TAR Emilia-Romagna (BO) Sez. II n. 3296 del 9 luglio 2008
Sviluppo sostenibile. Impianto produzione energia elettrica a biogas
Fattispecie relativa alla richiesta di annullamento di autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biogas
Sviluppo sostenibile. Impianto produzione energia elettrica a biogas
Fattispecie relativa alla richiesta di annullamento di autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biogas
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L'EMILIA-ROMAGNA
SEZIONE SECONDA
composto dai Signori:
Dott. Giancarlo Mozzarelli Presidente
Dott. Alberto Pasi Consigliere
Dott. Ugo Di Benedetto Consigliere Rel.Est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso N. 146/2008 proposto da Dante Dallari, Alessandra Maso, Alberto Maso, Elena Maso, Giovanni Maso, Mario Maso, Tosca Selleri, Stefano Piva, Stefania Maso, rappresentati e difesi dagli Avv. ti Benedetto Graziosi e Giacomo Graziosi ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Bologna, via dei Mille n. 7/2;
contro
la Provincia di Bologna, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Cristina Barone e Patrizia Onorato ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso l’ufficio legale della Provincia, via Benedetto XIV, n. 3;
e contro
il Comune di Medicina, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Nazzarena Zorzella, ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso il suo studio, via Caprarie n. 7;
e contro
il Consorzio della Bonifica Renana, l’A.R.P.A. e la AUSL di Imola, non costituiti in giudizio;
e nei confronti di
AgriBioenergia, società cooperativa agricola, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Carlo Rienzi e Gino Giuliano, ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso lo studio dell’Avv. Bruno Barbieri;
per l’annullamento
-dell’autorizzazione unica “alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biogas localizzato nel Comune di Medicina in via Canale n. 2379” adottato dal Dirigente del settore ambiente della Provincia in data 8/11/2007;
-degli atti della conferenza di servizi propedeutica al rilascio della predetta dell’autorizzazione unica;
-di ogni altro attto connesso, presupposto e consequenziale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bologna, Comune di Medicina e della società AgriBioenergia intimati;
Visti gli atti tutti della causa;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.Riferiscono i ricorrenti di essere proprietari e residenti nel comune di Medicina in immobili situati in via Canale dal n. 2800 al 3270, fuori dal centro abitato.
Riferiscono di aver appreso informalmente che su un terreno agricolo esattamente di fronte alle loro abitazioni vi era un progetto di realizzazione di un impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e gas combustibile “biogas”. A tal fine sarebbe stata impiantata una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas e produzione di elettricità, da cedere all’ENEL, e calore per il teleriscaldamento, alimentata con biomasse vegetali ed in parte con liquami animali.
Riferiscono di avere, invano, richiesto la ricollocazione dell’impianto su un altro sito o, almeno, sul lato opposto del sito individuato, ad una distanza di 300-400 metri dalle loro abitazioni.
A seguito della conferenza di servizi indetta a tal fine la Provincia di Bologna rilasciava l’autorizzazione unica a costruire ed esercitare l’impianto.
2. Avverso detto provvedimento, in epigrafe indicato, gli interessati notificavano il presente ricorso al TAR deducendone l’illegittimità sotto vari profili.
Si costituiva in giudizio il Comune di Medicina, la Provincia di Bologna la società cooperativa agricola AgriBioenergia intimati che controdeducevano alle avverse doglianze e concludevano per l’inammissibilità e per la reiezione del ricorso.
L’istanza cautelare veniva accolta in primo grado con ordinanza n. 165/2008. In sede di appello il Consiglio di Stato rilevava “la complessità della causa, specie in relazione alle questioni concernenti la necessità di sottoporre l’intervento di cui si tratta a V.I.A.” e “ritenuto sussistente il danno, paventato dai ricorrenti in primo grado” accoglieva gli appelli e mandava al T.A.R. per la fissazione dell’udienza nei termini previsti dall’art. 23 bis della legge n. 1034/1971.
Le parti costituite hanno ulteriormente sviluppato le proprie difese con successive memorie e nell’ampia discussione orale e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 2 luglio 2008.
3. L’intervento in contestazione è una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas e produzione di elettricità ed è costituito principalmente da:
- un capannone per lo stoccaggio della parte solida separata dal digerito che conterrà anche vani tecnici;
- due linee di fermentazione uguali e parallele costituite ripettivamente da una vasca di fermentazione circolare doppia (anello in anello) in cemento armato con solaio;
- una vasca di stoccaggio circolare in c. a. di diametro 36 m. con copertura in materiale plastico che funge da gasometro;
- una vasca di stoccaggio circolare in c. a. aperta di diametro 42 m;
- due gruppi di cogenerazione in container;
- sistema di smistamento e distribuzione centrale posizionato tra i due digestori e le trincee di stoccaggio;
- delle trincee di stoccaggio di 20.000 metricubi di insilato;
- una prevasca per eventuali sostanze liquide in entrata dalla parte solida del digestato;
- una pesa a pavimento per il controllo dei carichi in entrata e uscita.
3.1. Il combustibile è il biogas prodotto da fermentazione anaerobica metano genica di matrice organica.
3.2. La matrice organica di ingresso al digestore è costituita da: Silomas per una quantità massimo (t/anno) di 13.140, prodotti risulta di colture 6.935, intercalari (loietto, sorgo, girasole, Triticale) per un totale di 20.075. Liquami zootecnici provenienti da soci della cooperativa agricola AgriBioenergia a scopo di innesco iniziale della fementazione per un quantitativo annuale non superiore a 2.500 metricubi.
3.3. Alla fine del processo di digestione il substrato viene espulso dalla filiera di produzione di biogas ed inviato nelle vasche di pastorizzazione e subisce un posttrattamento e, trasformato in un brodo uniforme e molto liquido, è utilizzabile per lo spargimento diretto sulle coltivazioni in quanto la sostanza così digerita viene qualificata, dalla relazione tecnico descrittiva dell’impianto, un ottimo fertilizzante per le sue caratteristiche sia biochimiche che fisiche.
