Cass. Sez. III sent. 37122 del 13 ottobre 2005 (c.c. 11 maggio 2005)
Pres. Savignano Est. Fiale Ric. Delle Foglie
Aree protette – ZPS –
Costruzione di impianti fissi di recupero e smaltimento rifiuti
Per la costruzione di nuovi impianti fissi di recupero e smaltimento rifiuti, alla luce del disposto dell’articolo 27, comma sesto D.Lv. 22 del 1997, quando l’impianto insista in aree vincolate è richiesta l’autorizzazione paesaggistica ora disciplinata dall’articolo 146 D.Lv. 422004. Il relativo procedimento si colloca con una propria autonomia all’interno del procedimento autorizzatorio disciplinato dall’articolo 27 D.Lv. 22 del 1997
Svolgimento del processo
Il
Tribunale di Bari, con ordinanza del 6 dicembre 2004, rigettava l'istanza di
riesame proposta da Delle Foglie Leonardo, in proprio e quale amministratore
unico della s.r.l. PROMETEO 2000, avverso il decreto 28 ottobre 2004 con il
quale il G.I.P. di quello stesso Tribunale aveva disposto il sequestro
preventivo di un'area su cui era stato realizzato un opificio per la produzione
di fertilizzanti biologici e trasformazione di prodotti agricoli in compost ed
attività floro-vivaistica in serra, sita nella contrada "Torre dei
Gendarmi" dell'agro di Grumo Appula, in relazione ai reati di cui agli
artt. 142, 143, 146 e 181 del D.Lgs. n. 42/2004; 6, 11 e 30 della legge a
394/1991; 44 lett. c), DPR. n. 380/2001; 734 cod. pen.
Rilevava
il Tribunale che:
-
la trasformazione urbanistica era stata effettuata, in assenza di autorizzazione
a lottizzare, di concessione edilizia e di nulla-osta paesistico - in zona
dell'area "Alta Murgia", soggetta a vincolo paesaggistico nonché
costituente area protetta (zona di protezione speciale ai sensi della normativa
comunitaria) - in violazione dei divieti posti:
a)
dall'art. 6 della legge 6 dicembre 1991, n. 394;
b)
dalla legge n. 30/1990 della Regione Puglia, in quanto l'intervento ricade in
area annessa a bosco, percorsa da un incendio verificatosi nel luglio 1999, che
il Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio (P.U.T.T.) della
Regione Puglia - approvato con delibera dì Giunta n. 1748 del 15 dicembre 2000
e pubblicato sul Bollettino Ufficiale del 17 gennaio 2002 - definisce
"ambito territoriale esteso di valore relativo D": area annessa
formata da una fascia della larghezza costante di
c)
dallo stesso P.U.T.T. della Regione Puglia, in quanto l'intervento ricade
parzialmente in "ciglio di scarpata"', ove gli indirizzi di tutela
prevedono la salvaguardia e la valorizzazione dell'assetto attuale del
territorio, mantenendo l'assetto geomorfologico d'insieme;
-
si configurava, in particolare, lottizzazione abusiva, poiché l'impianto di
tipo industriale era stato realizzato in zona classificata come
"agricola" (zona E rurale) dal vigente piano regolatore generale,
senza l'approvazione di alcuna variante allo strumento urbanistico;
-
l'insediamento medesimo era stato autorizzato con delibera della Giunta
provinciale di Bari n. 424 del 4 settembre 2000, ai sensi dell'art 27, comma 9,
del D.Lgs. n. 22/1997, da considerarsi illegittima poiché riguardante zona di
inedificabilità assoluta ai sensi dell'art. 1 ter della legge n. 431/1985,
nonché inefficace in assenza del prescritto nulla-osta paesaggistico ed in
mancanza della V.I.A.;
-
le opere realizzate erano comunque diverse da quelle autorizzate ai sensi
dell'art. 27, comma 9, del D.Lgs. n. 22/1997;
-
il settore dell'impianto destinato ad attività floro-vivaistica in serra non
poteva, in ogni caso, essere autorizzato con le procedure di cui all'art. 27,
comma 9, del D.Lgs. n. 22/1997 e non era stato assentito con la prescritta
concessione edilizia;
-
doveva considerarsi configurabile, altresì, la contravvenzione di cui all'art.
