T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA Sez. I n. 6 del 13 gennaio 2011
Rifiuti. Obblighi di bonifica

La legge pone l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 decreto cit.), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253 decreto cit.).Da tutto il sistema normativo di cui al D.Lgs. n. 152/2006 emerge quindi che l’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e, in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al fondo.

 

 

N. 00006/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00356/2008 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)



ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 356 del 2008, proposto da:
Auta Marocchi Spa, Am Immobiliare Spa, rappresentati e difesi dagli avv. Alessandro Giadrossi, Gilberto Tommasini, con domicilio eletto presso Alessandro Giadrossi Avv. in Trieste, via S. Caterina Da Siena 5;
contro
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Ispesl, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia 3;
Ministero Infrastrutture, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di Trieste, Comune di Muggia, Comune di San Dorligo della Valle, Autorita' Portuale di Trieste, Capitaneria di Porto di Trieste, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) - Friuli Venezia Giulia, Apat, Icram, Enea, Iss - Istituto Superiore di Sanita', Asl 101 - Triestina, C.C.I.A.A. di Trieste ed Ezit, non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
del decreto dd. 6 giugno 2008, emesso dal Direttore Generale del Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare, delle determinazioni della Conferenza dei Servizi decisoria dd. 28.5.2008, delle determinazioni assunta dalla Conferenza di Servizi Istruttoria dd. 4.4.2008 e di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e dell’ Ispesl;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2010 il dott. Oria Settesoldi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


La ricorrente espone di svolgere la propria attività in area in locazione, che ricade nel perimetro del Sito di Interesse Nazionale individuato dal d.m. 24 febbraio 2003, n. 11025, ove si prevede l'effettuazione di "attività di caratterizzazione per accertare le effettive condizioni di inquinamento al fine di pervenire alla individuazione del perimetro definitivo".


Nel mese di marzo 2005 l'Auta Marocchi predisponeva una proposta di piano di caratterizzazione relativo all'area da essa utilizzata avvalendosi di professionisti che esperivano indagini da cui risultava l'assenza di alcuna forma di contaminazione attuale, con la precisazione che non si conoscevano episodi avvenuti in passato, di contaminazione del sito. Venivano definite altresì le indagini necessarie alla verifica dello stato di contaminazione del terreno e delle acque sotterranee rispetto all'area contermine a quella in cui è insediata la Auta Marocchi S.p.a., con la previsione, sotto quest'ultimo aspetto, di installare alcuni tubi piezometrici.


Detto piano di caratterizzazione veniva approvato con prescrizioni dalla conferenza di servizi decisoria, indetta dal Ministero dell'Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, del 27 aprile 2005 e si indicava la necessità di integrarlo con riferimento alla residua area di competenza della ricorrente. Il piano integrativo veniva redatto nel novembre e nell'elaborato veniva descritto l'intervento realizzato dalla Auta Marocchi, consistente nella posa in opera di cinque tubi piezometrici per il controllo delle acque sotterranee, nonché riportati i risultati delle analisi delle acque sotterranee estratte da un unico piezometro (CA9) in quanto i residui quattro erano rimasti asciutti. Veniva riscontrato un modesto superamento dei limiti previsti dall'allegato 1 al d.m. 471 del 1999 con riferimento all'alluminio, all'arsenico e al manganese.


I professionisti affermavano che la modesta contaminazione da metalli pesanti riscontrata nel campione prelevato dal piezometro CA9 era accettabile e non poteva, in ogni caso, essere ricondotta in alcun modo all'attività della Auta Marocchi. Veniva inoltre esclusa la necessità di procedere ad interventi di barrieramento idraulico, attesa l'eccessiva onerosità degli stessi, l'assenza di pericoli di ordine sanitario, la sussistenza di un confinamento fisico dell'area già determinato dall'asfaltatura esistente sull'intera superficie della stessa, rilevando altresì il basso coefficiente di trasmissività idraulica del terreno (in nessuno dei campioni di terreno prelevati era stata infatti riscontrata la presenza dei metalli presenti nel campione di acqua di falda).