4. Ciò premesso va preliminarmente respinta l’eccezione di tardività del ricorso sulla quale insiste in particolare la difesa della società controinteressata. In proposito va osservato che il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnativa dei provvedimenti amministrativi decorre dalla piena conoscenza degli stessi da parte degli interessati non solo dell’esistenza dell’atto ma del suo contenuto affinchè possano valutarne la legittimità e dedurre motivi specifici d’impugnativa.
Conseguentemente nessun rilievo ha la circostanza che vi siano stati colloqui informali aventi ad oggetto il predetto impianto essendo, pertanto, inidoneo, ai fini della decorrenza dei termini l’incontro presso l’abitazione del sig. Gherardi Stefano che, secondo la prospettazione difensiva dei controinteressati sarebbe avvenuto il 19/11/2007, non essendo documentato formalmente il contenuto di detto colloquio.
Parimenti irrilevante, sempre ai fini della decorrenza termini per l’impugnativa, la pubblicazione di una graduatoria sul B.U.R. della Regione del progetto a seguito del bando per ottenere finanziamenti regionali in quanto la lesione degli interessi dei ricorrenti deriva soltanto dall’autorizzazione unica, oggetto della presente impugnativa, e non dal finanziamento del progetto.
Infine, la circostanza di aver indicato nella domanda di accesso gli estremi dell’autorizzazione unica non comporta certo la piena conoscenza del contenuto della stessa e del procedimento seguito per il suo rilascio.
5. Va altresì respinta l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa sollevata dalla difesa della società controinteressata, formulata con riferimento alla mancata notificazione del ricorso al Dirigente provinciale che ha emanato il provvedimento. Gli atti emanti dai Dirigenti della Provincia sono imputati, in virtù del cosiddetto rapporto di immedesimazione organica, ad ogni effetto, all’Ente nella sua interezza e, pertanto, il ricorso, ritualmente notificato alla Provincia, è stato ben radicato.
6. Va, inoltre, respinta l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire, su cui insiste la difesa della società controinteressata e del Comune. E’ sufficiente rilevare, in linea di fatto, che i ricorrenti sono residenti in loco, proprio di fronte all’impianto da realizzare ed a pochi metri dallo stesso.
In diritto va osservato che il provvedimento impugnato costituisce un’autorizzazione unica emanata a seguito di una conferenza di servizi e, pertanto, costituisce altresì titolo edilizio idoneo ed effettuare la costruzione. I frontisti, pertanto, o coloro che risedono in prossimità, sono titolari di una posizione differenziata e qualificata all’impugnativa dei titoli edilizi senza necessità di indicare ulteriori elementi di lesività.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 309 e 310 del D. lgs 152 del 2006, tutti coloro che potrebbero anche soltanto potenzialmente essere colpiti dal danno ambientale o, semplicemente, essere interessati all’adozione di misure precauzionali sono legittimati ad agire per l’annullamenti dei provvedimenti amministrativi di rilevanza ambientale. Tali sono sicuramente coloro che risiedono in loco nelle vicinanze dell’impianto tenuto a rispettare la normativa ambientale di cui al citato D. lgs..
Una prova più rigorosa dell’interesse ad agire dovrebbe essere fornita soltanto da coloro che, privi di uno stabile collegamento con il territorio inciso dai provvedimenti edilizi e/o ambientali, pretenderebbero di contestare i suddetti provvedimenti dovendo indicare le ragioni per cui ritengono di subirne direttamente o indirettamente degli effetti pregiudizievoli.
7. Nel merito va preliminarmente osservato che nella specie si tratta di un impianto di produzione di energia elettrica e calore ma che, secondo la tesi dei ricorrenti, utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche. Ai fini della normativa di tutela ambientale, pertanto, l’impianto in parola non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze. Ai fini dell’applicazione della normativa in materia ambientale, infatti, non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall’energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell’impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
L’Allegato C alla parte quarta del D. lgs 152 del 2006, il cosidetto Testo Unico dell’ambiente , elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (vedi la categoria R1). Pertanto l’utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell’impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
8. Ciò premesso il ricorso è fondato con riferimento alla prima censura dedotta concernente il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia-Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica “screening” ed eventualmente, all’esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18.
8.1.Nella fattispecie, infatti, gran parte delle sostanze da cui deriva il biogas costituiscono un rifiuto e, pertanto, l’impianto in parola ben può essere considerato anche un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi.
Ciò vale innanzi tutto per il liquame zootecnico (materia fecale) che è puntualmente elencata tra i rifiuti nell’allegato D alla parte quarta del codice dell’ambiente. Infatti, al punto 020106 sono indicate le “feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito”, come nel caso in esame. L’impianto in parola ne utilizza 2.500 metricubi ogni anno e nessun rilevo assume la circostanza che, ogni anno, siano utilizzati per l’innesco iniziale.
I liquami, ai sensi del D. lgs 152 del 2006 non potevano rientrare nella nozione di sottoprodotto proprio perché indicati nella citata tabella dei rifiuti e, poi, perché non ricompresi nella nozione generale di sottoprodotto di cui all’articolo 183 dello stesso D. lgs in quanto il loro utilizzo per produrre energia richiedeva, appunto, la trasformazione in biogas e, quindi, una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, dovendosi ritenere cumulativi i requisiti indicati dallo stesso art. 183.