734 cod. pen., poiché l'insediamento, nel suo complesso, alterava le
caratteristiche di bellezze naturali dei luoghi soggetti alla protezione
speciale.
-
il sequestro si giustificava, infine, anche ai sensi dell'art. 321, 2° comma,
c.p.p., poiché il terreno e le opere abusivamente realizzate erano suscettibili
di confisca, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 47/1985.
Avverso
l'anzidetta ordinanza ha proposto ricorso il Delle Foglie, il quale - sono i
profili delle violazioni di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:
-
che l'area interessata dall'insediamento produttivo in oggetto è
"totalmente libera da vincoli di alcun tipo", secondo quanto si evince
dal P.U.T.T. vigente;
-
detto insediamento costituisce "opera di pubblica utilità" e
legittimamente è stato approvato con le procedure di cui all'art. 27 del D.Lgs.
n. 22/1997. L'art. 5.07, comma 3.03 del P.U.T.T. prevede, infatti, che "le
opere pubbliche e di interesse pubblico, approvate all'entrata in vigore del
Piano, sono autorizzate ai sensi del titolo n del D.Lgs. n. 490/1999 in deroga
al Piano",
-
il giudice, nella specie, si era sostituito all'autorità amministrativa
nell'identificazione delle bellezze paesaggistiche rilevanti, sostanzialmente
"creando" vincoli inesistenti;
-
l'erronea applicazione all'area in oggetto del regime delle aree naturali
protette (Z.P.S.) e di quello delle zone boscate;
-
la incongrua configurazione del reato di lottizzazione abusiva.
Il
difensore, poi, in data 26 aprile
Il
ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
Ai
sensi dell'art. 27 del D.Lgs. n. 22/1997, "I soggetti che intendono
realizzare nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche
pericolosi, devono presentare apposita domanda alla Regione competente per
territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione
tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni
vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute e di sicurezza
sul lavoro, e di igiene pubblica. Ove l'impianto debba essere sottoposto alla
procedura di vantazione di impatto ambientale statale ai sensi della normativa
vigente, alla domanda è altresì allegata la comunicazione del progetto
all'autorità competente ai predetti fini...".
Entro
30 giorni dal ricevimento della domanda, la Regione nomina il responsabile del
procedimento e "convoca un'apposita conferenza dì servizi cui partecipano
i responsabili degli uffici regionali competenti e i rappresentanti degli enti
locali interessati".
La
conferenza di servizi, entro 90 giorni dalla sua convocazione, "trasmette
le proprie conclusioni con i relativi atti alla Giunta regionale".
Il
5° comma dell'art.
Nella
specie trattasi di funzioni conferite dalla Regione Puglia alle Province, fatte
salve dall'art. 57, 2° comma, del D.Lgs. n. 22/1997.
In
relazione all'anzidetto articolato normativo va rilevato che:
-
la conferenza di servizi disciplinata dall'art. 7 del D.Lgs. n. 22/1997 deve
farsi rientrare nello schema della "conferenza istruttoria" (art. 14,
comma 3, della legge n. 241/1990 e succ. modif.) e costituisce, cioè, strumento
di accelerazione per l'esame contestuale dei diversi interessi coinvolti dal
procedimento: le determinazioni conclusive sul progetto, infetti, non sono
assunte in sede di conferenza ma sono rimesse alla Giunta regionale;
-
i rappresentanti degli enti che partecipano a tale conferenza di servizi devono
avere - comunque - il potere di esprimere la volontà dell'ufficio o
dell'amministrazione ai quali appartengono, devono esprimere, cioè, la propria
volontà con riferimento a beni o interessi che per legge rientrano nella
propria competenza (vedi art. 14 della legge n. 241/1990); sicché è necessaria
la delega del Consiglio comunale in ipotesi di introduzione di varianti allo
strumento urbanistico;
-
l'approvazione del progetto e l'autorizzazione alla costruzione dell'impianto di
recupero o smaltimento può costituire variante allo strumento urbanistico solo
se il provvedimento adottato ai sensi dell'art. 27 del D.Lgs. n. 22/1997 sia
adeguatamente motivato in relazione alla pubblica utilità dell'opera.
