Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5484, del 7 novembre 2014
Elettrosmog.Realizzazione di un elettrodotto e garanzie partecipative

Anche se l’Amministrazione non ha comunicato al privato l’avviso di avvio del procedimento di rilascio dell’autorizzazione provvisoria, non sussiste la lamentata violazione del principio delle garanzie partecipative. Questo, nelle specie, trova tutela attraverso un diverso meccanismo, secondo le forme di pubblicità e intervento previste dagli artt. 111 (pubblicazione di avvisi nel foglio degli annunzi legali della provincia) e 122 (facoltà di presentare osservazioni e opposizioni) del t.u. delle acque e degli impianti elettrici. Si tratta di disposizioni che consentono ai privati di avere notizia del procedimento e di interloquire con la P.A., in applicazione del principio di specialità e tenuto conto della complessità della materia. Un procedimento di autorizzazione provvisoria o definitiva alla costruzione di nuove linee elettriche è suscettibile di coinvolgere un numero di soggetti elevatissimo e non agevolmente determinabile a priori, pertanto le disposizioni del t.u. devono ritenersi idonee a disciplinare la fattispecie anche in deroga alle previsioni della legge n. 241 del 1990. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05484/2014REG.PROV.COLL.

N. 03751/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3751 del 2014, proposto da: 
Anna Maria Fischetti, rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Massari, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Provincia di Brindisi, in persona del Presidente pro tempore, non costituita

nei confronti di

Enel Distribuzione s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Gaetano Grandolfo, Roberto Tanzariello, Raffaele Nicoli', con domicilio eletto presso Gianluigi Abbruzzese in Roma, via Ennio Quirino Visconti, 8;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE III n. 00299/2014, resa tra le parti, concernente decreto di occupazione d'urgenza - costituzione servitù di elettrodotto - risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Enel Distribuzione s.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2014 il Cons. Giuseppe Castiglia e udito per la parte appellante l’Avv. Nicolangelo Zurlo su dichiarata delega dell’Avv. Massari;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La signora Anna Maria Fischetti è proprietaria di un fondo agricolo nel territorio del Comune di Francavilla Fontana, che è stato dapprima oggetto di un’occupazione d’urgenza (decreto della Provincia di Brindisi n. 119/V dell’11 novembre 2003) e poi gravato di un asservimento in favore di un elettrodotto costruito dall’Enel Distribuzione s.p.a. (d’ora in poi: Enel) (decreto provinciale n. 17/V del 24 gennaio 2008).

Con ricorso principale e motivi aggiunti, la signora Fischetti ha impugnato tutti i successivi atti della procedura.

Con sentenza 3 febbraio 2014, n. 299, il T.A.R. per la Puglia – Lecce, sez. III:

ha dichiarato improcedibile il ricorso introduttivo, rivolto contro l’autorizzazione provvisoria alla realizzazione dell’elettrodotto (decreto dirigenziale n. 55/V del 3 giugno 2003) e il provvedimento di occupazione d’urgenza, considerati entrambi atti di natura temporanea, divenuti inefficaci a seguito del rilascio del provvedimento definitivo di autorizzazione (decreto n. 20/V del 20 febbraio 2005);

ha respinto i primi motivi aggiunti, considerando la procedura espropriativa tempestivamente conclusa con il predetto decreto di asservimento, adottato entro il termine (31 dicembre 2008) stabilito dall’autorizzazione definitiva, che - ai sensi dell’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 18 marzo 1965, n. 342 - avrebbe valore di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere; la proroga del diverso termine per l’effettuazione dei lavori, intervenuta all’interno del medesimo termine finale, non avrebbe valenza lesiva del diritto del privato, già definitivamente compromesso con l’imposizione della servitù di elettrodotto;

ha dichiarato irricevibili per tardività i secondi motivi aggiunti.

La signora Fischetti ha interposto appello contro la sentenza.

1. In via preliminare, l’appellante contesta la giurisdizione del G.A. Il decreto d’occupazione d’urgenza sarebbe stato emesso sulla scorta di un’autorizzazione provvisoria priva sia della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sia dell’indicazione dei termini prescritti dell’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2358. La potestà espropriativa sarebbe radicalmente carente: verrebbe dunque in questione un mero comportamento materiale dell’Amministrazione, la cognizione del quale - come avrebbe dovuto rilevare, anche d’ufficio, il Tribunale territoriale - apparterrebbe al G.O.

