Consiglio di Stato Sez. IV n. 10516 del 31 dicembre 2024
Rifiuti.Inquinamento ed obblighi di bonifica

L’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento. Per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione”. La prova può quindi essere data in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.. Il soggetto individuato come responsabile, inoltre, non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi” ma deve “provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento 

Pubblicato il 31/12/2024

N. 10516/2024REG.PROV.COLL.

N. 02322/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2322 del 2023, proposto dalla società Edison s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Riccardo Villata, Andreina Degli Esposti, Wladimir Francesco Troise Mangoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

la Provincia di Mantova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Eloisa Persegati Ruggerini e Lucia Salemi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Inail, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andreina Amato, Vito Zammataro, Renata Tomba,
Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente – Arpa Lombardia, Ispra – Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale, non costituiti in giudizio;

nei confronti

della Versalis s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Grassi e Francesco Grassi, con con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Lombardia, Ats Val Padana, Comune di Mantova, Comune di San Giorgio Bigarello, Comune di Borgo Virgilio, Parco del Mincio, Eni Rewind s.p.a., Eni s.p.a., non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 00984/2022, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Mantova, del M.a.s.e., di Inail e di Versalis s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 la consigliera Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il contenzioso in esame riguarda l’attività produttiva svolta nel Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”.

1.1. Secondo quanto esposto dalla sentenza impugnata (non contestata, in parte qua), risulta quanto segue.

1.2. L’avvio delle produzioni industriali nell’area risale al 1956 e, attualmente, l’assetto produttivo prevede la trasformazione di benzene, etilbenzene, etilene, cumene e acrilonitrile in stirene, polimeri, fenolo e derivati.

Nel tempo alcuni cicli produttivi hanno cessato la loro attività, tra questi l’impianto cracking (1978), quello per la produzione dell’anidride maleica (1991) e quello del cloro-soda (1991).

1.3. Nell’impianto cloro-soda venivano prodotti soda caustica e cloro a partire dal salgemma mediante l’utilizzo di celle elettrolitiche al mercurio.

Sebbene detto impianto sia stato quasi completamente smantellato, è ancora presente nel sito il fabbricato dove si svolgevano le attività più critiche, ossia dove erano alloggiate le celle a mercurio, ora rimosse: nel sottosuolo della sala celle è tuttavia ancora presente mercurio metallico.

1.4. La proprietà dello stabilimento ha fatto capo dal 1957 al 1966 ad una società denominata Sicedison s.p.a., controllata dalla Edison s.p.a. (società omonima dell’odierna ricorrente).

Successivamente, dal 1966 al 30 giugno 1989, l’impianto venne gestito dal gruppo Montedison (Montedison s.p.a., Montedipe s.p.a. e Montedipe s.r.l.).

Il 30 giugno 1989 la Montedipe s.r.l. venne conferita in Enimont s.p.a. (joint venture tra ENI s.p.a. e Montedison s.p.a.), che subentrò nella gestione dell’impianto.

Il 22 novembre 1990, la joint venture si sciolse e il controllo dello stabilimento passò al gruppo ENI (Enichem s.p.a., Polimeri s.p.a. e Versalis s.p.a.).

Nello specifico, mentre le aree produttive passarono alla Enichem s.p.a. e, successivamente, alla Polimeri s.p.a. (attuale Versalis s.p.a.) quelle non produttive, ivi comprese le discariche, rimasero di proprietà Enichem s.p.a. (oggi Eni Rewind s.p.a.).

Nel 2002, la Montedison s.p.a. si fuse con altre società, dando origine alla Edison s.p.a., odierna ricorrente.

1.5. L’esatta strutturazione interna dello stabilimento, e delle sue numerose discariche, divenne nota alle Autorità competenti solo allorquando alla Montedison s.p.a. subentrarono altre società.

1.6. Nello specifico, a seguito delle indagini ambientali effettuate, le amministrazioni procedenti riscontrarono che:

- l’attuale area denominata “B + I” (ricompresa fra il canale di presa e il Canale Sisma a ridosso dell'area “Valliva”) era stata utilizzata sia come discarica sia come vasca di decantazione di reflui non trattati, con conseguente superamento delle Concentrazioni Soglie di Contaminazione (CSC) per i parametri idrocarburi leggeri (C<12) e pesanti (C>12); composti organici aromatici (benzene, etilbenzene, xilene, stirene, isopropilbenzene); policlorobifenili (PCB); metalli (Mercurio, Nichel); idrocarburi policiclici aromatici (IPA) come la dibenzo (a,h) antracene;

- nell’attuale area “R1 Collina” (sita nella parte sud-est dello stabilimento industriale e adiacente all’area “R2”) erano ubicate vasche di reflui, vasconi di stoccaggio rifiuti vari, vaste aree di deposito rifiuti provenienti dai cicli produttivi dello stabilimento nonché che detta area era stata utilizzata come discarica per i reflui e i rifiuti provenienti dal ciclo di lavorazione dello stabilimento;

- l’area denominata “R2” (sita nella parte sud-est dello stabilimento industriale e adiacente all’area “R1”) era stata adibita a sito di stoccaggio di materiale e residui derivanti dalle lavorazioni effettuate nel plesso industriale.

