Procura generale della Repubblica presso la medesima Corte di appello in esecuzione della sentenza del 10 marzo 2000 della Corte partenopea (irr. il 1 maggio 2000) che aveva ordinato la demolizione del manufatto da loro abusivamente realizzato in assenza del permesso di costruire e delle autorizzazioni degli enti preposti alla tutela dei vincoli gravanti sull’area 
                1.1. Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 31 legge n. 47 del 1985 e 39 legge n. 724 del 1994. 
Osservano che, diversamente da quanto sostiene la Corte di appello, la domanda di sanatoria poteva essere chiesta anche dai loro figli che, come nel caso di specie, detenevano ciascuno uno dei due appartamenti a titolo di comodato e nei quali peraltro avevano anche fissato la residenza.
Sotto altro profilo, stigmatizzano l’impossibilità, affermata dalla Corte di appello, di tenere distinti gli immobili oggetto di sanatoria poiché in realtà, obiettano, ciascun comodatario ben poteva sollecitare il rilascio della singola concessione in sanatoria relativa al proprio appartamento senza dover per questo considerare le singole istanze come proposte in frode alla legge.     
                1.2. Con il secondo motivo deducono la violazione degli artt. 8 CEDU e 1, Prot. 1, CEDU nonché il vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine alla mancata verifica del necessario requisito della proporzionalità della misura ablatoria rispetto all’illecito contestato, considerato che i due appartamenti abitati dai figli sono frutto di “abuso di necessità” e sono da loro attualmente abitati.
                1.3. Con il terzo motivo deducono la violazione degli artt. 8 CEDU e 1, Prot. 1, CEDU nonché il vizio di motivazione manifestamente illogica in ordine al mancato esercizio del potere di richiedere informazioni e/o documenti per la verifica del necessario requisito della proporzionalità della misura ablatoria rispetto all’illecito contestato.   


CONSIDERATO IN DIRITTO

            2. I ricorsi sono inammissibili.

                3. Va, in primo luogo, ricordato che l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere reale a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01). 
                    3.1. E’ stato al riguardo precisato che: a) l’operatività dell’ordine di demolizione non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Sez. 3. n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175 - 01); b) l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 244612 - 01); c) l’esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all’ambiente (Sez. 3, n. 22853 del 29/03/2007, Coluzzi, Rv. 236880 - 01, che ha ribadito che il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01).
                    3.2. Ciò sul rilievo che l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001 con la sentenza di condanna per il reato di costruzione abusiva, ha natura amministrativa, tant’è che non si estingue per il decorso del tempo ex art. 173 cod. pen., atteso che quest'ultima disposizione si riferisce esclusivamente alle sole pene principali (così già Sez. 3, n. 39705 del 30/4/2003, Pasquale, Rv. 226573; più recentemente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670; Sez. 3, n. 19742 del 14/04/2011, Mercurio, Rv. 250336; Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736). Tale orientamento è stato ribadito in considerazione del fatto che le caratteristiche dell'ordine di demolizione escludono la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di "pena" come elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU (così, Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, Rv. 265540; nello stesso senso, Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra Srl, Rv. 275850 - 02).
                    3.3. Il Collegio condivide e fa proprie, sul punto, le articolate considerazioni sviluppate, con il supporto di ampia giurisprudenza anche amministrativa, nella motivazione della sentenza Sez. 3, Delorier, cit., non mancando di rimarcare, in questa sede, la decisiva osservazione che l'ordine demolitorio, diversamente dalla pena, oltre che per il decorso del tempo non si estingue nemmeno per morte del reo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza (Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci, Rv. 249317; Sez. 3, n. 3720 del 24/11/1999 - dep. 2000, Barbadoro, Rv. 215601), ma si trasmette, come detto, agli eredi del responsabile (v., ad es., Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 3206 del 30/05/2011) e dei suoi aventi causa che a lui subentrino nella disponibilità del bene (v., ad es., Cons. St., Sez. 4, n.2266 del 12/04/2011; Cons. St., Sez. 4, n. 6554 del 24/12/2008).
                    3.4. Peraltro, già con sentenza Sez. 3, n. 48925 del 22/10/2009, Viesti e altri, Rv. 245918, questa Corte, in base alle argomentazioni sviluppate dalla stessa Corte EDU (con le sentenze in essa richiamate), aveva chiaramente affermato che la demolizione, a differenza della confisca, non può considerarsi una “pena” nemmeno ai sensi dell'art. 7 della Convenzione E.D.U., perché essa tende alla riparazione effettiva di un danno e non è rivolta nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge. Si osservava, inoltre, che la sentenza, nel mentre ha ritenuto ingiustificata rispetto allo scopo perseguito dalla norma, ossia mettere i terreni interessati in una situazione di conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche, la confisca (anche di terreni non edificati) in assenza di qualsiasi risarcimento, ha invece espressamente ritenuto giustificato e conforme anche alle norme CEDU un ordine di demolizione delle opere abusive incompatibili con le disposizioni degli strumenti urbanistici eventualmente accompagnato da una dichiarazione di inefficacia dei titoli abilitativi illegittimi. La Corte EDU non solo non esclude un sequestro o un ordine di demolizione dell'opera contrastante con le norme urbanistiche nei confronti di chiunque ne sia in possesso, anche qualora si tratti di terzo acquirente estraneo al reato, ma ritiene che una tale sanzione ripristinatoria può considerarsi giustificata rispetto allo scopo perseguito dalle norme interne di assicurare una ordinata programmazione e gestione degli interventi edilizi e non contrastante con le norme della Convenzione. 
                    3.5. Va inoltre ribadito, richiamando quanto sul punto già affermato dalla citata Sez. 3, Delorier, che la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, «esplicazione di un potere autonomo e non alternativo al quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511 ed altre prec. conf. Ma si vedano anche Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659)» (così in motivazione), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost., ord. 33 del 18/1/1990; Corte Cost., ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/08/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
                    3.6. Dunque, l'esecuzione dell'ordine di demolizione, impartito dal giudice a seguito dell'accertata edificazione in violazione di norme urbanistiche, non è escluso dall'alienazione del manufatto abusivo a terzi, anche se - come detto - intervenuta anteriormente all'ordine medesimo (Sez. 3, n. 45848 del 2019, Cannova, cit.; Sez. 3, n. 16035 del 2014, cit., Attardi).

