Cass. Sez. III n. 16463 del 4 aprile 2017 (Ud 31 mag 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Gentili Imputato: Candiano
Rifiuti.Particolare tenuità del fatto e confisca del mezzo di trasporto

La affermazione della particolare tenuità del fatto o, come anche si esprime il legislatore nel testo della disposizione contenuta nell'art. 131-bis cod. pen., della offesa da esso derivante a carico del bene interesse tutelato dalla norma, è fattore tale da elidere, per evidenti ragioni di politica criminale la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, la sola punibilità della condotta, cioè la corrispondenza ad essa del diritto-dovere da parte dell'ordinamento di irrogare la sanzione penale, ma non è anche fattore idoneo ad escludere nella medesima condotta la esistenza di tutte le altre caratteristiche proprie dell'illecito penale, che anzi ne viene, in qualche modo, accertato nei suoi profili strutturali (fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice del merito il quale, riconosciuta la particolare tenuità del fatto, ha confermato la confisca del mezzo utilizzato per il trasporto di rifiuti)



RITENUTO IN FATTO

Con sentenza emessa in data 12 giugno 2015 la Corte di appello di Palermo, in riforma della precedente sentenza emessa dal Tribunale di Agrigento il precedente 2 dicembre 2013, con la quale, dichiarata la penale responsabilità di Candiano Vincenzo, in ordine al reato di cui all'art. 6, lettera d), numero 1, del decreto legge n. 172 del 2008, convertito con modificazioni, con legge n. 210 del 2008, per avere egli, in zona caratterizzata dalla dichiarazione di emergenza ambientale ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225 del 1992, effettuato attività di trasporto rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da materiale ferroso, in assenza della prescritta autorizzazione, lo stesso era stato condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, ha, invece, dichiarato il prevenuto non punibile, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., stante la particolare tenuità del fatto a lui contestato.

Ha inteposto ricorso per cassazione il prevenuto avverso la predetta sentenza, assistito dal proprio difensore di fiducia, deducendo, quale primo motivo di impugnazione, la violazione di legge che caratterizzerebbe la impugnata sentenza in quanto la stessa ha confermato, sostanzialmente, la penale responsabilità dell'imputato, sebbene la Corte territoriale, riferendosi ad un'attività di carattere occasionale, ha escluso che il Candiano svolga a titolo professionale il trasporto di rifiuti speciali, elemento ritenuto necessario ai fini della integrazione del reato.

Ha aggiunto il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe motivato in relazione alla dedotta mancanza di dolo nella condotta del prevenuto.

Quale secondo motivo di impugnazione il ricorrente ha contestato la decisione della Corte di merito, sotto il profilo della violazione di legge, per avere questa, pur dichiarata la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., confermato, rigettando nel resto ricorso del prevenuto, la disposta confisca del mezzo utilizzato, in ipotesi, per la realizzazione dell'illecito di cui alla rubrica contestata; in particolare il ricorrente ha evidenziato come l'art. 6 della legge n. 2010 del 2008 prevede la confisca del veicolo utilizzato per il trasporto di rifiuti solo in caso di pronunzia di condanna; nel caso in questione la non punibilità del fatto non può, ad avviso del ricorrente, comportare la confisca del bene che è servito per la sua commissione.  

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.

Ritiene la Corte di dovere, preliminarmente, ribadire l'esistenza dell'interesse del soggetto, che si è visto definire il procedimento penale a suo carico con la dichiarazione di non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ad impugnare siffatta pronunzia ancorché essa abbia un contenuto sostanzialmente liberatorio sotto il profilo strettamente sanzionatorio, .

Invero, posto che, secondo la previsione di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 28 del 2015 - rispettivamente, introduttivi del nuovo art. 651-bis cod. pen. e modificativi di talune disposizioni contenute nel dPR n. 313 del 2012, recante norme in materia di casellario giudiziale - la sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per la particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno e che di essa deve essere data menzione nel casellario giudiziale a carico del soggetto che se ne è giovato, è di manifesta evidenza che vi è in capo all'individuo, al quale non sia stata irrogata alcuna sanzione a cagione del reato a lui contestato in forza della ritenuta particolare tenuità del fatto, un indubbio interesse a conseguire una formula assolutoria che, a prescindere dal suo specifico contenuto, preveda, oltre alla inapplicabilità della sanzione penale, anche la inesistenza dei predetti o di altri pregiudizievoli effetti penali collaterali.