Ne’ rileva, ai fini della legittimità dell’atto, la sopravvenuta normativa di cui al D. lgs. n. 4 del 2008 che, modificando l’articolo 185, ha incluso “potenzialmente” i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas. Tale norma sopravvenuta non si applica retroattivamente, ratione temporis, alla fattispecie in esame. Comunque, ad abudantiam si osserva che anche la sopravvenuta normativa non include automaticamente i liquami tra i sottoprodotti ma soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni di cui alla lettera p). Ciò avrebbe richiesto una specifica valutazione, ovviamente non effettuata, in ordine all’impiego certo dei liquami sin dalla fase di produzione ed integrale e che, inoltre, soddisfino i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissione ed impatti ambientali qualitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati. Tutti elementi che non sono stati valutati nel caso in esame né potevano esserlo stante la sopravvenienza della normativa. In proposito va, inoltre, osservato che la disposizione italiana va interpretata coerentemente con il diritto comunitario, prevalente sul piano della gerarchia delle fonti, ed in particolare con l’interpretazione data dalle sentenze della CEE che hanno efficacia vincolante erga omnes per i giudici interni e per l’autorità amministrativa. Per quanto concerne la fattispecie in esame, con riferimento ai liquami, anche qualora ricorrano i presupposti per considerarli sottoprodotti (ma ciò implica una puntuale valutazione tecnica sul rispetto dei presupposti di cui alla citata lettera p) occorrerebbe valutare l’ulteriore requisito, imposto dal diritto comunitario, ossia “se per riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo e nè prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicchè la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (Corte di Giustizia CE, sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05). Dette valutazioni, infine, andrebbero condotte nel rispetto del principio precauzionale fondamentale in questa materia.
8.2. Per analoghe ragioni vanno considerati rifiuti le 6.935 (t/anno) di prodotti di risulta di colture.
8.3. Del resto nello stesso progetto per la realizzazione dell’impianto in parola a pagina 13 si precisa testualmente che “il biogas, ai sensi del D.M. 5/2/1998 è considerato rifiuto non pericoloso da utilizzare come combustibile per produrre energia”.
8.4. Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifuto. Esso è così qualificato dall’allegato D alla parte quarta del codice dell’ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il “digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale” ne’ esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido – solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. “la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all’interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metricubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall’impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze”.
E’ evidente che la situazione di fatto è del tutto diversa da quella esaminata dalla Corte di Giustizia CEE 8 settembre 2005, causa C- 416-02, citata dalla difesa della società controinterassata, in cui si trattava di un utilizzo immediato del colaticcio prodotto dall’allevamento di suini. Nel caso in esame, infatti, non ricorrono le condizioni di cui al citato articolo 183 del D. lgs 152 del 2006 per considere il digestato un sottoprodotto, stante le trasformazioni necessarie per il suo riutilizzo e ricorrono, invece, perfettamente le condizioni indicate dalla sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05, sopra richiamata, per considerarlo un rifiuto non pericoloso.
8.5. In definitiva ricorrono nel caso in esame le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l’impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
9. Così qualificato l’impianto va osservato che, secondo la normativa comunitaria vi è perfetta corispondenza, per quanto concerne la procedura di V.I.A. tra gli impianti di recupero e quelli di smaltimento di rifiuti. Ciò è precisato dalla sentenza della Corte di Giustizia CEsez. II, 23 novembre 2006, causa C- 486/04. Infatti “Gli Stati membri devono attuare la direttiva 85/337 in modo pienamente conforme ai precetti da essa stabiliti, tenendo conto del suo obiettivo essenziale che - come si evince dall’art. 2, n. 1, della direttiva medesima - consiste nel garantire che, prima della concessione di un’autorizzazione, i progetti idonei ad avere un impatto ambientale rilevante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto”
(cfr altresì., in tal senso, sentenza 19 settembre 2000, causa C 287/98, Linster, Racc. pag. I 6917, punto 52).
È pacifico che la direttiva 85/337 non fornisce alcuna definizione della nozione di smaltimento dei rifiuti, posto che i suoi allegati I e II si limitano a menzionare alcuni impianti di smaltimento dei medesimi. Inoltre, è altrettanto pacifico che la direttiva 75/442 non contiene alcuna definizione generale delle nozioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, limitandosi a rinviare agli allegati II A e II B nei quali sono elencate diverse operazioni che rientrano nell’una o nell’altra di tali nozioni (v. sentenza 27 febbraio 2002, causa C 6/00, ASA, Racc. pag. I 1961, punto 58). Tuttavia, “ la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero di rifiuti, quale risulta dall’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442 nonché dal quarto ‘considerando’ di quest’ultima, consiste nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, consentendo così di preservare le risorse naturali “
Le operazioni di recupero, al pari di quelle di smaltimento dei rifiuti, sono idonee ad avere un impatto ambientale rilevante. Del resto, la direttiva 75/442, all’art. 4, obbliga gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinché i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza che vengano usati procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.
In definitiva la citata sentenza ha affermato che “la nozione di smaltimento dei rifiuti ai sensi della direttiva 85/337 è una nozione autonoma che deve ricevere un significato idoneo a rispondere pienamente all’obiettivo perseguito da tale atto normativo, quale ricordato al punto 36 della presente sentenza. Di conseguenza, tale nozione - che non è equivalente a quella di smaltimento dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442 - deve essere intesa in senso lato come comprensiva dell’insieme delle operazioni che portano o allo smaltimento dei rifiuti, nel senso stretto del termine, o al loro recupero.”
L’interpretazione che detta sentenza fornisce della direttiva 85/337 ha, ovviamente carattere vincolante erga omnes sia per i giudici interni che per le Amministrazioni.
9.1. In defintiva ai fini dell’applicazione della normativa in materia di V.I.A. gli impianti di recupero di rifiuti vanno ad ogni effetto equiparati a quelli di smaltimento dello stesso.
10 L’articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B.3, che non ricadono all’interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B.2.46 del citato allegato prevede gli “impianti di smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento”.
Conseguentemente, attesa la piena equiparazione, per le ragioni sopra esposte, degli impianti di smaltimento a quelli di recupero, l’impianto in contestazione doveva esserre sottoposto alla procedura di “screening”.
11. E’ altresì fondata la seconda censura dedotta con la quale i ricorrenti rilevano il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia-Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica “screening” ed eventualmente, all’esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18, in quanto il biogas ed il digestato sarebbero prodotti chimici.
Infatti, appare decisiva a tal fine la qualificazione normativa di cui all’allegato I, paragrafo 4.3 del D. lgs 59/05 che espressamente ricomprende tra gli impianti chimici quelli “per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti)”, senza distinguere tra i vari processi di produzione, di sintesi o meno.
