Cass. Sez. III n. 39413 del 25 ottobre 2007 (Ud. 27 set. 2007)
Pres. Papa Est. Sensini Ric. Amm.ne Prov.le Imperia in proc. Pizzimbone
Danno Ambientale. Risarcimento alla PA e irrilevanza del comportamento della stessa

Eventuali carenze dell'attività di vigilanza della Pubblica Amministrazione non possono riflettersi negativamente, pena un percorso argomentativo logicamente viziato, sul risarcimento dei danni che l'Ente ha comunque diritto di conseguire per effetto del comportamento di terzi, lesivo del suo prestigio e della sua immagine. Invero, una volta affermata la penale responsabilità dei prevenuti, non è possibile elidere il danno in dipendenza del comportamento dell'Ente, comportamento che - a tutto voler concedere - potrebbe integrare soltanto un concorso di colpa (art. 2056 in relazione all'art. 1227 c.c.), incidente sulla quantificazione concreta del danno. Di nessuna incidenza è la mancata riscossione della polizza fidejussoria da parte della Amministrazione in considerazione del fatto che la mancata escussione non può in ogni caso riguardare la fonte del danno, ma piuttosto attiene ad un posterius, alla fase per così dire esecutiva e, pertanto, indipendente dalla prima. La riscossione della polizza fidejussoria presuppone che si sia verificato il danno a garanzia del quale la polizza è preordinata, ma la mancata riscossione è un elemento eventuale e, appunto, successivo, che non esclude il verificarsi del fatto garantito dalla polizza stessa.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza in data 13 dicembre 2004 il Tribunale di Imperia dichiarava Pizzimbone Giovanni Battista e Pizzimbone Pier Paolo colpevoli dei reati di cui agli artt.: a) 110 c.p., 51 comma 4 D.L.vo n. 22/1997 perché, in concorso tra loro, il primo quale Presidente, il secondo quale membro del Consiglio di Amministrazione ed Amministratore Delegato della “ Ponticelli s.r.l.” - società che gestiva, in forza di provvedimento autorizzativo della Amministrazione Provinciale di Imperia, una discarica pubblica di rifiuti solidi urbani - nella gestione della suddetta discarica, non osservavano le prescrizioni richiamate nelle autorizzazioni, ed, in particolare, effettuavano la lavorazione dell’impianto di selezione “secco-umido” non ottemperando alle prescrizioni di cui alla autorizzazione n. 38 del 12 febbraio 1999 nonché delle successive diffide n. 249/1999 e n. 300/1999 (in particolare, non veniva rispettata la prescrizione di eseguire le operazioni in “ambiente confinato, ottenibile con coperture e paratie mobili, per il contenimento di polveri e di odori, il cui controllo deve essere garantito mediante idonee misure e sistemi di abbattimento”; b) 110 c.p., 674 c.p. perché, nella qualità di cui sopra, provocavano emissioni di esalazioni, gas ed odori sgradevoli, tali da molestare gli abitanti delle zone limitrofe.

Acc. in Frazione Poggi di Imperia, con permanenza fino al gennaio 2004.

Il Tribunale, riuniti i reati in continuazione, condannava gli imputati alla pena di euro 25.000 di ammenda; disponeva la sospensione condizionale della pena, subordinando il beneficio alla puntuale ottemperanza, entro e non oltre il 31 gennaio 2005, alle prescrizioni inevase. Condannava gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle dodici Parti Civili private costituite, mentre rigettava l’istanza di risarcimento del danno avanzata dalla Amministrazione Provinciale di Imperia.

Secondo la ricostruzione operata dalla sentenza, i fatti di causa si collegavano ad un esposto presentato in data 3 ottobre 2000 da alcuni abitanti della zona di Poggi, i quali lamentavano un forte disagio provocato dai miasmi provenienti dalla vicina discarica “Ponticelli”, denunciando lo stato di invivibilità in cui versavano da quando era stata avviata in discarica la lavorazione del “compost” allo scoperto, con odori del tutto sgradevoli.