1.7. A seguito delle indagini ambientali è stato accertato che:

- le matrici ambientali dell’area denominata “ex sala celle” (ove era situato l’impianto che, come ricordato, dal 1957 al 1991, era stato utilizzato per la produzione di cloro e soda caustica, tramite l’utilizzo di celle a catodo di mercurio) erano contaminate da significative quantità di mercurio nei terreni e nella falda sottostanti l’area dell’impianto;

- nei sedimenti del canale fluviale dell’area denominata “Basso Mincio” (porzione del sito ricompresa fra il canale di presa dello stabilimento e il fornice di Formigosa) era presente mercurio derivante dagli scarichi dell’impianto “Cloro – soda” (dismesso dal 1991).

1.8. La Provincia di Mantova ha quindi avviato una serie di procedimenti ai sensi dell’art. 244 del codice dell’ambiente, individuando l’odierna appellante come responsabile della contaminazione.

Nello specifico, sono state emanate le ordinanze:

- n. 21/255 del 15 ottobre 2012, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a. la prevalente responsabilità del superamento delle Concentrazioni Soglie di Contaminazione (CSC) per il parametro mercurio nei terreni e nelle acque dell’ex impianto Cloro Soda;

- n. PD 879 del 13 giugno 2014, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio generato dalle vasche contenenti fanghi mercuriosi nell’area “L”;

- n. PD 1354 del 28 maggio 2015, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio nell’area situata tra il canale di presa e il fornice di Formigosa;

- n. PD 1390 dell’8 giugno 2015, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio ed idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, PCB e IPA nell’area “B+I”;

- PD n. 1392 dell’8 giugno 2015, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a., in solido con Syndial s.p.a., la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, PCDD/PCDF nell’area “N”;

- n. PD 609 del 10 marzo 2015, con cui è stata attribuita alla Edison s.p.a. la responsabilità per la contaminazione da mercurio nel Canale Sisma;

- n. PD 703 dell’8 maggio 2017, con cui è stata attribuita ad Edison la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, idrocarburi totali, composti clorurati nell’area “R1 Collina”;

- n. PD 704 dell’8 maggio 2017 con cui è stata attribuita ad Edison la responsabilità per la contaminazione da mercurio, idrocarburi leggeri e pesanti, composti organici aromatici, composti alifatici clorurati, PCB nell’area “R2”.

1.9. I ricorsi avverso tali ordinanze sono stati tutti respinti dal T.a.r., eccezion fatta per quello relativo all’ordinanza n. PD 609 del 10 marzo 2015 (relativa alla contaminazione del Canale Sisma) perché quegli avvenimenti sono stati oggetto di una transazione intervenuta con il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel 2005 (sentenza n. 802 del 9 agosto 2008).

1.10. La decisione di primo grado è stata confermata da questo Consiglio di Stato (sentenza n. 2195/2020) la cui decisione è divenuta definitiva a seguito delle decisioni di questo Consiglio d (sentenza n. 2138 del 12 marzo 2020) e della Corte di Cassazione (ordinanza 8569 del 26 marzo 2021) che hanno rispettivamente dichiarato inammissibili i ricorsi per revocazione e per cassazione per ragioni attinenti alla giurisdizione proposti dalla ricorrente.

1.11. Il presente contenzioso ha ad oggetto l’area “V – zona Valletta”, area omogenea separata dal resto del sito perché esterna allo stabilimento e caratterizzata da una parte rialzata, utilizzata come parcheggio, ed una parte bassa, a sud della scarpata morfologica della Valle del Fiume Mincio, che presenta zone costantemente sommerse da una lama d'acqua, che è risultata contaminata da mercurio; PCDD/PCDF, idrocarburi C>12 e PCB.

1.12. Nello specifico, nel 1993, a seguito di eventi meteorici eccezionali che avevano causato l’innalzamento dei laghi e la fuoriuscita di fluido organico proveniente dallo stabilimento, vennero effettuate delle indagini preliminari, all’esito delle quali emerse che l’area era contaminata da mercurio e Solventi Organici aromatici Volatili (SOV).

Nel 1995 il Consorzio B.A.S.I. produsse, per conto di Enichem s.p.a., lo studio, denominato “Caratterizzazione idrogeologica e qualitativa dell'area di stabilimento e ipotesi di intervento di messa in sicurezza”, il quale evidenziava l’esistenza di una contaminazione da mercurio e SOV in atto.

