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Tribunale Latina sent. n.1147 dep. 13-10-2005
Est. Di Nicola Imp. Donati

Rifiuti - Siero di latte

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto emesso il 18/3/2002 Donati Angelo veniva citato davanti a questo Giudice per rispondere del reato ascrittogli. Il 2/7/2002 e l'8/4/2003 veniva disposta la rinnovazione della notifica ai difensori dell'imputato e il 3/7/2003 veniva dichiarato il legittimo impedimento del Donati per motivi di salute. Solo all'udienza del 3/2/2004, davanti a Giudice persona fisica diversa, veniva dichiarata la contumacia del prevenuto, disposta la riunione al fascicolo n. RG 1919/02 di quello recante il n. RG 2477/02 nonché la rinnovazione del dibattimento. Le parti prestavano il consenso all'utilizzabilità dell'esame testimoniale reso da Mauro Amedeo, Bianco Domenico e Spagnoli Enzo nel processo riunito, si escuteva Del Ferraro Roberto e si acquisivano gli atti depositati dalle parti. All'udienza del 27/4/2004 erano sentiti i testi Di Trapano e Sanna e il 29/6/2004 si concludeva l'istruttoria dibattimentale stante la rinuncia della difesa all'esame del proprio teste. Il 25/1/2005 il difensore dell'imputato dichiarava di aderire all'astensione proclamata dal locale Consiglio dell'Ordine , il 28/6/2005 il PM depositava altri documenti e la difesa una memoria difensiva cosicchè le parti rassegnavano le proprie conclusioni, ma stante la complessità dell'arringa difensiva la stessa veniva iniziata, ma completata solo all'udienza del 19/7/2005 in cui il Giudice, previa ridenominazione dei capi di imputazione, dava lettura del dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La vicenda oggetto del presente processo prende le mosse da due ispezioni del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri, rispettivamente dell'8/9/1999 e del I/9/2000, avvenute presso l'insediamento produttivo NIP spa (ex Arsol), ubicato in Latina Scalo, finalizzato alla produzione di pasta per cani, mangimi e farina di siero e dotato di un impianto di depurazione, del tipo chimico-fisico e biologico, il cui scarico terminale risultava immesso nel corpo idrico ricettore superficiale confluente nel Truglio Bottino/Cupiddu (così i verbali in atti).
Stante la complessità dei fatti e il numero dei capi di imputazione contestati, si ritiene utile distinguere i due periodi di accertamento (1999 e 2000) e ripercorrere il procedimento amministrativo che aveva condotto al rilascio delle autorizzazioni da parte della Provincia di Latina.

Accertamenti del 1999
Si ritiene di potere utilizzare ai fini della decisione quanto emerso, documentalmente,sia dagli accertamenti eseguiti dalle Autorità Sanitarie e Amministrative (personale del settore Ecologia e Ambiente della Provincia di Latina unitamente a quello del PMP dell'Ausl di Latina), sia da quelli compiuti dal Noe dei Carabinieri.

Esiti dell'ispezione dell'8/9/1999
Nel corso del sopralluogo i NOE avevano accertato che la società era dotata di due scarichi: uno per le acque reflue e uno per le acque di raffreddamento e meteoriche , entrambi confluenti, come sopra detto, nel corso d'acqua Truglio Bottino/Cupiddu destinato all'irrigazione e diretto verso il mare.
Nell'occasione gli operanti avevano verificato la presenza di una coltre schiumosa biancastra e di una colorazione marroncina in entrambi i terminali degli scarichi, connotati tipici dello scarico delle acque industriali non depurate (così il verbale di ispezione e la testimonianza del teste Del Ferraro), cosicchè era stato eseguito il campionamento dei reflui (si veda verbale di sopralluogo e prelievo del 7/9/1999 attestante che i reflui, prima di essere scaricati, "non subiscono depurazione").
Durante le menzionate operazioni l'operante ha dichiarato di avere sentito Pretti Luca dare "ordini ad un suo dipendente, identificato in Bagliola Eliseo, di effettuare una non meglio precisata manovra all'interno del quadro comando del depuratore….inerente una…..pompa di sollevamento delle acque di scarico" (così a pag. 6 delle trascrizioni della testimonianza di Del Ferraro, nonchè nella pag. 2 del verbale di ispezione). A seguito di ciò il teste aveva verificato che "il livello della vasca di ingresso del depuratore si era notevolmente abbassato e le acque di raffreddamento allo scarico si erano chiarificate" (pag. 2 del verbale di ispezione).
Esiti prelievi dell'Ausl
E' significativo riportare anche quanto accertato dall'Ausl di Latina a seguito dei prelievi di acqua in superficie sul Fosso Truglio Bottino, prima e dopo l'accertamento dei NOE:
- in data 27/8/1999, risultavano le seguenti conclusioni: "I parametri esaminati evidenziano la presenza di forme elevate di inquinamento";
- in data 30/8/1999, emergeva che i parametri BOD, COD, NHT4, P Cot e sostanze solide in sospensione erano "eccedenti i limiti di cui alla tabella A allegata alla L. 319/1976";
- in data 10/9/1999 (due giorni dopo il sopralluogo dei NOE), risultavano "elevati valori COD, BOD e NH+4 che denotano significativo inquinamento del corso d'acqua".

