Impianti radioelettrici e disponibilità giuridica ex art. 11, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
di Fulvio Albanese
La disponibilità dell'immobile costituisce "ex lege" presupposto giuridico per il rilascio di ogni atto autorizzativo di natura edilizia ed urbanistica ed inerisce al generale controllo di legalità attribuita al Comune nell'interesse generale all'ordinato uso del territorio. Lo ha stabilito il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sede di Palermo, sezione II, con la sentenza n. 266 del 22 gennaio 2008.
In questa interessante sentenza viene esaminata approfonditamente una prassi diffusissima nei centri abitati: l’installazione d’impianti radioelettrici (stazioni radio base per la telefonia mobile o impianti radio-televisivi) su immobili condominiali, o in parti comuni di edifici o in porzioni di proprietà individuale di singoli condomini, alla luce di una disposizione già presente nell’art. 4 della Legge 28 gennaio 1977, n. 10, oggi trasfusa nell’art. 11, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380: la disponibilità giuridica dell’immobile quale presupposto indispensabile per il rilascio del titolo autorizzativo previsto dell’art. 87 del D.L.vo 259/2003 (sul punto vedi anche F. Albanese, “Installazione di antenne su immobili abusivi: il potere dell’Autorità comunale”, settembre 2008, in www.lexambiente.it.). Tale previsione normativa è sicuramente applicabile anche alle installazioni a terra, normalmente eseguite mediante palo o traliccio, ancorato su basamento in cemento. E’ superfluo ricordare i numerosissimi ricorsi al giudice ordinario e amministrativo, che nel tempo hanno accompagnato tale pratica, intrapresi da cittadini e comitati preoccupati di salvaguardare la propria salute dall’esposizione alle onde elettromagnetiche, e tutelare il valore commerciale dell’immobile ed evitarne quindi il deprezzamento conseguente all’installazione delle antenne.
Ma vediamo nel dettaglio come il Tar Palermo affronta l’annosa questione:
Il Comune di Bagheria (Palermo) con provvedimento in autotutela del febbraio 2004, annullava, il silenzio maturato ai sensi dell'art. 87 comma 9 del D.L.vo 259/2003, sostenendo che la stazione radio base che la società di telefonia mobile intendeva installare sul lastrico solare del condominio sito in Corso Butera a Bagheria era di fatto priva di titolo autorizzativo o abilitativo. L'annullamento disposto dal Comune si basava su vari presupposti, quello che ci interessa nella odierna discussione è l’accertata indisponibilità giuridica del lastrico solare su cui la società intendeva effettuate l'installazione, dovuta al fatto che la relativa delibera assembleare del condominio di via Butera a Bagheria del dicembre 2001 (allegata alla denuncia di inizio attività) era nulla per mancanza dell'essenziale requisito della unanimità dei consensi dei condomini per la effettuazione della innovazione (ai sensi dell’art. 1120 del codice civile), infatti un condomino era assente ed un altro aveva votato contro. L'unanimità, secondo il giudice, era necessaria perché tale innovazione rendeva inservibile all'uso e godimento dei condomini il lastrico solare, quest'ultimo diviene effettivamente inaccessibile per ragioni di sicurezza e per espressa prescrizione imposta dal Dipartimento di prevenzione - area di sanità pubblica e medicina del lavoro della A.U.S.L. di Palermo. La violazione dell'art. 1120 del codice civile determina la nullità dell'atto deliberativo con esso contrastante (in tal senso vedi anche Cass. n.7256/1986 e n. 4364/1981) e la conseguente invalidità del contratto di locazione stipulato dall'amministratore del condominio per l’installazione dell'impianto.
Sul punto è interessante richiamare subito due pronunce non riportate nella rigorosa analisi che opera il Tar Sicilia, la prima del Tar Trentino-Alto Adige sede di Trento la n. 713 del 14/12/ 2001: Una società che installa impianti per telecomunicazioni impugnava il provvedimento del maggio 2000 con il quale l’Amministrazione comunale di Trento annullava l’autorizzazione edilizia rilasciata nel luglio 1999, per un’antenna di telefonia mobile, in quanto mancava la disponibilità dell’immobile interessato dalle opere, richiesta dall’art. 88 della legge provinciale n. 22/91 (in applicazione dell’art. 4 della Legge 28 gennaio 1977, n. 10).