Al fine di ottenere la restituzione dell'area agli usi legittimi, venivano proposte alcune misure di sicurezza consistenti in prescrizioni tecniche limitative dell'attività edilizia sul fondo utilizzato dalla Auta Marocchi (pagine 68 - 70).


La conferenza di servizi decisoria del 13 marzo 2006 prendeva atto dei risultati della caratterizzazione dell'area ed approvava il piano integrativo, "a condizione che siano ottemperate tutte le prescrizioni sopra formulate dalla Conferenza di Servizi istruttoria del 19 dicembre 2005, dal Comune di Trieste e da APAT di concerto con la Direzione per la Qualità della Vita" . - Nelle premesse, infatti, veniva specificato come la documentazione relativa alle analisi doveva essere rivista, sulla base di svariate prescrizioni da applicarsi, sia per ciò che atteneva alle verifiche relative ai suoli che a quelle relative alla falda.


Veniva, in ogni caso richiesto alla Auta Marocchi la predisposizione di idonei interventi di messa in sicurezza della falda, alla luce delle evidenze di contaminazione riscontrate nel campione estratto dal piezometro CA9, lasciando all'utilizzatrice dell'area la scelta sulle modalità da adottare e, in particolare la scelta se aderire alla soluzione unitaria o continuare a procedere singolarmente.


Nella conferenza di servizi decisoria del 7 settembre 2006 veniva deliberato di chiedere ad Autamarocchi di adottare idonei interventi di messa in sicurezza della falda contaminata e di richiedere all'ARPA Friuli Venezia Giulia di chiarire se i risultati della caratterizzazione delle acque di falda riportati nell'elaborato redatto nel mese di novembre 2005 potessero ritenersi validati, attesa la riscontrata presenza di alcune discrepanze rispetto a quanto accertato dall'agenzia regionale. La conferenza di servizi, inoltre, richiedeva la trasmissione dei dati relativi alle attività di estrazione dell'acqua dalla falda dai pozzi piezometrici.


Nel mese di luglio 2007 la conferenza di servizi decisoria prendeva atto dei contenuti dello" Studio sui livelli naturali di arsenico baro ferro e manganese" redatto dall'ARPA Friuli Venezia Giulia, nel quale veniva chiarito come le concentrazioni di manganese e ferro riscontrate nelle acque di falda all'interno del perimetro del Sito di Interesse Nazionale di Trieste non avessero origine antropica. Al fine di ottenere conferma di ciò, la conferenza di servizi deliberava di chiedere all’ARPA Friuli Venezia Giulia di effettuare ulteriori prelievi nell'area non antropizzata a monte del Sito di Interesse Nazionale di Trieste.


Nel mese di novembre 2007 il consorzio Copernico S.c.a r.l., su incarico della Auta Marocchi, redigeva una relazione tecnico-descrittiva dei dati riscontrati nel corso dei prelievi dell'acqua di falda effettuati tramite i cinque piezometri, dando atto del fatto che "la precedente caratterizzazione effettuata nel sito, infatti, non permetteva con i dati di un unico piezometro di sviluppare un accurato modello concettuale dell'area". Nell'elaborato si riportavano i risultati dei tre monitoraggi della falda effettuati rispettivamente, nei mesi di giugno, settembre e ottobre 2007, dando atto del superamento della CSC relativamente ai parametri ferro, manganese e boro - tutti non ascrivibili ad origine antropica, come rilevato dall'ARPA - nonché con riferimento al parametro arsenico in un solo piezometro (CA4) e al valore dei solfati, giudicato ascrivibile all'interazione della falda con l'acqua di mare. Si descrivevano altresì le metodologie d'indagine adottate (realizzazione di una pompa a tre stadi per il prelievo d'acqua dai piezometri), facendo rientrare tra queste anche lo spurgo del piezometro CA4, adottato quale intervento di messa in sicurezza, con contestuale monitoraggio delle acque di falda.


