DLGS 334/99: NOVITÁ ED INCONGRUENZE A cura di Simona Ghirardini VERIFICA GIURIDICA DELLE DENUNCE AMBIENTALI

 

L’insuccesso della Direttiva 501/82/Cee, del decreto di attuazione 175/88 e di quelli modificativi ha indotto il Consiglio dell’Unione Europea all’adozione della Direttiva 96/82/Ce.

Naturalmente, un notevole ruolo nella genesi della nuova Direttiva è stato giocato dall’esperienza maturata nei paesi dell’UE per quanto riguarda l’efficienza e l’efficacia della Direttiva precedente. La “Seveso Bis” ha messo in luce che il rischio di incidente rilevante è sostanzialmente funzione della pericolosità intrinseca delle sostanze presenti, o che possono accidentalmente formarsi nell’impianto, piuttosto che della tipologia delle operazioni che in quest’ultimo sono condotte. Ne consegue che sul piano teorico la nuova Direttiva non si riferisce più al controllo dei rischi di incidenti rilevanti connessi con alcune attività industriali, bensì al controllo dei pericoli di incidente rilevante connessi con determinate sostanze pericolose e sul piano operativo le attività rientranti nel campo di applicazione della Direttiva non debbano più essere identificate mediante la tipologia dell’impianto e la presenza di definite sostanze pericolose ma esclusivamente attraverso quest’ultima variabile.

Inoltre è necessario sottolineare che nella nuova direttiva non si parla più di possibilità ma di previsione della presenza di sostanze pericolose; ciò significa che l’oggetto della valutazione e della verifica appare essersi trasferito da un piano oggettivo, come quello attinente alla misura della capacità teorica massima di un serbatoio, ad un piano soggettivo, ricollegato appunto alla previsione effettuata dal gestore in ordine ai quantitativi di sostanze che vi saranno immagazzinate.

Particolare enfasi è, ovviamente, posta agli obiettivi che la Direttiva intende raggiungere e che sono sintetizzabili in introduzione obbligatoria di un sistema di gestione della sicurezza, controllo della pianificazione, previsione dell’effetto domino, informazione e partecipazione di lavoratori e popolazione, introduzione di un adeguato sistema ispettivo.

Le innovazioni introdotte richiedono anche nuove definizioni finalizzate ad individuare con più precisione le funzioni aziendali e le azioni di controllo previste nella normativa. A tal fine il gestore è individuato come la persona fisica o giuridica che gestisce o detiene lo stabilimento o l’impianto, oppure la persona cui è stato delegato, ove ciò è previsto dalla legislazione nazionale, un potere economico determinante in relazione al funzionamento tecnico dello stabilimento o dell’impianto. In altre parole, la nuova direttiva riconosce che la responsabilità inerente agli adempimenti in materia di gestione dei rischi di incidente rilevante non è attribuibile esclusivamente a colui che ha ricevuto un formale incarico ma coinvolge anche funzioni aziendali che detengono realmente il potere economico ed il conseguente potere d’intervento sull’impianto.

 

Introduzione obbligatoria di un sistema di gestione della sicurezza

L’art. 7 del Dlgs 334/99 prevede l’introduzione obbligatoria di un sistema di gestione della sicurezza (SGS) in stabilimenti ad alto rischio di incidenti. Esso costituisce una novità molto importante perché permette al gestore di definire la propria politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, la quale si configura come un sistema dinamico costituito da almeno tre elementi:

-    definizione degli indirizzi generali ed identificazione degli obiettivi da raggiungere;

-         pianificazione e realizzazione degli interventi da conseguire;

-         verifica degli obiettivi conseguenti e dell’efficacia degli indirizzi ed eventuale revisione della politica adottata.

La determinazione dei contenuti di una politica di gestione dei rischi di incidente rilevante non può prescindere dalla considerazione che un efficace SGS non può essere realizzato attraverso la prescrizione di schemi rigidi da applicare indistintamente in ogni stabilimento indipendentemente dalla sua struttura organizzativa, dalla specificità delle operazioni che ivi si conducono, dagli obiettivi che si perseguono e più in generale dalla cultura della sicurezza della società che lo gestisce. L’efficacia di un sistema di gestione della sicurezza dipende strettamente dal suo livello di integrazione con gli altri sistemi di gestione e sviluppo presenti in azienda. Ne consegue che la politica di gestione dei rischi di incidente rilevante dovrebbe porsi sullo stesso piano ed integrarsi con le altre politiche di gestione e sviluppo dell’azienda medesima.

Il Decreto del Ministero dell’Ambiente 9 agosto 2000, attuativo dell’art. 7, comma 3 del Dlgs n. 334/99 definisce le linee guida per l’attuazione del sistema di gestione della sicurezza (SGS) che è obbligatoria per gli stabilimenti in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’allegato I al Dlgs 334/99, vale a dire quelli rientranti nelle categorie convenzionali A1 e A2.

