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La nuova nozione di rifiuto
di Mauro Sanna

Relazione tenuta al corso "Gestione dei Rifiuti" Rispescia (GR)  maggio 2003 presso il Centro Studi di diritto Ambientale dei CEAG - Legambiente

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Sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 luglio 2002 è stato pubblicato il D.L. 8 luglio 2002 n. 138, contenente all’art. 14 la interpretazione autentica della definizione di “rifiuto” di cui all’art. 6, comma 1, lettera a) del DLgs 22/97 dove il rifiuto è indicato come ”qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi“.

Quanto al momento in cui un rifiuto si origina, esso si ricava dalla definizione del “produttore”, di cui alla successiva lett.b) del primo comma dell’art. 6, che lo individua come “la persona la cui attività ha prodotto rifiuti e la persona che ha effettuato operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti”.

Per cui il rifiuto, oltre ad originarsi al momento della sua produzione, avrà origine anche da attività successive a questa e svolte da soggetti diversi dal produttore, quali:

- operazioni di pretrattamento che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti;

- operazione di miscuglio che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti;

- altre operazioni in genere che hanno mutato la natura o la composizione dei rifiuti.

Sulla base della lettera d) del medesimo comma, tutte le azioni successive connesse con il disfarsi di un rifiuto - raccolta, trasporto,  recupero e smaltimento- rientrano quindi tra le attività di gestione di un rifiuto.

Tralasciando la nozione di smaltimento , non utile in questa sede, si tenterà invece di esplicare la nozione di recupero.

Il recupero può avvenire con operazioni semplici o complesse a seconda del numero e della qualità delle trasformazioni a cui il rifiuto iniziale è assoggettato per poter essere recuperato.

Tali operazioni saranno diverse a seconda che il recupero riguardi una sostanza o un oggetto, oppure che si abbia recupero in un ciclo di produzione o di consumo, o ancora che il recupero sia di materia o di energia.

Le attività di recupero realizzate  si distingueranno, oltre che per il numero ed il tipo delle operazioni che le compongono, anche in relazione alla nuova utilizzazione a cui è destinato il rifiuto recuperato.

Il recupero, con un ampia definizione che possa comprendere tutte queste variabili,  può considerarsi come l’insieme delle operazioni di reimpiego, di riutilizzazione e di riciclo, che consentono di valorizzare, riutilizzare, reimpiegare ed in genere recuperare le risorse di materia o di energia contenute in un rifiuto, cosicché possano essere reintrodotte in cicli di produzione, sottraendole alla distruzione o alla perdita totale, cioè allo smaltimento.

Relativamente alle operazioni comprese nell’attività di recupero, esse possono essere definite come segue:

-         reimpiego: nuovo impiego di un oggetto tal quale dopo un primo ciclo d’uso, con le stesse modalità e finalità, senza che l’oggetto originale subisca modifiche sostanziali ;

-        riutilizzazione: utilizzazione di una sostanza dopo un primo ciclo d’uso, in uno successivo, uguale o diverso dal primo e più spesso secondario rispetto a quello originario ;

-        riciclo: operazione per la quale , terminato un ciclo di utilizzo di una sostanza o di un oggetto, tutta la materia prima di partenza  presente in esso o parte di questa è recuperata  come tale o come energia, con una sua parziale o totale trasformazione, anche sostanziale,  riportandola in lavorazione mediante una nuova immissione in un ciclo produttivo..

Le attività elencate nell’allegato C del DLgs 22/97 sono di fatto tutte attività di recupero che possono esser ricondotte a quelle di riciclo, tant’è che per molte operazioni questo termine è usato come sinonimo.

Solo per le operazioni R2, R6 ed R9 il recupero è fatto coincidere con la rigenerazione, cioè con un trattamento preliminare necessario al reimpiego o al riutilizzo di una sostanza o di un oggetto, che di fatto non subiscono però alcuna trasformazione sostanziale.

Le operazioni di recupero elencate nell’allegato C possono essere perciò suddivise in due tipologie.