Fatta questa premessa in ordine alla sussistenza dell'interesse a coltivare la impugnazione, rileva il Collegio che l'argomento agitato dal ricorrente quale ragione del suo primo motivo di impugnazione è destituito di fondamento.

Sostiene, infatti, la difesa del prevenuto che, non svolgendo questo alcuna attività di carattere imprenditoriale o comunque produttiva nell'ambito dello smaltimento dei rifiuti speciali, la condotta di trasporto di rifiuti da lui tenuta non potrebbe essere sussunta entro il paradigma normativo della disposizione la cui violazione è stata contestata ma, semmai, solo entro quello di un mero illecito amministrativo; aggiunge, peraltro, il ricorrente che la Corte di appello, a fronte di un motivo di gravame con il quale si contestava, per le stesse ragioni, la possibilità di ascrivere al medesimo il reato in questione, nulla avrebbe risposto all'impugnante, venendo così meno all'obbligo, legislativamente sanzionato, di motivare i propri provvedimenti.

Al riguardo rileva il Collegio che il primo cardine del ragionamento svolto dal ricorrente non trova un saldo ancoraggio nella giurisprudenza di questa Corte.

Più, volte, è stato, infatti, confermato il concetto che, ai fini della configurabilità del reato di trattamento o gestione abusiva di rifiuti, non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, potendo questa essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità (da ultimo Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 febbraio 2016, n. 5716).

Con particolare riferimento, poi, allo specifico reato di cui è stata contestata la commissione all'imputato ora ricorrente, è stato anche puntualizzato che, proprio in relazione alle specifiche esigenze di emergenza ambientale che hanno giustificato l'inasprimento della disciplina repressiva in determinati ambiti territoriali nazionali, la integrazione del reato, si tratta in questi casi fra l'altro di un delitto, si realizza anche nella ipotesi di un unico trasporto abusivo di rifiuti (Corte di cassazione, Sezione III penale, 11 novembre 2013, n. 45306).

Esulante dalla presente fattispecie, in cui giova precisare l'agente svolge un'attività di tipo produttivo, essendo un imprenditore agricolo, è la diversa ipotesi in cui la produzione dei rifiuti non sia in rapporto di dipendenza con un'attività di produzione di beni o servizi, essendo questa volta, ma solo in questa ipotesi, la condotta connessa all'occasionale trasporto di rifiuti autoprodotti riconducibile non alla fattispecie penalmente rilevante ma solo all'ipotesi dell'illecito amministrativo (si veda, infatti, in tal senso: Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 ottobre 2014, n. 41352).

Ma laddove si tratti di rifiuti derivanti da un'attività in senso lato professionale, sebbene non avente ad oggetto il trattamento o la gestione di detti rifiuti, ed essa non abbia il carattere dalla assoluta occasionalità, le condotte penalmente rilevanti descritte sia dall'art. 256, comma 1, del dlgs n. 152 del 2006 che dall'art. 6, comma 1, lettera d), del decreto legge n. 172 del 2008, convertito con legge n. 210 del 2008, possono essere realizzate da chiunque, senza che abbia un qualche rilievo la possidenza o meno di determinate caratteristiche soggettive (Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 marzo 2015, n. 8979).

Va anche precisato, in tal modo definendo nel senso della infondatezza l'intero spettro delle doglianze formulate dal ricorrente col primo motivo di ricorso, che neppure può rilevarsi una significativa omissione di motivazione nella sentenza di appello, posto che questa, evidenziando il fatto che il reato de quo può essere commesso da chiunque, ha chiaramente inteso disattendere le ragioni di gravame che il Candiano aveva mosso a carico della sentenza di primo grado, in relazione al fatto che egli non svolgeva alcuna specifica attività imprenditoriale nell'ambito della gestione dei rifiuti.

