Consiglio di Stato Sez. III n. 4124 del 5 luglio 2018
Caccia e animali.Contributo economico a carico dei cacciatori

E’ legittimo il Regolamento della regione Umbria che richiede ai cacciatori un contributo economico per le attività connesse al piano di riduzione dei cinghiali in un Ambito Territoriale di Caccia ove il popolamento non sia stato contenuto con il piano


Pubblicato il 05/07/2018

N. 04124/2018REG.PROV.COLL.

N. 04426/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4426 del 2016, proposto dall’Ambito Territoriale di Caccia n. 3 Ternano-Orvietano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Grisante Diofebi, pec Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., ed elettivamente domiciliato presso la Segreteria della Sezione terza del Consiglio di Stato;

contro

la Regione Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Natascia Marsala e con questa elettivamente domiciliata in Roma, via Francesco Siacci, n. 2/B, presso lo studio dell’avvocato Daniele Guidoni;

per la riforma

della sentenza del Tar Umbria n. 514 del 19 novembre 2015, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso il Regolamento della Regione Umbria 24 febbraio 2010, n. 5, recante la disciplina di attuazione della legge regionale Umbria 29 luglio 2009, n. 17 sull’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Umbria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella pubblica udienza del giorno 14 giugno 2018 il Cons. Giulia Ferrari e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l. reg. Umbria 17 maggio 1994, n. 14 sono stati istituiti, in attuazione delle disposizioni della legge quadro nazionale 11 febbraio 1992, n. 57, tre Ambiti Territoriali di Caccia ed è stato previsto che gli stessi fossero amministrati da un Comitato di gestione di cui sono stati disciplinati il numero dei membri, la composizione e la durata in carica. E’ stato altresì previsto che i Comitati, per il raggiungimento delle finalità programmate, organizzano forme di collaborazione con i cacciatori iscritti, dandone comunicazione alla Provincia.

La l. reg. n. 14 del 1994 ha altresì disposto l’istituzione, presso le due Provincie di Perugia e di Terni, di due appositi fondi destinati a fronteggiare i danni non altrimenti risarcibili in agricoltura, finanziati unicamente dalla Regione con i proventi delle tasse di concessione regionale per l’esercizio dell’attività venatoria. Le risorse erano suddivise tra le due Province e gestite da Comitati provinciali con l’attribuzione, ai suddetti enti locali, delle relative funzioni amministrative.

Con l. reg. 29 luglio 2009, n. 17 è stato previsto che la Regione provveda direttamente a ripartire le risorse derivanti dalle entrate delle tasse di concessione regionale per l’attività venatoria tra i tre Ambiti Territoriali di Caccia e le due Province; tali Ambiti istituiscono, nel proprio bilancio, un capitolo per il pagamento degli indennizzi per i danni arrecati dalla fauna selvatica e inselvatichita, costituito dai finanziamenti della Regione.

In attuazione dell’art. 9 della cit. l. reg. n. 17 del 2009 è stato emanato il Regolamento regionale 24 febbraio 2010, n. 5, che disciplina l’accesso al diritto di indennizzo e gli interventi di prevenzione dei danni prodotti dalla fauna selvatica alla produzione agricola e zootecnica e l’utilizzo dei fondi stanziati, oltre a contenere previsioni di nuove entrate e/o contributi economici, che gli A.T.C. dovrebbero esigere e/o imporre ai cacciatori operanti nel loro distretto con la previsione di piani adeguati di abbattimento.

2. Tale Regolamento è stato impugnato dall’Ambito Territoriale di Caccia n. 3 Ternano-Orvietano dinanzi al Tar Umbria, per violazione dell’ambito di operatività demandato dalla legge regionale. In particolare sono illegittimi: l’art. 2, che detta i criteri, le modalità e le percentuali di utilizzo nella ripartizione dei fondi regionali; l’art. 4, che consente agli A.T.C. di imporre nuovi contributi economici ai cacciatori dei loro distretti in relazioni ai piani di abbattimento della specie cinghiale; l’art. 12, che prevede anche che le Province possano attuare un potere sostitutivo in caso di inadempienza da parte degli organi dell'A.T.C., utilizzando le eventuali risorse economiche derivanti dai trasferimenti previsti per le entrate provenienti dalle tasse di concessione regionale per l'esercizio dell'attività venatoria.

