Pres. Papa Est. Sensini Ric. Cuzzolin
CACCIA - UCCELLAGIONE - Esercizio della caccia con mezzi vietati - Differenze - Individuazione.
In tema di disciplina della caccia, il reato di esercizio dell'uccellagione e quello di esercizio della caccia con mezzi vietati (puniti, rispettivamente, il primo dagli artt. 3 e 30, lett. e) L. 11 febbraio 1992, n. 157 e, il secondo, dagli artt. 21, lett. u) e 30, lett. h) della citata L. n. 157) hanno diversa obiettività giuridica in quanto il primo mira principalmente a tutelare la conservazione della specie, laddove il secondo ha lo scopo di evitare che, con l'uso di modalità non consentite, vengano inflitte agli animali inutili sofferenze.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza in data 25/10/2006 il Tribunale di Pordenone condannava C.G., in concorso di attenuanti generiche, alla pena di Euro 1.000 di ammenda - confisca e distruzione di quanto in sequestro - siccome responsabile dei seguenti reati: A) della contravvenzione p. e p. della L. n. 157 del 1992, artt. 3 e 30 lett. e), perchè esercitava l'uccellagione, predisponendo un impianto di cattura degli uccelli costituito da una gabbia - trappola in rete metallica innescata a mezzo di esche alimentari; B) della contravvenzione p. e p. dell'art. 21, lett. u) e art. 30, lett. h) perchè, esercitando l'attività di cui al capo A), utilizzava mezzi vietati, nella specie una gabbia - trappola.
In punto di fatto veniva accertato che, nel corso di un servizio ispettivo nella zona dei Comuni di (OMISSIS) ed (OMISSIS), veniva notata dai vigili venatori, alla fine di un sentiero lungo il fiume (OMISSIS), una gabbia a trappola, solitamente usata per la cattura di usignoli, anche in considerazione del tipo di esca alimentare utilizzata (tarme da fieno).
I vigili venatori individuavano il C. come la persona che, malgrado la fitta ed impenetrabile vegetazione ivi esistente, dopo essere sceso da un'auto, aveva subito raggiunto il luogo in cui era localizzata la trappola in questione.
II Tribunale riteneva pienamente integrati sia la contravvenzione di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. e), sia il reato di cui all'art. 30, lett. h), stessa legge, avuto riguardo al sistema di cattura utilizzato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la difesa del prevenuto, deducendo: 1) inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale per difetto dei presupposti del reato di cui al capo A) della rubrica, non potendosi, alla luce dei principi più volte espressi da questa Corte, considerare l'attività attribuita all'imputato alla stregua di "uccellagione"; 2) inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale laddove il Giudice di prime cure aveva ritenuto il concorso tra la fattispecie sanzionata dall'art. 30, lett. e) (uccellagione) e quella sanzionata dall'art. 30, lett. h) (esercizio di caccia con mezzi vietati), giacchè la nozione di "uccellagione" presuppone già l'utilizzo di soli mezzi vietati: una cattura di volatili effettuata con i mezzi leciti di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 13, diventa attività venatoria legittima. Pertanto, doveva ritenersi che il reato di "uccellagione" assorbisse quello di cattura con mezzi vietati, poichè il mezzo vietato è un elemento strutturale del primo illecito.
Si chiedeva l'annullamento della sentenza.
Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto.
Questa Corte ha più volte affermato che l'uccellagione può essere esercitata anche senza l'uso di complessi sistemi di reti estese, essendo, al contrario, sufficiente a tal fine anche l'adozione di congegni rudimentali e di limitata grandezza, anch'essi capaci, specie in particolari condizioni di luogo e specifiche modalità e con sistemi fissi non puramente di uso momentaneo, di indiscriminata cattura di volatili, invero, ciò che qualifica il concetto di "uccellagione" è il rischio del verificarsi di un depauperamento della fauna avicola a causa delle modalità dell'esercizio venatorio ed in considerazione dell'adozione di particolari mezzi, aventi una potenzialità offensiva indeterminata. Tutto ciò risponde alle esigenze della legge, che vieta ogni cattura o uccisione sottratta a limiti temporali e di controllo, con possibilità di colpire ogni specie di volatile (cfr. Cass. Sez. 3, 18/12/1995 n. 1713, rv. 204727, Palandri).
Nella specie, per contro, è stato accertato in punto di fatto che ci si trovava di fronte ad una sola gabbietta - trappola di dimensioni minime, non in grado di riarmarsi da sola per una successiva azione di cattura. Inoltre, la gabbietta era innescata con tarme da fieno, appetite specificamente dalla specie "usignolo". Deve, pertanto, ritenersi che il mezzo usato non fosse idoneo ad effettuare catture in massa o non selettive di avifauna, nè, tale mezzo - unico - poteva dirsi idoneo a determinare un'apprensione indiscriminata, e, quindi, distruttiva, tale da portare localmente alla estinzione della specie, proprio perchè avente una potenzialità offensiva indeterminata. In parte qua, la sentenza va, pertanto, annullata senza rinvio "perchè il fatto non sussiste".
Infondato, per contro, deve ritenersi il secondo motivo di gravame, dal momento che se, per quanto sopra detto, non è ipotizzabile nella fattispecie il rischio di una cattura ampia ed indiscriminata di uccelli, rimane pur sempre integrata l'ipotesi di caccia con un mezzo vietato dalla legge, attesa la diversa obiettività giuridica che l'ipotesi di cui all'art. 30, lett. e), ha rispetto a quella di cui all'art. 30, lett. h), trattandosi di due precetti ben distinti, nel senso che il reato di uccellagione mira principalmente a tutelare la conservazione della specie, mentre l'ipotesi prevista dall'art. 30, lett. h), ha lo scopo di evitare che, con l'uso di modalità non consentite, vengano inflitte agli animali inutili sofferenze.
Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente al capo A) della rubrica, con eliminazione della relativa pena, che, in difetto di specifica quantificazione ad opera del Tribunale e vertendosi in ipotesi di contestazione di due fattispecie aventi identica sanzione, si ritiene di determinare in Euro 500,00 di Ammenda.
Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo A) perchè il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di Euro 500,00 di Ammenda. Rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2007.