L’allegato II alla direttiva 85/337 ricomprende tra l’industria chimica (progetti non ricompresi nell’allegato I per i quali la V.I.A. è obbligatoria perché imposta dalla direttiva stessa) gli impianti di “trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici”.
L’articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B.3, che non ricadono all’interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B.1.10 del citato allegato prevede gli impianti “trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici, per una capacità superiore alle 10.000 t/annuo di materie prime lavorate”
Conseguentemente, l’impianto in contestazione doveva essere sottoposto alla procedura di “screening” anche per questa ragione.
Non ha rilievo infatti, la valutazione tecnica del consulente di parte che esclude il digestato tra le sostanze chimiche sulla base di valutazioni tecnico – scientifiche che si fondano su parametri diversi da quelli normativi, sopra indicati, ai fini dell’applicazione della procedura procedura di verifica “screening” ed eventualmente di valutazione di impatto ambientale, disciplinata dalla legge regionale n. 9 del 1999.
12. E’ altresì fondata la terza censura dedotta concernente la localizzazione dell’impianto con riferimento alla normativa urbanistica locale.
L’articolo 11.4., comma secondo, del P.T.C.P. nel dettare criteri per la disciplina urbanistica comunale, prevede che per le attività agro-industriali e di gestione e trasformazione di prodotti agricoli va operata una scelta localizzativa con preferenza per aree contigue a stabilimenti preesistenti o ad ambiti specializzati di attività.
Il piano regolatore del comune di Medicina, in applicazione di detto criterio, all’art. V.1.02, par. secondo, prevede che la concreta collocazione degli interventi di nuova edificazione funzionali all’attività agricola da realizzare in aziende agricole frazionate in più appezzamenti separati debbono essere localizzati prioritariamente in quello maggiore o in quello minore se già vi sono altri edifici aziendali agricoli.
In particolare, poi, il punto 4.5.2 dell’art.V del P.R.G. prevede che nessun intervento avrebbe potuto essere realizzato se non in aziende superiore a 10 Ettari, sia pur cumulando la superficie delle Aziende singole od associate. L’edificazione, poi, avrebbe dovuto essere subordinata alla presentazione di un P.S.A. che ne dimostri la necessità ed alle ulteriori condizioni di cui al punto d2.3.
12.1.Nel caso concreto, infatti, l’edificazione è stata autorizzata previa la presentazione di un P.S.A. e, quindi, tenendo conto dell’estensione dell’area con riferimento alle aziende associate. Infatti, in caso contrario, non sarebbe stato rispettato il requisito di cui al punto d2.3. il quale impone che la provenienza della materia prima lavorata deve, per almeno due terzi, derivare dai terreni interessati all’intervento.
12.3. Conseguentemente, le valutazioni richieste dall’art. V.1.02 del PRG di Medicina avrebbero dovuto coinvolgere tutti i terreni vincolati dal P.S.A. e non soltanto quello appositamente conferito dai soci alla società cooperativa AgriBioenergia che in tal modo avevano cercato di imporre una localizzazione predeterminata.
12.2.In definitiva, non appare legittimo l’operato delle Amministrazioni che, nelle valutazioni effettuate concernenti la localizzazione dell’impianto, sono partite dal terreno a disposizione della società cooperativa Agribioenergia, nel cui patrimonio i soci avevano conferito il solo terreno oggetto dell’impianto, pur avendo a disposizione altri 500 ettari. Infatti, qualora sussista l’eventuale non idoneità dell’attuale sito, valutati tutti gli interessi coinvolti pubblici e privati, ivi compresi quelli dei frontisti, nel caso in cui qualche socio non sarà disponibile a cedere il terreno individuato, ben potrà la società Agribioenergia acquisirlo coattivamente utilizzando il procedimento espropriativo, essendo la realizzazione dell’impianto dichiarata di pubblica utilità.
12.3.Non può essere condivisa, invece, l’argomentazione difensiva dei ricorrenti che ritengono sussistere una discrezionalità nella localizzazione dell’impianto, ad opera della pubblica amministrazione derivante dalla sola circostanza che l’impianto in parola sia dichiarato di pubblica utilità. Nella fattispecie, infatti, non si tratta di un’opera pubblica, ossia appartenente alla pubblica amministrazione o ad un Ente alla stessa equiparato, bensì di un’opera privata dichiarata di pubblica utilità perché è di interesse pubblico la sua realizzazione.
La localizzazione, pertanto, deve avvenire con riferimento alla disciplina urbanistica locale e nei limiti dalla stessa prevista, salve le ulteriori valutazioni a tal fine imposte dalla procedura dovuta di cui alla sopra citata legge regionale n. 9 del 1999.
13. Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle ulteriori doglianze, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti impugnati.
14. Per effetto della presente decisione l’Amministrazione dovrà riattivare il procedimento ex novo rispettando i principi sopra indicati, per autorizzare l’importante impianto, dichiarato ex lege di pubblica utilità, nel rispetto delle disposizioni normative che ne regolano la realizzazione.
15. Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, in solido, a carico del Comune, della Provincia e della società AgriBioenergia intimati.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Medicina, la Provincia di Bologna e la società AgriBioenergia intimati, in solido, al pagamento delle spese di causa in favore dei ricorrenti che si liquidano in complessivi Euro 10.000 (dieci mila), oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, il giorno 2 luglio 2008
Presidente
Consigliere Rel.Est.
Depositata in Segretaria ai sensi dell’art.55 L. 18/4/82, n.186.