2. Ancora, vi sarebbe difetto di giurisdizione perché il termine di conclusione dei lavori, fissato dal decreto di autorizzazione definitiva al 31 dicembre 2005, sarebbe decorso inutilmente; l’atto che ha disposto una successiva proroga sino al 31 dicembre 2007 (decreto della Provincia n. 28/V del 5 febbraio 2008) sarebbe stato adottato a termine decorso, in un momento paradossalmente successivo anche alla nuova scadenza prorogata, e andrebbe comunque considerato tamquam non esset. Anche il decreto di occupazione (n. 78/V del 28 aprile 2004) avrebbe perso efficacia, non essendo stato eseguito nei successivi novanta giorni (ai sensi dell’art. 22 bis del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 - c.d. testo unico dell’espropriazione). L’inosservanza del termine, non sanato dall’adozione dell’autorizzazione definitiva del 20 febbraio 2005, avrebbe comportato la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, in base al principio che collegherebbe tale effetto all’inosservanza anche solo di uno dei termini previsti dalla procedura espropriativa.

3. Quanto alla pronuncia di irricevibilità del secondo motivo, formulato avverso il decreto di asservimento, questa avrebbe trascurato la già avvenuta impugnazione del medesimo atto con i primi motivi e la circostanza che, essendo tale decreto - in tesi - radicalmente nullo, in quanto adottato dopo la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità, la sua impugnativa non sarebbe soggetta a termini decadenziali. In disparte da ciò, il T.A.R. non avrebbe rispettato l’art. 30 c.p.a. perché, a fronte di una domanda risarcitoria per danni derivanti da comportamenti illegittimi della P.A., il Giudice avrebbe comunque il dovere di pronunziarsi non solo quando si tratti di domanda formulata in via autonoma, ma anche quando sia stata proposta assieme alla domanda di annullamento e su questa sia intervenuta una pronuncia di rito. Pertanto l’appellante rinnova la richiesta di risarcimento dei danni.

4. Nel riproporre poi le altre doglianze formulate in primo grado, l’appellante contesta:

4.1 la mancata applicazione del t. u. dell’espropriazione e l’applicazione, in luogo di questo, del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (c.d. testo unico delle acque e degli impianti elettrici). Non varrebbe la disposizione transitoria dell’art. 57 del t. u. del 2001, perché la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, pur già formalmente intervenuta, sarebbe radicalmente nulla per mancata indicazione dei termini finali del compimento dei lavori e della procedura espropriativa, impropriamente e inutilmente apposti nel decreto di occupazione;

4.2 violazione delle garanzie partecipative. Senza indicare specifiche esigenze di rapidità, l’Amministrazione avrebbe omesso di comunicare al privato l’avviso di avvio del procedimento di rilascio dell’autorizzazione provvisoria;

4.3 sviamento di potere e disparità di trattamento. Omettendo qualunque valutazione comparativa, l’Enel avrebbe modificato l’originario tracciato, che non avrebbe coinvolto il fondo dell’appellante, solo a seguito dell’opposizione manifestata da altri proprietari, interessati dai lavori;

4.4 mancata acquisizione del preventivo assenso del Comune, prescritto invece dall’art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616;

4.5 vizio di tutti gli atti della procedura, in quanto discendenti da un’autorizzazione provvisoria in cui non sarebbero stati fissati i termini previsti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865;

4.6 ulteriori profili di violazione di legge ed eccesso di potere: mancanza del nulla osta paesaggistico del Comune e della valutazione di impatto ambientale, carenza di istruttoria in relazione alla pericolosità dell’impianto per rischio di inquinamento elettromagnetico, assenza dei pareri favorevoli dell’A.R.P.A. e dell’A.U.S.L., violazione del principio di cautela.

Nel concludere, l’appellante chiede la condanna della Provincia e dell’Enel al risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente, previa consulenza tecnica per la descrizione dello stato dei luoghi, l’accertamento della mancata conformità del tracciato autorizzato a quello realizzato (che la parte privata allega, richiamando la planimetria depositata in atti nel giudizio di primo grado) e la quantificazione dei danni.

