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Nuovo testo art. 1 legge 443/2001 “Legge Lunardi” come modificato dall’art. 23 della Legge Comunitaria in attesa di pubblicazione in G.U.

In neretto le nuove disposizioni in rosso le parole sostituite
….Omissis…..
17. Il comma 3, lettera b), dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA, sempre che la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.
18. Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 (è verificato) può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.
19. Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, (ivi incluso ) purché sia progettualmente previsto l’utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell’ARPA a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato.
Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione.


Terre e rocce da scavo: novità o precisazioni?

Con l’art. 23 della legge Comunitaria approvata e in attesa di essere pubblicata in G.U., vengono modificate le disposizioni dell’art. 1 della Legge 443/2001 (legge Lunardi) che aveva fornito una interpretazione autentica delle disposizioni del Decreto l.vo 22/97 (decreto Ronchi) inerenti le terre e rocce provenienti da attività di scavo.
La legge faceva seguito ad un tentativo di chiarimento interpretativo contenuto in una Circolare a firma del Capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero dell’Ambiente (n. UL/2000/10103 del 28 luglio 2000) che affrontando il problema delle terre e rocce da scavo, già interpretava la nozione di rifiuto nel senso che le stesse terre e rocce non si possano qualificare rifiuto se inquinate nei limiti del DM 471/1999 per i siti ad uso residenziale destinate, ad esempio, a sottofondi e rilevati stradali, rimodellamenti, usi agricoli (!) riempimenti; per la nota del Ministero il riutilizzo diretto in loco, anche se rifiuti (“a prescindere dalla loro classificazione giuridica”), è sempre possibile, perché “non si determina alcun rischio di trasferimento di inquinanti in altri siti e quindi non sussistono esigenze di controllo a fini di tutela ambientale proprie del regime dei rifiuti”.
In effetti, l’art.8 lettera f-bis) del D.L.vo 22/97 introdotto dalla legge 93/2001, esclude dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti: le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.
Tralasciando il fatto che, in effetti, per un errore sistematico, l’esclusione sarebbe efficace solo in presenza di una specifica disposizione di legge che regoli la materia, mentre il legislatore intendeva escludere tout cour , e che pur dopo l’attenta segnalazione di autorevole dottrina, la norma è sempre rimasta al suo posto 1), nel primo comma dell’articolo, tale esclusione, introdotta per risolvere situazioni specifiche contingenti e localizzate, assurte agli onori della cronaca giudiziaria, aveva, di fatto, liberalizzato tutto il settore edilizio delle escavazioni, intese come sbancamenti e scavi legittimamente effettuati, in relazione al materiale proveniente dallo scavo stesso, che, in mancanza dell’esclusione de quo, era da considerarsi un rifiuto speciale a norma dell’art. 7 comma 3 lett. b) D.L.vo 22/97.
Con l’esclusione, e la sua interpretazione autentica contenuta nei commi 17,18,19 dell’art.1 legge 443/2001, i trasporti di terra e rocce provenienti da scavo sono stati esclusi da tutti gli obblighi, compreso quello del Formulario ex art. 15 D.L.vo 22/97, purché il percorso terminasse in un reinterro, riempimento, rilevato e macinato inteso, anche, come ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente.
Di fatto, come controllare, su strada, l’effettiva destinazione del carico di terre e rocce, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione (in questo caso la composizione media dell'intera massa non deve presentare una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalla normativa sui siti inquinati)?
Un carico di materiale non rifiuto, proveniente da scavo previsto da un progetto poteva (può?) partire verso un luogo ove sarebbe stato ricollocato a norma di un altro progetto (che preveda un reinterro, riempimento, rilevato e macinato). Senza un controllo mirato (pedinamento?) non si poteva (può?) certo contestare le dichiarazioni di intenti di imprese di escavazioni/costruzioni e/o trasportatori.
Alcuni problemi, in effetti, si ponevano per le terre e rocce provenienti dagli scavi effettuati per manutenzione di reti diffuse per l’erogazione di forniture e servizi; infatti, spesso, i materiali sono contaminati da pezzi di manto stradale asfaltato, pezzi di mattoni e cemento o altro, ma il problema era (è?) risolto con l’affermazione che la composizione media dell'intera massa non presenta una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti (valutata sul sito di destinazione dei materiali!). In tal senso si sono registrate anche alcune sentenze della Cassazione 2).
E senza scomodare l’interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nel famoso art. 14 della legge 178/2002!.