All’esito di tutti gli approfondimenti istruttori, condotti direttamente o sotto la supervisione dell’ARPA, emerse che i materiali utilizzati per formare le zone rialzate dell’area erano contaminati da mercurio, idrocarburi (C<12 e C>12), composti organici aromatici e IPA e che essi, soprattutto in occasione di intense precipitazioni, venivano trasportati nell’area umida a valle nonché nelle canaline di scolo che comunicano con l’esterno dell’area.

1.13. Il 17 gennaio 2019 la Provincia ha avviato un procedimento volto all’individuazione del responsabile della contaminazione e, il successivo 6 settembre 2019, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha disposto l’immediata adozione di specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza e prevenzione, volte a impedire la propagazione della contaminazione a valle del sito.

1.14. Il 26 ottobre 2020 la Provincia ha concluso il procedimento e ha ritenuto l’odierna ricorrente responsabile della contaminazione ordinandole di presentare al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nonché a tutti gli Enti coinvolti nel procedimento, una proposta progettuale di bonifica dell’area (atto dirigenziale PD/985).

1.15. Il ricorso di primo grado avverso siffatto provvedimento è stato affidato a dieci mezzi di gravame (da pag.8 a pag. 56).

1.16. Successivamente, il 23 dicembre 2020 (note prott. 108595 e 108600) e il 14 gennaio 2021 (nota prot. 3418) il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha avviato le procedure di subentro dell’odierna appellante alla Versalis s.p.a., invitandola, quale responsabile della contaminazione, ad adottare le misure di prevenzione e gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza.

1.17. Tali provvedimenti sono stati impugnati dalla ricorrente con motivi aggiunti.

1.18. Successivamente, preso atto dell’omesso esame della documentazione prodotta dalla ricorrente in sede procedimentale, la Provincia di Mantova ha avviato un supplemento istruttorio, in esito al quale ha tuttavia ritenuto di confermare le conclusioni dell’ordinanza n. 985/2020.

Tale provvedimento è stato impugnato con ulteriori motivi aggiunti.

2. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa il T.a.r. ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite.

3. L’appello della società Edison, rimasta soccombente, è affidato ai seguenti motivi.

I. Error in iudicando. Eccesso di potere. Violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità. Violazione del principio di irretroattività. Violazione dell’art. 1, Protocollo 1 della CEDU e dell’art. 117, comma 1, Cost. Violazione del principio “chi inquina paga” e, per esso, dell’art. 191 del TFUE. Violazione dell’art. 41 Cost. Ingiustizia manifesta e violazione del principio di buon andamento. Violazione e falsa applicazione degli articoli 242 e 244 del d.lgs. n. 152/2006. Difetto di motivazione.

Il capo della sentenza con cui il T.a.r. ha respinto la censura relativa alla violazione dei principi di legalità e di irretroattività dell’azione amministrativa si porrebbe in contrasto con le norme e i principi di cui alla rubrica del presente mezzo di impugnazione.

Il citato mezzo di gravame si articola in tre distinte censure, accomunate dal medesimo presupposto logico: è illegittimo applicare a condotte antecedenti la “riforma Ronchi” del 1997 la disciplina amministrativa delle bonifiche poiché i fatti storici causativi delle “contaminazioni” sarebbero stati pienamente conformi alla disciplina vigente all’epoca dei fatti.

L’applicazione degli articoli 239 e ss. del d.lgs. n. 152/2006 agli inquinamenti storici sarebbe irragionevole e, comunque, contraria al dato positivo.

Con argomentazione subordinata l’appellante ha sostenuto che, qualora l’unica interpretazione possibile della normativa sia nel senso di un’applicazione degli obblighi di bonifica a un c.d. inquinamento storico, emergerebbe con evidenza l’illegittimità costituzionale degli articoli 242 e 244 del codice dell’ambiente, sui quali si fonda il provvedimento gravato.

La società ripropone la tesi secondo cui l’antigiuridicità del comportamento lesivo dell’ambiente è determinata unicamente dalla violazione di un divieto primario, cui consegue – quale precetto secondario – la sanzione risarcitoria prevista nel quadro della responsabilità aquiliana.

Occorre pertanto una lesione diretta o indiretta (per il tramite della violazione di provvedimenti amministrativi adottati in base alla legge) di specifiche disposizioni normative (in termini conformi, da ultimo, Corte di Cassazione n. 36551/2021).

A fronte di una questione di illegittimità costituzionale per violazione del principio di irretroattività della legge, spetterebbe unicamente alla Corte Costituzionale accertare se la norma sia retroattiva e in secondo luogo, verificarne o meno il rispetto dei noti limiti che pure le leggi extrapenali incontrano al riguardo.