La mancata adozione del SGS, così come il fatto che non sia stato aggiornato il documento sulla politica di prevenzione, costituiscono inadempienze penalmente rilevanti.

 

Controllo della pianificazione

Il controllo dell’urbanizzazione rappresenta un forte elemento di novità della “Seveso bis”.

Tale aspetto è preso in considerazione dall’art. 14 del Dlgs 334/99, il quale introduce concetti quali i requisiti minimi di pianificazione territoriale e la possibilità di automatiche variazioni dei piani territoriali di coordinamento e degli strumenti urbanistici.

L’applicazione di questo principio riguarda sia i nuovi stabilimenti, sia quelli esistenti purché soggetti agli obblighi della “Seveso bis”.

In particolare per quanto riguarda i nuovi stabilimenti, le modifiche di stabilimenti esistenti con aggravio del rischio e i nuovi insediamenti o infrastrutture attorno a stabilimenti esistenti, verranno definiti i requisiti minimi di sicurezza in materia di pianificazione territoriale; questi saranno basati sia su opportune distanze tra stabilimenti e zone residenziali, sia su misure per ridurre la frequenza e le conseguenze degli incidenti rilevanti.

Per gli stabilimenti esistenti ubicati vicino a zone frequentate dal pubblico, zone residenziali e zone di particolare interesse naturale dovranno essere adottate le misure tecniche complementari per contenere i rischi per le persone e l’ambiente utilizzando le migliori tecniche disponibili.

 

Previsione dell’effetto domino.

L’effetto “domino” o a catena, esplicitamente introdotto nell’articolo 12 del D.Lgs. n. 334/1999, consiste nella possibile sequenza di eventi incidentali, anche di natura diversa, che originati in un componente di un impianto si estendano ai componenti vicini, a causa di elevati valori di radiazione termica o di sovrapressione o di proiezione di frammenti.

Il suddetto effetto può interessare sia le apparecchiature di un singolo impianto di processo, sia quelle di impianti e/o depositi limitrofi.

Per ridurre al minimo la frequenza o probabilità che un incidente “degeneri” in un effetto domino vengono generalmente utilizzati negli impianti dei sistemi di prevenzione e sicurezza.

 

Informazione e partecipazione di lavoratori e popolazione

Nello svolgimento dell’attività informativa, le autorità preposte devono tener conto della percezione del rischio da parte della popolazione.

La reazione ad un’eventuale situazione d’emergenza dipende, in gran parte, da quanto la gente conosce sul rischio cui è esposta ; a sua volta la capacità di memorizzare le istruzioni corrette e di seguirle dipende dalla maggiore o minore tollerabilità del rischio e, nondimeno, dai pregiudizi diffusi sul mondo industriale e dal fraintendimento tra rischio e pericolo. La comunicazione, quindi, deve essere svolta da un lato senza enfatizzare le informazioni sulla pericolosità e gli effetti avversi per evitare di creare allarmismi inutili, dall’altro senza enfatizzare le informazioni sulle misure di sicurezza per non scivolare in un’ingiustificata rassicurazione. Essa deve essere sempre indirizzata al contenimento dei danni ed alla creazione di un substrato culturale nella popolazione, necessario affinché possa instaurarsi un corretto rapporto comunicativo.

Tutti i problemi che affliggono la legislazione ambientale sono presenti anche in questo caso, a partire dall’impreparazione e disorganizzazione dell’amministrazione, per arrivare alla mancanza di dotazioni tecnologiche di supporto.

In particolar modo ciò che colpisce nell’osservare quest’aspetto della normativa ambientale è quanto la comunicazione dei vari rischi, come informazione e come educazione, sia penalizzata dalla scarsità e frammentarietà della produzione legislativa in materia.

Un primo e grave handicap emerge quando si cerca di individuare l’ente che per legge dovrebbe volgere l’attività comunicativa sui rischi ambientali.

 Il Dlgs 334/99 nell’art. 22, comma 4 precisa che il Comune deve portare tempestivamente a conoscenza della popolazione le informazioni fornite dal gestore, eventualmente rese maggiormente comprensibili.

Inoltre l’articolo sottolinea che le informazioni sulle misure di sicurezza e sulle norme di comportamento da adottare fornite dal Comune alle persone che possono essere coinvolte in caso d’incidente rilevante, devono essere aggiornate, ridiffuse (con un intervallo massimo di cinque anni) e permanentemente a disposizione del pubblico.

Si precisa dunque, in modo esplicito, che l’informazione deve attuarsi attraverso un processo continuo e sistematico al fine di rendere effettivo il principio giuridico di trasparenza dell’informazione sancito dalla normativa comunitaria.

