Cass. Sez. III n. 13560 del 8 aprile 2025 (UP 28 gen 2025)
Pres. Di Nicola Est. Andronio Ric. Bruno
Rifiuti.Materiali provenienti da demolizione
Ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 256, commi 1-3, del d.lgs., 3 aprile 2006, n. 152, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l'applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto”. Più in generale, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alle condizioni di liceità dell’attività incombe su chi ne invoca la sussistenza, venendo in rilevo l’applicazione di norme che derogano al normale regime autorizzatorio previsto in materia
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 7 giugno 2024, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 9 giugno 2022 del Tribunale di Castrovillari, con la quale – per quanto qui rileva – gli imputati erano stati condannati, per il reato di cui all’art. 256, comma 2, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per avere, in concorso tra loro, il primo nella qualità di legale rappresentante della Bruno Serafino s.r.l., e la seconda, in qualità di socio institore della medesima impresa, smaltito illecitamente un ingente quantitativo dei rifiuti speciali, parzialmente sottoposti a combustione, abbandonati sul nudo terreno all’interno del cantiere della ditta (Cariati, il 30 luglio 2019).
2. Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto – tramite il difensore e con unico atto – ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. In primo luogo, la difesa lamenta l’inosservanza della legge penale, in relazione agli elementi costitutivi integranti il reato, sul piano della tipicità e della riferibilità ai concorrenti. In particolare, non sarebbe stata valutata la prova decisiva rappresentata dalle dichiarazioni testimoniali con cui si dimostrava la natura temporanea del deposito, trattandosi di rifiuti prodotti in modo occasionale e momentaneamente accumulati nel luogo di produzione, in attesa dello smaltimento da parte di una ditta specializzata. Nella prospettazione dei ricorrenti, si tratta, perciò, di deposito temporaneo, per cui non occorre l’autorizzazione, in base alla definizione di cui all’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, e che, pertanto, non integra il reato di cui all’art. 256 del medesimo d.lgs.
2.2. Con un secondo motivo, ci si duole dell’inosservanza dell’art. 256, comma 2, del d.lgs., n. 152, del 2006, sul rilievo che il deposito penalmente rilevante potrebbe essere realizzato solamente come parte dell’attività di impresa, trattandosi di un reato proprio, che può essere commesso solo da chi esercita quella attività. Nel caso di specie, il deposito contestato non avrebbe potuto essere considerato tale, in quanto costituito da materiali ricavati da lavori edili di carattere occasionale; sicché la condotta avrebbe dovuto essere qualificata come illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 255 dello stesso d.lgs.
2.3. Con un terzo motivo, parzialmente ripetitivo del precedente, la difesa denuncia violazione di legge e vizi della motivazione, in relazione alle ragioni che hanno portato i giudici di merito a ritenere integrato il reato. Lamenta la difesa l’errore percettivo del giudice nella valutazione delle prove, che dimostravano come l’attività di smaltimento risultasse completamente scollegata, da quella dell’impresa, atteggiandosi a quella che un qualunque privato avrebbe potuto compiere.
2.4. Con un quarto motivo, si lamenta la difesa lamenta l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla riconducibilità del fatto alla ricorrente Caruso Clara. Quest'ultima, infatti, doveva ritenersi estranea al reato, in quanto al tempo della su ipotizzata commissione, aveva ceduto tutti i poteri connessi alla carica di institore a Bruno Serafino, perdendo perciò il relativo potere di controllo, e con esso quello di impedire il reato.
2.5. Si lamenta, poi, l’inosservanza della legge penale, in ordine alla mancata pronuncia della dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Il giudice del merito ha ritenuto non ancora maturato il termine di prescrizione, avendo applicato il termine di sospensione previsto dalla c.d. “riforma Orlando”, senza avere tuttavia considerato che tale termine è stato rimosso dalla legge n. 134 del 2021, per i fatti commessi in data successiva al 3 agosto 2017.
2.6. Con successiva memoria, depositata in data 13 gennaio 2025, il ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso, riproponendo gli stessi motivi già illustrati nell’atto introduttivo.
2.7. Con memoria di replica alle osservazioni contenute nella requisitoria del Procuratore generale, depositata in data 22 gennaio 2025, la difesa ribadisce gli argomenti già formulati: in particolare, si sostiene che l’entità del deposito è consistita in due cumuli di rifiuti; viene chiesta, perciò, l’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., come novellato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, dovendosi riconoscere applicabilità retroattiva alle disposizioni di favore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo, con cui si deduce la mancata valutazione della natura temporanea del deposito è inammissibile.
In proposito va premesso che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 256, commi 1-3, del d.lgs., 3 aprile 2006, n. 152, i materiali provenienti da demolizione debbono essere qualificati dal giudice come rifiuti, in quanto oggettivamente destinati all’abbandono, salvo che l’interessato non fornisca la prova della sussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l'applicazione di un regime giuridico più favorevole, quale quello relativo al “deposito temporaneo” o al “sottoprodotto” (ex plurimis, Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Rv. 264121). Più in generale, in tema di gestione dei rifiuti, l’onere della prova relativa alle condizioni di liceità dell’attività incombe su chi ne invoca la sussistenza, venendo in rilevo l’applicazione di norme che derogano al normale regime autorizzatorio previsto in materia (ex plurimis, Sez. 3, n. 11167 del 14/12/2023, dep. 18/03/2024, Rv. 286043 – 02).