Con sentenza n. 514 del 19 novembre 2015 il Tar Umbria ha respinto il ricorso, previa reiezione dell’eccezione di inammissibilità del gravame, sollevata dalla Regione Umbria sia per mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare nell’associazione degli agricoltori, i cui associati subiscono i danni provocati dai cinghiali, che per difetto di interesse attuale e concreto, sul rilievo che sono impugnate disposizioni regolamentari che non hanno trovato attuazione, e che dunque non sono lesive nei confronti dell’A.T.C. ricorrente, in quanto vi è capienza di bilancio della Regione per indennizzare gli agricoltori, sì che gli A.T.C. intervengono con risorse proprie solamente in assenza di un piano di gestione della specie cinghiale. Ad avviso del Tar il Regolamento contiene alcune prescrizioni cogenti, che determinano una immediata lesione della sfera dell’A.T.C..

Nel merito il Tar ha respinto il ricorso perché le norme regolamentari impugnate non fuoriescono dai limiti di un regolamento di attuazione della legge e non dispongono, quindi, praeter legem.

3. Si è costituita in giudizio la Regione Umbria, che ha sostenuto l’infondatezza dell’appello.

4. Alla pubblica udienza del 14 giugno 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Oggetto del gravame è il Regolamento della Regione Umbria 24 febbraio 2010, n. 5 – recante la disciplina di attuazione della Legge regionale Umbria 29 luglio 2009, n. 17 sull’attuazione del fondo regionale per la prevenzione e l’indennizzo dei danni arrecati alla produzione agricola dalla fauna selvatica ed inselvatichita e dall’attività venatoria – che, ad avviso dell’appellante Ambito Territoriale di Caccia Perugia 3 Ternano-Orvietano, agli artt. 2, 4 e 12 violerebbe l’ambito di operatività demandato dalla legge regionale allo stesso Regolamento.

Giova premettere, perché utile a definire i diversi motivi di appello, la natura degli Ambiti Territoriali di Caccia.

Hanno chiarito le Sezioni unite della Corte di cassazione 28 dicembre 2017, n. 31114 che la costituzione degli Ambiti Territoriali di Caccia, prevista dall’art. 14, l. n. 157 del 1992, manifesta uno standard inderogabile di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (Corte cost. n. 124 del 2016). Gli Ambiti Territoriali di Caccia perseguono fini che trascendono una dimensione puramente privata (Cass., sez. lav., 27 settembre 2012, n. 16467). Si tratta di strutture associative senza scopo di lucro, regolate con proprio statuto, a cui sono affidati compiti di rilevanza pubblicistica connessi all'organizzazione del prelievo venatorio e alla gestione faunistica nel territorio di competenza, finalizzati al perseguimento degli obiettivi stabiliti nel piano faunistico-venatorio.

La normativa sulla caccia rende direttamente compartecipi i soggetti interessati ad un aspetto ludico della vita associata, ai fini della migliore gestione della risorsa costituita dalla selvaggina cacciabile, espressamente dichiarata bene indisponibile dello Stato (art. 1, l. n. 157 del 1992).

Gli Ambiti Territoriali di Caccia, pur non appartenendo alle amministrazioni pubbliche tradizionalmente concepite, svolgono funzioni pubbliche di cura dell'interesse comune, sottoposte al vaglio del giudice amministrativo, mediante l'esercizio di poteri autoritativi.

Deve altresì essere ricordato, per una migliore comprensione delle ragioni di reiezione dei singoli motivi di appello, che nella Regione Umbria agli Ambiti Territoriali di Caccia il Regolamento n. 34 del 1999 ha attribuito il compito di contenere e limitare la popolazione dei cinghiali attraverso l’attività venatoria esercitata dai cacciatori; ad essi spetta predisporre i piani di gestione e realizzare i piani di abbattimento per contenere il popolamento dei cinghiali. Le impugnate previsioni subentrano nel caso in cui l’azione di contenimento degli A.T.C. non sia riuscita appieno e i finanziamenti elargiti dalla Regione, ai sensi dell’art. 3, l. reg. n. 17 del 2009, non siano bastati. Basterebbe dunque un’attenta predisposizioni dei piani per contenere al massimo il ricorso agli interventi a carico dei cacciatori.

2. Ciò chiarito, può passarsi all’esame dei singoli motivi di appello.

Con il primo e il terzo motivo di appello, che per ragioni di ordine logico possono essere esaminati congiuntamente, si deduce l’illegittimità dell’art. 4 del Regolamento, erroneamente non rilevata dal giudice di primo grado, nella parte in cui prevede che, in caso di insufficienza dei fondi regionali di cui al precedente art. 2, il Comitato di gestione degli Ambiti Territoriali di Caccia provvede ad integrare i fondi necessari alla completa copertura dell'indennizzo, utilizzando le entrate previste, appunto, dal comma 5 dell’art. 4. Ne deriva che, nell'ipotesi di insufficienza del fondo, l'A.T.C. può far fronte al risarcimento unicamente con risorse poste a carico dei cacciatori. L'art. 3, comma 3, l. reg. n. 17 del 2009 non stabilisce, invece, alcun limite vincolante sul reperimento delle risorse da parte degli A.T.C..

Né, ad avviso dell’appellante, è utile il richiamo operato dal Tar alla legge quadro nazionale n. 157 del 1992, il cui art. 14 consente alle Regioni soltanto di stabilire forme di partecipazione economica dei cacciatori alla gestione dei territori; ciò, tuttavia, come emerge dal dato testuale della predetta norma, soltanto con legge e non, quindi, con un regolamento.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo, sollevata sul rilievo che lo stesso sarebbe stato introdotto per la prima volta in appello.

Ed invero, già nel ricorso di primo grado si faceva riferimento alla circostanza che il Regolamento impugnato non sarebbe attuativo quanto piuttosto, in alcune disposizioni, innovativo della legge regionale, che ne aveva previsto l’adozione (29 luglio 2009, n. 17), come nel caso dell’art. 4, nella parte in cui introduce l’imposizione di nuovi contributi economici a carico dei cacciatori.

Il primo motivo e il terzo non sono suscettibili di positiva valutazione.

L’art. 3, comma 3, l. reg. n. 17 del 2009 prevede che “gli A.T.C. istituiscono nel proprio bilancio un capitolo per il pagamento degli indennizzi costituito dai finanziamenti di cui al comma 1. In caso di insufficienza del fondo per il pagamento completo dell’indennizzo, al pagamento della restante quota provvede autonomamente il Comitato di gestione degli A.T.C., con proprie risorse, reperite nell’ambito dei piani di gestione del prelievo del cinghiale”.

Il comma 3 dell’art. 4 del Regolamento n. 5 del 2010, nel fare riferimento ai “Piani di gestione della specie”, rinvia all’art. 12 bis del Regolamento regionale n. 34 del 1999 il quale, a sua volta, al comma 1 bis, nell’elenco degli elementi che comprendono tale Piano, individua i “Piani di prevenzione dei danni di cui all’art. 4, comma 1, del Regolamento regionale n. 5 del 2010”.

Contrariamente a quanto assume l’appellante nel terzo motivo, il Regolamento trova, in parte qua, la propria fonte anche nella l. n. 157 del 1992, che all’art. 14, comma 9, ha previsto che “Le regioni stabiliscono con legge le forme di partecipazione, anche economica, dei cacciatori alla gestione, per finalità faunistico-venatorie, dei territori compresi negli Ambiti Territoriali di Caccia e nei comprensori alpini ed inoltre, sentiti i relativi organi, definiscono il numero dei cacciatori non residenti ammissibili e ne regolamentano l'accesso”, norma questa alla quale si collega il citato comma 3 dell’art. 3, l. reg. n. 17 del 2009.

3. Con il secondo motivo è dedotta l’erroneità della sentenza del Tar Umbria, che non ha rilevato l’illegittimità dell’art. 2 del Regolamento, che disciplina la ripartizione dei fondi in assenza di una previsione legislativa; l’art. 2 ha dettato, infatti, le modalità ed i criteri sia di calcolo che di ripartizione fra gli enti interessati, Ambiti Territoriali di Caccia e Province, dei fondi regionali necessari per far fronte al risarcimento dei danni derivanti all'agricoltura dalla fauna selvatica ed inselvatichita. In particolare il comma 2 pone un limite ai fondi erogabili solamente per i danni provocati dai cinghiali e nelle aree di competenza degli A.T.C., mentre tale limitazione non è configurabile nel caso in cui i cinghiali provochino danni nei territori di competenza provinciale.

Anche questo motivo non è suscettibile di positiva valutazione.

Giova premettere, al fine di giustificare la diversa disciplina dettata con riferimento agli Ambiti Territoriali di Caccia e alle Province, che queste ultime operano in ambiti protetti, dove il prelievo venatorio mediante abbattimento è l’eccezione, mentre per gli A.T.C. la caccia è la regola.

Ciò chiarito, anche in questo caso la “copertura” della disciplina dettata dall’art. 2 è nel comma 3 dell’art. 3 della l. reg. n. 17 del 2009 che, per l’ipotesi – residuale – di insufficienza dei fondi per il pagamento dell’indennizzo, ha previsto che al pagamento della restante quota debba provvedere il Comitato di gestione degli A.T.C. con proprie risorse reperite nell’ambito dei Piani di gestione – dei quali fanno parte, come si è detto sub 2, ai sensi dell’art. 12 bis del Regolamento regionale n. 34 del 1999, i piani di prevenzione dei danni - il cui obiettivo è il contenimento delle somme erogate per gli indennizzi, anche al fine di responsabilizzare gli Ambiti nel pieno raggiungimento dell’obiettivo primario di contenere il popolamento dei cinghiali. Come si è detto sub 1, il ricorso al finanziamento extra con contributi dei cacciatori è richiesto solo ove il contenimento del popolamento dei cinghiali, attraverso i relativi Piani, abbia fallito.

4. Per analoghe ragioni, ad avviso dell’appellante, sarebbe illegittimo l’art. 12 del Regolamento, ed erronea la sentenza del Tar Umbria che non ha rilevato tale profilo, nella parte in cui attribuisce alle Province un potere sostitutivo in caso di inadempienza da parte degli organi dell'A.T.C. (seconda censura dedotta con il secondo motivo).

Anche tale censura è priva di pregio, essendo condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado, secondo cui la previsione è funzionale al criterio di ripartizione dei fondi e di predisposizione dei piani di prevenzione previsti agli artt. 2 e ss. del Regolamento.

In ogni caso, giova ricordare che ai sensi dell’art. 2 e dell’allegato A, l. reg. Umbria 2 aprile 2015, n. 10, le funzioni amministrative in materia di gestione faunistica e della caccia, prima devolute alle Province, sono state trasferite alla Regione. In particolare, sono state ad essa trasferite le funzioni relative: a) all'adozione dei piani faunistico - venatori provinciali pluriennali e dei programmi annuali di intervento inerenti la gestione faunistico – venatoria; b) all'istituzione e alla gestione degli ambiti territoriali di interesse faunistico e venatorio; c) alla gestione degli Ambiti Territoriali di Caccia, alla costituzione e nomina dei Comitati di gestione, al controllo degli interventi tecnici dei Comitati; d) all'abilitazione all'esercizio dell'attività venatoria; e) alle autorizzazioni, concessioni connesse alle attività faunistico – venatorie; f) ai ripopolamenti; g) ai piani finalizzati alla riduzione e controllo delle specie di fauna selvatica nell'intero territorio regionale; h) alle procedure di indennizzo dei danni causati dalla fauna selvatica.

5. Non è suscettibile di positiva valutazione neanche il quarto motivo, con il quale si deduce il difetto di motivazione in ordine ai criteri individuati nell’art. 2 del Regolamento per ripartire i fondi, nonché l’irrazionalità di tale riparto.

Va preliminarmente ricordato, in relazione alla prima censura, il principio secondo cui le disposizioni di un Regolamento non richiedono una motivazione specifica, essendo il Regolamento atto a contenuto generale che, ai sensi dell'art. 3, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, è sottratto all'onere della motivazione.

E’ noto, infatti, che il citato comma 2 dell’art. 3, pur introducendo un obbligo di motivazione per i provvedimenti amministrativi, espressamente esclude “gli atti normativi e . . . quelli a contenuto generale”. Ne consegue che, tranne i casi nei quali è esigibile una specifica motivazione in ragione della immediata e diretta incidenza su specifiche posizioni giuridiche, l'onere di motivazione gravante sull'Amministrazione in sede di adozione degli atti normativi o a contenuto generale risulta soddisfatto con l'indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione puntuale (Cons. St., sez. IV, 10 luglio 2017, n. 3365; id., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 4704).

Quanto all’irrazionalità delle scelte operate dalla Regione le stesse sono sindacabili solo se manifestamente illogiche e irrazionali, vizi questi più volte affermati dall’appellante, ma non concretamente provati. Aggiungasi che il ruolo svolto dall’Ambito Territoriale di Caccia, così come delineato dalla Corte di cassazione ed esplicitato sub prg. 1, porta a superare i rilievi circa la carenza, in capo allo stesso, di poteri autoritativi.

6. Condivisibile è poi l’assunto del giudice di primo grado, che ha respinto il quinto motivo di ricorso - volto a denunciare una disparità di trattamento discendente dalla previsione di un tetto massimo di stanziamento solo per i danni provocati dai cinghiali, come pure nella prospettiva per cui le Province risultano escluse dalla necessità di integrare con proprie risorse le eventuali carenze di fondi regionali – sul rilievo che il vizio dedotto è ravvisabile solamente a condizione di una identità di situazioni sottostanti che, nella specie, non sussiste.

Costituisce, infatti, principio consolidato del giudice amministrativo che l'eccesso di potere per disparità di trattamento si può configurare solo sul presupposto, di cui l'interessato deve dare prova rigorosa, dell'identità assoluta della situazione considerata (Cons. St., sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5016; id. 18 ottobre 2017, n. 4824).

Nella specie, non è dubbia la differenza tra Ambiti Territoriali di Caccia e Province.

7. E’, infine, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in via gradata con l’ultimo motivo di appello, dell’art. 3, comma 3, l. reg. n. 17 del 2009, per violazione dell’art. 117 Cost., nella parte in cui prevede, per l’evenienza di insufficienza dei finanziamenti regionali a coprire gli indennizzi, che “al pagamento della restante quota provvede autonomamente il Comitato di gestione degli A.T.C., con proprie risorse, reperite nell’ambito dei piani di gestione del prelievo del cinghiale”.

Come condivisibilmente affermato dal Tar Umbria, il comma 3 dell’art. 3 cit. si inserisce in un contesto di articolazione delle fonti di procacciamento delle risorse finanziarie (v. anche artt. 14 e 26, l. n. 157 del 1992), che coinvolge, coerentemente, anche gli Ambiti Territoriali di Caccia, e, per essi, il Comitato di gestione.

8. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

9. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve quindi essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in € 2.000,00 (duemila euro).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere

Giovanni Pescatore, Consigliere

Giulia Ferrari, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giulia Ferrari        Franco Frattini