Il comune verificato che l’autorizzazione anzidetta era stata rilasciata in base all’errata individuazione della società ricorrente: “… su altri spazi, in particolare sulla copertura comune…”, annullava per motivi di pubblico interesse l’autorizzazione medesima, per mancanza del presupposto della disponibilità dell’immobile da parte del richiedente, ai sensi dell’art. 88, comma primo, della legge provinciale n. 22/91.
Ai sensi di tale disposizione normativa: “possono richiedere la concessione o l’autorizzazione i proprietari dell’immobile nonchè coloro che dimostrino di avere un valido titolo risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, da provvedimento dei poteri pubblici ovvero da successione ereditaria”. Infatti, continua il giudice del Tar Trento, al fine del rilascio dell’autorizzazione, non era sufficiente l’intesa verbale della società immobiliare, proprietaria della maggioranza delle quote condominiali, e la locazione di uno dei locali del complesso immobiliare.
La società interessata doveva, comunque, esibire documentazione all’atto della presentazione della domanda di autorizzazione, per concretizzare un idoneo titolo sulle parti comuni, cioè una delibera dell’assemblea dei condomini, in quanto la disposizione dell’art. 88 della l.p. n.22/91 richiede un “valido titolo” che attesti la disponibilità giuridica dell’immobile. Consolidata giurisprudenza ha da tempo chiarito che l’esistenza di un titolo valido sull’area, ai fini della concessione o dell’autorizzazione, integra un vero e proprio presupposto legale per il rilascio del provvedimento di natura edilizia (cfr, tra le tante, Consiglio di Stato, V Sezione, n. 965 del 28 settembre 1993).
Quanto ai provvedimenti del Giudice Civile, conclude il Tar Trento, che aveva respinto il ricorso del condominio, dalla lettura della sua decisione risulta evidente che l’esito favorevole di tale giudizio risultava collegato unicamente alla circostanza che l’installazione dell’antenna non modificava l’utilizzo del lastrico da parte degli altri condomini, restando perciò salvi i diversi problemi relativi alla disponibilità giuridica dell’area ai diversi fini di cui al citato art. 88 della legge provinciale n. 22/91.
La seconda pronuncia è del Tar Veneto sez. II n. 2045 del 12 luglio 2006, anche in questa sentenza il giudice ribadisce un concetto importate: la realizzazione dell’antenna interessando parti comuni dell’edificio costituisce un’innovazione che può recare pregiudizio sia al decoro del fabbricato sia alla sicurezza delle persone, e per questo la sua realizzazione necessita dell’approvazione di tutti i condomini. Pertanto, legittimamente è stata negata l’installazione dell’antenna, sul rilievo che due comproprietari avevano manifestato il proprio dissenso all’intervento.
Ritorniamo alla sentenza del Tar Sicilia, il giudice dapprima si esprime sulla contestazione che la società di telefonia mobile muove circa l'asserita invalidità (nullità) della delibera dell'assemblea del condominio di Corso Butera del dicembre 2001, evidenziata dal Comune nell’atto di annullamento in autotutela, osservando:
“Tale contestazione, nei limiti del sindacato incidentale che compete a questo Tribunale (con riguardo alle posizioni privatistiche dei condomini dell'immobile in argomento), non appare fondata e ciò per la esiziale ragione che nessuna contestazione viene mossa dalla ricorrente alla circostanza, espressamente dichiarata nel provvedimento impugnato, secondo la quale il lastrico solare interessato dall'antenna "de qua", di proprietà condominiale, diverrebbe "inaccessibile per ragioni di sicurezza e per espressa prescrizione imposta dal Dipartimento di prevenzione - area di sanità pubblica e medicina del lavoro della A.U.S.L. di Palermo. Il che, all'evidenza, concretizza una innovazione su parti comuni dell'edificio, che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2, cod. civ., avrebbe richiesto, a pena di nullità, l'approvazione di tutti i condomini (per la nullità di delibere che sottraggano la "utilizzazione" del bene comune a taluni condomini, cfr. Cass. civile, sez. II, 22 gennaio 2004, n. 1004; cfr. anche Cass. civile, sez. II, 26 maggio 2006, n. 12654; Cass. civile, sez. II, 19 agosto 1998, n. 8199).