Ove si ritenesse il carattere retroattivo degli obblighi di bonifica introdotti dalla legislazione nazionale, gli artt. 242 e 244 del d. lgs. n. 152 del 2006 – su cui si fonda il provvedimento impugnato – sarebbero costituzionalmente illegittimi perché in contrasto con gli artt. 7 e 1, prot. 1 CEDU, in relazione all’art. 117, c. 1, Cost. nonché in contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione dei principi generali di irretroattività della legge, di certezza giuridica e di legittimo affidamento, nonché con l’art. 41, c. 1, Cost.

L’applicazione retroattiva degli obblighi di bonifica previsti dalla legislazione nazionale sarebbe altresì incompatibile con la valenza preventiva e deterrente del principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” di cui all’art. 191, par. 2 del TFUE - immediatamente applicabile nell’ordinamento nazionale in virtù dell’art. 3-ter del D.Lgs. 152/2006 – oltre che con i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.

L’appellante ha quindi chiesto di rimettere la seguente questione: “Se i principi dell’Unione Europea della irretroattività, della certezza del diritto, del legittimo affidamento e quelli in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile2004 (articoli 1 e 17; secondo e trentesimo considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga” – debbano essere interpretati nel senso che ostino a una normativa nazionale, quale quella delineata negli articoli 239 e ss. del d.lgs. n. 152/2006, che preveda l’imposizione di misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica a un operatore che abbia compiuto sul sito attività produttive terminate prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni nazionali e rispettando le disposizioni all’epoca vigenti” .

II. Error in iudicando. Eccesso di potere. Difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Contraddittorietà e illogicità della motivazione.

La sentenza impugnata ha ritenuto parimenti infondato il mezzo di gravame mediante il quale Edison aveva dedotto il difetto di istruttoria dei provvedimenti che pretendevano di porre in capo ad essa la responsabilità per l’inquinamento dell’area, in quanto - in estrema sintesi - basati esclusivamente su relazioni tecniche prodotte per scopi estranei al giudizio e su documenti redatti dai controinteressati.

L’appellante fa in particolare riferimento a) alla relazione tecnica dei periti del Pubblico Ministero - Dott. Mara e Dott. Carrara - nel procedimento penale n. 2375/01 innanzi al Tribunale di Mantova; b) allo studio del Prof. Bacci per conto di Versalis (i.e. “Sull’origine comune di Mercurio, “diossine”, Idrocarburi pesanti e Policlorobifenili nei sedimenti dell’Area Valletta. La localizzazione temporale della contaminazione” del 21 febbraio 2019 - doc. 11 fascicolo primo grado).

A dire di Mara e Carrara in capo a Edison sarebbe rinvenibile una presunta “colpa” nella gestione dello stabilimento derivante dall’utilizzazione delle celle a catodo di mercurio, quale tecnologia per la produzione di cloro e soda. Si tratterebbe, secondo tale non condivisibile posizione, di una tecnologia obsoleta già all’epoca della sua installazione presso lo stabilimento di Mantova nel 1957 e molto più “impattante” rispetto ad altre disponibili sul mercato (celle a diaframma e, a partire dagli anni ’70, celle a membrana). Siffatta affermazione risulta smentita dai dati contenuti nella stessa relazione: la tabella E.8. - sulle percentuali di utilizzo delle celle a mercurio e di quelle a diaframma nella prima metà degli anni ’70 in diversi paesi del mondo - dimostra infatti che nel 1975 in Italia il 99% degli impianti di cloro utilizzavano celle a mercurio. Una situazione non molto differente sussisteva, inoltre, in altri Paesi quali la Germania, la Gran Bretagna, la Svezia e il Benelux nei quali, nel 1972, l’utilizzo delle celle a mercurio era mediamente del 90% e nel 1975 dell’80%. Persino in Giappone, nonostante le problematiche emerse alla fine degli anni ’50 in relazione alle contaminazioni da mercurio, l’utilizzo di tali celle ammontava al 96% nel 1972 e al 50% nel 1975.

Con riguardo poi alle celle a membrana, è sufficiente considerare che negli Stati Uniti, nel 1975, nessun impianto utilizzava tale tecnologia, mentre nell’Europa occidentale nel 1986 risultavano in funzione solo 10 impianti a membrana su oltre 100 installati, 75 dei qualicon celle a catodo di mercurio.

