Cassazione: un semplice controllo puo' essere veramente una operazione di recupero di rifiuti?

di Gianfranco AMENDOLA

Molto si è scritto sul recupero di rifiuti e sulla cessazione della qualifica di rifiuto sia in Europa che in Italia. Tuttavia, c'è una questione importante ed "anomala" che stranamente appare poco trattata in dottrina. Ed anche la Cassazione, che se ne è recentemente occupata, non sembra aver detto una parola chiara e definitiva.

Partiamo, come è naturale, dal testo normativo, e cioè dall'art. 184-ter D. Lgs. 152/06 (introdotto nel TUA dall'art. 12 D. Lgs. 205/2010):

 

184-ter. Cessazione della qualifica di rifiuto

1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

 

2. L’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto.

 

3. Nelle more dell’adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l’art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall’entrata in vigore della presente disposizione1.

 

4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti.

 

5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto.

 

Leggendo il primo comma, sembra chiaro che, per parlarsi di fine-rifiuto occorre che il rifiuto sia stato oggetto di una operazione di recupero e, presumibilmente a seguito della stessa, rispetti alcuni criteri specifici.

Il problema sorge con il secondo comma, quando si sancisce che "l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni". Il che fa pensare che un rifiuto possa cessare di essere tale e diventare un prodotto senza aver subito alcun intervento materiale ma semplicemente all'esito di un controllo che si limiti ad una verifica senza alcuna modifica dello stesso. In altri termini, i "criteri specifici" della fine-rifiuto potrebbero essere rispettati anche senza alcuna operazione di modifica del rifiuto; in palese contrasto con la dizione del primo comma il quale postula che il rifiuto venga, invece, "sottoposto ad una operazione di recupero".

Se, a questo punto, andiamo ad approfondire l'ambito delle "operazioni di recupero", apprendiamo dalla definizione dell'art. 183, comma 1, lett. t) che vi rientra "qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione, all'interno dell'impianto o nell'economia in generale. L'allegato C della parte IV del presente decreto riporta un elenco non esaustivo di operazioni di recupero"; e se, continuando, andiamo a leggere questo elenco (da R1 a R13, anche se non esaustivo) verifichiamo subito che trattasi sempre e solo di operazioni "vere", non di semplice controllo.

E, del resto, appare difficile sostenere che un semplice controllo possa permettere al rifiuto di svolgere un ruolo utile...; tutto al più, potrà verificare che esso, così com'è, è in grado di svolgere questo ruolo; ma non è il controllo, di per sè, che glielo permette. Al massimo lo certifica.

In altri termini, il dubbio deriva dal fatto di qualificare come operazione di recupero di un rifiuto una semplice operazione di verifica che non incide in alcun modo sulla composizione e sulle caratteristiche del rifiuto stesso; traendone la conseguenza che un rifiuto cessa di essere tale e diventa un "prodotto".

Peraltro, si deve notare che in questo caso la formulazione della norma italiana rispecchia fedelmente il dettato comunitario. Infatti, nel "considerando"2 n. 22 della direttiva sui rifiuti n. 2008/98 , si legge che "per precisare taluni aspetti della definizione di rifiuti, la presente direttiva dovrebbe chiarire:quando taluni rifiuti cessano di essere tali, stabilendo criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale che assicurano un livello elevato di protezione dell’ambiente e un vantaggio economico e ambientale; eventuali categorie di rifiuti per le quali dovrebbero essere elaborati criteri e specifiche volti a definire "quando un rifiuto cessa di essere tale" sono, fra l’altro, i rifiuti da costruzione e da demolizione, alcune ceneri e scorie, i rottami ferrosi, gli aggregati, i pneumatici, i rifiuti tessili, i composti, i rifiuti di carta e di vetro. Per la cessazione della qualifica di rifiuto, l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale".

Di contro, la giurisprudenza comunitaria ha sempre evidenziato che, per sancire la fine di un rifiuto, occorre una "operazione di recupero completa" la quale abbia "l’effetto di conferire al materiale in questione le medesime proprietà e caratteristiche di una materia prima e di renderlo utilizzabile nelle stesse condizioni di precauzione rispetto all’ambiente"3.

Come già abbiamo accennato, della problematica si è, di recente, occupata anche la suprema Corte in due sentenze (per questa parte sovrapponibili) ove, proprio a proposito di questa novità, ha evidenziato che :

" Non è mai venuta meno, però, la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero perché possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il d.lgs. 205/2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero. E', una costante che percorre, trasversalmente, tutte le definizioni e modifiche legislative sopra riportate".Vi è, quindi, la "necessità che risulti dimostrata la intervenuta effettuazione di attività di recupero.... da parte di soggetto autorizzato..." Il che sembra richiedere che, anche con la novità del controllo-recupero, per la fine-rifiuto vi sia sempre una "pregressa" operazione di recupero vero e proprio.

