Cass. Sez. III n. 29871 del 11 settembre 2006 (ud. 6 giu. 2006)
Pres. Vitalone Est. Onorato Ric. Sciavilla
Urbanistica – Mantenimento in essere di struttura precaria
Il mantenimento in opera come permanente di struttura edile autorizzata come precaria configura una condotta punibile in base al combinato disposto dell’art. 44 dpr 380-2001 e 40 c.p.

Udienza pubblica del 6.6.2006
SENTENZA N. 995
REG. GENERALE n. 48003/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III.mi Signori
 Dott. Claudio VITALONE Presidente
 Dott. Guido DE MAIO Consigliere
 Dott. Pierluigi ONORATO (est) Consigliere
 Dott. Claudia SQUASSONI Consigliere
 Dott. Amedeo FRANCO Consigliere
ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da SCIAVILLA Oronzo, nato a Fasano, l'1.11.1954,

avverso la sentenza resa il 30.3.2005 dalla corte di appello di Lecce.


Vista la sentenza denunciata e il ricorso,
Udita la relazione svolta in udienza dal consigliere Pierluigi Onorato,
Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Francesco Salzano, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio per essere i reati estinti per prescrizione,
Udito il difensore della parte civile, avv.==
Udito il difensore dell'imputato,avv.==

Osserva:

in fatto e in diritto


1 - Con sentenza del 30.3.2005 Ia corte d'appello di Lecce ha integralmente confermato quella resa il 6.2.2004 dal tribunale monocratico di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, che, con i doppi benefici di legge, aveva condannato Oronzo Sciavilla alla pena di un mese di arresto ed euro 18.000 di ammenda, con ordine di demolizione del manufatto abusivo e di remissione in pristino dello stato dei luoghi, avendolo giudicato colpevole dei seguenti reati:

a) art. 20 lett. c) legge 47/1985 (poi art. 44 lett. c) D.P.R. 380/2001) per aver realizzato un box in struttura metallica, adibito a chiosco-bar, in zona sottoposta a vincolo ambientale (entro Ia fascia dei trenta metri dal demanio marittimo), inizialmente autorizzata come opera stagionale e poi mantenuta in via permanente, senza la necessaria concessione edilizia (ora permesso di costruire);

h) art. 163 D.Lgs. 490/1999 per aver realizzato l'opera predetta in zona vincolata senza la necessaria autorizzazione ambientale.

In Fasano sino all' 8.1.2001; con permanenza.

La corte territoriale ha rilevato che il box metallico era stato autorizzato, in data 10.3.2000, come "struttura precaria stagionale" da adibire a chiosco-bar, al servizio del ristorante "Dal Moro", per il periodo intercorrente dal 1 aprile al 31 ottobre; che però durante un sopralluogo dell' 8.1.2001 i vigili urbani avevano accertato che il box non era stato rimosso dallo Sciavilla.

Tanto premesso, il giudice d'appello ha osservato che lo Sciavilla, non ottemperando all'implicito ordine di rimozione dopo il 31 ottobre, aveva trasformato l'opera precaria e stagionale in opera permanente, per la quale era necessaria una preventiva concessione edilizia e un ulteriore nulla osta ambientale.

2 - Lo Sciavilla, col ministero del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo in sostanza due motivi.

Col primo denuncia inosservanza e falsa applicazione dell'art. 1 c.p., dell'art. 44 D.P.R. 380/2001 e dell'art. 5 allegato E della legge 20.3.1865 n. 2248.

Sostiene che punire la mancata rimozione di un'opera edilizia precaria allo spirare del termine stagionale imposto, in mancanza di una espressa norma incriminatrice, configura una illegittima applicazione analogica della norma dell'art. 44 D.P.R. 380/1001 (prima art. 20 legge 47/1985), che punisce soltanto la condotta commissiva di colui che realizza un intervento edilizio senza il titolo abilitativo.

Aggiunge che comunque l'opera era stata autorizzata dal Comune e dalla competente autorità tutoria, sicché l'atto amministrativo non poteva essere disapplicato dal giudice in base a una diversa valutazione del regime amministrativo applicabile alla fattispecie.

Col secondo motivo il ricorrente lamenta inosservanza e falsa applicazione dell'art. 42, comma 4, c.p., giacché l'autorizzazione ottenuta, che non esplicitava l'obbligo di rimozione entro il 31 ottobre, aveva radicato nell'imputato la convinzione di agire secondo legge.

3 - il primo motivo a manifestamente infondato.

II giudizio di responsabilità in ordine al reato urbanistico per aver mantenuto in opera come permanente una struttura edile autorizzata come precaria, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, è pienamente legittimo.

Anzitutto quel giudizio rispetta pienamente il principio di legalità consacrato nell'art. 1 c.p., giacché la condotta suddetta è punita dal combinato disposto dell'art. 44 D.P.R. 380/2001 (già art. 20 legge 47/1985) e dell'art. 40 cpv. c.p. In altri termini, secondo il combinato disposto di queste norme, l'imputato, come titolare di permesso di costruire e mantenere un box per la stagione turistica dal 1 aprile al 31 ottobre del 2001, era punibile per non aver ottemperato al l'obbligo consequenziale di smantellarlo dal 1 novembre 2001.

In secondo luogo, il giudice che ha condannato l'imputato in base a tale complessa norma incriminatrice, non ha affatto disapplicato il permesso amministrativo a costruire il box a titolo precario, giacché era lo stesso provvedimento amministrativo che obbligava implicitamente il destinatario a smantellare l'opera precaria alla fine del periodo previsto.

4 - Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, che denuncia la violazione dell'art. 42, comma 4, c.p.p. per mancanza dell'elemento soggettivo delle contravvenzioni contestate.

E' infatti un motivo che non era stato dedotto in sede di appello - come richiesto dall'art. 606, comma 3, c.p.p.


In secondo luogo è una censura manifestamente infondata, giacché proprio il permesso amministrativo a costruire l'opera precaria, e a mantenerla solo per il periodo stabilito, non poteva indurre il destinatario nella convinzione di mantenerla oltre detto periodo, se non per errore colpevole.

5 - Come hanno insegnato le sezioni unite di questa corte, l'inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (sent. n. 32 del 21.12.2000, De Luca, rv. 217266). Nel caso di specie non può dichiararsi la prescrizione del reato, maturata sicuramente dopo la sentenza impugnata.

6 - Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna alle spese processuali nonché alla sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non ricorrendo una ipotesi di inammissibilità incolpevole ai sensi della sentenza n. 186/2000 della Corte costituzionale.


P.Q.M.


la corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 1.000 a favore della cassa delle ammende.

 Cosi deciso in Roma il 6.6.2006


Il consigliere estensore              Il presidente
   Pierluigi ONORATO                    Claudio VITALONE