Cass. Sez. III n.28492 del 20 giugno 2018 (ud. 9 nov. 2017)
Pres. Di Nicola Est. Galterio Imp. Angeloro
Rifiuti. Abbandono e culpa in vigilando del titolare di impresa

La culpa in vigilando da parte del titolare dell’impresa sul fatto dei propri dipendente che abbia posto in essere una condotta di abbandono dei rifiuti postula pur sempre un accertamento pieno dell'eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo, della condotta contestata alla legale rappresentante della società. Occorre in altri termini, affinchè possa ritenersi la responsabilità concorrente del titolare dell’impresa, non costituente un’ipotesi di responsabilità oggettiva, accertare che la condotta incriminata non sia frutto di una autonoma iniziativa dei lavoratori contro le direttive e ad insaputa dei datori di lavoro


RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 24.4.2015 il Tribunale di Lucera ha condannato Ylenia Angeloro, quale legale rappresentante della snc Graco di Angeloro Ylenia & C., in concorso con Luigi Cirelli, dipendente con mansioni di autista della medesima società, alla pena di € 3.000 di ammenda ritenendola responsabile del reato di cui agli all’art. 256, commi 1 lett.a) e 2 d. lgs 152/2006 per aver effettuato attività di raccolta e di trasporto di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive, abbandonandoli in modo incontrollato su una strada di pubblico transito.
Avverso la suddetta sentenza la Angeloro ha proposto, per il tramite del proprio difensore, atto di appello innanzi alla Corte di Appello di Bari, riconvertito in ragione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda ex art. 593, comma 3 cod. proc. pen., in ricorso per Cassazione, con trasmissione dei relativi atti a questa Corte. L’atto si compone di un unico motivo con il quale si contesta la penale responsabilità della ricorrente del reato ascrittole, la cui condotta era stata esclusivamente posta in essere dal dipendente della società che, di propria iniziativa, aveva sversato le acque della molitura delle olive, contravvenendo alle disposizioni impartitegli dalla titolare che gli aveva ordinato di trasportarle nei terreni per lo spandimento. Si deduce che la scarna motivazione resa dal Tribunale, che fonda la colpevolezza dell’imputata  sull’art. 40 c.p. secondo il quale non impedire un reato che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo, senza nulla aggiungere, non tiene conto dei presupposti applicativi della norma, costituiti nell’ipotesi di concorso omissivo in reato commissivo, dal fatto che l’omissione configuri violazione dell’obbligo di impedire l’evento e che sia condizione necessaria o agevolatrice della realizzazione della condotta illecita. Nessuna delle due condizioni sussiste, ad avviso della difesa, nel caso di specie posto che l’imputata era in regola con gli obblighi a suo carico avendo trasmesso al Comune nell’ottobre 2012 e, dunque prima della commissione del fatto, la comunicazione di esercizio per la utilizzazione delle acque di vegetazione del frantoio, onde nessuna responsabilità poteva esserle ascritta per la condotta del dipendente, da ritenersi del tutto imprevedibile, anche alla luce di quanto riportato nel rapporto redatto dagli agenti di PG, secondo cui questi aveva agito “al fine di ridurre i tempi di lavoro che con il regolare spandimento nei terreni sarebbero stati di gran lunga superiori.”

CONSIDERATO IN DIRITTO

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte in materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull'operato dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono (Sez. 3, n. 40530 del 11/06/2014 - dep. 01/10/2014, Mangone e altro, Rv. 261383 in relazione ad una fattispecie di scarico incontrollato di rifiuti bituminosi all'interno di un parco fluviale). Il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, sebbene reato proprio dell'imprenditore o del responsabile di ente, non è infatti necessariamente un reato a condotta attiva, ravvisabile nel solo caso in cui questi si sia reso responsabile di comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti, ben potendo concretarsi anche in una omissione, scaturente da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell'azienda (cfr. Cass. pen. sez. 3/11.12.2003, n. 47432 che ha ritenuto la responsabilità dei titolari di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprietà della società, in assenza delle prescritte autorizzazioni", nonchè Cass. pen. sez. 3, n. 24736 del 18.5.2007 in una fattispecie riguardante un autocarro adibito al trasporto di rifiuti abbandonati in modo incontrollato e condotto da un dipendente del titolare dell'impresa).
Ciò nondimeno la culpa in vigilando da parte del titolare dell’impresa sul fatto dei propri dipendente che abbia posto in essere una condotta di abbandono dei rifiuti, così come viene ipotizzato nel capo di imputazione nei confronti dell’odierna ricorrente, postula pur sempre un accertamento pieno dell'eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo, della condotta contestata alla legale rappresentante della società. Occorre in altri termini, affinchè possa ritenersi la responsabilità concorrente del titolare dell’impresa, non costituente un’ipotesi di responsabilità oggettiva, accertare che la condotta incriminata non sia frutto di una autonoma iniziativa dei lavoratori contro le direttive e ad insaputa dei datori di lavoro, specie allorquando la condotta sia stata posta in essere, come nel caso di specie, dall’autista della società, di cui l’imputata era la legale rappresentante, nel mentre si trovava da solo alla guida del mezzo, su cui erano state caricate le acque provenienti dalla molitura delle olive, sversandole lungo il tragitto sulla pubblica via. La circostanza che il dipendente abbia affermato nell’immediatezza del fatto di aver contravvenuto, per ridurre i tempi di lavoro, agli ordini impartitigli dal datore di lavoro secondo cui avrebbe dovuto trasportare i reflui nei terreni deputati allo spandimento, così come riportato dai verbalizzanti, lascia di per sè emergere un ragionevole dubbio sul concorso della ricorrente nel reato in contestazione, che il giudice di merito non risulta proprio essersi posto. Nessun accertamento risulta essere stato effettuato dal Tribunale pugliese che ha, invece, ritenuto la responsabilità dell’imputata semplicemente menzionando l’art.40 c.p. come se dalla norma discendesse una responsabilità in automatico in capo alla titolare dell’impresa che peraltro risultava munita, circostanza di cui da atto la stessa sentenza, di autorizzazione allo spandimento delle acque e che pertanto non poteva avere un interesse concreto all’abbandono incontrollato di dette acque, non essendosi dimostrato che a ciò corrispondesse un risparmio di spesa o di tempo per la necessità di impiegare il dipendente in altre mansioni.
In mancanza di risultanze istruttorie comprovanti il suo concorso nel reato in contestazione, si impone in conclusione, a norma dell’art. 530 cod. proc. pen.,  l’assoluzione dell’imputata per non aver commesso il fatto. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata senza rinvio limitatamente alla posizione di costei

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di Angeloro Ylenia per non aver commesso il fatto.
Così deciso il 9.11.2017