Cass. Sez. III n. 4781 del 8 febbraio 2021 (UP 26 gen 2020)
Pres. Liberati Est. Reynaud Ric. Lunari  
Rifiuti.Terre e rocce da scavo e dpr 120\2017

La previsione contenuta nell’art. 4 d.P.R. 120/2017 - secondo cui, per poter essere considerate sottoprodotti, le terre e rocce da scavo devono, tra l’altro, essere gestite in modo «conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’art. 21» – non è stata ex novo illegittimamente introdotta in assenza di delega, ma era già contenuta nella previgente disciplina (cfr. artt. 4 e 5 d.m. 161/2012), emanata in aderenza alla normativa di matrice eurounitaria.– Attuando le indicazioni contenute nella legge-delega, il d.P.R. 120/2017 ha semmai semplificato gli adempimenti, posto che, con riguardo ai cantieri di piccole dimensioni, l’art. 21, primo comma consente allo stesso produttore di materiali, tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da trasmettersi, anche solo in via telematica, alla competente ARPA, almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori scavo, di accertare la sussistenza  delle condizioni  previste  dall'articolo  4 ed il secondo comma del medesimo art. 21 prevede che «la dichiarazione sostitutiva di atto di  notorietà  di  cui  al comma  1,  assolve  la  funzione  del  piano  di  utilizzo   di   cui all'articolo 2, comma 1, lettera f»


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7 luglio  2020, il Tribunale di Arezzo ha respinto la richiesta di riesame proposta dalla Lunari Srl avverso il provvedimento con cui il g.i.p. dello stesso Tribunale, convalidando l’intervento operato d’urgenza dalla polizia giudiziaria, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, di due autocarri utilizzati per il trasporto di materiali qualificati come rifiuti speciali non pericolosi, in relazione al fumus del reato di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, trattandosi di veicoli non autorizzati al trasporto di rifiuti nei provvedimenti di iscrizione della società all’Albo dei Gestori Ambientali.

2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, la società ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, la violazione di legge per essere stato ipotizzato il fumus commissi delicti dell’indicata contravvenzione in base alla mera inosservanza delle formalità amministrative di cui all’art. 4, lett. b), d.P.R. 120 del 2017 senza che ricorresse alcuna violazione delle condizioni richieste dall’art. 184 bis d.lgs. 152 del 2006, dalla Direttiva 2008/98/UE e dal d.m. 264/2016 per poter considerare sottoprodotto le terre e rocce da scavo oggetto dei contestati trasporti. Nel prescrivere i requisiti che consentono di qualificare le terre e rocce da scavo come sottoprodotto anziché come rifiuto – e, in particolare, nel richiedere quella dichiarazione sull’utilizzo dei materiali la cui mancanza era stata valorizzata dal giudice del merito cautelare – il citato regolamento era incorso in un eccesso di delega rispetto alle previsioni contenute nell’art. 4, lett. a-d-, l. 11 novembre 2014, n. 164, che autorizzava l’adozione di un mero regolamento compilativo e di coordinamento, con divieto di introdurre livelli di regolazione superiori ai precedenti, mentre la normazione secondaria integrativa  della disciplina di legge era stata attribuita al solo decreto ministeriale 264 del 2016, che al proposito nulla aveva specificamente previsto. In spregio ai principi costituzionali di riserva di legge, tassatività e determinatezza della fattispecie, si era quindi illegittimamente attribuita efficacia integrativa del precetto penale ad una norma secondaria. L’interpretazione costituzionalmente orientata – anche in relazione all’assenza di offensività delle formali violazioni ravvisate – avrebbe invece imposto di considerare le previsioni regolamentari asseritamente violate come di carattere burocratico-amministrativo, inidonee ad integrare il profilo di inosservanza delle prescrizioni, dei requisiti o delle condizioni di cui ai titoli amministrativi richiamati dall’art. 256, comma 4, d.lgs. 152 del 2006 ed inidonee a determinare la qualificazione delle terre e rocce da scavo quale rifiuto.
Nel disattendere le specifiche doglianze al proposito già devolute con la richiesta di riesame, l’ordinanza impugnata recava una motivazione meramente apparente.

3. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta violazione di legge per omessa motivazione in ordine alle specifiche doglianze sollevate con il riesame su punti rilevanti e prove documentali decisive per escludere il fumus  del reato ipotizzato e l’elemento soggettivo dello stesso, anche in relazione alla causa di non punibilità di cui all’art. 47, terzo comma, cod. pen.
In particolare, non si era data risposta alle allegazioni con cui si era specificamente sostenuta la natura di sottoprodotto dei materiali trasportati, per avere gli stessi tutti i requisiti richiesti dalla legge, e la scusabilità delle irregolarità presenti nella dichiarazione sostitutiva di atto notorio di cui all’art. 21 d.P.R. 120 del 2017. L’ordinanza si era limitata a richiamare il contenuto di altro provvedimento dello stesso giudice del riesame emesso in una vicenda cautelare connessa a quella di specie, senza valutare le doglianze sollevate.

4. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’omessa motivazione in ordine alla censura di insussistenza delle condizioni di urgenza legittimanti il sequestro da parte della polizia giudiziaria, che, a quattro mesi di distanza dai fatti contestati ed in assenza di qualsiasi profilo di urgenza e di periculum, aveva esercitato prerogative a cui nemmeno il pubblico ministero, che pure ne avrebbe avuto la possibilità, aveva ritenuto di fare ricorso ex art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
    