Bologna, li 9.7.08
Il Segretario
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER L'EMILIA-ROMAGNA
SEZIONE SECONDA
composto dai Signori:
Dott. Giancarlo Mozzarelli Presidente
Dott. Alberto Pasi Consigliere
Dott. Ugo Di Benedetto Consigliere Rel.Est.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso N. 146/2008 proposto da Dante Dallari, Alessandra Maso, Alberto Maso, Elena Maso, Giovanni Maso, Mario Maso, Tosca Selleri, Stefano Piva, Stefania Maso, rappresentati e difesi dagli Avv. ti Benedetto Graziosi e Giacomo Graziosi ed elettivamente domiciliati presso il loro studio, in Bologna, via dei Mille n. 7/2;
contro
la Provincia di Bologna, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Cristina Barone e Patrizia Onorato ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso l’ufficio legale della Provincia, via Benedetto XIV, n. 3;
e contro
il Comune di Medicina, costituito in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Nazzarena Zorzella, ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso il suo studio, via Caprarie n. 7;
e contro
il Consorzio della Bonifica Renana, l’A.R.P.A. e la AUSL di Imola, non costituiti in giudizio;
e nei confronti di
AgriBioenergia, società cooperativa agricola, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Carlo Rienzi e Gino Giuliano, ed elettivamente domiciliata in Bologna, presso lo studio dell’Avv. Bruno Barbieri;
per l’annullamento
-dell’autorizzazione unica “alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica alimentato a biogas localizzato nel Comune di Medicina in via Canale n. 2379” adottato dal Dirigente del settore ambiente della Provincia in data 8/11/2007;
-degli atti della conferenza di servizi propedeutica al rilascio della predetta dell’autorizzazione unica;
-di ogni altro attto connesso, presupposto e consequenziale;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Bologna, Comune di Medicina e della società AgriBioenergia intimati;
Visti gli atti tutti della causa;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1.Riferiscono i ricorrenti di essere proprietari e residenti nel comune di Medicina in immobili situati in via Canale dal n. 2800 al 3270, fuori dal centro abitato.
Riferiscono di aver appreso informalmente che su un terreno agricolo esattamente di fronte alle loro abitazioni vi era un progetto di realizzazione di un impianto industriale per la produzione di fertilizzanti e gas combustibile “biogas”. A tal fine sarebbe stata impiantata una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas e produzione di elettricità, da cedere all’ENEL, e calore per il teleriscaldamento, alimentata con biomasse vegetali ed in parte con liquami animali.
Riferiscono di avere, invano, richiesto la ricollocazione dell’impianto su un altro sito o, almeno, sul lato opposto del sito individuato, ad una distanza di 300-400 metri dalle loro abitazioni.
A seguito della conferenza di servizi indetta a tal fine la Provincia di Bologna rilasciava l’autorizzazione unica a costruire ed esercitare l’impianto.
2. Avverso detto provvedimento, in epigrafe indicato, gli interessati notificavano il presente ricorso al TAR deducendone l’illegittimità sotto vari profili.
Si costituiva in giudizio il Comune di Medicina, la Provincia di Bologna la società cooperativa agricola AgriBioenergia intimati che controdeducevano alle avverse doglianze e concludevano per l’inammissibilità e per la reiezione del ricorso.
L’istanza cautelare veniva accolta in primo grado con ordinanza n. 165/2008. In sede di appello il Consiglio di Stato rilevava “la complessità della causa, specie in relazione alle questioni concernenti la necessità di sottoporre l’intervento di cui si tratta a V.I.A.” e “ritenuto sussistente il danno, paventato dai ricorrenti in primo grado” accoglieva gli appelli e mandava al T.A.R. per la fissazione dell’udienza nei termini previsti dall’art. 23 bis della legge n. 1034/1971.
Le parti costituite hanno ulteriormente sviluppato le proprie difese con successive memorie e nell’ampia discussione orale e la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 2 luglio 2008.
3. L’intervento in contestazione è una centrale a cogenerazione di media potenza per la combustione del gas e produzione di elettricità ed è costituito principalmente da:
- un capannone per lo stoccaggio della parte solida separata dal digerito che conterrà anche vani tecnici;
- due linee di fermentazione uguali e parallele costituite ripettivamente da una vasca di fermentazione circolare doppia (anello in anello) in cemento armato con solaio;
- una vasca di stoccaggio circolare in c. a. di diametro 36 m. con copertura in materiale plastico che funge da gasometro;
- una vasca di stoccaggio circolare in c. a. aperta di diametro 42 m;
- due gruppi di cogenerazione in container;
- sistema di smistamento e distribuzione centrale posizionato tra i due digestori e le trincee di stoccaggio;
- delle trincee di stoccaggio di 20.000 metricubi di insilato;
- una prevasca per eventuali sostanze liquide in entrata dalla parte solida del digestato;
- una pesa a pavimento per il controllo dei carichi in entrata e uscita.
3.1. Il combustibile è il biogas prodotto da fermentazione anaerobica metano genica di matrice organica.
3.2. La matrice organica di ingresso al digestore è costituita da: Silomas per una quantità massimo (t/anno) di 13.140, prodotti risulta di colture 6.935, intercalari (loietto, sorgo, girasole, Triticale) per un totale di 20.075. Liquami zootecnici provenienti da soci della cooperativa agricola AgriBioenergia a scopo di innesco iniziale della fementazione per un quantitativo annuale non superiore a 2.500 metricubi.
3.3. Alla fine del processo di digestione il substrato viene espulso dalla filiera di produzione di biogas ed inviato nelle vasche di pastorizzazione e subisce un posttrattamento e, trasformato in un brodo uniforme e molto liquido, è utilizzabile per lo spargimento diretto sulle coltivazioni in quanto la sostanza così digerita viene qualificata, dalla relazione tecnico descrittiva dell’impianto, un ottimo fertilizzante per le sue caratteristiche sia biochimiche che fisiche.
4. Ciò premesso va preliminarmente respinta l’eccezione di tardività del ricorso sulla quale insiste in particolare la difesa della società controinteressata. In proposito va osservato che il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnativa dei provvedimenti amministrativi decorre dalla piena conoscenza degli stessi da parte degli interessati non solo dell’esistenza dell’atto ma del suo contenuto affinchè possano valutarne la legittimità e dedurre motivi specifici d’impugnativa.
Conseguentemente nessun rilievo ha la circostanza che vi siano stati colloqui informali aventi ad oggetto il predetto impianto essendo, pertanto, inidoneo, ai fini della decorrenza dei termini l’incontro presso l’abitazione del sig. Gherardi Stefano che, secondo la prospettazione difensiva dei controinteressati sarebbe avvenuto il 19/11/2007, non essendo documentato formalmente il contenuto di detto colloquio.