In data 1.2.2008 la ricorrente inviava al Ministero dell’Ambiente – direzione qualità della vita una nota integrativa, precisando che il piezometro dove era stata rilevata la presenza di arsenico si trovava sull’area in corrispondenza della zona dei serbatoi interrati di proprietà della ENI Div. R&M spa, che è il soggetto obbligato ad effettuare l’emungimento dei piezometri installati in detta zona e che, a seguito degli interventi di messa in sicurezza operati da ENI, i valori di arsenico nel piezometro CA4 risultavano dimezzati.


Infine, in data 28 maggio 2008, la Conferenza di Servizi decisoria indetta dal Ministero dell’Ambiente, prendeva atto degli esiti delle tre campagne di monitoraggio e recepiva anche le prescrizioni indicate nella conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008, nella quale si era deliberato di richiedere all’utilizzatrice dell’area un ulteriore intervento, qualificato come messa in sicurezza d’emergenza, consistente nell’emungimento dei piezometri con contestuale “dimostrazione dell’efficienza idraulica nonché l’efficacia idrochimica del sistema di sbarramento proposto”.


Seguiva il decreto direttoriale Ministero dell’Ambiente di adozione delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria del 28.5.08.


Il ricorso si rivolge avverso detto atto e le conferenze prodromiche ( decisoria e istruttoria) del 28.5 e 4.8.2008 e deduce i seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 3 l. 241/90, atteso il difetto assoluto di motivazione del decreto del Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare del 6 giugno 2008 – violazione dell’art. 14 ter della l. 241/90 – violazione dell’art. 252 del d.lgs 153/2006 – incompetenza dell’organo che ha emesso il decreto del 6 giugno 2008, attesa la mancanza di un’intesa con il ministero dello sviluppo economico.
La decisione di “considerare definitive tutte le prescrizioni stabilite nel verbale della conferenza di servizi decisoria del 28.5.2008” sarebbe del tutto immotivata mentre la legge richiede una motivazione ad hoc non supplibile per relationem. Sarebbe mancata anche la necessaria intesa con il ministero dello sviluppo economico.
Il profilo di doglianza relativo alla mancata acquisizione del parere del Ministero dello Sviluppo economico è poi stato rinunciato con memoria 14.10.2009.
2) Violazione degli artt. 242, 245 e 252 d.lgs 152/2006 - violazione del principio “ chi inquina paga” applicabile agli interventi di bonifica e altresì di messa in sicurezza d’emergenza - violazione degli artt. 7, 8 e 15 del d.m. 471 del 1999 – eccesso di potere per illogicità manifesta, attesa l’evidente erroneità nella valutazione dei presupposti per ordinare la messa in sicurezza dell’area al proprietario o all’utilizzatore incolpevole dell’inquinamento – eccesso di potere per difetto di istruttoria in punto individuazione del responsabile della contaminazione – violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, atteso il difetto di motivazione sul punto.
Le attività di messa in sicurezza sono state ordinate alla ricorrente senza dar atto di alcun accertamento in ordine alla responsabilità della contaminazione delle acque di falda, in relazione alla quale non sarebbero state effettuate le necessarie verifiche ed alla quale la ricorrente sarebbe necessariamente estranea, non avendo mai realizzato opere o attività suscettibili di interessare il sottosuolo dell’area utilizzata. Non si tratterebbe di atti di urgenza, per i quali è prevista la competenza sindacale ex art. 50 comma 5 d.lgs 267/2000, sicchè questa non può essere invocata per escludere la necessità della previa individuazione del responsabile dell’inquinamento.