A seguito degli accertamenti compiuti la Procura della Repubblica di Latina aveva disposto il sequestro preventivo della ditta, ritualmente convalidato dal GIP. Con verbale del 15/11/1999 la NIP era stata intimata a disattivare tutti gli impianti compreso quello per la depurazione delle acque reflue di scarico.
Successivamente il PM aveva nominato un CT per eseguire un accertamento tecnico sull'impianto di depurazione disattivato e ne era risultato:
- un sistema di by-pass, regolabile con saracinesca di mandata e chiusino sigillabile, tale da far confluire le acque derivanti dal ciclo produttivo nello scarico destinato alle acque chiare (nel progetto originario questo dispositivo non c'era);
- il pozzetto fiscale del nuovo depuratore, che prevedeva un riciclo delle acque, era ostruito e non funzionante con spandimento conseguente di fanghi e acque sul terreno circostante;
- presenza di inerti, per coprire le fuoriuscite di materiale organico, che si erano trasformati in materiale putrescente con emissione di odori sgradevoli.
In data 23/11/1999 era stato revocato il sequestro preventivo e restituito alla NIP l'impianto, con imposizione di precise prescrizioni volte a scongiurare la prosecuzione del reato ambientale, prescrizioni risultate rispettate.

Autorizzazioni
Acque
La ditta, all'epoca dell'intervento dei Carabinieri, risultava essere in possesso dell'autorizzazione allo scarico delle acque reflue n. 10480 del 30/3/1998 rilasciata dalla Provincia di Latina sia per lo scarico delle acque industriali nel corpo idrico superficiale confluente nel Truglio-Bottino, sia per lo scarico delle acque meteoriche e di raffreddamento tramite fognature separate.
Emissioni in atmosfera
La NIP aveva presentato domanda per la continuazione delle emissioni in atmosfera ex art. 12 DPR203/1988, unitamente alle analisi, ma la Provincia non aveva rilasciato l'autorizzazione anche in ragione della mancata redazione del progetto di adeguamento dell'impianto.


Accertamenti del 2000
A seguito di segnalazioni della popolazione di Latina Scalo di odori nauseabondi provenienti dalla NIP, oltre che constatata direttamente la fuoriuscita, dalla parte retrostante dello stabilimento, di una nuvola bianca, nell'agosto del 2000 venivano nuovamente eseguiti degli accertamenti da parte dei Carabinieri del NOE, dei Carabinieri della Stazione di Latina Scalo e dei tecnici dell'Arpa Lazio, sede di Latina che si concludevano con il verbale di sopralluogo e prelievo del I/9/2000. I risultati accertavano un "colore fortemente opalescente" delle acque di scarico nonché un significativo superamento dei limiti fissati per legge di azoto e fosforo (si veda il referto delle analisi prot. 4374 e la testimonianza del teste Spagnoli).
In particolare, il Maresciallo Capo Mauro Amedeo, che abitava nella caserma dei Carabinieri a cento metri dallo stabilimento, ha dichiarato che "la sera non si respirava" e che durante il sopralluogo, cui aveva partecipato, l'acqua che usciva dallo scarico e si immetteva nel canale aveva un colore giallognolo ed emanava "una puzza non indifferente". Il Maresciallo Capo dei Noe, Bianco Domenico, ha confermato che "al momento dell'accesso c'era un odore persistente, un odore nauseabondo su tutta l'area e principalmente nell'area di pertinenza del depuratore…. Il colore giallognolo, l'acqua non era chiara ed anche nel punto di immissione dello scarico nel canale …l'acqua si presentava della stessa colorazione" (pag.19 della trascrizione della deposizione). A distanza di un mese da quel sopralluogo la situazione era rimasta la stessa.
Il consulente tecnico del PM, Dott. Spagnoli, ha sostenuto che il cattivo odore e la nube bianca erano presumibilmente causati da uno schok termico nell'impianto di depurazione, a propria volta generato da una maggiore produzione di scarichi, come solitamente avviene nel periodo di agosto per una ditta, come la NIP, che lavora il siero del latte.

La violazione degli artt. 27,28 e 51 comma 1 del D.lgs 22/97: il siero
La NIP spa produce alimenti per uso zootecnico la cui linea produttiva è articolata su 4 distinte linee alle quali corrispondono altrettanti prodotti finiti tra i quali, per quello che in questa sede interessa, la produzione di polvere di siero di latte, ingrediente per mangimi.
Il siero di latte magro è un prodotto acquistato dalla NIP dai Caseifici pontini, la cui lavorazione impone un sistema complesso, costituito dalla polverizzazione del contenuto liquido, che dà luogo sia a continue emissioni in atmosfera, sia a scarichi di portata inquinante elevata.
In relazione a detta attività produttiva la NIP, per sua stessa ammissione, non ha mai ottenuto l'autorizzazione regionale per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.