Parimenti infondata è la doglianza in relazione alla omessa motivazione in tema di elemento soggettivo avendo chiaramente la Corte territoriale palermitana evidenziato, in ciò richiamando anche la sentenza del Tribunale di Agrigento, che in relazione al reato in questione è sufficiente il dolo generico consistente nella consapevolezza di trasportare, in assenza di qualsivoglia autorizzazione, materiali costituenti rifiuti speciali (e che nel caso si trattasse di rifiuti emerge dalla incontestata circostanza che il materiale ferroso in questione era derivato dalla estirpazione di numerosi filari di vite, dei quali lo stesso costituiva evidentemente il sostegno, coltivati da tempo e sino a quel momento dal prevenuto nell'esercizio della sua attività di imprenditore agricolo).

Passando al secondo motivo di impugnazione, concernente la conservazione della misura di sicurezza patrimoniale della confisca, pur in presenza della sentenza con la quale è stata dichiarata la non punibilità del fatto, stante la sua particolare tenuità, rileva la Corte come la affermazione della particolare tenuità del fatto o, come anche si esprime il legislatore nel testo della disposizione contenuta nell'art. 131-bis cod. pen., della offesa da esso derivante a carico del bene interesse tutelato dalla norma, è fattore tale da elidere, per evidenti ragioni di politica criminale la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità del legislatore, la sola punibilità della condotta, cioè la corrispondenza ad essa del diritto-dovere da parte dell'ordinamento di irrogare la sanzione penale, ma non è anche fattore idoneo ad escludere nella medesima condotta la esistenza di tutte le altre caratteristiche proprie dell'illecito penale, che anzi ne viene, in qualche modo, accertato nei suoi profili strutturali.

Ne è evidente indice, già, peraltro, segnalato ai fini della dimostrazione della esistenza di un interesse ad impugnare la sentenza con la quale è stata dichiarata la particolare tenuità del fatto in capo a chi si sia visto prosciogliere dalla accusa formulata a suo carico in applicazione dell'art. 131-bis cod. pen., sia la circostanza che della predetta sentenza ne sia data menzione nei registri e nei certificati del casellario giudiziale, «i sia il dato che la stessa costituisca fonte di accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, risultando in tal modo plasticamente dimostrato che il fatto stesso, benché positivamente contraddistinto dalla particolare tenuità dell'offesa che esso arreca al bene interesse tutelato, costituisce, tuttavia, pur sempre un illecito penale, la cui unica caratteristica, che lo rende peraltro peculiare nel nostro ordinamento, è che ad esso non corrisponde la attivazione dello ius puniendi o, come altri preferisce dire, della potestas puniendi dello Stato.

La riaffermata natura illecita del fatto giustifica, pertanto, la ricorrenza degli altri effetti penali ad esso riconnessi, eccezion fatta, come sopra detto, per la applicazione della pena e per quelle conseguenze che direttamente conseguono alla applicazione di questa (si immagini a tale proposito, quale ipotesi esemplificativa, la previsioni di cui al combinato disposto dell'art. 164, commi secondo, numero 1, e quarto, cod. pen., che inibisce la concessione della sospensione condizionale della pena a chi abbia riportato una precedente condanna a pena detentiva per un precedente delitto che, sommata a quella da infliggere, superi i limiti quantitativi previsti dal precedente art. 163).

Fra tali eccezioni non ritiene il Collegio che rientri l'effetto penale previsto dall'art. 6, comma 1-bis, dela decreto legge n. 172 del 2008, convertito con legge n. 210 del 2008, il quale prevede, quale conseguenza della attribuzione di una delle fattispecie previste dal predetto art. 6, se commessa attraverso l'uso di un veicolo, il sequestro preventivo di esso nel corso delle indagini preliminari e, in caso di sentenza con la quale viene accertata la penale responsabilità (per tale dovendosi intendere la espressione "sentenza di condanna" anche ove a detta condanna non venga collegata la materiale irrogazione di alcuna pena), la confisca di detto veicolo.
Posto che nel caso in questione al Candiano è stato dapprima sequestrato e quindi confiscato il veicolo a bordo del quale egli stava provvedendo al trasporto non autorizzato dei rifiuti, costituiti dai rottami ferrosi, di cui al capo di imputazione, correttamente la Corte di appello, pur considerata la condotta posta in essere non punibile ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., ritenutane la oggettiva contrarietà al diritto, ha disposto, applicando l'art. 6, comma 1-bis, del decreto legge n. 172 del 2008, come risultante a seguito delle legge di conversione, la confisca del veicolo in questione.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del prevenuto ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2016