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La devolution dell'ecomafia
di Stefano Ciafani e Raffaella Musselli

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Ormai i numeri sono sempre più da record: 40 le inchieste che dal 2002 ad oggi hanno contestato il delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti previsto dall'articolo 53 bis del decreto Ronchi, 251 le persone arrestate, 817 quelle denunciate, mentre sono 247 le aziende e 19 le regioni coinvolte. Delle 40 inchieste, 20 sono state compiute soltanto negli ultimi 15 mesi.
A queste cifre si affiancano poi le statistiche sui risultati ottenuti dalle forze dell'ordine su tutto il ciclo illegale: nel 2004 sono state accertate 4.073 infrazioni, più di 11 al giorno, mentre sono stati effettuati 1.702 sequestri, quasi 5 al giorno. Il 38,3% delle violazioni è stato riscontrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, e cioè Campania (che guida la classifica delle regioni con 550 reati, pari al 13,5% del totale nazionale), Puglia (seconda con 498 infrazioni, il 12,2% del totale), Calabria e Sicilia.
Sono proprio questi dati, elaborati da Legambiente nell'edizione 2005 dell'annuale Rapporto Ecomafia, a dimostrare per l'ennesima volta in modo inequivocabile come l'ambiente, e nello specifico la gestione illegale dei rifiuti, costituisca un affare redditizio per le organizzazioni criminali: per essere più precisi la stima di Legambiente parla di oltre 3,2 miliardi di euro.

Dalle province insospettabili…
A confermare la gravità della situazione ci sono i numeri ma soprattutto le storie raccontate nelle corpose ordinanze di custodia cautelare emesse per traffico illecito di rifiuti in questi 3 anni. La novità principale che emerge dalle inchieste è che ormai tutta la Penisola, fatta eccezione per la Valle d'Aosta, è stata presa d'assalto dagli eco-criminali.
Insomma si sta compiendo una vera e propria devolution da parte dell'ecomafia. Per anni infatti si è assistito alla migrazione di ingenti quantitativi di rifiuti dalle regioni settentrionali verso il meridione. Ora invece si sta verificando un'inversione di rotta, maturata anche dall'esigenza di ricercare nuovi siti finali per i traffici illeciti. Sono così finite sotto tiro province finora insospettabili sotto questo punto di vista, come Cuneo, Bergamo, Varese, Rovigo, Vicenza, Ravenna, Gorizia, Treviso, Livorno, Perugia e Campobasso.
Oltre a queste vale la pena ricordare Alessandria e Novara rimaste coinvolte nell'operazione "Pinocchio", condotta il 14 luglio 2004 dai Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente insieme ai Noe locali. L'indagine ha consentito di arrestate 17 persone e di scoprire un vasto traffico di rifiuti speciali provenienti da aziende lombarde, piemontesi e liguri e smaltiti illecitamente in impianti delle due province del nord ovest d'Italia. Il gruppo criminale operava in due modi: modificando la classificazione dei rifiuti, non trattati precedentemente, o miscelandoli tra loro, per renderli non identificabili. Il tutto veniva poi destinato illecitamente a imprese autorizzate alla produzione di compost per l'agricoltura, in cave autorizzate per l'attività di ripristino ambientale o in discariche per rifiuti urbani.
Un'altra inchiesta denominata "Grisù", conclusa il 28 giugno 2005 con l'arresto di 19 persone dai Carabinieri per la tutela dell'ambiente e coordinata dalla procura di Busto Arsizio (Va), ha portato a smascherare diverse società incaricate del recupero dei rifiuti, dedite in realtà al loro traffico illecito che ruotava intorno all'inceneritore della città in provincia di Varese.
La provincia di Forlì invece è stata l'epicentro dell'operazione "Rudolph", conclusa il 9 settembre 2004 con l'arresto di 20 persone, che ha svelato lo smaltimento illecito di 4mila tonnellate di fanghi del depuratore locale, sparsi senza alcuna precauzione sui terreni come concime. L'inchiesta ha visto come protagonisti titolari d'aziende a partecipazione pubblica che si occupano del settore ambientale, dipendenti dell'Asl di Forlì e dirigenti dell'Arpa locale.