Accertamento dei fatti contestati
Sulla base delle risultanze di fatto emerse in dibattimento, sopra sinteticamente riportate, puo' concludersi che per i capi 2) - scarichi di acque reflue eccedenti i limiti fissati dalla tabella 3 all. 5 del D. Lgs. 152/1999 - ; 3) - omesso deposito del progetto di adeguamento delle emissioni in atmosfera unitamente alla domanda e 6) - alterazione del corso d'acqua per l'avvenuto scarico sub 2) - deve essere dichiarata la prescrizione in quanto, nonostante la sospensione dei termini prescrizionali per 12 mesi, le contravvenzioni, commesse il 7/9/1999, hanno maturato il termine massimo previsto dagli artt. 157 e 159 u.c. Cp.

In relazione ai reati di danneggiamento (capi 1 e 5) e di getto pericoloso di cose (capo 4) gli elementi di fatto, provati dalle dichiarazioni testimoniali sopra riportate, dai documenti, dai sopralluoghi, oltre che dalle fotografie sullo stato dei luoghi, impongono la declaratoria di responsabilità del Donati nella sua qualità di legale rappresentante della Società NIP spa.
Invero, perché possa dirsi integrato il delitto di danneggiamento ambientale di cui all'art. 635, 2º comma, nn. 3 e 4 c.p., è sufficiente il deterioramento delle acque pubbliche e, come nel caso di specie, di impianti destinati all'irrigazione. Infatti, come riferito dagli operanti, gli scarichi non depurati della NIP confluivano nel corso d'acqua Truglio Bottino/Cupiddu, destinato all'irrigazione e diretto verso il mare, ne modificavano il colore e ne danneggiavano l'equilibrio biologico, attraverso una forma grave di inquinamento che ha inevitabilmente provocato profondi riflessi dannosi su tutte le componenti dell'ecosistema, per la presenza di ingenti quantitativi di sostanze tossiche (P. Verbania, 12-05-1999). La coscienza e la volontà di detta situazione erano ben presenti nell'amministratore Donati in considerazione del sistema di by-pass sopra descritto, dimostrativo della inefficienza ed insufficienza dell'impianto di depurazione originario; della fuoriuscita evidente e continua di liquami; del tipo di lavorazione seguita e delle sostanze utilizzate o sprigionate; delle reiterate diffide dell'Amministrazione a predisporre misure idonee a contenere gli sversamenti e a rendere adeguato il depuratore.
Circa il problema dell'abrogazione della fattispecie penale accertata si ritiene, come la giurisprudenza costante, che in materia di inquinamento di acque, i reati contravvenzionali previsti dalla l. 319/76 e succ. mod. concorrano con essa perché l'art. 635 cpv. cp prescinde dal carattere specifico della Legge Merli e può essere integrata autonomamente in quanto ha una diversa oggettività giuridica (inviolabilità del patrimonio). In nessun caso, inoltre, potrebbe escludersi l'applicabilità dell'ipotesi di danneggiamento aggravato per il solo fatto che il titolare dello scarico continui ad inquinare, pur essendo in regola con gli obblighi autorizzatori, in quanto l'atto amministrativo non potrebbe giammai esonerare il suo destinatario dall'osservanza di precetti più generali imposti da una norma penale; infatti, rilevato che i reati previsti dalla legge Merli sono per lo più contravvenzioni di tipo formale con evento di pericolo in cui il dato penalmente rilevante è costituito da una mera inosservanza dell'obbligo di presentare la domanda di autorizzazione per gli scarichi o dall'osservare i parametri delle tabelle allegate e non anche dall'effettivo deterioramento prodotto sulle acque, si osserva che il delitto di cui all'art. 635 c.p. è, invece, un reato con evento di danno (il deterioramento del bene immobile altrui pubblico o privato) che può essere prodotto da una condotta a forma libera, e quindi integrabile anche dallo sversamento di rifiuti da insediamenti civili o produttivi, lo stesso comportamento cioè soggetto alla formalità amministrativa di cui alla l. 319/76 (P. Terni, 21-09-1989).
Altrettanto provato è il reato previsto dall'art. 674 cp, consistito nell'immissione nell'atmosfera di polveri degli impianti dello stabilimento industriale di Latina Scalo, mediante una nube maleodorante notturna e quotidiana, capace di creare gravissimo disagio alla popolazione locale e turbandone fortemente lo stile di vita (Cass. 4/7/1986, Di Leo).
Anche in questo caso l'elemento psicologico è dimostrato dalla mancata predisposizione di misure idonee ad arginare un periodo di sovraccarico di lavoro come quello estivo che avrebbe inevitabilmente condotto, una struttura vetusta come quella della NIP, a non sopportare adeguatamente lo smaltimento del siero del latte, con l'assunzione del rischio di qualsiasi conseguenza. Bisogna a questo riguardo aggiungere anche la circostanza che lo stabilimento fosse stato, solo un anno prima della fuoriuscita della nube inquinante, sottoposto a sequestro per inadeguatezza dell'impianto di depurazione e, come contestato al capo c) (prescritto), il suo amministratore non avesse predisposto il progetto di adeguamento delle emissioni in atmosfera.