Le considerazioni della relazione Mara-Carrara sarebbero del tutto inadeguate a fornire spiegazioni circa i fenomeni di inquinamento spesso dipendenti da eventi imprevedibili, la cui dinamica non è dato ricondurre a semplici operazioni matematiche né tantomeno a presunzioni, per di più fondate su dati approssimativi e su fonti non attendibili. Specialmente quando, in realtà, la pretesa contaminazione dell’area anzidetta ben potrebbe rinvenire la propria causa anche in fenomeni o accadimenti isolati – mai indagati dalla Pubblica Amministrazione – che renderebbero inevitabilmente errate le predette considerazioni. Al riguardo, la Provincia avrebbe del tutto omesso di valutare possibili cause alternative per il potenziale inquinamento rilevato; quali, ad esempio, lo smantellamento delle celle ad opera delle società del gruppo Eni, che potrebbe aver causato la percolazione nel sottosuolo delle melme e del mercurio residuo, a causa del transito di mezzi (anche cingolati) sull’area, dovuto alla necessità di eliminare strutture in acciaio.

4. Si sono costituiti, per resistere, il Ministero dell’ambiente e della transizione energetica. la Provincia di Mantova, la società Versalis s.p.a.

5. Si è costituito, altresì, l’Inail deducendo il proprio difetto di legittimazione passiva.

6. L’appellante, la Provincia di Mantova e la società Versalis hanno depositato memorie, conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza del 26 settembre 2024, alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.

7. In via preliminare, deve essere respinta la richiesta di estromissione da parte dell’Inail poiché l’Istituto ha dato il proprio contributo istruttorio nell’ambito del procedimento sfociato nelle ordinanze impugnate. I presupposti di tali ordinanze, come pure gli adempimenti richiesti alla società nell’ambito di varie conferenze di servizi, sono stati specifico oggetto di doglianza in primo grado e sono stati comunque contestati in appello.

8. Nel merito, l’appello è infondato e deve essere respinto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

9. Giova richiamare gli snodi fondamentali del provvedimento impugnato con i secondi motivi aggiunti articolati in primo grado il quale, a seguito di riesame, ha confermato l’ordinanza provinciale oggetto del ricorso principale.

9.1. Dopo aver descritto il contesto di riferimento, relativo alle attività produttive e alla gestione operativa del sito, nonché quello relativo all’area V, di cui trattasi, la Provincia ha messo in evidenza quanto segue:

- l’indagine condotta nel 2018 dalla Ditta Versalis s.p.a. proprietaria dell’area, validata da ARPA con nota prot. 38834 dell’8 marzo 2019 ha permesso di integrare le precedenti indagini effettuate nel 1995 e nel 2006 e di accertare l’attuale contaminazione dell’area;

- la tipologia dei principali inquinanti, soprattutto mercurio (ma anche altri metalli, PCDD /PCDF, C>12, IPA e PCB), è riconducibile alle produzioni e ai cicli di lavorazione attivi all’epoca della gestione Montedison. Il mercurio, in particolare, non è in alcun modo connesso con la attuale tipologia produttiva presente attualmente nel sito, ed è presente in concentrazioni così elevate nell’Area V da poter essere riconducibile esclusivamente a un ciclo produttivo che lo impiegasse in maniera massiccia, come appunto l’impianto cloro soda;

- le indagini pregresse consentono di ricostruire come fin dal 1994 (data della prima indagine dell’area, studio B.A.S.I.), fossero stati individuati i principali inquinanti che ancora oggi sono presenti in luogo, e si era documentata la presenza di materiali storici di riporto nell’area;

- l’esame delle ortofoto attesta una situazione consolidata e immutata fin dagli anni '80, con assenza di successivi movimenti terra o apporti significativi di materiale;

- la cartografia storica Montedison MN 20813 22 8 rev 01 reparto SAP datata 4 luglio 1979 individuava già la porzione rilevata dell’area in questione come “parcheggio auto” rappresentando una situazione che di fatto non si è più modificata;

- vi è corrispondenza, per l “Area V”, in particolare per la porzione attualmente adibita a parcheggio, fra la presenza di riporti e le evidenze della contaminazione da mercurio, come documentato dallo studio trasmesso da Versalis;

- la zona umida si presenta interdetta al pubblico e recintata, dunque non suscettibile di conferimenti dall’esterno dello stabilimento;

- la correlazione fra determinati inquinanti, come approfondito dalla Provincia di Mantova nell’ambito della bonifica condotta dalla stessa per la realizzazione della Conca di navigazione di Valdaro, è cosa nota: “ […] la presenza di diossine e furani è riconducibile alle pregresse attività dell’impianto cloro soda. Alte concentrazioni di furani sono infatti state rilevate nei fanghi derivanti da questo processo, in conseguenza dell’uso di elettrodi di grafite (Sveson e al., 1993). Solitamente, la distribuzione di diossine tipica, è detta anche ‘impronta del cloro’ (Pengo, 2007). A conferma di tale spiegazione, la distribuzione spaziale delle diossine risulta strettamente collegata alla contaminazione da mercurio. In altre parole, la contaminazione da diossine e furani è riscontrata sempre in presenza anche di una condizione di contaminazione da mercurio, a sua volta determinata dallo scarico delle acque reflue da parte dell’impianto cloro soda” (Relazione specialistica opere di bonifica della Conca di navigazione, redatta da ISER, Trento).