                4. Le considerazioni che precedono aprono la via alla questione relativa all’interesse del ricorrente ad impugnare il provvedimento che dispone la demolizione di un bene del quale da lungo tempo, ormai, non è più proprietario.
                    4.1. In termini generali, l’interesse ad impugnare deve essere concreto ed attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l'impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l'eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente (Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani, Rv. 203093; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202269; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, Vitale, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397; Sez. U, n. 28911 del 28/09/2019, Massaria, Rv. 275953 - 02). La legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione avente di mira la sola esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato pratico favorevole, nel senso che miri a soddisfare una posizione oggettiva giuridicamente rilevante e non un mero interesse di fatto (in tal senso, Sez. U, Serafini, nonché Sez. U, Massaria, secondo cui la concretezza dell' interesse non può dunque che essere parametrata al raffronto tra quanto statuito dal provvedimento impugnato e quanto, con l'impugnazione svolta, si vorrebbe invece ottenere). 
                    4.2. Costituisce declinazione pratica di questo principio, quello secondo il quale l'acquisizione al patrimonio del Comune dell'immobile abusivo fa cessare l'interesse alla revoca o alla sospensione dell'ordine di demolizione in capo al responsabile dell'illecito (Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500 - 01, che ha precisato che il precedente proprietario del bene, a seguito del provvedimento acquisitivo, deve ritenersi terzo estraneo alle vicende giuridiche dell’immobile; in senso conforme, Sez. 3, n. 45432 del 25/05/2016, Ligorio, Rv. 268133 - 01, ha affermato che a seguito dell'inutile decorso del termine assegnato al condannato per l'esecuzione dell'ordine di demolizione, viene meno l'interesse alla revoca o alla sospensione dello stesso, essendo il bene ormai divenuto di proprietà del Comune). 
                    4.3. Costituisce ulteriore declinazione pratica di tale principio il fatto che il condannato cui sia stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato alla demolizione dell’immobile ha sempre un interesse qualificato ad opporsi all’ingiunzione alla demolizione stessa, anche quando il bene non sia più di sua proprietà. 
                    4.4. Nel caso di specie, poiché i ricorrenti (cui il beneficio della sospensione condizionale della pena non è stato subordinato alla demolizione dell’immobile) non sono più proprietari degli immobili, siccome donati ai figli l’11 febbraio 2022 (dopo, cioè, aver ricevuto l’ingiunzione a demolire), non sussiste l’interesse concreto e attuale a impugnare l’ordine di demolizione, né deducono alcunché in termini di positive ricadute concrete a loro favore in caso di annullamento dell’atto. Peraltro, l’aver trasferito l’immobile a titolo gratuito non espone i ricorrenti ad alcuna immediata conseguenza sul piano patrimoniale in caso di futura demolizione del bene donato.
                    4.5. In conclusione, nel caso in cui il condannato, destinatario dell’ingiunzione a demolire, non sia più proprietario dell’immobile o titolare di altro diritto reale sullo stesso, l’interesse concreto e attuale all’annullamento del provvedimento deve essere dedotto in modo specifico e deve corrispondere ad un beneficio effettivo e reale derivante dall’annullamento dell’atto.
                    4.6. Nel caso di specie ciò non è avvenuto, essendosi limitati i ricorrenti a reclamare la legittimità dei permessi in sanatoria senza null’altro dedurre a sostegno del proprio interesse attuale e concreto a conservare un bene donato subito dopo la notifica dell’ingiunzione impugnata in sede esecutiva.    
                    4.7. Ne deriva che i ricorrenti non sono nemmeno titolati a dedurre questioni relative alla proporzionalità della misura la cui esecuzione non li riguarda più.