Specifica e approfondita disamina meritano le contravvenzioni contestate ai capi 7) e 8) in considerazioni dei complessi problemi interpretativi che pongono.

Il superamento dei limiti tabellari ovvero l'omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento
Dall'istruttoria espletata è risultato che gli sversamenti della NIP, avvenuti dopo l'entrata in vigore del d.lgvo. 258/2000, modificativo del d. lgvo 152/99, avevano ampiamente superato i limiti previsti dalla tabella 3 dell'allegato 5 limitatamente alle seguenti sostanze: BOD, fosforo totale e azoto nitroso.
L'approfondita e puntuale memoria difensiva della difesa, come ulteriormente supportata nell'arringa difensiva e nelle repliche, è stata tesa a dimostrare la natura esclusivamente amministrativa dell'illecito contestato.
E', innanzitutto, necessario inquadrare la fattispecie, poiché sono la sua formulazione e il suo tenore letterale a comportare equivoci interpretativi: Art.59 comma 5 "Chiunque, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali, supera i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5 ovvero i limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente a norma degli artt. 33, comma 1, in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, è punito con l'arresto fino a due anni e con l'ammenda da euro 2.582 a euro 25.822. Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da euro 5.164 a euro 103.291".
La contestazione del Pm, di cui al capo 7) dell'imputazione, compie un rinvio all'art. 62 comma 12 della stessa legge che per semplificare si riporta:
"Coloro che effettuano scarichi esistenti di acque reflue, sono obbligati, fino al momento nel quale devono osservare i limiti di accettabilità stabiliti dal presente decreto, ad adottare le misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento. Essi sono comunque tenuti ad osservare le norme, le prescrizioni e i valori-limite stabiliti, secondo i casi, dalle normative regionali ovvero dall'autorità competente ai sensi dell'art. 33 vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, in quanto compatibili con le disposizioni relative alla tutela qualitativa e alle scadenze temporali del presente decreto e, in particolare, con quanto già previsto dalla normativa previgente. Sono fatte salve in ogni caso le disposizioni più favorevoli introdotte dal presente decreto."
In sostanza ciò che viene contestato al Donati non è tanto il superamento dei limiti tabellari, come ritenuto dal difensore, quanto l'omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell'inquinamento, costituente un obbligo cui soggiacciono i titolari degli scarichi esistenti, ancorché autorizzati, durante il regime transitorio (Cass., sez. un., 19 dicembre 2001, Turina).
L'oggetto dell'incriminazione penale del reato previsto dalla norma transitoria non è, quindi, lo "scaricare" ma una condotta omissiva consistente nella mancata adozione delle misure necessarie ad evitare l'aumento anche temporaneo dell'inquinamento e, quindi, anche l'imposizione di una condotta positiva consistente nel predisporre gli accorgimenti atti ad evitare l'aumento dell'inquinamento (Cass. 17 dicembre 1982, Bertolino).
La norma, quindi, appare chiaramente come limitativa - e specificatrice - dell'ambito di punibilità indistinta della pura e semplice condotta di scarico (oltre i limiti tabellari precedenti) ed implica che la condotta di "aumento dello scarico" può, a stretto rigore, realizzarsi anche restando nei (o al di sotto dei) limiti di tollerabilità di cui alla l. 319/76. La materialità della condotta consiste, in definitiva, nell'omissione dolosa o colposa di un'attività di prevenzione che deve consistere nell'adozione di misure necessarie ad evitare che si verifichi l'aumento del grado di inquinamento che è, poi, l'evento tipico del reato de quo (CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza, 19-12-2001).
L'aumento è, a sua volta, un concetto per definizione relativo e, pertanto, presuppone il raffronto di due dati che, secondo il chiaro tenore letterale della norma, non sono normativi ma quantitativi e qualitativi e, comunque, di fatto, riferiti allo scarico con la prescrizione che il dato fisico-chimico preesistente all'entrata in vigore del d.leg. 152/99 non può essere alterato in peius.
La giurisprudenza precedente - formatasi sull'art. 25 l. 319/76 - è assolutamente pacifica nel ritenere che, per stabilire la sussistenza dell'aumento, non sia sufficiente accertare il grado ma occorra accertare l'andamento del fenomeno inquinamento (Cass. 3 maggio 1985, Cecchetti) secondo un prius ed un posterius, prendendo in esame un fattore iniziale e preesistente e confrontandolo con un fattore finale o attuale e, cioè, paragonando due dati temporalmente distinti (ex plurimis, Cass. 3 maggio 1985, Cecchetti, cit.; 16 novembre 1988, Zadra).
Il primo dato da comparare può risultare da qualsiasi elemento (una precedente misurazione, i limiti indicati dalla stessa parte nelle richiesta di autorizzazione allo scarico, ecc.) e l'aumento potrà anche essere desunto da fatti significativi.
Il reato di aumento, inoltre, sempre secondo la vasta e prevalente elaborazione giurisprudenziale precedente, integra un'ipotesi autonoma di reato (Cass. 1° ottobre 1984, Gandolfo; 29 settembre 1986, Lenzi) che ha natura omissiva permanente (Cass. 30 aprile 1987, Baruchello), e la cui permanenza dovrebbe necessariamente cessare con lo spirare del periodo transitorio, tornando successivamente applicabile il regime normale (Cass. 24 settembre 1987, Marino).
Il reato, inoltre, è considerato di pericolo poiché esso prescinde da qualsiasi valutazione della situazione dei corpi recettori ed è basato sul semplice presupposto che possa essere compromessa la situazione preesistente di essi (Cass. 25 marzo 1982, Buti).
In definitiva, la norma assume ad oggetto della sanzione un divieto generalizzato di aumento dell'inquinamento senza alcun riferimento a limiti e/o parametri e, comunque, vigendo la l. n. 319 (come, del resto, per l'attuale), lo scarico (esistente autorizzato) doveva essere entro (e non necessariamente fino ai) limiti della legge.
E, infatti, poiché lo scarico esistente non autorizzato deve rispettare immediatamente i limiti del d.leg. n. 152 (non potendosi ad esso applicare la disciplina transitoria) e siccome il titolare dello scarico esistente autorizzato deve adeguarsi ai nuovi limiti tabellari nel termine di tre anni, questi potrebbe, nel frattempo, aumentare l'entità dello scarico, fino a raggiungere e superare (eccetto per le sostanze pericolose mai depenalizzate perché previste da entrambe le leggi) addirittura i limiti di accettabilità della nuova legge (CORTE DI CASSAZIONE; sezioni unite penali; sentenza, 19-12-2001).
Nel caso di specie, a dimostrazione della sussistenza della responsabilità penale dell'imputato per il reato ascrittogli e punito dall'art. 59 comma 2 , non solo vi sono le analisi di laboratorio che hanno accertato il superamento dei limiti tabellari, ma vi è anche il dato di un significativo aumento della produzione nel periodo considerato, la mancata corretta manutenzione degli impianti di depurazione esistenti come evidenziato dal guasto del sistema evidenziato dalla fuoriuscita della nube bianca e maleodorante(Cass., sez. III, 05-12-2003; Cass.,sez. III penale; sentenza, 10-07-2000).