Un altro tipo d’informazione molto importante è quella fatta ai lavoratori degli stabilimenti a rischio d’incidente rilevante.

I criteri e le modalità d’informazione, formazione e addestramento e l’equipaggiamento per i lavoratori e i visitatori, previste dal decreto 16 marzo 1998, si applicano a tutti gli stabilimenti soggetti al Dlgs 334/99.

Il gestore dello stabilimento è obbligato ad assicurare l’informazione, la formazione e l’addestramento non solo ai propri lavoratori, ma anche a quelli alle dipendenze di terzi o autonomi, preposti, anche occasionalmente, alla manutenzione degli impianti o depositi, ai servizi generali o che accedono allo stabilimento per qualsiasi altro motivo di lavoro o che effettuano operazioni comunque connesse con l’esercizio degli impianti o depositi; tutti questi rientrano nella definizione generale di lavoratori in “situ”.

 

Introduzione di un adeguato sistema ispettivo.

La “Seveso bis” prevede che l’attività di vigilanza sia espletata a scadenza programmata e precisa che gli stabilimenti soggetti a presentazione di RdS (Rapporto di Sicurezza) debbono ricevere una visita ispettiva almeno annualmente.

Questo significa che la Comunità Europea esige che gli Stati Membri garantiscano direttamente la sicurezza degli stabilimenti ad alto rischio ritenendo che i danni originati da un incidente rilevante siano troppo gravi per concedere alle aziende di provvedere da sole a garantire la sicurezza necessaria, magari mediante autocertificazione.

Per una maggiore efficacia delle verifiche ispettive aventi lo scopo di accertare l’adeguatezza della politica posta in atto dal gestore, di prevenzione degli incidenti rilevanti, nonché l’adeguatezza della politica e l’efficacia del SGS (Sistema di Gestione della Sicurezza) adottato, è indispensabile l’instaurazione di un nuovo rapporto di collaborazione aperta fra la pubblica amministrazione e le imprese che sia in grado di portare a definizione i problemi senza riserva da parte di nessuno.

Per poter assicurare anche quest’ultimo aspetto è fondamentale che le visite ispettive siano compiute in modo congiunto da parte di tutti gli organi tecnici addetti alla prevenzione, in modo che a nessuno sia concesso intervenire successivamente nel merito delle problematiche trattate, ma che questo sia consentito solo in occasione della successiva visita ispettiva collegiale.

Ciò è reso difficile dal fatto che, in seguito alla delega delle funzioni pubbliche da parte delle regioni, le province tendono ad agire in piena autonomia, in particolare per quanto riguarda le valutazioni connesse alle attività di vigilanza, creando, di fatto, una disomogeneità a livello regionale nella richiesta di adempimenti alle imprese e nei livelli di sicurezza garantiti ai lavoratori ed alla cittadinanza.

Per dare origine all’omogeneità degli interventi di controllo è necessario, almeno sul piano tecnico, un coordinamento a livello regionale.

 

 

Dopo aver descritto le novità introdotte dalla Direttiva, è necessario soffermarci su alcuni punti del decreto di recepimento che risultano di difficile comprensione e non perfettamente rispondente alla linea seguita dalla direttiva 96/82/Ce.

L’art. 2 del Dlgs 334/99, che individua il suo campo di applicazione, appare redatto in modo superficiale e affrettato, così che la sua comprensione e interpretazione risultano tutt’altro che agevoli. Infatti, tale articolo non individua le categorie dei diversi soggetti coinvolti e i rispettivi compiti. In realtà ciò si desume da un’operazione di “innesto” tra l’art. 2 e l’art. 5, dalla quale si traggono più categorie rispetto a quelle individuate dalla Direttiva.

Nell’art. 2 comma 1 vengono identificate due categorie di soggetti obbligati (le categorie convenzionali A1 e A2) in quanto l’allegato I contiene un elenco di sostanze pericolose al quale sono ricollegate due distinte tabelle contenenti valori di quantità limite differenziati.

Si tratta di una distinzione contenuta nell’art.2, comma 1 della Direttiva 96/82/Ce che il legislatore italiano non ha riprodotto nel decreto di recepimento, rendendo meno comprensibile la suddivisione sistematica delle categorie dei soggetti obbligati, introducendo nuove classi (le categorie convenzionali B e C) individuate dall’art. 2 comma 3 in rapporto con l’art. 5 non previste dalla Direttiva.

Se si osserva attentamente si nota che nel comma 1 dell’art. 2 si fa riferimento a “stabilimento” mentre nel comma 3 a “stabilimenti industriali”.