-        Operazioni di rigenerazione, che non modificano in modo sostanziale la sostanza o l’oggetto iniziale, ma ripristinano solo il suo uso originario:

·    R2,  rigenerazione/recupero di solventi;

·    R6,  rigenerazione degli acidi e delle basi;

·    R9,  rigenerazione o altri impieghi degli oli;

-        Operazioni di riciclo, che modificano in modo sostanziale la sostanza o l’oggetto iniziali, che vengono poi ad essere destinati ad altri cicli di produzione e consumo:

·    R1,  utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia;

·  R3, riciclo/recupero delle sostanze organiche non utilizzate come solventi ( comprese le operazioni di compostaggio e altre trasformazioni biologiche);

·    R4,  riciclo/recupero dei metalli o dei composti metallici;

·    R5, riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche;

·    R7, recupero dei prodotti che servono a captare gli inquinanti;

·    R8,  recupero dei prodotti provenienti dai catalizzatori;

·    R10, spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura o dell’ecologia.

Vi sono poi le operazioni R11, R12 ed R13 che sono comuni alle due tipologie di recupero, che precedono o seguono le specifiche operazioni:

·   R11, utilizzazione dei rifiuti ottenuti da una delle operazioni indicate da R1 a R10;

·   R12, scambio di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni indicate da R1 a R11;

·  R13 messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta  nel luogo in cui sono prodotti).

 Se alla luce di quanto sopra, si esamina il contenuto nell’art. 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, in particolare il comma 1 lett. c), si evidenzia come le condizioni che determinano l’obbligo di disfarsi di un rifiuto sono:

-        quando è stabilito da una disposizione di legge;

-        quando è stabilito da un provvedimento delle pubbliche autorità;

-        quando è imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene;

-        quando i rifiuti siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del decreto legislativo n.22.

Si ha perciò che,  nel caso che un rifiuto sia classificato come pericoloso perché inserito nell’allegato D (peraltro abrogato dalla decisione 2001/118/CE e successive modificazioni ed integrazione ), sussiste sempre l’obbligo di disfarsene e quindi non può essere oggetto di decisioni alternative da parte del produttore o detentore dei rifiuti.

 Ne consegue che quanto riportato nel comma 2 dell’art.14 del D.L. 138/2002 a proposito del possibile esercizio della volontà di disfarsi di un rifiuto,  potrà riguardare solo  i rifiuti speciali non pericolosi e non i rifiuti pericolosi per i quali, come stabilito alla lett.c) del primo comma, sussiste sempre “l’obbligo di disfarsi”.

Perciò per i rifiuti speciali, e solo per essi, il comma 2 del D.L. esplicita le due condizioni che, quando sussistono, fanno venir meno a priori la decisione del disfarsi  e quindi la presenza del rifiuto.

La prima condizione da verificare è ”se gli stessi (rifiuti) possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente” (comma 2  lett. a).

Sulla base di detta condizione, perciò, non ci si troverà in presenza di un rifiuto ogni qualvolta una sostanza od un oggetto, senza alcun intervento preventivo di trattamento, siano riutilizzati o reimpiegati nel ciclo produttivo e di consumo originario, o in uno analogo o diverso, quando cioè la sostanza o l’oggetto tal quali entrano in un nuovo ciclo produttivo successivo al primo.

Queste operazioni d’altra parte, non sono comprese nell’allegato C del D.Lg.22/97 che, come detto contempla sempre, come attività di recupero, solo attività di riciclo o di rigenerazione .

Pertanto nessuna  innovazione è apportata alla disciplina del recupero da quanto previsto dalla lett. a) del comma 2 del D.L. 138/ 02  .

La seconda condizione indicata dalla lett. b) del medesimo comma, prevede che una sostanza o un oggetto non siano da considerare rifiuti, venendo meno per essi l’intenzione di disfarsene, “quando gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati  nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’allegato C del decreto legislativo n.22” (comma 2 lett.b))

Sulla base di questa deroga si ha che, pur se la sostanza o l’oggetto sono usciti dal                                     ciclo produttivo iniziale e quindi il produttore o detentore se ne è disfatto, se  vengono assoggettati ad un trattamento preventivo (non meglio identificato), per essi non ricorrerà più la decisione di disfarsene e quindi non saranno più da considerare rifiuti, purché successivamente non intervenga una operazione di recupero prevista dall’allegato C al D.Lgs. 22/97.