L'amministrazione, quindi, pur nell'esercizio di un potere discrezionale, deve
effettuare un'approfondita valutazione dell'interesse pubblico alla
realizzazione dell'impianto in variante allo strumento urbanistico sotto il
profilo della pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dell'opera e solo
la ricorrenza di tali esigenze può legittimare la compressione delle scelte
effettuate dai Comuni in sede di pianificazione urbanistica.
Lo
stesso art. 27 prevede, poi, al 6° comma, che "Nel caso in cui il progetto
approvato riguardi aree vincolate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e
del D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8
agosto 1985, n. 431, si applicano le disposizioni di cui al comma 9 dell'art. 82
del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come modificato dal D.L. 27 giugno 1985, n.
312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n, 431".
B
che significa che nelle aree vincolate è richiesta l'autorizzazione già
prevista dall'art. 7 della legge n. 1497/1939, le cui procedure di rilascio sono
state innovate dalla legge a 431/1985 e sono attualmente disciplinate dall'art.
146 del D.Lgs. n. 42/2004.
Il
relativo procedimento si colloca, pertanto, con una propria autonomia
all'interno del procedimento antorizzatorio disciplinato dall'art 27 del D.Lgs.
n. 22/1997.
Nella
fattispecie in esame:
-
in sede di conferenza di servizio precedente al rilascio dell'autorizzazione
della Giunta provinciale i Comuni di Grumo Appula, Torritto e Cassano Murge
hanno espresso parere contrario (seduta del 10 marzo 2000) e tale parere risulta
ribadito anche successivamente;
-
il Comune di Grumo Appula, in data 28 settembre
-
dal provvedimento impugnato non emerge quale valutazione abbia effettuato
-
non risulta rilasciata autorizzazione paesaggistica né in sede di conferenza di
servizi né con procedimento autonomo;
-
l'Assessorato all'ambiente della Regione Puglia (con nota n. 3771 del 27 marzo
2001) ha ritenuto che è stata espletata la procedura di V.I.A., con l'adozione
del provvedimento n. 2 del 7 gennaio 1999. Il Ministero dell'ambiente, però
(con nota n 5655 del 25 marzo 2002), ha comunicato alla Regione che l'adottata
procedura di V.I.A. può essere considerata esaustiva solo nel caso in cui
contenga gli elementi che identifichino le possibili incidenze negative per il
sito riguardo agli obiettivi di conservazione del medesimo. Ha evidenziato,
altresì, che, se tali dementi non erano stati esaminati, era necessario
redigere ex novo un'appropriata valutazione d'incidenza, come previsto dall'art.
6 della direttiva "Habitat" n. 92/43/CEE e dall'art. 5 del D.P.R. n.
357/1997.
Una
nuova valutazione non risulta effettuata.
2.
La realizzazione di opere in parte diverse da quelle autorizzate
Le
opere realizzate risultano difformi da quelle autorizzate con la citata delibera
della Giunta provinciale.
Con
detta delibera è stato autorizzato un processo di compostaggio "a cumuli
rivoltati", sia per la prima fase di maturazione primaria sia per la
seconda fase di maturazione secondaria.
Risulta
realizzato, invece, un impianto in cui la prima fase del compostaggio viene
svolta in tunnel, con "nuova disposizione strutturale e funzionale"
collegata alla realizzazione di un nuovo sistema operativo chiuso riguardante le
aree coperte e tamponate ed un capannone (vedasi il parere espresso dalla ASL
BA/3).
In
proposito il Comitato tecnico-scientifico, nel parere formulato il 12 marzo
2004, si è espresso nel senso che "per quanto concerne gli aspetti
planovolunetrici e strutturali si rileva come, rispetto al progetto definitivo
approvato, le variazioni introdotte (sulla sagoma, disposizione, tipologia
strutturale, viabilità) non siano riconducibili al normale processo di
approfondimento progettuale operato nel passaggio dal grado di progettazione
definitiva a quella esecutiva".
Ciò,
in termini meno velati, significa totale difformità delle opere realizzate
rispetto a quelle autorizzate.
L'impianto
floro-vivaistico, infine - ad evidenza sottratto all'ambito di applicazione del
D.Lgs. n. 22/1997 - non risulta assentito da titolo abilitativo edilizio.
3.