Parimenti irrilevante, sempre ai fini della decorrenza termini per l’impugnativa, la pubblicazione di una graduatoria sul B.U.R. della Regione del progetto a seguito del bando per ottenere finanziamenti regionali in quanto la lesione degli interessi dei ricorrenti deriva soltanto dall’autorizzazione unica, oggetto della presente impugnativa, e non dal finanziamento del progetto.
Infine, la circostanza di aver indicato nella domanda di accesso gli estremi dell’autorizzazione unica non comporta certo la piena conoscenza del contenuto della stessa e del procedimento seguito per il suo rilascio.
5. Va altresì respinta l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa sollevata dalla difesa della società controinteressata, formulata con riferimento alla mancata notificazione del ricorso al Dirigente provinciale che ha emanato il provvedimento. Gli atti emanti dai Dirigenti della Provincia sono imputati, in virtù del cosiddetto rapporto di immedesimazione organica, ad ogni effetto, all’Ente nella sua interezza e, pertanto, il ricorso, ritualmente notificato alla Provincia, è stato ben radicato.
6. Va, inoltre, respinta l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire, su cui insiste la difesa della società controinteressata e del Comune. E’ sufficiente rilevare, in linea di fatto, che i ricorrenti sono residenti in loco, proprio di fronte all’impianto da realizzare ed a pochi metri dallo stesso.
In diritto va osservato che il provvedimento impugnato costituisce un’autorizzazione unica emanata a seguito di una conferenza di servizi e, pertanto, costituisce altresì titolo edilizio idoneo ed effettuare la costruzione. I frontisti, pertanto, o coloro che risedono in prossimità, sono titolari di una posizione differenziata e qualificata all’impugnativa dei titoli edilizi senza necessità di indicare ulteriori elementi di lesività.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 309 e 310 del D. lgs 152 del 2006, tutti coloro che potrebbero anche soltanto potenzialmente essere colpiti dal danno ambientale o, semplicemente, essere interessati all’adozione di misure precauzionali sono legittimati ad agire per l’annullamenti dei provvedimenti amministrativi di rilevanza ambientale. Tali sono sicuramente coloro che risiedono in loco nelle vicinanze dell’impianto tenuto a rispettare la normativa ambientale di cui al citato D. lgs..
Una prova più rigorosa dell’interesse ad agire dovrebbe essere fornita soltanto da coloro che, privi di uno stabile collegamento con il territorio inciso dai provvedimenti edilizi e/o ambientali, pretenderebbero di contestare i suddetti provvedimenti dovendo indicare le ragioni per cui ritengono di subirne direttamente o indirettamente degli effetti pregiudizievoli.
7. Nel merito va preliminarmente osservato che nella specie si tratta di un impianto di produzione di energia elettrica e calore ma che, secondo la tesi dei ricorrenti, utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche. Ai fini della normativa di tutela ambientale, pertanto, l’impianto in parola non va considerato come un mero impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette sostanze. Ai fini dell’applicazione della normativa in materia ambientale, infatti, non rileva soltanto il prodotto finale costituito dall’energia bensì il processo produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell’impianto, oltreché il materiale di risulta, ossia il digestato.
L’Allegato C alla parte quarta del D. lgs 152 del 2006, il cosidetto Testo Unico dell’ambiente , elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (vedi la categoria R1). Pertanto l’utilizzazione del rifiuto per produrre energia comporta la sottoposizione dell’impianto realizzato alla normativa in materia di recupero dei rifiuti.
8. Ciò premesso il ricorso è fondato con riferimento alla prima censura dedotta concernente il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia-Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica “screening” ed eventualmente, all’esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18.
8.1.Nella fattispecie, infatti, gran parte delle sostanze da cui deriva il biogas costituiscono un rifiuto e, pertanto, l’impianto in parola ben può essere considerato anche un impianto di recupero di rifiuti non pericolosi.
Ciò vale innanzi tutto per il liquame zootecnico (materia fecale) che è puntualmente elencata tra i rifiuti nell’allegato D alla parte quarta del codice dell’ambiente. Infatti, al punto 020106 sono indicate le “feci animali, urine e letame (comprese le lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente e trattati fuori sito”, come nel caso in esame. L’impianto in parola ne utilizza 2.500 metricubi ogni anno e nessun rilevo assume la circostanza che, ogni anno, siano utilizzati per l’innesco iniziale.
I liquami, ai sensi del D. lgs 152 del 2006 non potevano rientrare nella nozione di sottoprodotto proprio perché indicati nella citata tabella dei rifiuti e, poi, perché non ricompresi nella nozione generale di sottoprodotto di cui all’articolo 183 dello stesso D. lgs in quanto il loro utilizzo per produrre energia richiedeva, appunto, la trasformazione in biogas e, quindi, una trasformazione tramite un successivo processo produttivo, dovendosi ritenere cumulativi i requisiti indicati dallo stesso art. 183.
Ne’ rileva, ai fini della legittimità dell’atto, la sopravvenuta normativa di cui al D. lgs. n. 4 del 2008 che, modificando l’articolo 185, ha incluso “potenzialmente” i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati per produrre biogas. Tale norma sopravvenuta non si applica retroattivamente, ratione temporis, alla fattispecie in esame. Comunque, ad abudantiam si osserva che anche la sopravvenuta normativa non include automaticamente i liquami tra i sottoprodotti ma soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni di cui alla lettera p). Ciò avrebbe richiesto una specifica valutazione, ovviamente non effettuata, in ordine all’impiego certo dei liquami sin dalla fase di produzione ed integrale e che, inoltre, soddisfino i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissione ed impatti ambientali qualitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati. Tutti elementi che non sono stati valutati nel caso in esame né potevano esserlo stante la sopravvenienza della normativa. In proposito va, inoltre, osservato che la disposizione italiana va interpretata coerentemente con il diritto comunitario, prevalente sul piano della gerarchia delle fonti, ed in particolare con l’interpretazione data dalle sentenze della CEE che hanno efficacia vincolante erga omnes per i giudici interni e per l’autorità amministrativa. Per quanto concerne la fattispecie in esame, con riferimento ai liquami, anche qualora ricorrano i presupposti per considerarli sottoprodotti (ma ciò implica una puntuale valutazione tecnica sul rispetto dei presupposti di cui alla citata lettera p) occorrerebbe valutare l’ulteriore requisito, imposto dal diritto comunitario, ossia “se per riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo e nè prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicchè la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (Corte di Giustizia CE, sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05). Dette valutazioni, infine, andrebbero condotte nel rispetto del principio precauzionale fondamentale in questa materia.