Circa, poi, lo specifico problema della destinazione di parti comuni dell'edificio alla collocazione di antenne di telefonia mobile, è stato osservato che:
- la deliberazione dell'assemblea di un edificio condominiale che approvi la locazione di una porzione del tetto comune per l’installazione di un antenna radio base per telefonia cellulare deve essere qualificata come autorizzativa di una costruzione e quindi costitutiva di un diritto reale di superficie in favore dell'apparente conduttore, ed è pertanto nulla in difetto della volontà unanime di tutti i condomini (Corte appello Firenze, 15 ottobre 2005);
- l'installazione di una Stazione Radio Base per la telefonia mobile sul lastrico solare dell'edificio condominiale costituisce un'innovazione ex art. 1120, comma 2, c.c. Di conseguenza la relativa delibera di autorizzazione deve essere assunta con il voto favorevole di tutti i condomini (Tribunale Milano, 23 ottobre 2003).
Nella specie, prosegue il giudice, dato che dalla copia in atti della delibera dell'assemblea condominiale del 5.12.2001, prodotta dalla società di telefonia mobile al Comune di Bagheria, risulta che la stessa non è stata approvata all'unanimità dei condomini (uno era assente ed un altro ha espresso il proprio dissenso), tale delibera devesi, incidentalmente, ritenere nulla per contrasto con l'art. 1120, comma 2, cod. civ., siccome limitativa di diritti dominicali (del condomino assente e di quello dissenziente) incomprimibili.
Resta, allora, da verificare se ed in che termini tale circostanza possa incidere sul procedimento ex art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003 e sul provvedimento "per silentium" dallo stesso derivante.
Va osservato preliminarmente che, dopo un ampio dibattito dottrinale e qualche oscillazione giurisprudenziale, tale provvedimento è stato ritenuto titolo abilitativo di natura "ambivalente", ossia rilevante, sia come specifica autorizzazione degli impianti, sia come autorizzazione della connessa attività edilizia.
Si può solo aggiungere, a tal fine, che per l’installazione di stazioni radio-base per reti di comunicazioni elettroniche mobili, l’autorizzazione prescritta dall’art. 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. 1 ottobre 2003, n. 259) costituisce titolo abilitativo che assorbe il titolo edilizio richiesto dall’art. 3, lett. c) del Testo unico di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e consente di per sé la realizzazione delle opere edilizie afferenti alle dette stazioni (Cfr. Cons. St., Sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534; Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2005, n. 4000). Sul punto vedi anche F. Albanese, “Impianti radioelettrici e sanzioni ex art. 44 del DPR 380/2001”, aprile 2008, in www.lexambiente.it.
E più recentemente, la stessa Sezione VI del Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire (cfr. dec. 5 aprile 2007, n. 1550) che:
- la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso del termine dalla presentazione della denuncia;
- come qualsiasi atto amministrativo illegittimo e soggetto al potere di autotutela dell’amministrazione è subordinato nei limiti codificati dall’art. 21-nonies della legge n. 241/90;
- l’esercizio del potere (anche in via implicita) con effetti favorevoli per il diretto interessato non può mai compromettere diritti e interessi dei terzi.
La stessa Corte Costituzionale con sentenza 6 luglio 2006, n. 265 ha ritenuto (dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8, che prevedeva per gli impianti di telefonia mobile, sia l’autorizzazione, prevista dall’art. 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, sia il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3 e 10 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che, ai fini della conformità urbanistica ed edilizia degli impianti in argomento, non occorre un doppio titolo abilitativo, perché ciò determinerebbe un aggravio procedimentale in violazione dei "principi fondamentali" – in materia di "ordinamento della comunicazione" (art. 117, terzo comma, Cost.) – di semplificazione e celerità contenuti nell’art. 41 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti) e negli artt. 4 e 87 del D.Lgs. n. 259 del 2003.