9.2. La Provincia precisa che “Le risultanze del presente atto sono basate sulla documentazione amministrativa e in particolare sulle indagini condotte da ARPA Dipartimento di Mantova, sui dati tecnico scientifici di letteratura e sulle cartografie prodotte da Montedison S.p.A. nell’ambito di pregressi procedimenti amministrativi e ad oggi ancora risultanti agli atti, come in particolare la cartografia storica Montedison MN 20813 22 8 rev 01 reparto SAP datata 04/07/79, che individuava già la porzione rilevata dell’area in questione come “parcheggio esistente”.

Inoltre, “La grave ed estesa contaminazione da mercurio di molte subaree del “polo chimico” emerse con chiarezza fin dalle prime indagini effettuate dagli Enti pubblici nel 1973. A partire da quella data e a seguito dell’emergenza ambientale derivante da un’estesa contaminazione da mercurio dei laghi, fu intrapresa un’attività di controllo e indagine da parte degli Enti locali, che consente ancora oggi, sulla base delle indagini agli atti, di ricostruire i fatti che hanno portato alla contaminazione ancora in parte ad oggi esistente [...] ciò che fa fede per correlare l’inquinamento da mercurio con l’impianto cloro soda sono i dati delle numerose e dettagliate indagini degli Enti pubblici locali condotte a partire dal 1973 ad oggi. La documentazione di parte prodotta dalle Ditte, che è stata visionata, viene citata per completezza istruttoria, ma gli elementi in essa contenuti NON vengono assunti come base per le motivazioni del presente atto, in quanto non modificano il quadro conoscitivo e probatorio acquisito dall’Amministrazione sulla base di documenti ufficiali e validati ivi citati”.

Nel provvedimento si conclude quindi che “I plurimi e convergenti elementi emergenti dalla ricostruzione degli assetti proprietari e delle attività produttive svolte presso lo stabilimento, i documenti d’archivio, le planimetrie, le indagini e le analisi svolte portano ad ascrivere la presenza degli inquinanti alla passata gestione Montedison S.p.A., oggi Edison S.p.A., e in particolare al ciclo di produzione del cloro soda , con ragionevole certezza e comunque secondo il criterio del “più probabile che non”.

Dopo aver richiamato le plurime ordinanze già adottate, quanto alla porzione dell’area V occupata dal rilevato attualmente adibito a parcheggio, la stessa “si può considerare come un volume confinato costituito da riporti e rifiuti contaminati: le ortofoto e la planimetria prodotta dalla stessa Montedison nel 1979 nel contesto di una pratica edilizia assegnano con certezza una datazione della realizzazione entro i primi anni ‘80. [...]”.

10. Ciò posto, giova sinteticamente ricordare che l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento.

Per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione” (Corte giust. UE, 4 marzo 2015, in causa C- 534/13; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzo 2010, in causa C – 378/08).

La prova può quindi essere data “in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.” (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).

Il soggetto individuato come responsabile, inoltre, “non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi” ma deve “provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento” (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017, cit..).

11. Nel caso in esame, l’istruttoria della Provincia risulta basata su una pluralità di convergenti elementi istruttori, nell’ambito dei quali – come chiarito dalla stessa Amministrazione procedente - le relazioni dei consulenti del pubblico ministero depositate nel parallelo procedimento penale sono state richiamate solo al fine di delineare il contesto produttivo di riferimento dell’epoca.

La validità dell’ipotesi eziologica formulata dall’Amministrazione si basa poi su incontestati elementi oggettivi quali:

- il sito è stato per decenni gestito da società del gruppo Edison;

- il sito è risultato contaminato da mercurio in pressoché tutte le matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque di superficie, acque di falda);

- i processi produttivi adottati dalle società del gruppo Edison che hanno operato in situ si sono basati a lungo proprio sull’utilizzo del mercurio;

- Edison non ha indicato una concreta, determinata e verosimile causalità alternativa.

11.1. Quanto al rilievo secondo cui altre società del settore utilizzavano, all’epoca, le stesse tecnologie adoperate da Edison, esso non elide la specifica responsabilità dell’appellante per le conseguenze ambientali delle metodologie produttive che questa ha, a suo tempo, liberamente scelto di adottare.

Ad ogni buon conto il Collegio osserva che la società è un operatore professionale, sicché il criterio di imputazione della responsabilità, secondo il principio “chi inquina paga”, espressamente richiamato dalla disciplina in materia di bonifiche (art. 239, comma 1), comporta solo la verifica del nesso di causalità tra l’attività esercitata e il danno ambientale (cfr., al riguardo, l’art. 298 – bis, comma 1, del codice dell’ambiente).