8.2. Per analoghe ragioni vanno considerati rifiuti le 6.935 (t/anno) di prodotti di risulta di colture.
8.3. Del resto nello stesso progetto per la realizzazione dell’impianto in parola a pagina 13 si precisa testualmente che “il biogas, ai sensi del D.M. 5/2/1998 è considerato rifiuto non pericoloso da utilizzare come combustibile per produrre energia”.
8.4. Inoltre anche il digestato, risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifuto. Esso è così qualificato dall’allegato D alla parte quarta del codice dell’ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è indicato il “digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di origine animale o vegetale” ne’ esso può essere considerato un sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido – solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. “la parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il trasporto della sostanza all’interno del capannone. Esso sarà dimensionato per contenere ca. 2.000 metricubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta dall’impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione a seconda delle esigenze”.
E’ evidente che la situazione di fatto è del tutto diversa da quella esaminata dalla Corte di Giustizia CEE 8 settembre 2005, causa C- 416-02, citata dalla difesa della società controinterassata, in cui si trattava di un utilizzo immediato del colaticcio prodotto dall’allevamento di suini. Nel caso in esame, infatti, non ricorrono le condizioni di cui al citato articolo 183 del D. lgs 152 del 2006 per considere il digestato un sottoprodotto, stante le trasformazioni necessarie per il suo riutilizzo e ricorrono, invece, perfettamente le condizioni indicate dalla sentenza della Corte di Giustizia CE, sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05, sopra richiamata, per considerarlo un rifiuto non pericoloso.
8.5. In definitiva ricorrono nel caso in esame le condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l’impianto in parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
9. Così qualificato l’impianto va osservato che, secondo la normativa comunitaria vi è perfetta corispondenza, per quanto concerne la procedura di V.I.A. tra gli impianti di recupero e quelli di smaltimento di rifiuti. Ciò è precisato dalla sentenza della Corte di Giustizia CEsez. II, 23 novembre 2006, causa C- 486/04. Infatti “Gli Stati membri devono attuare la direttiva 85/337 in modo pienamente conforme ai precetti da essa stabiliti, tenendo conto del suo obiettivo essenziale che - come si evince dall’art. 2, n. 1, della direttiva medesima - consiste nel garantire che, prima della concessione di un’autorizzazione, i progetti idonei ad avere un impatto ambientale rilevante, segnatamente per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, formino oggetto di una valutazione del loro impatto”
(cfr altresì., in tal senso, sentenza 19 settembre 2000, causa C 287/98, Linster, Racc. pag. I 6917, punto 52).
È pacifico che la direttiva 85/337 non fornisce alcuna definizione della nozione di smaltimento dei rifiuti, posto che i suoi allegati I e II si limitano a menzionare alcuni impianti di smaltimento dei medesimi. Inoltre, è altrettanto pacifico che la direttiva 75/442 non contiene alcuna definizione generale delle nozioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, limitandosi a rinviare agli allegati II A e II B nei quali sono elencate diverse operazioni che rientrano nell’una o nell’altra di tali nozioni (v. sentenza 27 febbraio 2002, causa C 6/00, ASA, Racc. pag. I 1961, punto 58). Tuttavia, “ la caratteristica essenziale di un’operazione di recupero di rifiuti, quale risulta dall’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva 75/442 nonché dal quarto ‘considerando’ di quest’ultima, consiste nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, consentendo così di preservare le risorse naturali “
Le operazioni di recupero, al pari di quelle di smaltimento dei rifiuti, sono idonee ad avere un impatto ambientale rilevante. Del resto, la direttiva 75/442, all’art. 4, obbliga gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinché i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza che vengano usati procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.
In definitiva la citata sentenza ha affermato che “la nozione di smaltimento dei rifiuti ai sensi della direttiva 85/337 è una nozione autonoma che deve ricevere un significato idoneo a rispondere pienamente all’obiettivo perseguito da tale atto normativo, quale ricordato al punto 36 della presente sentenza. Di conseguenza, tale nozione - che non è equivalente a quella di smaltimento dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442 - deve essere intesa in senso lato come comprensiva dell’insieme delle operazioni che portano o allo smaltimento dei rifiuti, nel senso stretto del termine, o al loro recupero.”
L’interpretazione che detta sentenza fornisce della direttiva 85/337 ha, ovviamente carattere vincolante erga omnes sia per i giudici interni che per le Amministrazioni.
9.1. In defintiva ai fini dell’applicazione della normativa in materia di V.I.A. gli impianti di recupero di rifiuti vanno ad ogni effetto equiparati a quelli di smaltimento dello stesso.
10 L’articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B.3, che non ricadono all’interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B.2.46 del citato allegato prevede gli “impianti di smaltimento dei rifiuti speciali non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento”.
Conseguentemente, attesa la piena equiparazione, per le ragioni sopra esposte, degli impianti di smaltimento a quelli di recupero, l’impianto in contestazione doveva esserre sottoposto alla procedura di “screening”.
11. E’ altresì fondata la seconda censura dedotta con la quale i ricorrenti rilevano il mancato rispetto della normativa che disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge regionale Emilia-Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica “screening” ed eventualmente, all’esito della stessa, al successivo assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli artt. da 11 a 18, in quanto il biogas ed il digestato sarebbero prodotti chimici.