In base ad una delle interpretazioni possibili tale differenza terminologica porterebbe ad inserire nella categoria individuate dal comma 3 dell’art. 2 anche siti nei quali non viene svolto alcun processo industriale, come ad esempio i depositi.

Un altro aspetto da tenere presente è il sistema sanzionatorio

L’articolo 27 del Dlgs n.334/99 prevede varie sanzioni collegate ai diversi casi d’inosservanza delle norme e degli obblighi stabiliti nella nuova disciplina.

Sono previste sanzioni penali detentive (arresto sino ad una durata massima di tre anni) per la violazione degli obblighi considerati più gravi dal legislatore (commi 1, 2, 3, 5 e 6 dell’art. 27).

Esse si applicano soltanto ai gestori tenuti a presentare la notifica o il rapporto di sicurezza che abbiano commesso un reato omissivo permanente.

La permanenza cessa soltanto con la presentazione o redazione, sia pure tardiva, dei documenti obbligatori ovvero con la chiusura dell’attività.

Le sanzioni amministrative pecuniarie sono applicate (da L. 30.000.000 a L. 180.000.000) per la violazione degli obblighi considerati meno gravi dal legislatore (comma 7 dell’art. 27). Occorre in primo luogo precisare l’esistenza di un evidente errore nella disposizione sanzionatoria: infatti, l’art. 27, comma 7, fa riferimento alla mancata effettuazione degli adempimenti di cui all’art. 14 comma 5 ( relativa al controllo sull’urbanizzazione), il cui contenuto non può avere la benché minima attinenza con la disposizione sanzionatoria. Si ritiene, pertanto che la sanzione intendesse in realtà riferirsi agli adempimenti di cui all’art. 14, comma 6.

Per quanto riguarda l’applicabilità della sanzione prevista dall’art. 623 c.p. (reclusione fino a due anni) per la violazione delle norme della riservatezza (comma 8 dell’art. 27), un problema potrebbe sorgere dal fatto che il diritto di cui all’art. 623 c.p. è punibile soltanto a querela della persona offesa. Tuttavia, nel caso in questione, il rinvio all’art. 623 c.p. è operato solamente con riferimento al tipo e alla durata della pena; ne consegue l’inapplicabilità per questo specifico caso, della disposizione in base alla quale il delitto di cui all’art. 623 c.p. è punibile soltanto a querela della parte offesa.

Il mancato rispetto delle misure di sicurezza o di mancata presentazione del rapporto di sicurezza (comma 4 dell’art. 27) comporta l’adozione di provvedimenti amministrativi di diffida, sospensione dell’attività e chiusura totale o parziale dello stabilimento.

È bene osservare immediatamente che non tutti gli obblighi previsti dalla nuova disciplina sono provvisti di sanzione.

In particolare, non è prevista una specifica disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi di carattere generale introdotti dei commi 1 e 2 dell’art. 5.

La mancanza di una specifica sanzione per la violazione dei predetti obblighi non significa peraltro che essi non siano vincolanti né, soprattutto, che la loro eventuale violazione sia irrilevante per l’orientamento.

Infatti, nel caso di accadimento di incidente rilevante, anche la violazione degli obblighi previsti dall’art. 5 può giustificare l’accertamento di una specifica colpa in capo al gestore, con la conseguente impossibilità per il medesimo di fornire la prova liberatoria della propria assenza di responsabilità, prevista dall’art. 2050 c.c..

Da ciò dunque consegue che la mancanza di un’espressa sanzione non esclude la rilevanza della violazione degli obblighi previsti dall’art.5, con riferimento all’accertamento delle responsabilità civili conseguenti all’eventuale verificarsi di un incidente rilevante.

Un problema ricorrente, per molti dei reati previsti dal Dlgs n. 334/99, sarà quello di individuare le conseguenze penali della presentazione di un documento (notifica, rapporto di sicurezza, documento, ecc.) incompleto o inesatto.

A tale riguardo, la giurisprudenza di merito ha già avuto modo di affermare, proprio con riferimento all’obbligo di notifica previsto dall’abrogato D.P.R. n. 175/88, che una notifica incompleta o inesatta può equivalere ad omessa notifica, divenendo così penalmente sanzionabile, solo quando l’incompletezza o inesattezza siano di tale rilievo da non permettere alla Pubblica Amministrazione di adempiere in modo corretto al proprio ruolo di controllo, di vigilanza e di prevenzione.

Il Dlgs 334/99 è un esempio lampante del consolidamento di un indirizzo legislativo che pone al centro dell’attenzione i temi della sicurezza in quanto strettamente collegati alla vita e alla salute dell’uomo. Questo è un buon inizio, però la strada da percorrere per ottenere norme chiare che non diano luogo ad una caotica distribuzione di obblighi e competenze è ancora lunga e tortuosa con riferimento a tale argomento e in generale in materia ambientale.