12. Relativamente, poi, alle censure incentrate sulla violazione dei principi di legalità e irretroattività dell’azione amministrativa, l’appellante non ha offerto spunti di riflessione decisivi per rimeditare i principi stabiliti dalla sentenza n. 10 del 2019 dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, confermati dalla decisione n. 3 del 2021, secondo cui “7.5. Può ritenersi pacifico che le misure introdotte nel 1997, ed ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. del codice di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, hanno nel loro complesso una finalità di salvaguardia del bene ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, nelle quali è assente ogni matrice di sanzione rispetto al relativo autore. Come inoltre puntualmente rilevato dalla Sezione rimettente tali misure non appartengano al «diritto lato sensu punitivo», sebbene per esse sia imprescindibile un accertamento di responsabilità (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., ord. 13 novembre 2013, nn. 21 e 25), ma si collocano invece nel tessuto connettivo formato dalla normativa ora menzionata. […] 7.11. Pertanto, [...] non vi è luogo nel caso ora descritto ad alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell’illecito, ma casomai all’applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto”.

Allo stesso modo l’Adunanza plenaria ha chiarito che gli obblighi in questione sono “trasmissibili in virtù di fusione per incorporazione dalla società responsabile del danno incorporata alla società incorporante”.

Nello specifico “La successione dell’incorporante negli obblighi dell’incorporata è espressione del principio espresso dal brocardo cuius commoda eius et incommoda, cui è informata la disciplina delle operazioni societarie straordinarie, tra cui la fusione, anche prima della riforma del diritto societario, per cui alla successione di soggetti sul piano giuridico-formale si contrappone nondimeno sul piano economico-sostanziale una continuazione dell’originaria impresa e della sottostante organizzazione aziendale. Anche prima che venisse sancito il carattere evolutivo-modificativo di quest’ultimo tipo di operazione era infatti indubbio che l’ente societario subentrato a quello estintosi per effetto dell’incorporazione acquisiva il patrimonio aziendale di quest’ultimo, di cui sul piano contabile fanno parte anche le passività, ovvero i debiti inerenti all’impresa esercitata attraverso la società incorporata. […].

A cio aggiugendosi che “la successione sul piano civilistico negli obblighi inerenti a fenomeni di contaminazione di siti e di inquinamento ambientale in caso di operazioni societarie contraddistinte dalla continuità dell’impresa pur a fronte del mutamento formale del centro di imputazione giuridica consente di assicurare una miglior tutela dell’ambiente”.

In definitiva, non si è in presenza sanzioni di natura afflittiva con conseguente necessaria applicazione delle garanzie costituzionali e convenzionali proprie del “diritto amministrativo punitivo”. In particolare, non si applicano le regole che presiedono alla successione nel tempo delle norme sanzionatorie afflittive. La finalità perseguita è quella di ripristinare l’interesse pubblico leso.

In ogni caso, si tenga conto che l’applicazione delle norme in materia di bonifica anche rispetto a fattispecie di “contaminazioni storiche” non avviene in via retroattiva, sanzionando ora per allora condotte risalenti e lecite al momento della loro commissione, ma pone attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi.

Il riferimento alle “contaminazioni storiche” è indistinto, cosicché sarebbe arbitrario limitare l’applicazione della norma alle sole contaminazioni che si siano verificate dopo l’entrata in vigore del codice dell’ambiente o dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo numero 22 del 1997, che per primo disciplinò gli obblighi di bonifica; in senso contrario può, anzi, osservarsi che l’aggettivo “storiche” rimanda, anche da un punto di vista semantico, a contaminazioni verificatesi in epoca remota, tali appunto da appartenere non all’attualità, ma alla storia del Paese (così la sentenza della Sezione n. 2195 del 2020).

Su un piano più generale, poi, risulta ragionevole porre l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici (sub specie, in particolare, dell’omissione delle spese necessarie per eliminare o, quanto meno, arginare l’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti).

12.1. A ciò si aggiunga che il danno all’ambiente, anche mediante l’immissione, il rilascio o l’abbandono di sostanze non biodegradabili era ab imis ed ab origine ingiusto e quindi risarcibile, quantomeno secondo lo schema dell’ordinaria responsabilità civile.

L’obbligo di bonifica, secondo la disciplina stabilità per la prima volta dal d.lgs. n. 22 del 1997, rappresenta un sistema aggiuntivo di tutela rispetto alle forme di responsabilità conseguenti alla commissione di condotte che già, comunque, erano ab origine contra jus.

E ciò è tanto più vero con riguardo all’inquinamento derivante dalla dispersione nell’ambiente di mercurio, sostanza già da tempo riconosciuta come pericolosa e gravemente nociva per la salute.