E, tuttavia, andando poco dopo ad esaminare la novità del controllo-recupero, aggiunge: " E' vero che l'art. 184-ter, comma 2, d.lgs. 152/06 estende l' operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicate nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione (questione priva di rilevanza nel caso concreto), si tratta pur sempre di operazione di <<recupero>> che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato."

In tal modo, diciamo la verità, il problema si elude. Infatti, la Cassazione da un lato postula che, ancora oggi, nonostante le modifiche normative (tra cui quella in esame) vi sia stata una "pregressa e necessaria attività di recupero"; e dall'altro, tuttavia, evidenzia che anche il solo controllo è operazione di recupero ma solo per puntualizzare che, come tale, deve essere eseguito da soggetto autorizzato. In più, insinua il dubbio che tale novità (del controllo come recupero) sia una indicazione non "immediatamente precettiva".

Comunque, poichè in entrambi i casi ad essa sottoposti, i materiali in discussione non risultavano mai essere stati sottoposti a preventiva operazione di recupero, riciclaggio e preparazione per il loro utilizzo; e tanto meno risultava che ciò fosse avvenuto ad opera di soggetto autorizzato, la suprema Corte conclude che "in mancanza di queste preliminari (e necessarie) operazioni il materiale utilizzato dal ricorrente non ha mai cessato la sua qualifica di rifiuto (art. 184-ter, u.c., cit.), rendendo penalmente rilevante la condotta a lui contestata".4

A questo punto, l'unica cosa certa -ed è sicuramente una affermazione importante- è che anche il recupero-controllo deve essere fatto da un soggetto autorizzato e non, ad esempio, dal produttore del rifiuto.

Ma non ci sembra si risponda con chiarezza alla domanda più importante: di fronte al nuovo dettato normativo del 2010, basta un semplice controllo per far diventare prodotto un rifiuto? Oppure ci vuole sempre, prima, una vera operazione di recupero?

Dal punto di vista cautelativo, la seconda appare certamente essere la soluzione migliore e più in linea con tutti i principi della normativa ambientale. E probabilmente è questo che vuole dire la suprema Corte quando insiste sulla necessità di una "preventiva operazione di recupero...". Senza spiegare, tuttavia, come sia possibile, dopo questa affermazione, qualificare come "operazione di recupero" un semplice controllo che certifica un recupero già avvenuto.

A nostro sommesso avviso, occorre andare alla sostanza del problema. Probabilmente quel che il legislatore comunitario ed italiano volevano e vogliono evidenziare è il risultato: una volta dettati i criteri in base ai quali un rifiuto cessa di essere tale, non c'è motivo di considerare rifiuto una sostanza od un oggetto che rispondano, comunque, a questi criteri. E' evidente che, nella stragrande maggioranza dei casi, ciò potrà essere conseguito solo con operazioni di recupero vero e proprio, ma ciò che conta è, comunque, il risultato.

Del resto, può certamente ipotizzarsi che un oggetto sia diventato un rifiuto perchè il suo detentore se ne è disfatto non potendone ricavare alcuna utilità; e, tuttavia, esso, così com'è, può essere riutilizzato da un altro soggetto in modo compatibile con i criteri dell'art. 184-ter. In tal caso, è possibile ed auspicabile favorire questo riutilizzo; a patto, però, che la rispondenza ai detti criteri venga certificata da un soggetto terzo autorizzato al recupero, e, quindi, professionalmente qualificato. E lo stesso dicasi nel caso in cui vi siano state operazioni di recupero da parte di soggetto non autorizzato e/o non identificato, il cui risultato, tuttavia, di conformità ai criteri venga certificato da soggetto autorizzato al recupero.

Sia chiaro, quella da noi prospettata è solo una possibilità senza alcuna pretesa di certezza. E' il contesto letterale della normativa, peraltro, che è contraddittorio quando prima parla di sottoposizione del rifiuto ad una operazione di recupero incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo e poi configura come recupero anche il semplice controllo.

E' auspicabile, quindi, che la suprema Corte risolva al più presto, con la sua autorevolezza, questo dubbio. Dopo due sentenze, la terza potrebbe essere decisiva.

 

 

 

 

1 L' ultimo periodo è stato introdotto dall' art. 3, D. L n. 91/2014 conv. con legge n. 116 del 2014

 

2 Si noti che i "considerando" fanno parte integrante di una direttiva.

3 Da ultimo, cfr. CGCE, sez. 8, 22 dicembre 2008, C-283/07

 

4 Cass. pen., sez. 3, c.c. 20 febbraio 2014, n. 16423, Di Procolo; Cass. pen., sez. 3, 12 giugno 2014, n. 40789, Arnaldi; entrambe con lo stesso estensore.