Le modifiche contenute nell’art. 23 della Legge Comunitaria che dovrebbe presto essere pubblicata in G.U. si inseriscono in questo quadro giuridico che, del resto, corre sul filo della dichiarazione di infrazione di norme comunitarie 3).
L’inserimento delle parole “solo nel caso in cui” appare dettato dall’esigenza di ribadire che la norma non può essere utilizzata per estendere l’esclusione, come purtroppo in molti casi si è tentato di fare, al punto di considerare esclusi anche i rifiuti provenienti da demolizioni di edifici o altri manufatti, ma è molto interessante leggere tutta la frase che, dopo l’inciso, recita “siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA,…”.
Il concetto è ripreso dal comma 19 che impone per il sito di destinazione, ove si intendano ricollocare i materiali, l’obbligo di autorizzazione (a qualsiasi titolo!) “previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell’ARPA”.
Affinché la ricollocazione sia legittima, e i trasporti in completa esenzione dalla normativa sui rifiuti, quindi, il progetto delle opere che la prevedono dovrà essere sottoposto all’ARPA, se non già sottoposto a VIA.
Si ritiene inoltre, che tale progetto dovrà prevedere il rispetto, relativamente alle terre utilizzate, delle norme UNI 10006 4) .
Poiché non solo di ricollocazione si tratta, ma anche “di destinazione a differenti cicli di produzione industriale” tra i quali “il riempimento delle cave coltivate”, occorre verificare se per essi sia previsto il preventivo parere ARPA, reso in assenza di VIA. Infatti, una interpretazione letterale della norma sembrerebbe porre la ricollocazione stessa come alternativa ai cicli di produzione industriale, per i quali, del resto, la disposizione aggiunta al comma 19, prevede una disciplina di controllo specifica, con documentazione attestante provenienza, quantità e specifica destinazione(!) non prevista per l’ipotesi di ricollocazione.
Invero, la sottoposizione a VIA o a parere ARPA del progetto che prevede l’utilizzo delle terre e rocce da scavo è genericamente prevista nel comma 17 per l’utilizzo, senza distinguere tra ricollocazione o differenti cicli di produzione, mentre il comma 19 fornisce l’interpretazione di “effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati”, che si verificherebbe, anche , con la destinazione ai suddetti cicli produttivi.
A mio avviso l’unica ipotesi di differente ciclo produttivo possibile è quello necessario a produrre “macinati” , che consiste in una trasformazione delle terre e rocce separandole tra loro (anche mediante lavaggi) e producendo materiali di diversa granulometria e caratteristiche.
Per svolgere tale attività, introducendo nel ciclo produttivo terra e rocce provenienti da scavo dovrà essere richiesto, se l’impianto è stato progettato solo per operare su materiali provenienti da cava, il parere ARPA, in assenza di VIA.
Da valutare l’ipotesi di impianto esistente per il quale, nel caso il progetto fosse stato sottoposto a VIA, non era stata prevista la lavorazione delle terre e rocce di scavo (l’integrazione comporta nuova VIA o non è sostanziale?).
Resta da immaginare (!) perché sia stato usato l’avverbio “anche” , come se oltre alla ricollocazione e ai differenti cicli produttivi possano esserci altri effettivi utilizzi che escludano l’applicazione della normativa sui rifiuti. Ma forse si intende aggiungere alle normali accezioni conosciute comunemente dei termini reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, anche quelle di destinazione a differenti cicli di produzione industriale e ricollocazione in altro sito.
Inoltre è bene precisare che, relativamente alla ricollocazione, l’utilizzo di tali materiali deve essere previsto da un progetto e, inoltre, deve essere “effettuata (la ricollocazione) secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato”. Quindi chi intende realizzare le opere in progetto dovrà indicare espressamente che intenderebbe utilizzare terre e rocce provenienti da scavo nel rispetto della normativa che le esclude dal campo dei rifiuti e ottenere il parere dell’ARPA, altrimenti non si potrebbe considerare soddisfatta una delle condizioni di applicazione dell’esclusione stessa. Che , inoltre, non bisogna dimenticare, prevede l’utilizzo tal quale, “senza trasformazioni preliminari”, dei materiali (condizione valida anche per i differenti cicli produttivi).