L’Enel resiste all’appello con controricorso e successiva memoria difensiva.

1. In primo luogo, contesta l’ammissibilità della questione di giurisdizione, che non potrebbe essere sollevata dalla parte di fronte al giudice che essa stessa ha scelto. Il profilo di giurisdizione esaurirebbe le doglianze formulate contro il capo della sentenza concernente il ricorso principale; in questa parte, l’appello sarebbe dunque inammissibile o improcedibile.

2. Quanto poi alla censura di mancato rispetto dei termini del procedimento, ampiamente esposta nel secondo motivo dell’appello, osserva che tali termini sarebbero stati indicati nel decreto di autorizzazione definitiva n. 20 del 2 febbraio 2005 (31 dicembre 2005 per la conclusione dei lavori e 31 dicembre 2008 per la conclusione delle procedure ablatorie). Questo secondo termine sarebbe stato perfettamente osservato (il decreto di asservimento è del 24 gennaio 2008). Il primo, invece, sarebbe stato prorogato dapprima con decreto n. 143/V del 16 ottobre 2006, mai impugnato, e poi nuovamente con decreto n. 28/V del 5 febbraio 2008, data alla quale l’appellante avrebbe già perso la piena proprietà del bene per effetto del ricordato decreto di asservimento.

3. La decisione di irricevibilità dei secondi motivi aggiunti sarebbe corretta. Né il T.A.R. avrebbe errato nel non pronunziarsi sulla domanda risarcitoria, posto che - per ammissione della stessa appellante - tali motivi sarebbero stati riproduttivi dei precedenti, giudicati infondati nel merito.

4. A proposito delle ulteriori censure, osserva che:

- il procedimento sarebbe stato governato unicamente dal t.u. delle acque e degli impianti elettrici, poiché alle reti energetiche, a seguito di una successiva norma di rinvio (da intendersi, a correzione di quanto indicato nella memoria, come l’art. 1 sexies, comma 7, del decreto-legge 23 agosto 2003, n. 290, introdotto dalla legge di conversione 27 ottobre 2003, n. 290), il t.u. espropriazioni si sarebbe applicato solo a decorrere dal 30 giugno (recte: 31 dicembre) 2004;

- tutti i termini previsti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865 sarebbero stati indicati nell’autorizzazione provvisoria;

- la particolarità del procedimento prevarrebbe sulla normativa generale recata dalla legge 7 agosto 1990, n. 241: il rispetto delle forme prescritte dagli artt. 111 e 112 t.u. acque e impianti elettrici sarebbe sufficiente allo scopo;

- l’attività di localizzazione delle opere pubbliche sarebbe ampiamente discrezionale, dal che l’inammissibilità delle relative censure.

Alla pubblica udienza del 21 ottobre 2014, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1 e 2. Con i primi due motivi dell’appello, la signora Fischetti deduce il difetto di giurisdizione del G.A. a seguito di un’asserita carenza assoluta della potestà espropriativa, sul presupposto che i provvedimenti impugnati sarebbero stati adottati dopo l’inutile decorso dei termini di legge. A sostegno della propria tesi, l’appellante richiama ampiamente giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione.

Senonché - in disparte il merito delle censure, in chiave generale e con riguardo al caso concreto - la questione di giurisdizione, proposta per la prima volta nella sede di appello dalla parte autrice del ricorso originario, è inammissibile (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2013, n. 5421, ove precedenti ulteriori, ai quali adde almeno Id., sez. V, 7 febbraio 2012, n. 656; Id., sez. VI, 27 agosto 2014, n. 4337)..

Secondo l’orientamento ormai consolidato del Consiglio di Stato, dare ingresso a tale questione in questa fase del giudizio consentirebbe alla parte, che ha introdotto la domanda giudiziale scegliendo il giudice ritenuto titolare della giurisdizione, di sottrarsi a quell’onere di non contraddizione che si esprime nel divieto di venire contra factum proprium. In altre parole: una condotta di tal genere non può essere consentita, in quanto è evidentemente solo opportunistica e strumentale, contrasta con i canoni di lealtà e correttezza processuale e finisce per integrare un evidente abuso del processo (sul che si veda Cons. Stato., ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3).