1. Il primo motivo di ricorso non è fondato, avendo l’ordinanza impugnata fatto corretta applicazione della legittima disciplina normativa applicabile, che, contrariamente a quanto opina la ricorrente, non presta il fianco ad alcun tipo di censura sul piano della conformità a Costituzione.
1.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, formatosi nella vigenza dell’art. 186 d.lgs. 152 del 2006, il quale, al comma 5, prevedeva che  «le terre e rocce da scavo, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto», la eccezionale possibilità di non considerare (e di non gestire) come rifiuti tali materiali è sottoposta a stringenti requisiti. Si è dunque affermato che l'applicazione della disciplina sulle terre e rocce da scavo  quale prevista dall’art. 186 d.lgs. n. 152/2006, nella parte in cui sottopone i materiali da essa indicati al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti, è subordinata alla prova positiva, gravante sull'imputato, della sussistenza delle condizioni previste per la sua operatività, in quanto trattasi di disciplina avente natura eccezionale e derogatoria rispetto a quella ordinaria (Sez.  3, n. 16078 del 10/03/2015, Fortunato, Rv. 263336; Sez.  3, n. 37280 del 12/06/2008, Picchioni, Rv. 241087). In particolare, si è sempre affermato  che detti materiali sono sottratti alla disciplina sui rifiuti solo in presenza: a) di caratteristiche chimiche che escludano una effettiva pericolosità per l'ambiente; b) di approvazione di un progetto che ne disciplini il reimpiego; c) di prova dell'avvenuto rispetto dell'obbligo di reimpiego secondo il progetto (Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni e aa., Rv. 256661). I principi informatori della speciale disciplina che consente di sottrarre le rocce e terre da scavo alle regole in tema di gestione di rifiuti, pur dopo l’abrogazione dell’art. 186 d.lgs. 152 del 2006, hanno trovato sostanziale conferma, dapprima nel d.m. 6 ottobre 2012, n. 161 e, successivamente, nel d.P.R. 13 giugno 2017, n. 120, che oggi regola la materia (cfr. Sez.  3, n. 8026 del 27/09/2017, dep. 2018, Masciotta e a., Rv. 272355).
1.2. Come giustamente ricorda la ricorrente, quest’ultimo provvedimento, che ha carattere di regolamento delegato, rinviene la propria fonte nell’art. 8 d.l. 12 settembre 2014, n. 133, conv., con modiff., dalla l. 11 novembre 2014, n. 164. Tra i principi e criteri direttivi fissati nella disposizione legislativa di delega, al  fine  di  rendere  più agevole  la  realizzazione   degli interventi che comportano la gestione delle terre e rocce  da  scavo, per quanto qui interessa vanno rammentati i seguenti:
  «a) coordinamento formale e sostanziale delle disposizioni vigenti, apportando  le  modifiche  necessarie  per  garantire   la   coerenza giuridica, logica e  sistematica  della  normativa  e  per  adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo […]
  d) divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli previsti dall'ordinamento europeo ed, in particolare, dalla direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008 […]
  d-ter) garanzia di livelli di tutela ambientale e sanitaria almeno pari a  quelli  attualmente  vigenti  e  comunque  coerenti  con  la normativa europea».
Contrariamente a quanto opina la ricorrente, la previsione contenuta nell’art. 4 d.P.R. 120/2017 - secondo cui, per poter essere considerate sottoprodotti, le terre e rocce da scavo devono, tra l’altro, essere gestite in modo «conforme alle disposizioni del piano di utilizzo di cui all’articolo 9 o della dichiarazione di cui all’art. 21» – non è stata ex novo illegittimamente introdotta in assenza di delega, ma era già contenuta nella previgente disciplina (cfr. artt. 4 e 5 d.m. 161/2012), emanata in aderenza alla normativa di matrice eurounitaria.– Attuando le indicazioni contenute nella legge-delega, il d.P.R. 120/2017 ha semmai semplificato gli adempimenti, posto che, con riguardo ai cantieri di piccole dimensioni, l’art. 21, primo comma consente allo stesso produttore di materiali, tramite una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da trasmettersi, anche solo in via telematica, alla competente ARPA, almeno 15 giorni prima dell’inizio dei lavori scavo, di accertare la sussistenza  delle condizioni  previste  dall'articolo  4 ed il secondo comma del medesimo art. 21 prevede che «la dichiarazione sostitutiva di atto di  notorietà  di  cui  al comma  1,  assolve  la  funzione  del  piano  di  utilizzo   di   cui all'articolo 2, comma 1, lettera f».
Nessuna violazione di delega e nessuna illegittimità, dunque, sono nella specie ravvisabili nella disciplina del d.P.R. 120/2017, che, quale fonte secondaria delegata, si limita a precisare – in modo certamente funzionale ai criteri di determinatezza richiesti in sede penale – in quali casi le terre e rocce da scavo, materiale oggettivamente qualificabile come rifiuto nei casi in cui, come pacificamente avvenuto nella specie, il detentore abbia l’obbligo di disfarsene, possano eccezionalmente essere considerati quale sottoprodotto.
1.3. Manifestamente prive di pregio, poi, sono le doglianze circa il fatto che, secondo l’ordinanza impugnata, l’art. 4 d.P.R. 120/2017 avrebbe integrato la previsione incriminatrice di cui all’art. 256, comma 4, d.lgs. 152 del 2006: l’ordinanza non afferma questo (ciò che non avrebbe senso), ma, del tutto correttamente, rileva che il regolamento ha integrato, con particolare riguardo alle terre e rocce da scavo, la disciplina dei sottoprodotti di cui all’art. 184 bis d.lgs. 152/2006.
Contrariamente a quanto opina la ricorrente, infatti, con riguardo ai materiali in questione non trova applicazione la disciplina regolamentare contenuta nel d.m. Min. ambiente e tutela del territorio e del mare 13 ottobre 2016, n. 264 (Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti  per  la  qualifica  dei  residui  di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti), il cui ambito di applicazione, quale definito all’art. 3, fa salve «le disposizioni speciali adottate per la  gestione di specifiche tipologie e categorie di residui, tra cui le  norme  in materia di gestione delle terre e rocce da scavo». Questi materiali, e la possibilità di qualificarli come sottoprodotti, trovano oggi la loro esclusiva disciplina nel citato d.P.R. 120/2017, rispetto al quale non è ravvisabile alcuna violazione dei principi di legalità in materia penale, trattandosi di fonte secondaria delegata, assolutamente conforme ai principi e criteri direttivi fissati nella legge, che assolve il compito (non già di determinare nuove condotte suscettibili d’integrare gli estremi di reato, ma) di precisare a quali condizioni la gestione delle terre e rocce da scavo eccezionalmente consenta di sottrarre tali materiali alla disciplina, anche penale, prevista dalla legge in materia di rifiuti.