Un ultimo spunto di riflessione viene dalle disposizioni più inquietanti del combinato disposto della norma interpretativa (art.1 legge 443/2001, modificata dall’art. 23 della legge Comunitaria 2003) e della norma interpretata (art. 8 lettera f-bis del D.L.vo 22/97) nella parte in cui affermano l’esclusione dalla applicazione della normativa sui rifiuti alle terre e rocce da scavo “anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione”, esclusi i “materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti”, “sempre che la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti” “dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore”; valori che possono essere verificati “in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo.”
Disposizioni inquietanti perché un terreno contaminato a seguito delle attività di scavo, perforazione e costruzione (la nota del Ministero non contemplava questa ipotesi), ma non abbastanza per essere “fuorilegge” (i limiti sono quelli il cui superamento nei terreni a destinazione commerciale e industriale comporterebbe l’obbligo di bonifica) può essere collocato in una area molto più “pulita” dal punto di vista della concentrazione di inquinanti, ma destinata ad ospitare opere destinate ad attività industriali o commerciali; e meno male che i limiti scendono quando per l’area di destinazione sono previste destinazioni a verde pubblico, privato e residenziale, ma resta il fatto che terreno inquinato (nei limiti, ma inquinato!) potrebbe essere utilizzato per giardini, orti ecc.
E’ evidente che, dovendo stabilire quando un terreno in un dato luogo è contaminato al punto di dover essere bonificato, un limite che non sia “zero inquinanti” è oggettivamente inevitabile, considerato che l’Italia è un paese altamente antropizzato e industrializzato, ma porre lo stesso limite per valutare se un terreno inquinato possa essere scaricato, a fini di rimodellamenti ambientale, su un suolo che, magari, è a livello di contaminazione “zero inquinanti”, sembra paradossale.
Sul tema è interessante l’opinione di chi afferma, ragionando sui criteri di accettazione dei rifiuti inerti in discarica (contenuti nella decisione del Consiglio U.E. 33/2003/CE poi recepita in Italia con DM 13 marzo 2003), tra i quali sono indicate le terre e rocce di scavo: “Se la UE sostiene che bisogna prestare attenzione perché un eventuale sospetto che si tratti di terre e rocce contaminate già basterebbe per giustificare un respingimento ai cancelli dell'impianto, (di discarica) la Lunardi invece afferma che le terre e rocce di scavo non costituiscono rifiuti anche quando contaminate sempre che la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti, limiti da verificarsi mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. La differenza salta agli occhi. La UE chiede in ogni caso che i rifiuti, prima dell'interramento, siano sottoposti a prove. Nel nostro Paese invece se terre e rocce siano o meno contaminate lo sapremo solo dopo, andando ad esaminare l'intera massa all'interno del sito di destinazione (che non è peraltro una discarica controllata, ma una semplice cava), rendendo così implicitamente ammissibile la pratica della diluizione.” 5)
Con tutti i problemi interpretativi aperti e sicuramente non risolti dal sottoscritto, ma solo semplicemente evidenziati, con quelli che altri sicuramente intravedono, più importanti e con conseguenze più rilevanti, viene da pensare se non sarebbe meglio accettare che le terre e rocce da scavo sono rifiuti, secondo la definizione comunitaria, e cercare di inquadrare il problema sotto il profilo autorizzatorio, magari semplificato (diverso o in aggiunta a quello già previsto dal D.M. 5/2/98 sui rifiuti recuperabili), finalizzato a garantire l’utilizzo di materiali “sani o sanificati”, mi si passi il termine, per la realizzazione di opere, considerando che aver introdotto il parere dell’ARPA genererà, sicuramente, dubbi, confusioni, rallentamenti e contenziosi inutili, soprattutto quando l’obiettivo è garantire la tutela dell’ambiente e della salute, altrimenti indifesi di fronte allo strapotere delle attività dell’uomo.


Note
1) Paola Ficco, Terre di scavo, un errore sistematico della nuova legge le lascia tra i rifiuti, Ambiente e sicurezza, n.12, anno 2001
2) Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale - Sentenza 11 febbraio 2003, n. 291
3) Gianfranco Amendola, Unione Europea e Governo Berlusconi: la normativa sui rifiuti, articolo pubblicato sul sito Diritto all’Ambiente – Il sito internet dello Studio Santoloci, www.dirittoambiente.com
4) Costruzione e manutenzione delle strade – Tecniche di impiego delle terre UNI 10006:2002
5) Michele Frascari, Un po’ di chiarezza sulla definizione di rifiuto inerte, articolo pubblicato sul sito I controlli ambientali,http://digilander.libero.it/nerowolfe/index.html