La sentenza impugnata evidenziava che, a seguito di svariati accessi in loco, l’Amministrazione Provinciale aveva constatato la palese violazione delle prescrizioni impartite con provvedimento dirigenziale n. 38/1999, portante l’autorizzazione alla installazione dell’impianto di selezione “secco-umido”. Tali violazioni avevano indotto la Pubblica Amministrazione a diffidare, con provvedimento dirigenziale n. 248 del 3 agosto 1999, la società autorizzata ad effettuare tutta una serie di opere volte a determinare una corretta utilizzazione del sito, tra l’altro ordinando di “interrompere immediatamente” la sistemazione della parte umida del rifiuto nella parte sommitale della discarica e di “trattare” la parte umida del rifiuto separato secondo le previsioni del D.M. 5 febbraio 1998. Successivamente, con provvedimento dirigenziale n. 300 del 16 novembre 1999, a seguito di nuovi accessi sul sito, la Amministrazione aveva ordinato immediati interventi per la corretta gestione dell’impianto, con reiterata minaccia di sospensione dell’autorizzazione concessa. Malgrado ciò, la “Ponticelli s.r.l.” non aveva sospeso l’attività di lavorazione del compost, né aveva adempiuto alle principali prescrizioni imposte con detta autorizzazione dell’Amministrazione Provinciale.

Argomentava ancora il Tribunale che il provvedimento dirigenziale n. 38/1999 autorizzava la “Ponticelli s.r.l.” subordinatamente al fatto che l’impianto di selezione “secco-umido” fosse rispettoso dei limiti di emissioni in atmosfera di cui al D.P.R. n. 203/1988, laddove, in prossimità dell’impianto, erano state riscontrate ingenti quantità di polveri in atmosfera. In definitiva, il processo di lavorazione utilizzato non rispettava gli standards qualitativi indispensabili per mantenere la massa in maturazione entro i parametri ottimali di umidità, temperatura, ph, carica batterica e porosità del materiale e le lavorazioni avvenivano in ambiente non confinato. Il Tribunale riteneva, pertanto, integrate entrambe le ipotesi contestate. Con riferimento alla seconda ipotesi del reato di cui all’art. 674 c.p., anch’esso doveva ritenersi sussistente, in quanto - secondo l’Amministrazione Provinciale di Imperia - i limiti indicati e disposti con il provvedimento n. 38/1999 erano stati superati.

Il Tribunale, mentre riconosceva la sussistenza di danni materiali e morali in capo alle Parti Civili private, in ragione della possibile sussistenza di un danno derivante da perdita di valore degli immobili in relazione alla messa in funzione del nuovo impianto di compostaggio senza l’osservanza delle prescrizioni impartite, rigettava l’istanza di risarcimento del danno avanzata dalla Provincia, essenzialmente, per le seguenti ragioni:

1) la ditta “Ponticelli s.r.l.” aveva costituito garanzia finanziaria con polizza fidejussoria per un importo assicurato di £ 10.500.000.000, valida per sette anni e, dunque, fino all’11 dicembre 2005, a garanzia del puntuale adempimento delle opere di costruzione, gestione, manutenzione e bonifica della discarica, ma tale fideiussione non era mal stata incamerata dall’Ente; 2) le diffide della Provincia erano rimaste tali e non erano mai pervenute alla sospensione dell’autorizzazione; 3) i previsti campionamenti per riscontrare la qualità di polveri nell’atmosfera erano stati effettuati solo a partire dalla fine del 2002, per mancanza di apparecchiature. Riteneva, pertanto, il Tribunale che la fonte del danno patito dalla P.A. dovesse ricercarsi nel proprio interno, essendosi verificate gravi “incongruenze” a carico dell’attività procedimentale, che ne denotavano gravi carenze a livello di efficienza, efficacia ed economicità.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione l’Amministrazione Provinciale di Imperia e gli imputati, a mezzo dei loro difensori.