3) Violazione degli artt. 242, 245 e 252 nonché dell’allegato 3 alla parte quarta del d.lgs 152/2006 - violazione dell’art. 5 dell’allegato 3 del D.M. 471 del 1999 – Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e illogicità manifesta, attesa l’evidente erroneità nella valutazione dei presupposti per ordinare un intervento di messa in sicurezza operativa dell’area;


L’ordine impartito, comportando la posa in opera di un sistema di sbarramento idraulico che consenta di intercettare tutta l’acqua di falda e di prelevarla per impedirne la propagazione a valle, ancorchè qualificato come messa in sicurezza d’emergenza, sarebbe in realtà un vero e proprio ordine di bonifica o di messa in sicurezza operativa, trattandosi di una misura prevista proprio tra le misure di contenimento da adottarsi nell’ambito degli interventi di messa in sicurezza operativa ai sensi dell’allegato 3 alla parte IV del d.lgs 152/2006.


Non essendo noto il grado di accettabilità della contaminazione riscontrata nelle campagne di monitoraggio del 2007, in assenza di una analisi di rischio sito specifica ai sensi dell’art. 242 c. 11 e c. 4 del d.lgs 152/2006 – che era già in vigore all’epoca in cui si è manifestata la contaminazione , non sussistevano i presupposti per ordinare all’utilizzatore dell’area una misura di contenimento.


Anche in ipotesi di applicazione alla fattispecie del d.m. 471/1999 l’intervento andrebbe classificato come misura di sicurezza e – in quanto previsto come intervento con funzione parzialmente sostitutiva al risanamento – avrebbe richiesto la già previa effettuazione di interventi di bonifica o l’approvazione di un progetto che accertasse l’impossibilità di rispettare i valori di concentrazione limite.


4) Violazione dell’art. 245 del dlgs 152/2006 e dell’art.7 del D.M. 471/99 – eccesso di potere per illogicità manifesta, attesa l’evidente erroneità nella valutazione del presupposto costituito dalla repentinità della contaminazione – eccesso di potere per difetto di istruttoria, attesa la comprovata diminuzione dei valori di contaminazione – violazione del principio del minimo mezzo – eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in punto origine naturale della contaminazione – violazione dell’art.3 della l. 241/90 – eccesso di potere per contraddittorietà con le determinazioni assunte nella conferenza di servizi del 26 luglio 2007;
Ove le attività prescritte venissero qualificate come messa in sicurezza d’emergenza mancherebbe comunque il requisito della repentinità della situazione d’emergenza. Le risultanze dell’iter procedimentale dimostrerebbero, invece, che la contaminazione deriverebbe da fattori pregressi e sarebbe in progressiva diminuzione. Sarebbe stato anche imposto il mezzo più dispendioso senza verifica della sua effettiva necessità.


5) Violazione della l. 241/90 – violazione del principio del contraddittorio procedimentale; per il mancato coinvolgimento nel procedimento del proprietario del terreno, la AM Immobiliare spa.


6) Eccesso di potere per illogicità, attesa la previsione di un termine per ottemperare alle prescrizioni di 10 giorni a decorrere dalla data della conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008 – eccesso di potere per contraddittorietà; perché il termine imposto, oltre ad essere insufficiente per la complessità dell’opera, viene fatto decorrere da una data anteriore a quella del decreto ministeriale impugnato.


Come questo Tribunale ha già avuto diffusamente occasione di precisare con la precedente sentenza n. 837/2009, in linea di principio si ritengono” illegittime quelle determinazioni amministrative che pongono in tutto o in parte a carico del proprietario o del detentore di un fondo i costi e gli oneri, anche procedurali, di bonifica dei suoli o dell’ambiente dai danni derivanti dall’inquinamento; a meno che non venga accertata rigorosamente la responsabilità dei soggetti suindicati, anche in relazione alla specifica attività svolta.”


Pertanto ne deriva che in caso di inquinamento c.d. “diffuso”, ossia in quei casi in cui detto accertamento non sia possibile o risulti oltremodo difficoltoso, la bonifica non può che restare a carico della Pubblica amministrazione ed i relativi vantaggi dei privati proprietari o detentori dei fondi bonificati, in termini di aumento di valore del fondo, potranno costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento.


Infatti, come già chiarito con la sopracitata sentenza, la legge pone l’obbligo di bonifica in capo al responsabile dell’inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare (v. gli artt. 242 e 244 del D.Lgs. n. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica (art. 245 D.Lgs. n. 152/2006); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250 decreto cit.), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253 decreto cit.).