Tuttavia, occorre anche dire che l' “assorbimento” del titolo edilizio nella D.I.A. non significa che le regole poste dalla specifica normativa edilizia non debbano più essere osservate, dato che, in assenza di una diversa ed esplicita indicazione di legge, tale assorbimento opera come semplice unificazione dei rispettivi procedimenti e non anche come inevitabile deroga alla normativa edilizia. Di conseguenza, per un verso, il silenzio-assenso sulla D.I.A. ex art. 87 cit. vale anche come autorizzazione dell'attività edilizia, per altro verso deve rispettare tutti i presupposti che ne condizionano il rilascio in via ordinaria, tra i quali c'è indubbiamente quello relativo ad un valido titolo di disponibilità dell'immobile ex art. 4 L. 28 gennaio 1977, n. 10 ed oggi ex art. 11, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Sul punto si può solo aggiungere che, in sede di esame della domanda di concessione o dell’autorizzazione edilizia, il Comune ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente ad eseguire la costruzione, accertando che ne sia il proprietario o che comunque abbia un titolo di disponibilità dell'area idoneo a giustificare l'attività edificatoria (cfr. Cons. St., Sez. V, 13 marzo 2001, n. 1432; 24 febbraio 1999, n. 191; 4 novembre 1997, n. 1227; T.A.R. Marche, Pescara, 22 maggio 2003, n. 540).
In un caso perfettamente analogo a quello oggi in esame (ancorché riferibile al quadro normativo anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 1 ottobre 2003, n. 259), il Consiglio Stato ha affermato (cfr. Sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 24) che è legittimo l'annullamento in autotutela dell'autorizzazione edilizia rilasciata ad una società di telecomunicazioni per l'installazione di una antenna per telecomunicazioni su un fabbricato qualora venga accertata la mancanza, da parte della società stessa, della disponibilità dell'immobile ai fini dell'esecuzione delle opere. Degno di rilievo è il fatto che, nel caso ivi esaminato, il Consiglio di Stato:
- ha confermato la sentenza di primo grado, secondo la quale il titolo valido per l'installazione dell'antenna, che interessava parti condominiali dell'edificio, era soltanto una apposita delibera approvata dall'assemblea dei condomini;
- ha puntualizzato, altresì, che è irrilevante sul piano della legittimità amministrativa l’esistenza di un contenzioso civile tra i vari condomini circa l’uso delle parti comuni, inerendo l’accertamento sulla disponibilità dell’area ad uno dei presupposti di legittimità del provvedimento amministrativo.
Il che dimostra come la verifica della legittimazione in capo a chi richieda un titolo edilizio non attenga alla cura, da parte della P.A., di interessi privatistici sottostanti all’immobile, ma al potere della stessa P.A. di assicurare l’ordinato uso del territorio, anche sotto il profilo della necessaria corrispondenza tra intestatario del provvedimento edilizio e titolare del diritto (dominicale o di altro genere) sulla “res” destinataria dei lavori.
Puntuale e di particolare rilievo appare, allora, il richiamo da parte del Comune alla decisione n. 2020/2003 della V Sezione del Consiglio di Stato, nella quale si trovano affermati principi, che sono particolarmente significativi nella odierna fattispecie e precisamente:
- la disponibilità delle aree da parte dei destinatari del titolo abilitativo alla edificazione costituisce "un presupposto di fatto indefettibile" del titolo medesimo e ciò anche al fine di evitare "comportamenti invasivi delle posizioni di terzi";
- l'accertamento della carenza di tale presupposto costituisce vizio di legittimità che giustifica l’annullamento dell’atto in sede di autotutela;
- l’interesse pubblico alla rimozione del titolo così viziato deve ravvisarsi anche nella necessità di ripristinare l’equilibrio delle posizioni private coinvolte, che non è un aspetto di disciplina di rapporti intersoggettivi di natura privata ma, invece, costituisce la essenziale garanzia del rispetto reciproco da parte di tutti i cittadini delle posizioni dei singoli; posizioni che devono ricevere adeguata tutela nell’ordinamento rimanendo escluse indebite appropriazioni o prevaricazioni;
- il completamento o meno dell’opera non assume un rilievo specifico perché: a) non si può consentire, all’insaputa o comunque senza il consenso del proprietario, l’utilizzo di aree per l’edificazione da parte di terzi; b) l’attivazione di strumenti di autotutela privata sarebbe infatti inibita o ostacolata dal titolo rilasciato dall’autorità amministrativa, titolo che, pertanto, deve essere rimosso nell’interesse collettivo «ne cives ad arma ruant».
Si tratta di principi che, all'evidenza, non possono non avere maggior peso e rigore in caso di titolo edilizio destinato a formarsi "per silentium" ex art. 87 D.Lgs. n. 259/2003, ossia sulla base di un procedimento (ed di un automatismo temporale) innescato da una unilaterale dichiarazione di inizio di attività rispetto alla quale ben possono emergere interessi e diritti di soggetti terzi del tutto estranei.