Si aggiunga che - come pure è stato osservato - una simile condotta contraddice l'obbligo di cooperazione che l'art. 2, comma 2, c.p.a. pone al giudice e alle parti "per la realizzazione della ragionevole durata del processo". Infatti, l'obbligo ora detto impone di considerare irretrattabile la scelta dell'organizzazione giudiziaria adita, pena altrimenti l'inaccettabile conseguenza che, proprio grazie alla possibilità di riproporre la domanda davanti al giudice dotato di giurisdizione, la decisione nel merito subisca una dilazione solo in conseguenza del radicale mutamento di strategia processuale della parte, che neppure abbia ritenuto di avvalersi dello specifico strumento predisposto per dissipare i dubbi sulla titolarità della potestas iudicandi del giudice adito, rappresentato - come è noto - dal regolamento preventivo di giurisdizione ex art. c.p.a. e art. 41 c.p.c.

Come esattamente osserva la difesa di Enel, la questione di giurisdizione esaurisce le prime due doglianze, che non richiedono dunque uno specifico esame di merito, neppure con riguardo alla ritenuta tardività, e conseguente inutilità, dell’adozione del decreto provinciale di proroga del termine per la conclusione dei lavori.

3. Circa il terzo motivo dell’appello, merita conferma la decisione del T.A.R. che ha dichiarato irricevibili per tardività i secondi motivi aggiunti.

Con questi, in primo grado, la signora Fischetti aveva impugnato il decreto di asservimento del 24 gennaio 2008, già contestato con i primi motivi notificati il 28 maggio 2008. I secondi motivi sono stati notificati il 17 novembre successivo e, non fondandosi su nuovi elementi, devono dirsi irrimediabilmente intempestivi.

Non può valer obiettare in contrario - come fa l’appellante - che l’impugnativa in discorso non sarebbe soggetta ai termini di decadenza, per essere rivolta contro un atto adottato in radicale carenza di potere. La presunta carenza di potere in astratto è stata dedotta solo in appello con riguardo a un’eccezione di difetto di giurisdizione che - come appena si è visto - è ormai inammissibile. La questione sostanziale sottostante (del se, nella specie, il potere amministrativo esercitato sia assolutamente carente) non può dunque trovare ingresso per questa via né consentire l’esame del merito del motivo in oggetto.

Questo neppure può avere luogo in base all’art. 30 c.p.a. che, se ammette la domanda autonoma di risarcimento dei danni prodotti dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, non può diventare lo strumento per eludere i termini stabiliti dalla legge a pena di decadenza.

Si aggiunga, infine, che l’illegittimità dell’azione della P.A. deriverebbe - in tesi - da un’occupazione d’urgenza disposta a seguito di un’autorizzazione provvisoria priva della dichiarazione di pubblica utilità e dell’indicazione dei termini previsti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, cioè da un presupposto inesatto in punto di diritto e di fatto, come meglio si vedrà, rispettivamente, sub 4.1 e 4.5.

4. Non hanno più solido fondamento le ulteriori censure proposte in primo grado, solo in parte esaminate dal Tribunale territoriale e rinnovate con l’appello.

4.1 Al contrario di quanto sostiene la parte privata (che, peraltro, più volte si duole della violazione della previgente legge del 1865), il t.u. dell’espropriazione era inapplicabile alla vicenda per una duplice ragione.

Da un lato, la disposizione transitoria dell’art. 57 ne ha escluso l’applicabilità ai progetti per i quali, alla data dell’entrata in vigore del d.P.R. (30 giugno 2003) fosse già intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza. Il che, nella specie, era già avvenuto con l’autorizzazione provvisoria del 3 giugno 2003 che - ai sensi dell’art. 9 del d.P.R. n. 342 del 1965 - ha comportato dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere (cfr. Cass. civ., ss. uu., 22 aprile 2013, n. 9679).

Benché contestata dall’appellante, tale autorizzazione era del tutto legittima, anche con riguardo alla previsione di termini per gli adempimenti successivi (su ciò si veda meglio sub 4.5).