Da tutto il sistema normativo di cui al D.Lgs. n. 152/2006 emerge quindi che l’Amministrazione è tenuta ad accertare la responsabilità dell’inquinamento e, in caso di accertamento infruttuoso, è la stessa Amministrazione che dovrà procedere alla bonifica, per poi operare il recupero delle somme a carico del proprietario del fondo incolpevole, ma salvaguardando in questo caso l’apporto partecipativo di queste ultime, in specie per quanto riguarda le modalità dell’intervento e fermo restando, comunque, che a carico del suddetto proprietario il recupero degli oneri della bonifica potrà avvenire solo nel limite dell’arricchimento di valore che il disinquinamento avrà apportato al fondo.


“Sotto quest’ultimo profilo” – affermava infatti la succitata sentenza – “il diritto dell’amministrazione al recupero delle somme va ricondotto nell’alveo delle azioni di ingiustificato arricchimento, rispetto alle quali la azione in parola si differenzia essenzialmente per l’esistenza di particolari forme di garanzia (onere reale e privilegio speciale immobiliare) che assicurano il recupero dei costi di intervento.”


Il TAR ha chiarito anche che dal D.Lgs. n. 152/2006 ( art. 311, comma 2) si evince che la responsabilità per i danni all’ambiente rientra nel paradigma della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con esclusione di una qualsivoglia forma di responsabilità oggettiva.


E’ quindi evidente che, applicando questi concetti anche al caso di specie, si deve anzitutto ribadire che sul proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione ( e a maggior ragione sull’utilizzatore della stessa non proprietario) non incombe l’obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato, gravato, per l’appunto, da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.


L’imposizione dell’onere reale sui terreni oggetto di intervento di bonifica presuppone, infatti, non solo il pieno coinvolgimento del proprietario incolpevole nel procedimento, ma, prima ancora, che sia stato compiuto ogni possibile sforzo per identificare il responsabile della contaminazione e imporgli l’intervento di ripristino e/o il relativo costo, dando adeguato riscontro motivazionale di tali indagini dell’espletamento e dei risultati di tali indagini.


Infatti in tema di responsabilità da inquinamento vige il principio comunitario, espressamente richiamato dall’art. 239 del D.Lgs. n. 152/2006, secondo cui “chi inquina paga”.


Pertanto si deve concludere che il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica va notificato al proprietario al fine di renderlo edotto del suindicato onere reale (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario (e, anche a maggior ragione, del mero utilizzatore di cui non viene dimostrata e nemmeno minimamente postulata la responsabilità) per l’inquinamento del sito.


Ciò premesso risulta fondata la censura riguardante il mancato accertamento della responsabilità della contaminazione, sotto i profili della mancanza di una apposita istruttoria e di correlati referti motivazionali, in spregio alla normativa surriferita ed all’art. 3 della legge n. 241 del 1990, il cui carattere assorbente esime il Collegio dal prendere in esame le altre censure, che restano assorbite.


Il ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente annullamento:
1) dell’impugnato verbale della conferenza di servizi decisoria del 28.5.2008 e del relativo decreto di approvazione del 6.6.2008 in parte qua, vale a dire nelle parti relative alla società ricorrente;
2) del gravato verbale della conferenza di servizi istruttoria del 4 aprile 2008 in parte qua, vale a dire nelle parti relative alla società ricorrente.


Le spese vanno compensate tra le parti per giusti motivi ad eccezione dell’importo del contributo unificato che va posto a carico del soccombente Ministero.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati nei termini di cui in motivazione.


Condanna il Ministero dell'Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare a rifondere alla parte ricorrente l’importo del contributo unificato nei termini di legge e compensa tra le parti le restanti spese del giudizio.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Saverio Corasaniti, Presidente
Oria Settesoldi, Consigliere, Estensore
Rita De Piero, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/01/2011