Proprio in relazione al rapporto esistente tra DIA e permesso di costruzione, il T.A.R. Lazio (Roma, Sezione II-Ter, 18 febbraio 2005 n. 1408) ha osservato che:
- l’Amministrazione ha sempre l’obbligo di accertare, in occasione del rilascio di un titolo abilitativo edilizio, la legittimazione sostanziale del richiedente;
- non sussiste differenza tra l’esame del titolo di godimento che l’Amministrazione svolge in sede di rilascio del permesso di costruire e quello che svolge in sede di verifica dei presupposti della d.i.a. poiché, in entrambi i casi, essa verifica soltanto l’esistenza di una posizione legittimante, sia pure all’esclusivo fine di assicurare un ordinato svolgimento dell’attività urbanistica, conforme all’assetto dei rapporti interprivati relativi all’area interessata dall’intervento.
Ed in un particolarissimo caso, relativo alla disponibilità del campanile di una chiesa per la allocazione di una antenna di telefonia mobile, il T.A.R. Puglia (Lecce - Sez. I, Ord.za 27 settembre 2001, n. 1299) ha ritenuto legittimo l’annullamento d'ufficio dell'autorizzazione edilizia rilasciata sulla base di una dichiarazione di assenso all'installazione data dal parroco; dichiarazione ritenuta di per sé insufficiente titolo legittimante la disponibilità del luogo sacro, occorrendo a tal fine, ai sensi del Codice di diritto canonico, l’assenso dell’Ordinario diocesano.
E' pur vero, peraltro, che l'assenso del proprietario dell'area, nello schema delineato dall'art. 87, D.Lg. n. 259 del 2003 (e dal richiamato modello «B» dell'Allegato 13), non è compreso tra i presupposti della D.I.A., essendo a tal fine sufficiente che il richiedente dimostri di averne comunque la "disponibilità" (Cons. St., Sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 20 dicembre 2006, n. 10647); ma è del tutto evidente che il titolo (quale che sia) afferente alla disponibilità dell'immobile non può non essere ed apparire (seppure ad un sommario esame in sede amministrativa) giuridicamente valido, sconfinandosi, altrimenti, nel rischio di ogni possibile arbitrio e conseguente malgoverno del territorio da parte dell'Ente locale (con conseguente “vulnus” dei principi di cui all'art. 97 Cost., e dei principi di legalità e di efficienza amministrativa di cui alla L. n. 241/1990 e s.m.i.).
Una interpretazione costituzionalmente orientata e conforme ai principi porta a ritenere che il silenzio-assenso ex art. 87, comma 9, D.Lgs. n. 259/2003, proprio perché include l'autorizzazione edilizia (idonea ad incidere anche su diritti dominicali di soggetti terzi del tutto estranei al procedimento "per silentium"), richiede, a pena di illegittimità, l'esistenza dei presupposti giuridici e di fatto prescritti dalla normativa edilizia e quindi un'adeguata e valida dimostrazione della disponibilità del bene interessato dalle opere da realizzarsi ex art. 11 D.P.R. n. 380/2001, con correlativa e severa assunzione di responsabilità da parte del richiedente.
Da ciò deriva che il provvedimento del Comune, contrariamente a quanto sostenuto dalla società di telefonia mobile ricorrente, appare adeguatamente motivato in relazione ai presupposti considerati (autorizzazione comunale tacita derivante da D.I.A. ai ma basata sull’erroneo presupposto, giuridico e di fatto, della piena disponibilità dell’area da parte della odierna ricorrente), nonché del tutto logico e conforme alla causa del potere con lo stesso esercitato; che è analogo a quello che il Comune è tenuto ad esercitare in tutti i procedimenti di rilascio di autorizzazione o concessione edilizia.
Inoltre la società di telefonia mobile ricorrente lamenta che il provvedimento in autotutela sia basato esclusivamente sull'esigenza del mero ripristino della legalità ed in relazione ad interessi di natura esclusivamente privatistica dei condomini del civico di Corso Butera.
Anche tale argomento, precisa il giudice del Tar Sicilia, che pure potrebbe avere una sua astratta consistenza giuridica (in relazione ai noti principi in materia "ius poenitendi" della P.A.), dev'essere respinto, sia per i fondamentali principi affermati nella già richiamate decisione n. 2020/2003 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, sia per le seguenti specifiche considerazioni, che sono proprie del caso di specie.