La sussistenza, nella specie, di vincoli paesistici e/o ambientali
3.1
Resta, dunque, da stabilire se l'area in cui è stato realizzato l'insediamento
produttivo sia o meno assoggettata a vincoli paesaggistici e di tutela
ambientale e, in proposito, deve evidenziarsi quanto segue:
-
L'area detta "Alta Murgia" (in cui rientra il territorio comunale di
Grumo Appula ove è stato realizzato rimpianto in oggetto) era inserita nelle
aree di reperimento, in vista dell'istituzione del relativo parco (art. 34,
comma 3, della legge-quadro sulle aree naturali protette 6 dicembre 1991, n.
394); è stata successivamente individuata (dall'art. 2, comma 5, della legge 9
dicembre 1998, n. 426) come territorio su cui istituire il parco, secondo la
procedura ed i tempi previsti nella stessa legge; è stata inserita, infine,
nelle zone di protezione speciale (ZPS) di cui alla Direttiva 79/409/CEE ed
all'elenco approvato con il D.M. 3 aprile 2000 del Ministero dell'ambiente.
La
classificazione dell'area interessata dall'impianto come Z.P.S. emerge - nella
fattispecie in esame - dalle note dell'Assessorato all'ecologia della Provincia
di Bari in data 23, 26 febbraio e 21 marzo 2001.
-
Sempre la "Alta Murgia" è stata individuata, dall'art. 5 della legge
24 luglio 1997, n. 19 della Regione Puglia, quale area avente preminente
interesse naturalistico, nonché ambientale e paesaggistico, da istituire con le
procedure di cui ai successivi art. 5 e 6 della stessa legge.
- Il territorio del Comune di
Grumo Appula non è ricompreso nella perimetrazione del Parco Nazionale
dell'Alta Murgia istituito con D.P.R. 10.3.2004 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale 1 luglio 2004);
-
L'art. 4 della legge-quadro n. 394/1991 prevedeva e disciplinava il
"programma triennale per le aree naturali protette" (poi soppresso
dall'art. 76 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112) e, l'art. 34, punto 6, lett. l)
della stessa legge disponeva che "il primo programma considera" la
zona "Alta Murgia" come prioritaria area di reperimento a livello
nazionale (si ricordi, in proposito, che, a norma dell'art. 6, 2° comma, di
quella legge, la pubblicazione del programma rendeva direttamente operative le
misure di salvaguardia di cui al successivo 3° comma).
3.2
Zona di protezione speciale (ZPS) - ai sensi dell'art. 2 della deliberazione 2
dicembre 1996 del Ministero dell'ambiente - è “un territorio idoneo per
estensione e/o per localizzazione geografica alla conservazione delle specie di
uccelli di cui all'allegato 1 della direttiva 79/409/CEE, concernente la
conservazione degli uccelli selvatici, tenuto conto della necessità di
protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre a cui si
applica la direttiva stessa".
Con
la medesima deliberazione le ZPS sono state inserite nella classificazione delle
aree protette di cui all'art. 2 della legge-quadro 6 dicembre 1991, n. 394.
La
direttiva 79/409/CEE è stata recepita in Italia con la legge 11 febbraio 1992,
n. 157 e l'art. 1, comma 5, di tale legge prevede che le ZPS sono istituite
dalle Regioni e dalle Province autonome lungo le rotte di migrazione
dell'avifauna e "sono finalizzate al mantenimento ed alla sistemazione,
conforme alle esigenze ecologiche, degli habitat interni a tali zone e ad esse
limitrofi". Detta istituzione doveva essere effettuata entro 4 mesi
dall'entrata in vigore della stessa legge e in caso di inerzia delle Regioni,
protrattasi per un anno, vi avrebbe provveduto, con controllo sostitutivo, il
Ministro dell'ambiente d'intesa con il Ministro delle politiche agricole.
Le
ZPS sono successivamente confluite nell'unica rete ecologica europea istituita
con la direttiva 92/43/CEE, recepita in Italia con il D.P.R. 8 settembre 1997,
n. 357.
Il
Ministero dell'ambiente, con provvedimento del 24 dicembre 1998, (in seguito a
procedura di infrazione instaurata dalla Commissione della Comunità Europea) ha
dichiarato il sito "Alta Murgia" (come da cartografia trasmessa in
allegato) zona di protezione speciale (ZPS), ai sensi della direttiva
79/409/CEE.