In senso contrario non rileva che le direttive europee in materia di riparazione del danno ambientale disciplinino solo fatti commessi dopo la rispettiva entrata in vigore, in quanto il diritto dell’Unione non esclude la possibilità per i legislatori nazionali di introdurre regimi di maggior tutela dell’ambiente (cfr. l’art. 16 della direttiva 2004/35/CE secondo cui “1. La presente direttiva non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l’individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l'individuazione di altri soggetti responsabili”); è appunto il caso in esame in cui il legislatore ha correlato gli obblighi di bonifica anche alle contaminazioni storiche.

12.2. Il generale principio di tutela dell’affidamento riguarda poi l’affidamento incolpevole, “chiaramente non predicabile con riferimento al soggetto che, a suo tempo, abbia consapevolmente posto in essere, nell’esercizio di attività giuridicamente qualificabili come pericolose, condotte che, a prescindere da specifiche disposizioni di settore all’epoca in vigore, avevano un’oggettiva, intrinseca ed evidente capacità, quanto meno potenziale, di determinare, aggravare o, comunque, agevolare la contaminazione dell’ambiente” (sentenza n. 2195 del 2020, cit.).

12.3. Ne consegue che è da ritenersi manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale, in ragione della natura non sanzionatoria, ma riparatoria che l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (nella cit. sentenza n. 10 del 2019) ha attribuito ai doveri di bonifica.

Al riguardo, il Collegio sottolinea altresì che non può condividersi la tesi di Edison secondo cui la qualificazione della natura retroattiva o meno di una norma, sarebbe “riservata” alla Corte costituzionale.

Si tratta infatti di una questione di interpretazione che rientra (anche) nelle prerogative del giudice comune.

13. Relativamente alla richiesta di rinvio pregiudiziale, si è già riportata la disposizione della direttiva sulla riparazione del danno ambientale in base alla quale non è precluso agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe.

A tale riguardo, per esempio, la Corte di Giustizia, con la sentenza 13 luglio 2017 (C-129/16, Ungheria c. Commissione europea, par. 64 e ss.), nel valutare la compatibilità delle norme vigenti nell’ordinamento ungherese, basate sul principio della responsabilità oggettiva, in via solidale, del proprietario dell’area, anche in assenza di un nesso causale tra la sua condotta e il danno verificatosi, ha chiarito che l’art. 16, Dir. 2004/35/CE e l’art. 193 TFUE debbono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che identifica oltre agli utilizzatori dei fondi sui quali sia stato generato un inquinamento illecito un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, a condizione che tale normativa sia conforme ai principi generali di diritto dell’Unione, nonché ad ogni disposizione pertinente dei Trattati UE e FUE e degli atti di diritto derivato dell’Unione.

La suddetta decisione si pone in linea con la precedente sentenza 4 marzo 2015, causa C-534/13.

In tale decisione la Corte di Giustizia (par- 40) ha sottolineato che dal momento che l’art. 191, par. 2, TFUE - che contiene il principio “chi inquina paga” - è rivolto all’azione dell’Unione, detta disposizione non può essere invocata in quanto tale dai privati al fine di escludere l’applicazione di una normativa nazionale emanata in una materia rientrante nella politica ambientale, quando non sia applicabile nessuna normativa dell’Unione adottata in base all’art. 192 TFUE che disciplini specificamente una determinata ipotesi.

Non è vi è quindi necessità di rimettere la questione prospettata da Edison alla Corte di Giustizia, poiché la disciplina europea è chiara nell’ammettere la possibilità che gli Stati adottino disposizioni più severe in materia di riparazione del danno ambientale.

Inoltre, l’applicazione delle norme nazionali in materia di bonifiche alle contaminazioni storiche non è contraria al principio di proporzionalità, laddove la stessa richiede quantomeno la sussistenza di un nesso di causalità oggettiva tra la condotta e il danno e pone non irragionevolmente l’obbligo di eseguire le opere di bonifica a carico del soggetto che tale contaminazione ebbe in passato a cagionare, avendo questi beneficiato, di converso, dei corrispondenti vantaggi economici.

14. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza nei confronti della Provincia di Mantova e della società Versalis s.p.a., mentre vi sono giusti motivi per la compensazione nei confronti del M.a.s.e. e dell’Inail, non avendo tali amministrazioni svolte difese sostanziali.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società Edison s.p.a. alla rifusione delle spese del grado in favore della Provincia di Mantova e della società Versalis s.p.a., che liquida complessivamente in euro 10.000,00 (diecimila/00) ed in ragione di euro 5.000,00 per ciascuna delle due parti resistenti, oltre agli accessori di legge.

Compensa le spese del grado nei confronti del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e dell’Inail.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere