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Sez. 3, Sentenza n. 39861 del 14/07/2004 Ud. (dep. 12/10/2004 ) Rv. 229938
Presidente: Savignano G. Estensore: Piccialli L. Relatore: Piccialli L. Imputato: Tezza. P.M. Iacoviello FM. (Conf.)
(Dich. inf. quest. leg. cost., App. Venezia, 19 Dicembre 2003)
CORTE COSTITUZIONALE - SINDACATO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE - GIUDIZIO INCIDENTALE - QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE - LEGGI - Discariche - Inosservanza delle prescrizioni - Trattamento sanzionatorio - Eccesso di delega - Manifesta infondatezza.

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Massima (fonte CED Cassazione)
È manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 51, commi terzo e quarto, d.P.R. n. 22 del 1997, per eccesso di delega rispetto ai criteri direttivi in materia di trattamento sanzionatorio degli illeciti contenuti nella legge delega n. 146 del 1994, nella parte in cui assoggetta a pena detentiva congiunta a quella pecuniaria i comportamenti di mera inosservanza delle prescrizioni contenute nell'autorizzazioni relative alle discariche, in quanto la natura di reato di pericolo che palesemente riveste la realizzazione e la gestione di una discarica abusiva, comporta che analoga natura debba essere attribuita anche a quelle condotte che, rendendosi inosservanti delle condizioni e prescrizioni apposte ai provvedimenti autorizzativi, sono idonee a dar luogo a danni all'ambiente o comunque ad aggravare i pregiudizi oltre i limiti previsti. 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SAVIGNANO Giuseppe - Presidente - del 14/07/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - N. 1681
Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere - N. 11333/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TEZZA Maria Pia Mara, n. il 14/5/1959 a Verona, rapp. e dif. dall'avv. Mauro Albertini.
Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Venezia in data 19/12/2003;
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Piccialli.
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sost. P.G. Dott. Iacoviello F.M. che ha concluso per il rigetto del ricorso, previa dichiarazione di manifesta infondatezza delle eccezioni di legittimità costituzionale.
Udito il difensore avv. M. Albertini, il quale ha concluso come da ricorso.
FATTO E DIRITTO
La sig.ra Maria Pia Mara Tezza, nella qualità di legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, titolare di una discarica di rifiuti di seconda categoria, tipo Autorizzata con decreto della Provincia in data 18/6/1998, all'esito di giudizio di opposizione a decreto penale di condanna, con sentenza in data 19/2/03 del Tribunale di Verona, in composizione monocratica, fu condannata alla pena di m. 1 di arresto ed euro 1.400,00 di ammenda, con sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria corrispondente e determinazione dell'ammenda in complessivi euro 2.920, 00, in quanto dichiarata colpevole, con le attenuanti generiche, "della contravvenzione di cui all'art. 51 comma 4 D.P.R. 5 febbraio 1997 n. 22 perché ... non osservava l'art. 4 lett. h) del decreto di autorizzazione ... il quale prescriveva che l'area di discarica fosse completamente recintata e dotata di passo unico controllato munito di cancello e vigilato durante le ore di apertura" (fatto accertato il 15/6/2000).
Tale sentenza veniva confermata, all'esito dell'appello proposto dalla difesa, con quella in epigrafe, avverso la quale la Tezza ha proposto, tramite un nuovo difensore di fiducia, ricorso per Cassazione.
I giudici di merito, disattese le eccezioni di incostituzionalità, di cui si dirà oltre, hanno ravvisato gli estremi sia oggettivi, sia soggettivi della contravvenzione ascritta nella vicenda in esame, rilevando, in fatto, come i verbalizzanti ispettori dell'ARPAV avessero riscontrato, nel corso di un primo sopralluogo, la mancanza della recinzione o, quanto meno, di un tratto della stessa, tanto da poter liberamente accedere all'interno della discarica con un autoveicolo di servizio, ed, in una seconda occasione, l'assenza di persone addette alla vigilanza, risultando il cancello non chiuso, ma solo accostato, ed incustodito; sul piano soggettivo, hanno ritenuto la riferibilità delle omissioni alla legale rappresentante della società, sulla considerazione della natura personale dell'autorizzazione, rilasciata intuitu personae e, comunque ex art. 40 c.p., in ragione di un inosservato obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso, correlato a detta titolarità. L'impugnazione di legittimità è affidata a cinque motivi.
Nel primo si ripropongono, deducendosi al riguardo il difetto di motivazione nella sentenza impugnatale si sarebbe limitata ad esaminare solo il primo profilo con argomenti sommari ed inconferenti, le eccezioni di illegittimità costituzionale dell'art. 51 commi 3^ e 4^ del Decreto Legislativo n. 22 del 1997, nella parte in cui assoggetta a pena detentiva congiunta a quella pecuniaria i comportamenti di mera inosservanza delle prescrizioni contenute nella autorizzazioni relative alle discariche, sotto i seguenti profili:
a) in relazione agli artt. 25 co. 2 e 76 Cost., per eccesso della norma sanzionatoria de qua rispetto alla delega al Governo, conferita con gli artt. 2 co. 1 lett. d) della legge n. 146/94 e 3 co. 1 lett. c) L. 52/96, ed alla normativa comunitaria di cui il D.Lgs. 22/97 costituisce attuazione, in quanto le norme deleganti avrebbero previsto la comminazione di sanzioni penali detentive, congiunte a quelle pecuniarie, per i soli casi di "infrazioni che recano un danno di particolare gravità", con possibilità di mantenimento di eventuali più severi, ove già vigenti, "livelli di protezione ambientale"; nella specie, le infrazioni contestate, concreterebbero reato di mero pericolo e la normativa previgente (D.P.R. 915/82) le sanzionava con pene alternative; b) in relazione all'art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento sanzionatorio, rispetto ad analoghi e parimente (o ancor più) lesivi comportamenti, previsti dall'art. 51 co. 1 D.lgs. 22/97, per le ipotesi di attività di raccolta, recupero, smaltimento, etc., di rifiuti, senza autorizzazione, sanzionati con la pena alternativa, nei casi di rifiuti non pericolosi, e con quella congiunta, nei soli casi di rifiuti pericolosi, differenza non prevista per le violazioni delle prescrizioni autorizzative delle discariche;
c) in relazione all'art. 27 co. 3 Cost., per trattamento sanzionatorio obiettivamente e palesemente sproporzionato, rispetto al lieve disvalore sociale dei fatti previsti quale reato. Con il secondo motivo si lamenta difetto di motivazione, travisamento dei fatti, erronea applicazione dell'art. 51 co. 4 D.LGS 22/97, per non aver consideratoci riguardo omettendo la disamina di uno dei motivi di gravame, la natura del tutto episodica, dovuta a motivi eccezionali e contingenti, della presenza del varco nella recinzione, e per aver attribuito indebita rilevanza probatoria a carico dell'imputato al contenuto di una successiva diffida inviata dalla Provincia alla società, oggetto di riscontro e contestazione da parte della destinataria e, comunque, costituente un fatto diverso, oggetto di distinto procedimento, definito con oblazione. Con il terzo motivo si deduce l'erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 27 co. 1 Cost. 40 co. 2 e 42 co. 4 C.P., nonché 28 della legge regionale del Veneto n. 3/2000, in relazione alla non ravvisata carenza dell'elemento soggettivo del reato, in fattispecie nella quale la comprovata nomina di un geologo preposto alla discaria, uno dei tre impianti gestiti dalla società, avrebbe comportato l'esclusiva responsabilità del medesimo in ordine alle inadempienze, del tutto occasionali ed imprevedibili, oggetto dell'accusa.
Con il quarto si censura l'erronea applicazione della legge penale, l'art. 63 C.P., per non aver applicato, nella massima estensione, relativamente alla componente pecuniaria, la riduzione di pena in ragione delle concesse attenuanti generiche.
Con il quinto motivo, infine, si lamenta l'omessa motivazione in ordine alla richiesta subordinata di concessione del beneficio della non menzione della condanna.
Le eccezioni di incostituzionalità, riproposte con il primo motivo di ricorso, sono prive di fondamento.
La tesi dell'eccesso di delega del Governo, rispetto ai criteri direttivi, in materia di trattamento sanzionatorio degli illeciti, contenuti nelle norme della legge delega, riposa essenzialmente sul presupposto che la violazione, per mancata o inesatta osservanza, dei provvedimenti autorizzativi all'esercizio di discariche, integrante la contravvenzione di cui all'art. 51 co. 4 in rel. 3 D.Lgs. 22/97, non sia suscettibile di dar luogo a quel danno ambientale di particolare gravità, in cospetto del quale il legislatore delegante (nel solco dei principi fissati dalla normativa comunitaria) ha previsto la comminatoria dell'arresto congiunto all'ammenda. Ma, ad avviso del collegio, la natura di reato di pericolo, che palesemente riveste quello di realizzazione o gestione di discarica abusiva (per il concreto e rilevante impatto ambientale determinato da siffatti insediamenti), comporta che analoga natura debba essere attribuita anche a quelle condotte che, rendendosi inosservanti delle condizioni e prescrizioni apposte ai provvedimenti autorizzativi, sono idonee a dar luogo a danni all'ambiente o comunque ad aggravare i pregiudizi oltre i limiti previsti.
Esclusa, per le suesposte considerazioni, la configurabilità di un eccesso di delega, devono anche ritenersi insussistenti i profili di illegittimità costituzionale per irragionevole disparità del trattamento sanzionatorio de quo rispetto ad altre fattispecie contravvenzionali previste dal medesimo testo normativo e per obiettiva sproporzione rispetto al disvalore sociale dell'illecito, in relazione, rispettivamente, agli artt. 3 e 27 co. 3 Cost, trattandosi di censure intimamente correlate alla premessa della prima, secondo la quale l'inosservanza delle prescrizioni dei provvedimenti autorizzativi costituirebbero comunque dei comportamenti caratterizzati da scarsa attitudine a cagionare danno o pericolo per gli interessi collettivi protetti; d'altra parte il legislatore delegato, prevedendo pena dimezzata, rispetto alla corrispondente fattispecie contravvenzionale relativa ad attività prive di autorizzazione, ha ragionevolmente esercitato, con criteri di adeguata proporzionalità, il potere discrezionale conferitogli. Deve, pertanto, dichiararsi la manifesta infondatezza delle suesposte eccezioni.
Passando al secondo motivo di ricorso, deve rilevarsene l'inammissibilità, riposando le relative censure su una tesi, quella dell'episodicità e contingenza delle accertate violazioni (l'assenza di recinzione e di vigilanza), che non trova riscontro nella ricostruzione della vicenda, così come operata lai giudici di merito (con apprezzamento di fatto incensurabile nella presente sede), sulla scorta delle risultanze degli atti di p.g. confermate in dibattimento; tale tesi, in particolare, contrasta con l'accertato inoltro da parte della Provincia di una diffida, rimasta inosservata, alla società rappresentata dall'imputata.
La comunicazione di tale atto e la persistenza nell'inadempimento sono stati, altresì, correttamente ritenuti, dai giudici di merito, elementi tali da escludere ogni dubbio in ordine alla configurabilità dell'elemento psicologico del reato contravvenzionale confutata nel terzo motivo di ricorso, anche in relazione alla dedotta nomina di un direttore tecnico preposto alla discarica (del cui operato, comunque, a titolo di culpa in vigilando avrebbe dovuto, soprattutto dopo la conoscenza delle inadempienze acquisita con la diffida, rispondere l'imputata), considerato che le violazioni delle prescrizioni sono risultate correlate non a difetti della mera gestione tecnica dell'impianto, ma a vere e proprie carenze strutturali (l'assenza o insufficienza della recinzione) ed organizzative (la mancanza di personale di vigilanza), riferibili a scelte imprenditoriali (anche in considerazione delle implicazioni di spesa) di livello verticistico, come tali facenti capo al legale rappresentante della società. Non miglior sorte meritano i residui motivi di ricorso, considerato:
a) che nessuna disposizione di legge (nè dell'art. 63, ne' dell'art. 65 c.p.) impone, nel caso di concessione di un'attenuante per reato punito con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, una riduzione "simmetrica" (vale a dire nelle stessa misura) delle due componenti sanzionatorie, essendo il giudice di merito tenuto solo a contenere la riduzione della pena, che in tali casi è costituitaci suo complesso, dall'arresto e dall'ammenda, entro i limiti massimi consentiti (nella specie di un terzo, ai sensi dell'art. 65 n. 3 c.p.); non può dolersi, pertanto, l'imputato che la misura dell'arresto, per effetto delle concesse attenuanti generiche, sia stata, ridotta esattamente di un terzo, mentre la riduzione dell'ammenda è stata (peraltro per lieve margine) di poco inferiore a detta frazione;
b) che non sussiste alcun difetto di motivazione in ordine al motivo di gravame relativo al non concesso beneficio di cui all'art. 175 c.p., tenuto conto del formulato giudizio negativo sulle componenti soggettive della responsabilità dell'imputata, desunto dalla persistenza nell'inadempimento (v. ultimo periodo della motivazione), sulla base del quale la Corte d'Appello ha esplicitato le ragioni del relativo diniego:trattasi di apprezzamento di merito adeguatamente, ancorché sinteticamente, motivato ai sensi dell'art. 133 c.p., che si sottrae ad ogni censura di legittimità.
Al rigetto del ricorso consegue, infine, la condanna della ricorrente alle spese.
P.Q.M.
Dichiara manifestamente infondate le eccezioni di
incostituzionalità, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 14 luglio 2004. Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2004