Dall’altro, la normativa citata dall’Enel e ricordata in narrativa ha posposto al 31 dicembre 2004 l’applicabilità del t.u. sopra ricordato alle reti energetiche: e non sarebbe ragionevole supporre che il medesimo procedimento amministrativo sia soggetto a discipline differenti, neanche del tutto reciprocamente compatibili, al verificarsi di una scadenza temporale che segni il passaggio dall’efficacia di una normativa a quella di un’altra. Nel silenzio della legge, sembra davvero preferibile concludere, invece, che, quando non ostino specifiche ragioni di segno contrario, l’originaria normativa di riferimento continui a governare la vicenda sino all’adozione del provvedimento finale.

4.2 Non sussiste la lamentata violazione del principio delle garanzie partecipative. Questo, nelle specie, trova tutela attraverso un diverso meccanismo, secondo le forme di pubblicità e intervento previste dagli artt. 111 (pubblicazione di avvisi nel foglio degli annunzi legali della provincia) e 122 (facoltà di presentare osservazioni e opposizioni) del t.u. delle acque e degli impianti elettrici. Si tratta di disposizioni che, pur nella loro particolarità, consentono ai privati di avere notizia del procedimento e di interloquire con la P.A., cosicché, in applicazione del principio di specialità e tenuto conto della complessità della materia (un procedimento di autorizzazione provvisoria o definitiva alla costruzione di nuove linee elettriche è suscettibile di coinvolgere un numero di soggetti elevatissimo e non agevolmente determinabile a priori), esse devono ritenersi idonee a disciplinare la fattispecie anche in deroga alle previsioni della legge n. 241 del 1990.

4.3 Le censure relative al tracciato dell’elettrodotto sono in parte generiche, in parte irrilevanti, perché la scelta circa la localizzazione di un’opera pubblica è rimessa a un apprezzamento ampiamente discrezionale dell’Amministrazione (giurisprudenza costante: si veda per tutte Cons. Stato, sez. IV, 26 ottobre 2012, n. 5492; Id., sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4280). La circostanza poi che, in concreto, l’elettrodotto avrebbe avuto un andamento diverso da quello del tracciato approvato è affermata tautologicamente: la planimetria allegata al ricorso introduttivo, cui l’appello fa riferimento, è una pianta catastale muta e senza data, che nulla dimostra quanto al vizio dedotto. Segue da ciò, inoltre, l’inutilità di una C.T.U., richiesta dalla parte per verificare lo stato dei luoghi.

4.4 E’ irrilevante la mancata acquisizione del parere del Comune, venendo in questione una competenza ormai propria della Provincia (art. 4 della legge della Regione Puglia 30 novembre 2000, n. 20). Per altro verso, la censura di violazione del dettato costituzionale e dell’art. 81 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, suona del tutto generica e troppo poco argomentata per poter essere presa in considerazione.

4.5 La doglianza seguente, con cui l’appellante si duole dell’assenza, nell’autorizzazione provvisoria, dei termini previsti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865, parrebbe particolarmente suggestiva, alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione che da una tale omissione fa discendere un vizio radicale del provvedimento, destinato a estendersi all’autorizzazione definitiva e al successivo decreto di asservimento (cfr. da ultimo Cass. civ., ss. uu., n. 9679 del 2013, cit.).

Senonché, nel caso di specie, non è affatto dato riscontrare un’omissione di tal genere, posto che l’autorizzazione provvisoria stabilisce che “i lavori e le relative espropriazioni dovranno essere iniziati nel triennio successivo alla data della presente autorizzazione … e ultimati entro il quinquennio successivo alla data di immissione in possesso ai sensi dell’art. 20 co. 2 della legge n. 865/71” (punto 9).

4.6 Le doglianze conclusive, da ultimo, nella loro genericità (dalla presunzione di assenza di determinati atti endoprocedimentali a una non meglio specificata evocazione del principio di cautela, che sarebbe stato violato), non appaiono comunque dimostrate e non sono grado di condurre a una pronuncia di illegittimità degli atti impugnati.

5. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e deve essere respinto.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

Peraltro, anche considerata la lunghezza e la complessità della vicenda, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/11/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)