La prima deduce: 1) difetto ed illogicità della motivazione in punto di rigetto della richiesta risarcitoria. La sentenza impugnata non conteneva alcuna motivazione in ordine alle ragioni per le quali tale domanda era stata respinta. Invero, il fatto che la polizza fidejussoria non fosse stata incamerata poteva significare soltanto che la Provincia non aveva ritenuto sussistenti inadempimenti di tale gravità da giustificare l’incameramento della cauzione ed, inoltre, il fatto che non avesse disposto la sospensione dell’autorizzazione alla discarica non poteva significare l’assenza di danni. Il giudicante aveva, invero, confuso in modo inammissibile l’attività di vigilanza che la Pubblica Amministrazione era tenuta a svolgere sulla attività di discarica, con l’immagine ed il prestigio dell’Ente al suo esterno. Si chiedeva l’annullamento della sentenza.

Gli imputati, a loro volta, a mezzo del proprio difensore, deducevano: con riferimento al capo a) di imputazione, nullità della sentenza per difetto di contestazione in quanto la condotta di cui alla imputazione si riferiva all’assenza di ambiente confinato, mentre il Tribunale, illegittimamente, aveva pronunciato condanna per la ritenuta violazione di prescrizioni ulteriori contenute nel D.M. 5 febbraio 1998 e per ave subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena alla ottemperanza di tutte le prescrizioni impartite e non soltanto a quella, inevasa, riportata nella contestazione; 2) erronea applicazione del punto 16.1.3 dell’Allegato I del D.M. 5 febbraio 1998, non essendo intervenuta alcuna violazione delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni, con riferimento all’unica condotta omissiva effettivamente contestata (assenza di ambiente confinato). La violazione contestata era stata ritenuta provata equiparando il concetto di ambiente confinato a quello di ambiente chiuso, anziché a quello di luogo isolato, perimetralmente recintato e dotato di adeguati sistemi di drenaggio, come nella specie avvenuto; 3) difetto di prova in ordine al superamento dei limiti di emissione in atmosfera e, dunque, insussistenza del reato di cui all’art. 674 c.p.; 4) violazione del disposto di cui al terzo comma dell’art. 81 c.p., avendo il Tribunale irrogato, a titolo di continuazione con il reato di cui all’art. 51 comma 4 D.P.R. n. 22/1997, con riferimento alla contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., la somma di euro 12.500, laddove per tale ipotesi contravvenzionale era prevista la pena alternativa dell’arresto fino a 1 mese o dell’ammenda fino ad euro 206: pertanto, era stato adottato un trattamento sanzionatorio ben più gravoso rispetto a quello che sarebbe risultato dall’applicazione del cumulo materiale dei reati di cui all’art. 73 c.p.; 5) difetto di motivazione in punto di mancata concessione delle attenuanti generiche; 6) difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità di Pizzimbone Giovanni Battista per il periodo successivo al 5 giugno 2002, data in cui il predetto era uscito dalla compagine sociale senza più farvi rientro.

Si chiedeva l’annullamento della sentenza.

Il ricorso della Amministrazione Provinciale è fondato e va accolto.

Eventuali carenze dell’attività di vigilanza della Pubblica Amministrazione non possono riflettersi negativamente, pena un percorso argomentativo logicamente viziato, sul risarcimento dei danni che l’Ente ha comunque diritto di conseguire per effetto del comportamento di terzi, lesivo del suo prestigio e della sua immagine. Invero, una volta affermata la penale responsabilità dei prevenuti, non è possibile elidere il danno in dipendenza del comportamento dell’Ente, comportamento che - a tutto voler concedere - potrebbe integrare soltanto un concorso di colpa (art. 2056 in relazione all’art. 1227 c.c.), incidente sulla quantificazione concreta del danno, come appare, del resto, espressamente dalla stessa motivazione della sentenza impugnata che, a pag. 15. recita testualmente “la fonte del danno patito dalla P.A. deve ricercarsi, più che altro, o almeno in egual misura, nel proprio interno”. Di nessuna incidenza appare poi la mancata riscossione della polizza fidejussoria da parte della Amministrazione Provinciale, non solo per le condivisibili argomentazioni esposte nel ricorso dalla stessa presentato, ma anche in considerazione del fatto che la mancata escussione non può in ogni caso riguardare la fonte del danno, ma piuttosto attiene ad un posterius, alla fase per così dire esecutiva e, pertanto, indipendente dalla prima.

