Cass. Sez. III n. 46705 del 3 dicembre 2009 (CC 3 nov. 2009)
Pres. Petti Est. Squassoni Ric. Caserta
Rifiuti. Attività organizzate per il traffico illecito (natura di reato abituale)

Il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è reato abituale in quanto è integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie. (Nella specie la Corte, nel rigettare un'eccezione di incompetenza territoriale, ha precisato che la competenza deve essere individuata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile).

 

 

 

Motivi della decisione

Con ordinanza 15 giugno 2009, il Tribunale di Reggio Calabria ha respinto la richiesta di riesame della misura cautelare della custodia in carcere applicata a Caserta Antonio per i reati di traffico illecito di rifiuti ed associazione a delinquere.

Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno disatteso la eccezione della difesa di incompetenza territoriale. Al riguardo, hanno rilevato come, per quanto concerne il reato previsto dall’art. 260 DLvo 152/2006, la competenza sia stata correttamente radicata, ai sensi dell’art. 8 c.3 cpp: ciò in quanto la pluralità di operazioni che caratterizzano la gestione di rifiuti e che segna l’inizio della consumazione con l’arrivo dei mezzi a condotta plurisussistente si è concretizzata con l’arrivo dei mezzi carichi di rifiuti in Motta San Giovanni ed il loro illecito interramento.

Ad analoga conclusione, i Giudici sono pervenuti in relazione al reato associativo in considerazione della circostanza che i primi segni di operatività del sodalizio si sono manifestati a Motta San Giovanni luogo in cui si colloca l’inizio della consumazione dei reati fine.

Per il forte intento criminale e la notevole intensità del dolo, il Tribunale ha evidenziato il pericolo di recidiva fronteggiabile solo con la misura applicata.

Per l’annullamento della ordinanza, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge sulla ritenuta competenza territoriale.

Sul punto, sostiene come già a Brindisi ingenti quantitativi di rifiuti venivano trattati in modo illecito per cui in tale città si è perfezionato il reato previsto dall’art. D.Lvo 152/2006 ed è emersa, per la prima volta, l’esistenza della associazione a delinquere.

Inoltre, il ricorrente lamenta la mancanza di concrete esigenze cautelari (anche per il sequestro preventivo del sito ove si sarebbero realizzate le condotte di occultamento dei rifiuti e conseguente impossibilità di reiterare le condotte per cui è processato); censura la scelta della misura che non corrisponde al criterio della proporzionalità ed adeguatezza.

I motivi di ricorso, pur molto elaborati, non sono meritevoli di accoglimento.

La ordinanza impugnata è stata emessa in un procedimento concernete – secondo la prospettazione dell’accusa ritenuta fondata dal Tribunale – una pluralità di soggetti uniti da una stabile vincolo associativo finalizzato alla commissione di un numero indeterminato di reti di traffico illecito di rifiuti.

Per sostenere la tesi sulla incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Calabria, il ricorrente mette in luce, innanzi tutto, la ricostruzione storica dei fatti posta alla base del procedimento così come effettuata dai Giudici di merito: funzionale allo illecito smaltimento dei rifiuti era la creazione di un articolato sistema pere sfuggire ai controlli (miscelazione dei rifiuti, loro declassificazione e predisposizione di falsi certificati) che avveniva in Brindisi.

L’indagato rileva uno scollamento tra le emergenze fattuali e le conseguenze giuridiche in tema di competenza territoriale dovuta ad una arbitraria mutilazione delle condotte per cui è processo.

Il ricorrente reputa che il reato previsto dall’art. 260 D.Lvo 152/2006 (sia a considerarlo abituale, come ha ritenuto il primo Giudice, o permanente, come ha rilevato il Tribunale) si sia perfezionato a Brindisi, vero centro operativo della organizzazione ed ove, per la prima volta, si è manifestato l’illecito consorzio.

Il Collegio non condivide questa impostazione difensiva.

Il delitto previsto dall’art. 260, D.Lvo 152/2006 è il più grave, per la pena edittale comminata, tra quelli di cui deve rispondere l’indagato dal momento che non risulta tra i promotori della illecita associazione.

Ora è appena il caso di ricordare come il delitto in esame intenda sanzionare comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività.

Per il perfezionamento del reato, necessita la predisposizione di una vera, sia pure rudimentale, organizzazione professionale (con allestimento di mezzi ed impiego di capitali) con cui gestire in modo continuativo ed illegale, ingenti quantitativi di rifiuti.

Consegue che il delitto implica una pluralità di condotte in continuità temporale –relative ad una o più delle diverse fasi nelle quali si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti- e più operazioni illegali degli stessi. Queste operazioni, se considerate singolarmente, possono essere inquadrate sotto altre e meno gravi fattispecie, ma valutate in modo globale integrando gli estremi del reato previsto dall’art. 260 DLvo 162/2006; in altre parole, alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge.

Pertanto, il reato deve considerarsi abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa specie; consegue che la competenza deve essere individuata nel luogo in cui le varie frazioni della condotta, per la loro reiterazione, hanno determinato il comportamento punibile.

Ore è indubbio che alcuni fatti di illegale gestione dei rifiuti siano emersi a Brindisi, ma solo con l’arrivo dei vari camion di rifiuti ed il loro interramento a Motta San Giovanni si è avuto l’accumulo di ingenti quantitativi che sigla il perfezionamento dei reato.

Le condotte antecedenti, come hanno correttamente segnalato i Giudici, pur illecite, “non valgono a sostanziare la pluralità di operazioni atta a configurare la attività di gestione organizzata per il traffico illecito di rifiuti oggetto della incriminazione”.

Nel caso in esame, la operatività della struttura organizzata si è manifestata all’esterno con la consumazione del primo reato fine oggetto del pactum sceleris avvenuta nel distretto di Reggio Calabria. Di conseguenza (allo stato delle investigazioni pur suscettibili di ulteriori sviluppi), il Collegio ritiene che la competenza territoriale sia stata correttamente individuata dai Giudici di merito.

Prima di affrontare la residua censura, il Collegio rileva – anche se il tema non è coinvolto nei motivi di ricorso –come il Tribunale sia pervenuto ad un giudizio di probabilità della esistenza dei reati dopo una puntuale elencazione e ponderazione degli elementi indizianti che risultano dalle espletate investigazioni; in questa parte della ordinanza, i Giudici hanno messo in luce la gravità delle condotte addebitate al Caserta, il suo ruolo centrale nella associazione ed il suo contributo determinante alla realizzazione dei reati fine (mediante i quali in modo sistematico e con danno all’ambiente di eccezionale rilevanza venivano gestiti illegalmente i rifiuti).

Queste emergenze processuali giustificano la conclusione sulla gravità delle condotte poste in essere dall’indagato che costituisce un sintomo diretto e significativo della sua pericolosità sociale ed alta propensione a delinquere; pertanto, la motivazione sulla prognosi negativa di recidiva, che si pone in sintonia con le investigazione agli atti, non è censurabile.

Anche la conclusione sulla proporzionalità della  misura adottata e sulla non praticabilità di altra meno afflittiva è sorretta da motivazione sintetica, ma sufficiente e congrua (e, pertanto, non sindacabile in questa sede); un apparato argomentativo più articolato non era necessario in quanto la scelta della misura carceraria adottata si pone come logica conseguenza della gravità del pericolo di recidiva).

Per le esposte considerazioni, la Corte rigetta il ricorso con le conseguenze di legge ed ordina che copia del presente provvedimento sia inviata al Direttore dello Istituto Penitenziario competente perché provveda a quanto stabilito dall’art. 94 c. 1 ter disp. att. cpp.