Il siero del latte: un rifiuto
In termini fattuali è emerso che la NIP di Donati acquistava dai caseifici della zona il siero del latte per produrre mangimi e ingredienti per mangimi.
La questione è dunque se il siero vada qualificato "rifiuto", come tale sottoposto al D. L.vo 22/97 e necessitante, per la sua lavorazione dell'autorizzazione regionale.
La tesi della difesa era volta a dimostrare la natura di sottoprodotto del siero del latte perché destinato ad ulteriore trasformazione in prodotto, sia alimentare che non (così pag. 7 della memoria), e perché non ricompresso tra le sottovoci della categoria "dei rifiuti dell'industria casearia", oltre che nella definzione fornita dall'art. 6 del citato D. Lvo.
Deve a questo proposito rilevarsi che, essendo il d.lgs. n. 22 del 1997 (e segnatamente il suo art. 6, di cui il l' art. 14 del d.l. 8 luglio 2002 n. 138, conv. in legge 8 agosto 2002 n. 178 si presenta come norma di interpretazione autentica) disposizione di attuazione della normativa comunitaria in materia (la direttiva del Consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee, nonché dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996 n. 96/350/Ce), esso va interpretato in sintonia con tale
normativa, fermo restando - come ha ricordato da ultimo la Corte di giustizia nella pronuncia infra ulteriormente richiamata (sez. II, 11 novembre 2004, C-457/02) - che "una direttiva non può certamente creare, di per sé, obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso"; ed "analogamente, una direttiva non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una norma giuridica di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni".
Giova allora considerare in generale che, al pari dell'interpretazione costituzionalmente orientata, volta a privilegiare la lettura della disposizione che non si ponga in contrasto con parametri costituzionali, sussiste simmetricamente un'esigenza di interpretare la normativa nazionale in termini tali che essa non risulti in contrasto con la normativa comunitaria. Ha in particolare affermato la Corte costituzionale (sent. n. 190 del 2000) che "[...] - come l'interpretazione conforme a Costituzione deve essere privilegiata per evitare il vizio di incostituzionalità della norma interpretata - analogamente l'interpretazione non contrastante con le norme comunitarie vincolanti per l'ordinamento interno deve essere preferita, dovendosi evitare che lo Stato italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi comunitari."
Questa esigenza di interpretazione orientata si pone poi maggiormente allorché la stessa Corte di giustizia abbia già valutato la conformità del diritto nazionale a quello comunitario.
In particolare nella fattispecie rileva la recente pronuncia della Corte di giustizia (sez. Il, 11 novembre 2004, C-457/02, cit.) che è stata investita proprio della questione di compatibilita del cit. art. 14 con la normativa comunitaria di riferimento. Orbene quanto al secondo comma dell'art. 14, nella parte in cui, individuando un'area di deroga dalla sanzionabilità penale, si riferisce ai residui di produzione (id est: ai "beni o sostanze e materiali residuali di produzione"), deve considerarsi che la Corte di giustizia ha statuito (nel dispositivo) che "La nozione di rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett, a), 1° comma, della direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156 e dalla decisione 96/350, non dev'essere interpretata nel senso che essa escluderebbe l'insieme dei residui di produzione o di consumo che possono essere o sono riutilizzati in un ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all'ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un'operazione di recupero ai sensi dell'allegato II B di tale direttiva.". Ed ha chiarito (in motivazione) che un'operazione di ritaglio della nozione di "rifiuto", della quale è pur sempre necessaria comunque un'interpretazione estensiva in ragione dei principi di precauzione e prevenzione espressi dalla normativa comunitaria in materia, è possibile solo nei limiti in cui sia sottratta alla relativa disciplina ciò che risulti essere un mero "sottoprodotto", del quale l'impresa non abbia intenzione di disfarsi, non esclusione dei residui di consumo..
Quindi occorre essenzialmente distinguere tra "residuo di produzione", che è un rifiuto, pur suscettibile di eventuale utilizzazione previa trasformazione, e "sottoprodotto", che invece non lo è, fermo restando - come già in passato affermato dalla stessa Corte di giustizia (sez. VI, 25 giugno 1997, C-304/94, 330/94, 342/94 e 224/95) - che la nozione di rifiuti, ai sensi degli art. 1 della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Ed a tal fine - precisa la Corte di giustizia nella più recente citata decisione - intanto è ravvisabile un "sottoprodotto" in quanto il
riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma "certo, senza previa trasformazione, ed avvenga nel corso del processo di produzione". Al presupposto della mancanza di pregiudizio per l'ambiente - comunque espressamente richiesto dalla lett, a) del secondo comma dell'art. 14 cit., ma implicitamente sotteso, per una necessaria interpretazione sistematica e complessiva della disposizione, anche nell'ipotesi della lett, b) del medesimo comma - si aggiunge una tipizzazione del materiale di risulta di un processo di produzione, tale da renderlo riconoscibile ex se come "sottoprodotto". Ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente ed immediatamente utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragion d'essere; la quale invece trova piena applicazione in tutti i casi di materiale di risulta che possa essere sì utilizzabile, ma solo eventualmente ovvero "previa trasformazione"; ciò che, proprio in ragione del principio di precauzione e prevenzione richiamato dalla Corte di giustizia, comporta l'applicazione della disciplina di controllo dei rifiuti. Già in precedenza la Corte di Giustizia (sez. VI, 18 aprile 2002, n. C-9/00) aveva affermato che non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni sullo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti. Tuttavia - ha precisato la Corte - occorre interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, e quindi occorre circoscrivere la fattispecie esclusa, relativa ai "sottoprodotti", alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia "solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione".
Ed allora - questo essendo lo stato della giurisprudenza comunitaria sulla questione - si ha che anche per la normativa nazionale deve accedersi, quanto all'ipotesi dei residui di produzione, ad un'interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla normativa comunitaria, disattendendosi all'opposto una (pur plausibile) interpretazione estensiva di "beni o sostanze e materiali residuali di produzione", quale rifiuto solo eventualmente
riutilizzabile previa trasformazione, perché una tale lettura dell'alt. 14 cit. comporterebbe un contrasto con la normativa comunitaria, chiaramente evidenziato dalla più recente, e sopra citata, pronuncia della Corte di giustizia. Ed è questa, in conclusione, la nozione restrittiva di residuo di produzione equiparato a "sottoprodotto" che - in contrapposizione a quella di residuo di produzione che rimane rifiuto - emerge dall'interpretazione del secondo comma dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla disciplina comunitaria, e che integra la fattispecie derogatoria prevista da tale disposizione.
(Cass. Sez. III, 20499/05).
In conclusione: un residuo di produzione può essere escluso dalla disciplina dei rifiuti solo se coincide con il <>, solo, cioè, se trattasi di situazioni in cui il riutilizzo del residuo sia certo, senza trasformazione preliminare e nel medesimo processo di produzione (sentenza Palin Granit del 2002; sentenza Niselli del 2004), nonché, ovviamente, senza creare pregiudizio per l'ambiente. Infatti ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente ed immediatamente utilizzato come materia prima secondaria in un processo produttivo si sottrae alla disciplina dei rifiuti, che non avrebbe ragione d'essere.
Il siero che residuava all'esito della lavorazione del latte della NIP costituiva, dunque, rifiuto ai sensi degli artt. 6 e 7 D.lvo 22/97 e, in particolare, secondo l'allegato A) del D.lvo 22/97 (CER, voci Q1 - 016), cosicchè sono da considerarsi rifiuti le sostanze e la materia costituenti residui derivanti dal processo di lavorazione e trasformazione del prodotto (nella specie il latte); per il cui commercio occorrevano i prescritti titoli abilitativi ai sensi degli artt. 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33 D.lvo 22/97, con obbligo sia per i venditori che per l'acquirente di ottemperare agli adempimenti prescritti dalla normativa (Cass. Sez. 3, Sentenza n.33205 del 2004).
Stabilita, dunque, l'applicabilità della disciplina sui rifiuti, si deve però ritenere che il Donati vada assolto dal reato contestatogli in considerazione del comportamento errato assunto dall'Assessorato all'Ambiente della Regione Lazio che nella missiva, diretta alla NIP il 3/7/2001, aveva escluso la necessità del rilascio di alcuna autorizzazione alla Società "ai sensi della vigente normativa in materia di rifiuti". In sostanza, come correttamente assunto dalla difesa, si ritiene, in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 364/1988 circa l'interpretazione dell'art. 5 cp, che le indicazioni fuorvianti dell'Autorità competente abbiano precluso al Donati la corretta comprensione della condotta da adottare nel caso concreto tanto addirittura da escludere che vi si potesse conformare. Da ciò consegue l'assoluzione dell'imputato per il capo 8) perché il fatto non costituisce reato.