Scendendo lungo la Penisola, si registra anche il coinvolgimento in numerose indagini delle due province del nord laziale. Si tratta di Rieti, dove gli inquirenti, con l'operazione "Sabina" del 16 giugno 2004 che ha portato alla denuncia di 39 persone, hanno fermato un pericoloso traffico di rifiuti speciali provenienti dal centro-nord del Paese e smaltiti illegalmente in una cava dismessa. Sempre nel rietino operava inoltre un impianto di compostaggio che utilizzava per la produzione di ammendante agricolo rifiuti anche pericolosi: il compost avvelenato veniva poi venduto ad aziende agricole compiacenti, con seri rischi per la salute pubblica. E' quanto scoperto nell'ambito dell'operazione "Agricoltura Biologica", condotta il 5 luglio 2004 dai Carabinieri in collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato e conclusa con l'arresto di 7 persone.
Ma è Viterbo ad "attrarre" notevolmente i trafficanti negli ultimi mesi. La città della Tuscia è infatti risultata il sito finale di smaltimento di rifiuti speciali, pericolosi e non, provenienti da tutta Italia nelle recenti operazioni "Giro d'Italia: ultima tappa Viterbo" (2 maggio 2005, Carabinieri per la tutela dell'Ambiente, 9 arresti) e "Pesciolino d'oro" (6 luglio 2005, Carabinieri per la tutela dell'Ambiente, 7 arresti). La prima delle inchieste ha rivelato l'esistenza di un traffico di 250mila tonnellate di rifiuti smaltiti in ex cave da ripristinare situate nel viterbese: l'organizzazione criminale operava nei modi "consueti", ossia manipolando e miscelando rifiuti pericolosi e non, accompagnandoli con certificazioni false fornite da compiacenti laboratori d'analisi. Sempre in cave in ripristino ambientale, situate in provincia di Viterbo e di Alessandria, finivano inoltre le 350mila tonnellate di rifiuti il cui smaltimento illecito è stato scoperto nell'ambito della seconda inchiesta. Con queste ultime indagini è stata smentita la convinzione di molti che solo le province del basso Lazio, e cioè Latina e Frosinone, potessero essere esposte al fenomeno degli smaltimenti illegali, soprattutto a causa della vicinanza geografica con la provincia di Caserta, terra del clan camorristico dei Casalesi.

…alle regioni atipiche
Passando dalle province alle regioni ritenute fino a qualche anno fa immuni dal fenomeno della criminalità ambientale, sorprendentemente è la Toscana a rivestire un ruolo fondamentale nelle dinamiche dei traffici illeciti. Forse per la sua posizione geografica, la regione si presta infatti a svolgere una funzione intermedia nel passaggio dei rifiuti da Nord a Sud o a rappresentare proprio la base di partenza dei viaggi di questa "merce" così redditizia. Non a caso si trova al terzo posto nella classifica dell'illegalità riscontrata nel ciclo dei rifiuti.
Proprio dalla Toscana, ma anche da altre Regioni del centro-nord, provenivano le 35mila tonnellate di rifiuti smaltite illegalmente in Veneto: l'ingente traffico è stato scoperto nell'ambito dell'operazione "Camaleonte", condotta il 17 febbraio 2005 dai Nuclei di polizia ambientale del Corpo forestale dello Stato. L'azienda al centro delle indagini ritirava rifiuti di ogni genere a prezzi stracciati, mettendo così fuori mercato i concorrenti che operavano nel rispetto delle regole. Gli scarti entravano poi in un ciclo di falsi formulari, documenti compilati solo dopo il trasporto, giro-bolla, per finire direttamente all'impianto di smaltimento finale.
Sempre in Veneto rifiuti pericolosi, provenienti da centinaia di ditte di diverse regioni, venivano utilizzati illegalmente per produrre un conglomerato cementizio da utilizzare per la realizzazione di sottofondi stradali. Il blitz, denominato "Mercante dei rifiuti" ed eseguito dagli uomini della Forestale, ha portato all'arresto di 7 persone e al sequestro addirittura di un cavalcavia.
I tentacoli della criminalità ambientale non hanno risparmiato neppure il Friuli Venezia Giulia. In occasione dell'operazione "Alto Rendimento" infatti il Comando tutela Ambiente dei Carabinieri ha scoperto una vera e propria associazione a delinquere, impegnata nello smaltimento illecito di tonnellate di rifiuti pericolosi in una discarica per inerti.
Tutto ambientato in Lombardia invece il blitz denominato "Bonnie & Clyde", condotto dagli Carabinieri per la tutela dell'ambiente il 16 marzo 2005, che ha portato a 4 arresti e alla denuncia di 29 persone. Ingenti quantitativi di rifiuti speciali provenienti da diverse ditte lombarde confluivano in un'azienda, situata nel bergamasco, non autorizzata alla loro raccolta. Una volta mescolati e attuato il cosiddetto "giro-bolla", ossia falsificati i formulari e creati certificati d'analisi ad hoc, gli scarti venivano poi destinati a ignari centri di smaltimento o al tombamento in buche ricavate nei siti stessi dell'azienda lombarda o delle altre società complici.