Infatti, appare decisiva a tal fine la qualificazione normativa di cui all’allegato I, paragrafo 4.3 del D. lgs 59/05 che espressamente ricomprende tra gli impianti chimici quelli “per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio (fertilizzanti semplici o composti)”, senza distinguere tra i vari processi di produzione, di sintesi o meno.
L’allegato II alla direttiva 85/337 ricomprende tra l’industria chimica (progetti non ricompresi nell’allegato I per i quali la V.I.A. è obbligatoria perché imposta dalla direttiva stessa) gli impianti di “trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici”.
L’articolo 4 della legge regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B.3, che non ricadono all’interno di aree naturali protette, sono assoggettati alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9 e 10 della stessa legge.
Il punto B.1.10 del citato allegato prevede gli impianti “trattamento di prodotti intermedi e fabbricazione di prodotti chimici, per una capacità superiore alle 10.000 t/annuo di materie prime lavorate”
Conseguentemente, l’impianto in contestazione doveva essere sottoposto alla procedura di “screening” anche per questa ragione.
Non ha rilievo infatti, la valutazione tecnica del consulente di parte che esclude il digestato tra le sostanze chimiche sulla base di valutazioni tecnico – scientifiche che si fondano su parametri diversi da quelli normativi, sopra indicati, ai fini dell’applicazione della procedura procedura di verifica “screening” ed eventualmente di valutazione di impatto ambientale, disciplinata dalla legge regionale n. 9 del 1999.
12. E’ altresì fondata la terza censura dedotta concernente la localizzazione dell’impianto con riferimento alla normativa urbanistica locale.
L’articolo 11.4., comma secondo, del P.T.C.P. nel dettare criteri per la disciplina urbanistica comunale, prevede che per le attività agro-industriali e di gestione e trasformazione di prodotti agricoli va operata una scelta localizzativa con preferenza per aree contigue a stabilimenti preesistenti o ad ambiti specializzati di attività.
Il piano regolatore del comune di Medicina, in applicazione di detto criterio, all’art. V.1.02, par. secondo, prevede che la concreta collocazione degli interventi di nuova edificazione funzionali all’attività agricola da realizzare in aziende agricole frazionate in più appezzamenti separati debbono essere localizzati prioritariamente in quello maggiore o in quello minore se già vi sono altri edifici aziendali agricoli.
In particolare, poi, il punto 4.5.2 dell’art.V del P.R.G. prevede che nessun intervento avrebbe potuto essere realizzato se non in aziende superiore a 10 Ettari, sia pur cumulando la superficie delle Aziende singole od associate. L’edificazione, poi, avrebbe dovuto essere subordinata alla presentazione di un P.S.A. che ne dimostri la necessità ed alle ulteriori condizioni di cui al punto d2.3.
12.1.Nel caso concreto, infatti, l’edificazione è stata autorizzata previa la presentazione di un P.S.A. e, quindi, tenendo conto dell’estensione dell’area con riferimento alle aziende associate. Infatti, in caso contrario, non sarebbe stato rispettato il requisito di cui al punto d2.3. il quale impone che la provenienza della materia prima lavorata deve, per almeno due terzi, derivare dai terreni interessati all’intervento.
12.3. Conseguentemente, le valutazioni richieste dall’art. V.1.02 del PRG di Medicina avrebbero dovuto coinvolgere tutti i terreni vincolati dal P.S.A. e non soltanto quello appositamente conferito dai soci alla società cooperativa AgriBioenergia che in tal modo avevano cercato di imporre una localizzazione predeterminata.
12.2.In definitiva, non appare legittimo l’operato delle Amministrazioni che, nelle valutazioni effettuate concernenti la localizzazione dell’impianto, sono partite dal terreno a disposizione della società cooperativa Agribioenergia, nel cui patrimonio i soci avevano conferito il solo terreno oggetto dell’impianto, pur avendo a disposizione altri 500 ettari. Infatti, qualora sussista l’eventuale non idoneità dell’attuale sito, valutati tutti gli interessi coinvolti pubblici e privati, ivi compresi quelli dei frontisti, nel caso in cui qualche socio non sarà disponibile a cedere il terreno individuato, ben potrà la società Agribioenergia acquisirlo coattivamente utilizzando il procedimento espropriativo, essendo la realizzazione dell’impianto dichiarata di pubblica utilità.
12.3.Non può essere condivisa, invece, l’argomentazione difensiva dei ricorrenti che ritengono sussistere una discrezionalità nella localizzazione dell’impianto, ad opera della pubblica amministrazione derivante dalla sola circostanza che l’impianto in parola sia dichiarato di pubblica utilità. Nella fattispecie, infatti, non si tratta di un’opera pubblica, ossia appartenente alla pubblica amministrazione o ad un Ente alla stessa equiparato, bensì di un’opera privata dichiarata di pubblica utilità perché è di interesse pubblico la sua realizzazione.
La localizzazione, pertanto, deve avvenire con riferimento alla disciplina urbanistica locale e nei limiti dalla stessa prevista, salve le ulteriori valutazioni a tal fine imposte dalla procedura dovuta di cui alla sopra citata legge regionale n. 9 del 1999.
13. Per tali ragioni, di carattere assorbente rispetto alle ulteriori doglianze, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti impugnati.
14. Per effetto della presente decisione l’Amministrazione dovrà riattivare il procedimento ex novo rispettando i principi sopra indicati, per autorizzare l’importante impianto, dichiarato ex lege di pubblica utilità, nel rispetto delle disposizioni normative che ne regolano la realizzazione.
15. Le spese di causa seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, in solido, a carico del Comune, della Provincia e della società AgriBioenergia intimati.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia-Romagna, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Condanna il Comune di Medicina, la Provincia di Bologna e la società AgriBioenergia intimati, in solido, al pagamento delle spese di causa in favore dei ricorrenti che si liquidano in complessivi Euro 10.000 (dieci mila), oltre C.P.A. ed I.V.A.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, il giorno 2 luglio 2008
Presidente
Consigliere Rel.Est.
Depositata in Segretaria ai sensi dell’art.55 L. 18/4/82, n.186.
Bologna, li 9.7.08
Il Segretario