Sanzioni penali
L'accertamento di responsabilità del prevenuto concerne, in conclusione, i reati ascritti ai capi 1), 4),5) e 7) dell'imputazione e considerato più grave quello di danneggiamento aggravato, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti in ragione dell'incensuratezza del Donati, e ritenuta la continuazione in ragione della medesimezza del disegno criminoso che ha sostenuto la condotta protrattasi nel tempo e della volontarietà delle contravvenzioni, visti gli artt. 133 e 133 bis, con particolare riguardo alla gravità del fatto e al danno ambientale arrecato come sopra descritto, oltre che al tentativo di dimostrare l'ottemperanza agli ordini impartiti dalla consulenza della Procura della repubblica, salvo subito dopo violarli nuovamente,si stima equo irrogare la pena di un anno di reclusione (pb sull'art. 635 comma 1, previa concessione dell'art. 62 bis cp: nove mesi di reclusione + un mese di reclusione per gli altri tre reati contestati, restando in tale aumento sostituite le pene, anche di specie diversa, originariamente previste per i reati singoli, meno gravi - così Cass., sez. I, 23-05-1995 -), oltre al pagamento delle spese processuali.
Data l'incensuratezza del Donati, il beneficio della sospensione condizionale della pena viene subordinato alla eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli e dannose del reato che, nel caso di specie, ai sensi dell'art. 60 D. Lvo. 152/1999 e degli artt. 163 e 165 cp, puo' consistere soltanto nella messa in sicurezza, bonifica e ripristino dell'area danneggiata e inquinata a spese del condannato.
La gravità degli sversamenti, oltre che la protrazione dell'esercizio dell'attività produttiva, impone una rapida esecuzione del citato obbligo bonificatorio, da compiersi entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della presente sentenza.
Circa la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale alle condizioni fissate, si segnala, in via generale, una tendenza legislativa in materia di tutela dell'ambiente volta ad assicurarne la effettività con "sanzioni" diverse da quelle penali tipiche(es: la demolizione dei manufatti abusivi, ex art. 7, u. c. legge 47/85; il ripristino della situazione dei luoghi paesaggisticamente protetti ex art. 1 sexies legge 341/85; la confisca dei terreni abusivamente lottizzati ex art. 19 legge 47/85; la confisca dell'area oggetto di discarica abusiva ex art. 51, 3 comma D.lg.vo 22/97; la bonifica dei siti inquinati da rifiuti ex art. 51 bis D.lg.vo 22/47;
il danno ambientale, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti da acque inquinate ex art. 58 D.lg.vo 152/99).
Nella sostanza il legislatore oltre a prevedere la figura giuridica del danno ambientale ex art. 18 legge 349/86, appresta una serie di misure riparatorie a danno avvenuto, collegate ad ipotesi di reato (Cass. Sez. 3^, n. 9924 del 12-3-2001, Di Francesco, rv. 218710; Conf. 199811315 e 212412).
In materia di tutela delle acque dall'inquinamento, ancor prima della previsione favorevole esplicita contenuta nell'art. 60 D.lg.vo 152/99, la giurisprudenza della Corte di legittimità aveva ammesso che il giudice potesse subordinare la sospensione della pena a determinati adempimenti (es. l'adozione di un depuratore Cass. Sez. 3^ 19-7-1991,n.7704,Lo Turco). Analogamente in tema di rifiuti, la Corte di Cassazione aveva affermato che la sospensione condizionale della pena potesse essere subordinata all'adempimento di obblighi diversi da quelli specificamente indicati nell'art. 165 c.p., che richiedono un intervento di tipo riparatorio, volto pur sempre alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato (nel caso, lo sgombero di rottami di ferro da un'area nella quale erano stati abbandonati: Cass. Sez. 1^, 11489 del 23-10-1986, rv. 174060).
Infine, con la sentenza Sez. 3^, 21-2-1984, Maugeri la Cassazione considerava la subordinazione del beneficio della sospensione della pena all'esatto adempimento degli obblighi contenuti nella sentenza, un istituto di ordine generale, applicabile in forza dell'art. 128 legge 689/81 a tutta la materia ambientale, oltre i casi espressamente previsti.
La ragione giuridica di fondo è che il danno ambientale è divenuto una categoria giuridica generale ex art. 18 legge 349/86, sicché le applicazioni puntuali espressamente previste, non escludono l'operatività del principio nel sistema legale ambientale. Una riprova sta nell'art. 58 D.lg.vo 152/99 nel senso che è fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno ambientale non eliminabile con la bonifica ed il ripristino.
L'inciso contenuto nell'art.165 cod. pen."salvo che la legge disponga altrimenti" va inteso nel senso che non vi sia un divieto esplicito o implicito della legge: il giudice tuttavia non potrà indicare modalità di adempimento diverse da quelle tipizzate dal legislatore ove previste. Negli altri casi potrà adeguare l'adempimento alla natura del reato e delle sue conseguenze (Così Cass. Sez. III, Sentenza n.48061 del 2004). Infine, l'obbligo rispristinatorio deriva dall'art. 30 commi 3,7 e 8 della L. 394/1991.