Per rispetto della "par condicio" non possono poi essere dimenticate le inchieste che hanno riguardato le regioni meridionali, storicamente interessate dal fenomeno dei traffici illeciti di rifiuti. Basti pensare all'operazione "Terra Mia", conclusasi con l'emissione di 16 ordinanze di custodia cautelare e condotta dal Corpo forestale dello Stato, che ha rivelato l'esistenza di una organizzazione criminale operante in quell'area ormai nota come "triangolo dei veleni", ossia la zona compresa tra Nola, Acerra e Marigliano.
Qui, tonnellate di scorie tossiche sono state sversate nei campi, a fianco di pozzi, a ridosso di allevamenti e coltivazioni. Restando sempre in Campania, devono poi essere segnalati gli sviluppi dell'operazione "Re Mida" dei Carabinieri del Noe, risalente al 2003, che ha consentito di scoprire un imponente traffico di rifiuti provenienti dal centro-nord d'Italia e smaltiti illegalmente nella regione. Nell'aprile e maggio 2004 si è appurato che i rifiuti pericolosi finivano senza subire alcun trattamento in cave dismesse, "messe a disposizione" da funzionari collusi del Genio civile.
Anche la Puglia continua ad essere presa di mira da chi traffica veleni. In particolare, desta preoccupazione la situazione nel Parco dell'Alta Murgia dove negli ultimi anni sono stati smaltiti ingentissimi quantitativi di rifiuti speciali, anche pericolosi. A Trani invece è stata individuata una società di smaltimento priva delle necessarie autorizzazioni che, insieme a una ditta di trasporti compiacente, gestiva un traffico di rifiuti pericolosi provenienti da varie regioni d'Italia, con l'ausilio di laboratori chimici "fantasma". Da qui il nome "Casper" all'operazione condotta dall'Arma dei Carabinieri lo scorso 20 gennaio.
Insomma, i rifiuti alimentano affari d'oro che interessano tanto il Nord quanto il Sud della Penisola. E non allettano solo le bande criminali, mafiose e non, dedite per "mestiere" a occupazioni poco pulite. Sempre più spesso infatti risultano coinvolti nei reati connessi alle gestione dei rifiuti i cosiddetti "colletti bianchi", ossia funzionari pubblici preposti al controllo o tecnici di laboratorio che rivestono un ruolo chiave nella certificazione e nella classificazione dei rifiuti. Si tratta di una realtà confermata anche molto di recente dall'operazione "Gioco delle tre Carte", condotta dal Nipaf e dalla Polizia Provinciale di Milano il 9 luglio 2005, che ha visto come protagonisti funzionari pubblici regionali e nazionali, tra cui il Vice Presidente dell'Osservatorio nazionale sui rifiuti, e imprenditori senza scrupoli. Tutti appartenenti ad una "ragnatela organico - associativa ben strutturata", come la definisce il giudice per le indagini preliminari, dedita allo smaltimento illecito di rifiuti.
Questa "rassegna dell'orrore" è potuta emergere solo grazie all'applicazione dell'art. 53 bis del Decreto Ronchi, il delitto sul traffico illecito di rifiuti, approvato nel 2001 grazie anche alle pressanti richieste di Legambiente al Parlamento. Proprio sulla base di questo reato le forze dell'ordine e 25 procure sparse in tutto il Paese sono riuscite, dal 2002 ad oggi, a conseguire importanti risultati nella lotta alla "Rifiuti S.p.A.". L'impegno di chi indaga contro chi opera in maniera spregiudicata e irresponsabile a danno dell'ambiente potrebbe essere facilitato ancor di più inserendo una volta per tutte i delitti ambientali nel codice penale. Come del resto previsto anche dal disegno di legge presentato lo scorso luglio dall'On. Paolo Russo, Presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, firmato da oltre 150 parlamentari tra cui anche Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente. Essendo ormai alla fine della legislatura è necessaria una corsa contro il tempo che permetta alla proposta legislativa di diventare legge dello Stato. Sarebbe un vero e proprio atto di civiltà da parte del legislatore. E, ne siamo certi, il colpo di grazia per le attività criminose della "Rifiuti S.p.A.".

Il Rapporto Ecomafia 2005 (pag. 348, contributo di 10,00 euro) è disponibile presso il Centro di documentazione di Legambiente (tel.06.86.26.83.27; e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)