Rilevano, a tal fine, i dati temporali e procedimentali (come desumibili dagli atti di causa) della vertenza in esame:
- con deliberazione della G.M. di Bagheria del giugno 2002 sarebbe stato approvato un protocollo di intesa in materia di installazione di impianti di telefonia mobile, e ciò è da presumersi con riferimento al quadro normativo allora vigente il D.Lgs. n. 198/2002;
- con ordinanza del giugno 2003, il Sindaco di Bagheria avrebbe revocato il detto protocollo di intesa, in vista di uno nuovo, e ciò per l'addotta situazione di allarme sociale provocato dal detto documento e per ragioni di ordine pubblico;
- nel luglio 2003 la società di telefonia mobile ha presentato istanza ex artt. 5 e 6 D.Lgs. 198/2002 per l'impianto da collocare nell'immobile in c.so Butera;
- nell’agosto 2003 il Comune, ha sospeso ogni determinazione in vista dell'approvazione del nuovo protocollo di intesa;
- è intervenuta, frattanto, la sentenza 1 ottobre 2003, n. 303 della Corte Costituzionale (pubblicata nella Gazz. Uff. del 8 ottobre 2003, n. 40), che ha dichiarato l'illegittimità del detto D.Lgs. 198/2002 per eccesso di delega; e la complicata questione relativa alla disciplina applicabile ai procedimenti in corso alla data di pubblicazione della suddetta sentenza, è stata delineata dall'art. 4, del D.L. n. 315/2003, pubblicato in G.U.R.I. 18 novembre 2003, n. 268, convertito dall'art. 1, L. 16 gennaio 2004, n. 5, in G.U.R.I. 17 gennaio 2004, n. 13 (art. 4 che - come già detto - ha assoggetto al D.Lgs. n. 259/2003 i predetti procedimenti in corso);
- l'impugnato provvedimento in autotutela per l'impianto di C.so Butera è intervenuto nel febbraio 2004, ossia a meno di un mese dalla data di pubblicazione della legge di conversione del D.L. n. 315 cit., che come detto ha fatto chiarezza sui problemi di diritto intertemporale prima accennati.
Ciò posto, in fatto, il Collegio osserva che i limiti al potere di autotutela della P.A. la quale, non bisogna trascurarlo, è pur sempre soggetta ad agire nella legalità, si correlano (e si giustificano) con l'esigenza di salvaguardare gli affidamenti incolpevoli suscitati dall’agire amministrativo e correlativamente di assicurare relativa certezza ai rapporti giuridici, anche se sorti sulla base di atti illegittimi.
Nella specie, tuttavia, l'affidamento incolpevole della società di telefonia mobile ricorrente nell’attività del Comune di Bagheria è anzitutto da escludersi per un seppur minimo principio di autoresponsabilità, dato che la stessa ricorrente, grande impresa del settore delle telecomunicazioni, ha attivato il procedimento per la D.I.A. senza ponderare oculatamente, e secondo una appropriata soglia di diligenza la validità del titolo (di disponibilità dell’immobile) presentato alla P.A.
A ciò si aggiunga che:
- il tempo intercorso tra la data di luglio 2003 di presentazione dell'istanza della ricorrente per l'immobile di C.so Butera ed il provvedimento dell’agosto 2003, di sospensione del procedimento, è decisamente minimo (circa un mese);
- la sospensione della pratica da parte del Comune è intervenuta nella pendenza del termine di 90 giorni prescritto dal sopravvenuto art. 87, comma 9, del D.L.vo n. 259/2003, mentre la giurisprudenza ritiene illegittima la sospensione procedimentale solo se intervenga a termine scaduto (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 3534/2006 già citata);
Ed in tale contesto di fatti e di atti, il Collegio non ritiene di potere cogliere un affidamento incolpevole e pacifico della società di telefonia mobile ricorrente.
In conclusione, anche se è pur vero che, la questione della indisponibilità giuridica del lastrico solare afferisce ad interessi di natura privatistica, ma, come si è prima chiarito, la disponibilità dell'immobile costituisce "ex lege" presupposto giuridico per il rilascio di ogni atto autorizzativo di natura edilizia ed urbanistica ed inerisce al generale controllo di legalità attribuita al Comune nell'interesse generale all'ordinato uso del territorio.