Comportamenti assunti dalla Pubblica Amministrazione e trasmissione atti al PM
Sono due i comportamenti errati assunti dalla Pubblica Amministrazione che meritano la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica in sede, per quanto eventualmente di competenza:
a)Provincia di Latina
A seguito dei fatti accertati, la Provincia di Latina l'11/9/2000 sospendeva l'autorizzazione allo scarico delle acque reflue generate dalla NIP, salvo revocarlo a distanza di pochi giorni, ovverosia il 23/9/2000 - in forza di una perizia giurata redatta dall'Ing. Broglia, su incarico della stessa NIP - richiedendo all'ARPA Lazio di eseguire i necessari controlli per verificare quanto dichiarato nella relazione di parte.
L'organo tecnico procedeva a quanto richiesto dalla Provincia solo il 26/10/2000, cioè quando era stato a ciò sollecitato dalla stessa NIP e l'impianto, sequestrato dalla Procura della Repubblica, era stato disattivato.
Ovviamente il risultato del campionamento dimostrava il rispetto dei limiti di legge.

b) Regione Lazio
Come sopra riportato, l'Assessorato all'Ambiente della Regione Lazio, a seguito di istanza della NIP, diretta ad ottenere l'autorizzazione per l'attività di trattamento del siero del latte, aveva richiesto al Ministero competente un parere circa la qualità o meno di rifiuto di detta sostanza.
La risposta al quesito era stata piuttosto articolata ed aveva concluso che, per escludere la natura di rifiuto, fosse necessario verificare se il produttore dello scarto avesse modificato o impostato il ciclo di produzione in modo da ottenere un siero con "caratteristiche specifiche, qualitative e quantitative, predeterminate …e che il suo sistema produttivo è stato organizzato in modo che il siero venga destinato direttamente ad un ciclo di produzione di mangime, con la cadenza e la regolarità proprie dell'esigenza di quest'ultimo ciclo….Correlativamente, ove il produttore non dia dimostrazione circa la predeterminazione delle caratteristiche del siero del latte e riguardo alla sua diretta, effettiva ed oggettiva destinazione alla produzione dei mangimi, il residuo di produzione in questione dovrà essere sottoposto al regime giuridico e amministrativo dei rifiuti…sotto tale profilo a nulla rileva che il siero del latte finisca, poi, per essere comunque utilizzato per la produzione di mangimi".
L'Assessorato competente, nonostante avesse ricevuto questa specifica ed esauriente risposta, pur non condivisa giuridicamente da questo Giudice, aveva ritenuto di escludere a priori, nella missiva, diretta alla NIP il 3/7/2001, la natura di rifiuto del siero, senza eseguire alcun tipo di preventiva verifica sui cicli produttivi dei caseifici, come, invece, imposto dal parere richiesto per pervenire ad una conclusione corretta.
Motivazione in 90 giorni


P.Q.M.
Visto l'art. 531 C.P.P.
DICHIARA
Non doversi procedere nei confronti di Donati Angelo in ordine ai reati di cui ai capi 2), 3) e 6), come ridenominati, perché estinti per intervenuta prescrizione.

Visto l' artt. 530 C.P.P.
ASSOLVE
Il Donati dal reato di cui al capo 8) dell'imputazione perché il fatto non costituisce reato

Visti gli artt. 533 e 535 C.P.P.

DICHIARA
l'imputato colpevole degli altri reati a lui ascritti, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, e ritenuta la continuazione lo condanna alla pena di un anno di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli artt. 60 D. Lvo. 152/99, 163 e 165 cp
CONCEDE
Il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinatamente alla messa in sicurezza, bonifica e ripristino dell'area danneggiata e inquinata entro 90 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Dispone la trasmissione degli atti al PM in sede per quanto eventualmente di competenza in ordine ai comportamenti posti in essere dalle Autorità Amministrative.
Motivi in 90 giorni
Latina, 19/7/2005
Il Giudice
Paola Di Nicola