    2. Il secondo motivo di ricorso è del pari infondato.
2.1. Va in linea generale premesso che, in tema di ricorso per cassazione, l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevan te solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e aa., Rv. 271227). Ed invero, il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell'atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna e aa., Rv. 267723), nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).
Per altro verso, va ribadito che l'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno del gravame di merito, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella decisione, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera e aa., Rv. 260841).
Questi principi sono tanto più validi nel caso di ricorso per cassazione proposto contro provvedimenti adottati in materia di sequestri, posto che in tal caso – a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. - l’impugnazione è consentita soltanto per violazione di legge e, quanto alla giustificazione della decisione, costituisce violazione di legge deducibile in sede di legittimità soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).
Per altro verso, la motivazione può essere definita soltanto apparente, ciò che appunto integra gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., quando sia fondata su argomentazioni che non risultano ancorate alle peculiarità del caso concreto (Sez. 4, n. 43480 del 30/09/2014, Giovannini, Rv. 260314) o quando si tratti di un vizio tanto radicale da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza che consentano di rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli e a., Rv. 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296; Sez.  6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893).
2.2. La doglianza circa la pretesa esclusione delle terre e rocce da scavo dalla categoria dei rifiuti  ai sensi dell’art. 185, comma 3, d.lgs. 152 del 2006 – quale riprodotta a pag. 19 del ricorso - non trova effettivamente risposta nell’ordinanza impugnata, ma, anche alla luce dei principi appena richiamati, la mancanza di motivazione sul punto è irrilevante, stante la manifesta infondatezza della stessa in diritto. Ed invero, l’inapplicabilità della disposizione al caso di specie è ictu oculi evidente, posto che per invocare la relativa disciplina è sufficiente che i materiali possano essere qualificati come “sedimenti”, occorrendo altresì che gli stessi, purché non pericolosi e nell’ottica delle finalità considerate dalla norma, siano semplicemente «spostati all’interno di acque superficiali o nell’ambito delle pertinenze idrauliche». Non qualsiasi tipo di gestione dei “sedimenti” esclude la possibilità di assoggettarli alla disciplina dei rifiuti, dunque, ma soltanto il loro “spostamento” da una parte all’altra del bacino idrico (o delle pertinenze idrauliche), situazione, questa, che pacificamente non ricorre nel caso di specie, posto che le terre e rocce da scavo provenienti dai lavori effettuati presso la Diga di Montedoglio – quand’anche, ed è tutt’altro che certo, potessero essere qualificabili come “sedimenti” – non furono spostati all’interno del bacino (della diga stessa o del fiume Tevere), ma furono trasportati presso una società di produzione di calcestruzzi per essere impiegati in quel ciclo produttivo.
2.3. Del pari generica e manifestamente infondata è la censura circa la mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo, posto che l’ordinanza attesta come le ragioni che inducevano ad escludere l’applicabilità della disciplina del sottoprodotto attenevano alle plurime falsità ideologiche contenute nella dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’art. 21 d.P.R. 120/2017 – e, comunque, all’utilizzo dei materiali in modo difforme da quanto in essa indicato - vale a dire ad una condotta che certo non evidenziava ictu oculi la buona fede. Vale, allora, il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, ma a condizione che esso emerga "ictu oculi" (Sez.  3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez.  2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez.  4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, dovendosi ribadire il principio secondo cui nel giudizio di riesame del sequestro preventivo eseguito d'urgenza dalla polizia giudiziaria non sono proponibili le questioni relative all'avvenuta convalida, dato che oggetto esclusivo del riesame è il decreto di sequestro emesso dal giudice, che è l'unico provvedimento che legittima la misura cautelare (Sez.  3, n. 11671 del 03/02/2011, Fioretti, Rv. 249919). Del resto, è assorbente il rilievo – da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e certamente estensibile anche al sequestro preventivo d’urgenza adottato dalla polizia giudiziaria – giusta il quale l'ordinanza con cui il giudice, a norma dell'art. 321, comma terzo bis, cod. proc. pen., convalida il sequestro preventivo disposto in via d'urgenza dal pubblico ministero  è inoppugnabile (Sez.  U, n. 21334 del 31/05/2005, Napolitano, Rv. 231055; Sez.  2, n. 50740 del 19/09/2019, Iacomelli, Rv. 277784; Sez.  3, n. 5770 del 17/01/2014, Brancalente, Rv. 258936).

4. Il ricorso, nel complesso infondato, va pertanto rigettato con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26 gennaio 2021.