La riscossione della polizza fidejussoria presuppone che si sia verificato il danno a garanzia del quale la polizza è preordinata, ma la mancata riscossione è un elemento eventuale e, appunto, successivo, che non esclude il verificarsi del fatto garantito dalla polizza stessa.

La sentenza censurata evidenzia, tra l’altro, indiscutibili profili di illogicità e di contraddittorietà della motivazione laddove, da un lato, come si è detto, ha rigettato la richiesta risarcitoria della P.A. sulla base di una sua pretesa inerzia; dall’altro lato, ha., però, ravvisato la condotta contravvenzionale contestata agli imputati nel non aver osservato le prescrizioni richiamate nella autorizzazione della P.A. e nel non aver ottemperato alla reiterate diffide della stessa, al fine di ottenere una corretta utilizzazione del sito. E’, inoltre, appena il caso di rilevare che la stessa sentenza impugnata dà conto di “svariati accessi sulla località” compiuti dalla Amministrazione Provinciale, accessi a seguito dei quali veniva constatata la palese violazione delle prescrizioni impartite (cfr. sent. cit. pag. 2). Il tutto a dimostrazione, ancora una volta, dell’infondatezza dell’inerzia addebitata alla Pubblica Amministrazione.

Va. conseguentemente, annullata la statuizione relativa alla domanda di risarcimento dell’Amministrazione Provinciale, con rinvio al Tribunale Civile di Imperia, anche per quanto concerne la liquidazione delle spese del grado.

Passando all’esame del gravame degli imputati, sicuramente infondato è il primo motivo di censura, con il quale si lamenta la violazione del principio di correlazione tra la contestazione e la sentenza, dal momento che - secondo i ricorrenti - sarebbe stata contestata una sola condotta omissiva, laddove la condanna era stata pronunciata per una pluralità di omissioni e lo stesso beneficio della sospensione condizionale della pena era stato subordinato “al puntuale adempimento ed ottemperanza... alle prescrizioni sino ad oggi inevase”. La doglianza è infondata, solo che si tenga conto che la diffida del 3 agosto 1999 fa espresso riferimento al D.M. 5 febbraio 1998 il quale, nella individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, fa esplicito richiamo alle varie modalità che devono caratterizzare l’attività di recupero e, tra queste, al punto 6, prevede che “la fase di stoccaggio delle matrici e la fase di bio-ossidazione accelerata” debbano avvenire “in ambiente confinato, ottenibile anche con coperture o paratie mobili, per il contenimento di polveri e di odori il cui controllo deve essere garantito tramite idonee misure e sistemi di abbattimento.”. Da notare, che il capo di imputazione, contenendo l’inciso “in particolare”, ha carattere esemplificativo e non intende esaurire la contestazione, senza peraltro che alcuna lesione dei diritti defensionali possa dirsi verificata, essendo evidente il richiamo a tutte le disposizioni della normativa di riferimento, recepita dall’autorizzazione e dai vari atti di diffida dell’Amministrazione Provinciale. Il motivo è infondato anche con riferimento all’avvenuta subordinazione del beneficio di cui all’art. 163 c.p. alla ottemperanza a tutte le prescrizioni impartite e non soltanto a quella, inevasa, riportata nella contestazione.

Il secondo motivo è parimenti infondato e specioso, poiché il rinvio del]a autorizzazione alla previsione del Decreto Ministeriale (che contiene la prescrizione inevasa) richiede lo stoccaggio in ambiente confinato, e la possibilità di ottenere quest’ultimo anche con paratie mobili (modalità riportata nella contestazione), ridonda, semmai, a vantaggio dei ricorrenti.

Fondato ed accoglibile è, per contro, il terzo motivo di gravame, relativo alla sussistenza del reato di cui all’art. 674 c.p.