                5. In ogni caso, la Corte di appello ha fatto buon governo dell’insegnamento costante della Corte di cassazione secondo il quale, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di settecentocinquanta metri cubi attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso (Sez. 3, n. 44596 del 20/05/2016, Boccia, Rv. 269280 - 01; Sez. 3, n. 12353 del 02/10/2014, dep. 2014, Cantiello, Rv. 259292 - 01; Sez. 3, n. 20161 del 19/05/2005, Merra, Rv. 231643 - 01; Sez. 3, n. 8584 del 26/04/1999, La Mantia, Rv. 214280 - 01).
                    5.1. Nel caso di specie, oggetto materiale della condotta è un immobile unico, già sottoposto a sequestro nel 1990 e la cui realizzazione era proseguita in violazione dei sigilli mediante la definitiva realizzazione di due appartamenti, l’uno al piano terra, l’altro al primo piano, abitati dai figli della coppia sin dal 1994,
                    5.2. Nel 1995 i figli avevano chiesto il rilascio della concessione in sanatoria ognuno per l’appartamento abitato ma né all’epoca, né oggi i ricorrenti spiegano in base a quale titolo i loro figli abbiano chiesto (ed ottenuto) il permesso, non risultando ciò da nessuno dei permessi rilasciati il 16 dicembre 2021. Gli stessi ricorrenti sono sul punto generici essendosi limitati a dedurre la astratta possibilità, anche per chi non sia proprietario o autore dell’immobile abusivo, di chiedere il rilascio della concessione in sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 31, comma terzo, legge n. 47 del 1985 e 39, commi primo e sesto, legge n 724 del 1994, ma non aggiungono altro. Di certo i figli non potevano essere considerati “aventi causa” posto che la donazione è stata effettuata addirittura dopo il rilascio dei permessi in sanatoria. Sotto altro profilo, l’interesse che legittima il terzo a chiedere il rilascio del permesso non può essere un interesse di fatto ma solo un interesse giuridicamente qualificato, che tragga alimento cioè da una situazione giuridica attiva riconosciuta come tale dall’ordinamento.
                    5.3.  Da una nota del 24 aprile 2015 del Comando VVUU di Quarto (allegato   6 ai ricorsi) risulta, invece, che i figli sono stati ritenuti legittimati a chiedere (e ottenere il titolo) in quanto tali, in assenza di un qualsiasi rapporto qualificato non con gli autori dell’abuso, ma con il bene.
                    5.4. La questione, peraltro, non è tanto (e solo) quella relativa alla legittimazione dei figli dei proprietari autori dell’abuso a chiedere il rilascio del permesso in sanatoria bensì quella relativa alla ragionevolezza (e non manifesta illogicità) delle conclusioni che ne ha tratto la Corte di appello per ritenere l’intera procedura elusiva del limite volumetrico che ostava alla sanatoria dell’intero immobile. Di fronte a una situazione come questa nella quale, a fronte di un unico immobile abusivamente realizzato da persone diverse da quelle che hanno chiesto i permessi in sanatoria (nel caso di specie, i figli), le deduzioni difensive in ordine al rapporto qualificato dei loro figli con il bene e alle ragioni per le quali, pur essendo ancora proprietari, non avevano essi stessi richiesto il rilascio del permesso (ragioni evidentemente diverse dall’entità volumetrica del bene), necessitavano di una maggiore precisione e pregnanza.
                    5.5. Sul punto i ricorsi sono invece assolutamente generici.
                    5.6. Non risulta, infine, che le questioni dedotte con gli altri due motivi fossero state devolute in sede esecutiva, fondandosi le stesse su allegazioni in fatto non deducibili per la prima volta in questa sede.

                6. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20/03/2024.