Il problema è comprendere cosa debba intendersi per “trattamento preventivo”.

Esso dovrà certamente essere un trattamento che di fatto permetta alla sostanza ed agli oggetti di essere riimmessi direttamente in un ciclo produttivo. 

Tuttavia, non essendo operazione di recupero finale di sostanza o di energia, potrà essere solo un trattamento che prepari il rifiuto originario ad essere riutilizzato, cioè una rigenerazione della sostanza o dell’oggetto iniziali, che ne consenta l’impiego o l’utilizzo in un ciclo produttivo successivo.

Tale trattamento preventivo perciò potrà essere solo una delle operazioni di rigenerazione R2,R6 o R9, previste dall’allegato C del D.Lgs. 22/97 non certo una delle altre operazioni di recupero R1,R3,R4,R5,R7,R8 ed R10 perché queste sarebbero tutte operazioni definitive e non preparatorie. Anche per questo aspetto quanto previsto dalla lett. b) del secondo comma dell’art.14 non sarebbe affatto innovativo rispetto al D.Lgs. 22/97 e alla normativa europea.

E’ infatti evidente che un olio rigenerato mediante un’operazione R9 non è più un rifiuto, ma una materia prima; analogamente un acido o una base rigenerati attraverso una operazione R6 ed egualmente un solvente rigenerato attraverso una operazione R2..                               

In tutti questi casi si avrebbe al termine dell’operazione di recupero/rigenerazione una sostanza direttamente riutilizzabile in un ciclo produttivo.

Diversa è invece la situazione se il trattamento preventivo rientra tra le operazioni di smaltimento previste dall’allegato B del D.Lgs. 22/97. Infatti, in questo caso è evidente che da una operazione di smaltimento di un rifiuto, qualsiasi essa sia - trattamento biologico D8, trattamento chimico fisico D9 raggruppamento preliminare D13, o ricondizionamento D14- non potrà mai derivare una sostanza o un oggetto che non siano rifiuti; sarebbe infatti una contraddizione nei  termini che da una attività di smaltimento derivasse una materia prima.

D’altra parte anche dalla definizione risulta chiara la differenza che intercorre tra un’attività di ricondizionamento ed una di rigenerazione: nel primo caso si avrà un trattamento di sostanza o  oggetto, usciti da un ciclo produttivo, che non conduce ad un prodotto definitivo, ma prepara solo il rifiuto per essere sottoposto ad una operazione di smaltimento finale; nel caso della rigenerazione invece si avranno una sostanza o un oggetto che, usciti da un ciclo produttivo,  sono resi idonei ad entrare direttamente in un altro ciclo produttivo come materia prima.

In conclusione nel caso di ricondizionamento o di raggruppamento, essendo queste attività di smaltimento intermedio, per il rifiuto trattato sussisterà sempre l’alea che esso possa avere un destino non conforme a quello previsto dalla normativa sui rifiuti e per questo esso dovrà essere assoggettato a tale disciplina fino al suo destino finale.

Tale conclusione è quella che è stata più volte enunciata anche dalla Corte di Giustizia Europea.

E in effetti, se una sostanza è stata solo ricondizionata,  ma non rigenerata, nel successivo utilizzo o recupero definitivo, anche trattandosi di un ciclo produttivo in cui non intervengano materie prime, verrebbero tuttavia meno quelle cautele di carattere sanitario e ambientale che sono invece previste nel trattamento di un rifiuto.

Basti ricordare nell’ambito della produzione di energia, la combustione di un rifiuto, sottoposto solo a raggruppamento o condizionamento, senza che siano adottate le cautele di combustione o controllo previste per un rifiuto; oppure nel campo del recupero di materia, la fusione di un rifiuto, assoggettato solo a raggruppamento o condizionamento, operazioni che di fatto non eliminano le sostanze inquinanti presenti nel rifiuto stesso, che vengono perciò combuste in un ciclo tecnologico di fusione destinato a materia prima non contaminata.