Il reato previsto dalla seconda parte del citato articolo, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, al quale questo Collegio aderisce, non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle disposizioni in tema di inquinamento atmosferico, atteso che l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” comporta la necessità che le emissioni avvengano in violazione degli “standards” fissati dalle normative dì settore (cfr. Cass. Sez. 3, 10 febbraio 2005 n. 9503, Montanaro; Sez. 1, 20 maggio 2004 n. 25660, Invernizzi ed altri). Nel caso di specie, la stessa sentenza impugnata (cfr. pag. 15), pur dando atto che in prossimità dell’impianto erano state riscontrate “ingenti quantità di polveri in atmosfera”, chiarisce subito dopo che non erano stati effettuati i campionamenti per mancanza di idonea strumentazione e che, allorquando tali rilievi erano stati effettuati, il quadro complessivo era nei limiti della norma. “Solo alla fine del 2002, nel periodo 17-20 dicembre, la C.P.G. s.n.c. di Carcare, su incarico dell’Amministrazione Provinciale di Imperia, ha effettuato un controllo sulla qualità dell’aria, attraverso campionamenti nel territorio del Comune di Civezza sulla collina di fronte alla discarica RSU di Ponticelli sita nel Comune di Imperia con esito peraltro che denota un quadro complessivo nei limiti della norma”. Pertanto, sul punto, la sentenza va annullata per difetto di prova in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato in contestazione.

L’accoglimento del presente motivo di gravame assorbe la trattazione della censura sub 4), in quanto - relativamente al reato sub b) della rubrica - la sentenza va annullata senza rinvio “perché il fatto non sussiste”, con eliminazione della relativa pena di euro 12.500,00 di ammenda per ciascuno degli imputati.

Va disattesa, perché infondata, la doglianza relativa al preteso difetto di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche.

Al contrario, risulta (cfr. pag. 17 della sentenza) che il Tribunale non si è affatto sottratto al proprio dovere motivazionale, ma, con apprezzamenti congrui e non contraddittori e facendo uso dei propri poteri discrezionali, ha negato agli imputati, malgrado la loro incensuratezza, le attenuanti ex art. 62 bis c.p. in ragione del loro comportamento particolarmente pervicace avuto riguardo alle violazioni oggetto di contestazione.

Occorre a tal fine ricordare che la sussistenza di circostanze attenuanti, rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p., è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal Giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, avuto riguardo ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., senza necessità che tali criteri vengano indicati compiutamente, essendo sufficiente che il Giudicante precisi a quali di essi ha inteso far riferimento. Allorché la motivazione sia sorretta - come nella specie - da congruità e logicità, essa non può essere neppure sindacata in Cassazione, in quanto la valutazione delle circostanze poste a base del giudizio positivo o negativo che sia, si traduce in un giudizio di fatto, precluso in questa sede.

Del pari infondato è il motivo relativo alla ritenuta responsabilità di Pizzimbone Giovanni Battista per il periodo successivo al 5 giugno 2002, data in cui il predetto sarebbe uscito dalla compagine sociale per non farvi più rientro. Lamenta il ricorrente che il suo coinvolgimento nella società anche per il periodo successivo al giugno 2002 si desume dalla circostanza che la sentenza, a fronte di una contestazione generica “fino al gennaio 2004”, non opera poi in concreto alcuna distinzione tra la pena inflitta al Pizzimbone Giovanni Battista e quella irrogata al coimputato Pier Paolo. La doglianza è. però, sotto tale profilo, infondata, dal momento che è comunque incontestabile e, nella specie, non contestato, il ruolo svolto dal Pizzimbone Giovanni Battista fino al 5 giugno 2002. Da ciò, tuttavia, non può discendere, con l’automatismo che il ricorrente vorrebbe, una più ridotta sanzione pecuniaria, ben potendo il Giudice di merito, nell’ambito del suo potere discrezionale, privilegiare, nella valutazione della condotta antigiuridica posta in essere - e nella speculare individuazione della sanzione da applicare - taluni aspetti ritenuti particolarmente sintomatici e qualificanti la condotta stessa (nel caso specifico, risulta che il Pizzimbone Giovanni Battista, oltre che Presidente del Consiglio di Amministrazione per un lasso di tempo considerevolmente più lungo rispetto al coimputato Pier Paolo - dall’8 luglio 2006 al 5 luglio 2002 - è stato anche direttore tecnico della “Ponticelli s.r.l.”).

Le suesposte considerazioni conducono, pertanto, a rigettare nel resto il ricorso dei Pizzimbone.