Applicando tali principi, i giudici del merito, nell’esame del compendio probatorio, hanno rilevato la presenza, all’interno dell’azienda, di cumuli composti da rifiuti di vario genere, frutto di un’attività di demolizione, accatastati alla rinfusa sul terreno; tali cumuli inoltre risultavano parzialmente bruciati. Da ciò si è correttamente ricavato che i rifiuti si trovavano in pianta stabile in quei luoghi, tanto che era stata posta in essere un’attività di incenerimento per smaltirli. Sotto questo profilo, il ricorso, limitandosi ad addurre un travisamento della prova testimoniale, non produce alcuna deduzione specifica in ordine alla sussistenza dei requisiti specifici del deposito temporaneo, né presenta alcuna critica alle considerazioni su cui si fonda il ragionamento dei giudici di primo e secondo grado. Le pronunce, infatti, si sono basate sull’intero compendio probatorio formatosi nel corso del giudizio e sui rilievi fotografici, per cui si sono correttamente apprezzati il numero e la consistenza dei cumuli di rifiuti; con la conseguenza che deve essere disattesa la generica asserzione difensiva relativa all’esiguità o alla scarsa consistenza di questi ultimi, nonché al fatto che essi fossero solamente due.
1.2. Anche il secondo e il terzo motivo, con cui si deduce la mancata connessione del deposito all’attività di impresa e, di conseguenza, anche l’estraneità al reato del ricorrente, è inammissibile. Merita ricordare, al riguardo, che, ai fini della configurabilità del reato di «attività di gestione di rifiuti non autorizzata» punito dall’art. 256, comma 1, del d.lgs. n. 152/06, non rileva la qualifica soggettiva del soggetto agente bensì la concreta attività posta in essere in assenza dei prescritti titoli abilitativi, che può essere svolta anche di fatto o in modo secondario, purché non sia caratterizzata da assoluta occasionalità. Costituiscono indici sintomatici della natura non occasionale della condotta e, quindi, dell’abusiva gestione, «la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito (ex multis, Sez. 3, n. 24676 del 10/05/2023; Sez. 3, n. 36819 del 04/07/2017, Rv. 270995).
Con riguardo a questi profili, la Corte di appello – in continuità con il giudice di primo grado – ha correttamente considerato che i rifiuti erano connessi all’attività edile, come peraltro indicato dallo stesso difensore all’interno del ricorso. Come visto poco sopra, lo stato di abbandono sul terreno dell’impresa, l’eterogeneità di materiali, e lo stato di parziale combustione di essi, costituivano dati tali da permettere di ritenere che quei rifiuti fossero lì da un certo tempo, al punto che per smaltirli era stata tentata la via della combustione, che confermava la sistematicità dell’accumulo. Se ne è pertanto ragionevolmente ricavato che i rifiuti erano stati accumulati nell’esercizio dell’attività imprenditoriale; e, per questi motivi, era logico ritenere inverosimile l’asserzione del difensore, secondo la quale quei rifiuti erano estranei all’attività e avrebbero potuto essere prodotti da un qualsiasi privato.
1.3. Il quarto motivo, con cui si deduce l’estraneità al fatto della Caruso, è del pari inammissibile. Sotto questo profilo, i giudici del merito hanno correttamente ritenuto la Caruso concorrente nel reato, in quanto non era stata prodotta una delega nelle forme di legge che escludesse la sua posizione di controllo; il rilievo che, inoltre, questa si fosse disinteressata della gestione dell’impresa è stato correttamente disatteso, trattandosi di una mera affermazione, che non risultava suffragata da alcuna risultanza probatoria.
1.4. Anche il quinto motivo di doglianza, che denuncia il mancato rilievo dell’intervenuta prescrizione, è inammissibile. Merita precisare che – contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa – per i reati commessi dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, si applica la disciplina di cui alla legge n. 103 del 2017; per i reati commessi a partire dal 1° gennaio 2020, trova applicazione la disciplina di cui alla legge n. 134 del 2021 (Sez. Un., 12 dicembre 2024, informazione provvisoria). Risulta in ogni caso assorbente la circostanza che la questione dell’inapplicabilità della sospensione è irrilevante nel caso di specie, in quanto non avrebbe prodotto alcun risultato pratico sull’esito del giudizio di appello: pur ritenendo inapplicabile la sospensione censurata dalla difesa, la prescrizione si sarebbe verificata il 30 luglio 2024, ovvero in data successiva alla sentenza di appello, con la conseguenza che il giudice del merito correttamente non l’ha rilevata in tale sede.
Per quanto riguarda il giudizio di cassazione, invece, la prescrizione, pur maturata dopo la sentenza di appello, non può essere rilevata, a fronte di un ricorso sorretto da motivi inammissibili. Trova infatti applicazione il noto principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (ex plurimis, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
1.5. Il motivo aggiunto di ricorso, presentato con memoria del 22 gennaio 2025 – con il quale si chiede l’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen. – è inammissibile sia perché, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., “l’inammissibilità dell’impugnazione si estende anche ai motivi nuovi”, sia perché si tratta di doglianza non proposta precedentemente, sia perché riferito a valutazioni di merito, precluse in questa sede. Del resto, dagli argomenti dei giudici di merito, è agevole ricavare come nel caso di specie il reato non sia di particolare tenuità: si è in presenza di cumuli non esigui né temporanei, in stato di incuria ed abbandono, ed oggetto del maldestro tentativo di disfarsene mediante combustione.
2. Per questi motivi, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28/01/2025.