Il
D.M. 3 aprile 2000 dello stesso Ministero dell'ambiente (Elenco dei siti di
importanza comunitaria e delle zone di protezione speciali, individuati ai sensi
delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE), nell'Allegato A, ha ricompreso - di
conseguenza - la "Murgia Alta" tra le zone di protezione speciale
designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE.
Correttamente,
pertanto, alla stregua dei provvedimenti anzidetti, il Tribunale di Bari ha
ritenuto che l'area in cui è stato realizzato l'insediamento produttivo di cui
si discute sia assoggettata a vincolo paesaggistico, in quanto situata in area
naturale protetta (vedi, al riguardo, Cass., Sez. III: 28 maggio 2004, ric.
Fionda; 7 ottobre 2003, ric. Natale).
3.3
Appare opportuno ricordare, infine, che - per quanto riguarda la direttiva
"Uccelli" n. 79/409/CEE - l'Italia ha designato, al gennaio 2002, n.
341 aree come zone di protezione speciale (ZPS).
L'elenco
dei siti proposti alla Commissione dell'Unione Europea, come si è detto, è
stato ufficializzato con il D M. 3 aprile 2000 e la Corte europea di Giustizia -
con la sentenza 13 gennaio 2005, nella causa C-117/03, Timmermans - ha affermato
il principio secondo il quale "Per quanto riguarda i siti atti ad essere
individuati quali siti di importanza comunitaria, compresi negli elenchi
nazionali trasmessi alla Commissione, e segnatamente i siti ospitanti tipi di
habitat naturali prioritari o specie prioritarie, gli Stati membri sono tenuti,
in forza della direttiva 92/43, ad adottare misure di salvaguardia idonee, con
riguardo all'obiettivo di conservazione contemplato da quest'ultima, a
salvaguardare il preminente interesse ecologico rivestito da detti siti a
livello nazionale".
3.4
Il ricorrente contesta le argomentazioni svolte nell'ordinanza impugnata,
secondo le quali l'intervento ricade:
-
in area annessa a bosco, percorsa da un incendio verificatosi nel luglio 1999,
che il P.U.T.T. regionale definisce "ambito territoriale esteso di valore
relativo D": area annessa formata da una fascia della larghezza costante di
-
parzialmente in "ciglio di scarpata", ove gli indirizzi di tutela
dallo stesso P.U.T.T. prevedono la salvaguardia e la valorizzazione dell'assetto
attuale del territorio, mantenendo l'assetto geomorfologico d'insieme.
Evidenzia,
altresì, la previsione - sempre contenuta nel P.U.T.T. - secondo la quale
"le opere pubbliche e di interesse pubblico, approvate all'entrata in
vigore del Piano, sono autorizzate ai sensi del titolo II del D.Lgs. n. 490/1999
in deroga al Piano".
Trattasi
di questioni di merito, che non possono essere risolte in sede cautelare, in una
situazione in cui - quale che sia l’interpretazione di specifiche previsioni
del P.U.T.T. - l'intervento risulta eseguito in area naturale protetta non
istituita dal Piano (assoggettata a misure di salvaguardia) e comunque difforme
dal provvedimento autorizzatorio provinciale.
4.
Nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro:
-
la verifica delle condizioni di legittimità della misura da parte dei Tribunale
non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito
concernente la responsabilità degli indagati in ordine al reato o ai reati
oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra
fattispecie concreta e fattispecie legale ipotizzata, mediante una valutazione
prioritaria ed attenta della antigiuridicità penale del fatto (Cass., Sez.
Unite, 7 novemre 1992, ric. Midolini);
-
l'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti” va compiuto
sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono
essere censurati in punto di fatto, per apprezzarne la coincidenza con le reali
risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi come esposti, al fine di
verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.
Il Tribunale, dunque, non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni
aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass.,
Sez. Un., 29 gennaio 1997, n. 23, ric. P.M. inproc. Bassi e altri).
Il
Tribunale di Bari, nella specie, si è attenuto ai principi anzidetti.
L'ulteriore
approfondimento e la compiuta verifica (anche in ordine alla esatta
individuazione delle previsioni del P.U.T.T. con riferimento allo specifico
ambito territoriale) spettano ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei
prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi,
le argomentazioni svolte dal ricorrente non valgono certo ad escludere la
legittimità della misura adottata.
5.
Il ricorso, per tutte le argomentazioni dianzi svolte, deve essere rigettato,
con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.