Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1557, del 1 aprile 2014
Beni Culturali.Imposizione vincolo archeologico anche per presunzione

Ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato. Quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l'autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell'antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01557/2014REG.PROV.COLL.

N. 04238/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4238 del 2009, proposto da: 
C.I.A. - Compagnia Immobiliare Alberghi s.p.a. e Errezetauno s.r.l. in persona dei legali rappresentanti pro tempore, entrambe rappresentate e difese dall’avvocato Enrico Soprano, con domicilio eletto presso Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi, 5;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali e Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliate in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Comune di Sorrento;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 01515/2008, resa tra le parti;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta,;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2013, il Consigliere Roberto Giovagnoli e uditi per le parti l’avvocato Visone per delega dell’avvocato Soprano e l’avvocato dello Stato Grasso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto dalla C.I.A. – Compagnia Immobiliare Alberghi s.p.a. (di seguito anche solamente C.I.A.) e dalla Errezetauno s.r.l. per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, ha riunito e respinti i ricorsi proposti dalle società odierne appellanti per l’annullamento dei seguenti provvedimento:

a) del decreto n. 202 del 21. dicembre 2006 a firma del Direttore regionale dei beni culturali e paesaggistici della Campania recante la dichiarazione di interesse particolarmente importante ai sensi degli artt. 10, 13 e 15 del decreto 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e di conseguente sottoposizione a tutela degli immobili in Capo di Sorrento, villa “i Bagni della Regina Giovanna”, individuati nel dettaglio nella planimetria catastale allegata al decreto medesimo, (in quanto) interessati dai resti archeologici descritti nella relazione scientifica a sua volta unita al decreto per formarne parte integrante;

b) della relazione storico-archeologica in essa citata;

c) di ogni ulteriore atto presupposto, preparatorio, connesso, conseguente e/o consequenziale, comunque lesivo delle ricorrenti.

2. Le società appellanti censurano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale, riproponendo nella sostanza, i motivi, già formulati in primo grado, volti ad evidenziare come il provvedimento impositivo del vincolo sia stato adottato senza adeguata istruttoria e senza congrua motivazione e sia, pertanto, sotto diversi profili, affetto da eccesso di potere.

Le appellanti, in particolare, deducono che la decisione di imporre il vincolo sull’intera area è stato presa in seguito al rinvenimento su una sola delle particelle che la compongono, la n. 18, di quattro cisternoni; ritrovamento che, secondo l’Amministrazione, avrebbe costituito un indizio – sufficiente a vincolare tutta l’area limitrofa – dell’esistenza nel sottosuolo di una “villa marittima di età romanica del I secolo a.c. – I secolo d.c.” e che, invece, come sostenuto dalle ricorrenti anche innanzi al Tribunale amministrativo regionale, avrebbe dovuto giustificare (anche alla luce di quanto sostenuto nella perizia di parte a firma dell’architetto Mautone, versata agli atti del giudizio di primo grado) l’apposizione del vincolo solo sull’area effettivamente interessata da detto ritrovamento archeologico, e non anche sulla restante parte, in assenza di comprovate e tangibili testimonianze di presenza di ulteriori reperti.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali chiedendo il rigetto del ricorso.

4. Alla pubblica udienza del 10 dicembre 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.

5. L’appello non merita accoglimento.

6. Il provvedimento impugnato trova adeguata motivazione, per relationem, nella relazione storico archeologica della Soprintendenza per i beni archeologici delle Province di Napoli e Caserta, ad esso allegata.

Tale relazione, contrariamente rispetto a quanto dedotto nell’atto di appello, fornisce, in maniera del tutto esaustiva le giustificazioni sulla cui base il vincolo è stato imposto.

Da essa emerge, in particolare, che il compendio interessato dal vincolo si trova nelle immediate adiacenze di una zona del promontorio che costituisce il “capo di Sorrento”, zona sottoposta a vincolo sin dal 1954, poiché fu stabilito con certezza che su di essa era stata allocata una celebre villa marittima di età romana, di cui sono stati rinvenuti ampi resti.

Nel corso degli anni, in questa area sono stati individuati importanti resti delle pertinenze della villa che hanno consentito di stabilire che la stessa era fornita di una domus con funzione prevalentemente agricola ad essa collegata tramite rampe e gallerie.

Tali acquisizioni hanno condotto la Soprintendenza per i beni archeologici per le Province di Napoli e Caserta alla conclusione che si era in presenza di un insediamento di più ampie dimensioni rispetto a quanto inizialmente ipotizzato e che, pertanto, vi erano elevate probabilità di rinvenimento di resti e reperti su un raggio territoriale più esteso di quello inizialmente vincolato. Da qui l’adozione del provvedimento di vincolo impugnato, in seguito al rinvenimento di alcuni reperti archeologici (quattro cisternoni) in una zona (la particella n. 18) collocata nell’area centrale del compendio-

7. Ritiene il Collegio che il provvedimento impugnato resista alle censure sollevate dalla ricorrenti.

Costituisce, infatti, nozione di comune esperienza quella secondo cui il ritrovamento di resti di insediamenti di epoche passate in una determinata area rende probabile la presenza di altri resti nelle immediate vicinanze. L’attendibilità di tale conclusione è, nel caso di specie, rafforzata dal fatto che è stata riscontrata una coincidenza tra i luoghi del ritrovamento dei reperti e quelli che, nel passato, sulla base conoscenze disponibili, hanno costituito l’area di sedime di insediamenti di estese dimensioni (nella specie, appunto, una importante villa romana che disponeva di pertinenze ad essa strettamente collegate).

È pertanto certamente ragionevole ad attendibile, sotto il profilo tecnico e scientifico, la scelta dell’Amministrazione di vincolare non solo la particella in cui sono esattamente stati ritrovati i reperti archeologici, ma anche tutta la zona ad essa circostante, coincidente con la presunta area di estensione della menzionata villa romana e delle sue pertinenze.

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, con orientamento formatosi nella vigenza della legge 1° giugno 1939, n. 1089, ma con affermazioni estensibili al nuovo sistema, ha già avuto modo di rilevare che, ai fini della tutela vincolistica su beni archeologici, l’effettiva esistenza delle cose da tutelare può essere dimostrata anche per presunzione e che è ininfluente che i materiali oggetto di tutela siano stati portati alla luce o siano ancora interrati, essendo sufficiente che il complesso risulti adeguatamente definito e che il vincolo archeologico appaia adeguato alla finalità di pubblico interesse al quale è preordinato(Cons. Stato, VI, 1° marzo 2005, n. 805).

La stessa giurisprudenza ha specificato che l’Amministrazione dei beni culturali ed ambientali può estendere il vincolo ad intere aree in cui siano disseminati ruderi archeologici particolarmente importanti: è necessario, però, in tal caso, che i ruderi stessi costituiscano un complesso unitario ed inscindibile, tale da rendere indispensabile il sacrificio totale degli interessi dei proprietari e senza possibilità di adottare soluzioni meno radicali, evitandosi, in ogni caso, che l'imposizione della limitazione sia sproporzionata rispetto alla finalità di pubblico interesse cui è preordinato (Cons. Stato, VI, 27 settembre 2005, n. 5069).

Più recentemente la Sezione, in relazione ad una fattispecie analoga alla presente, ha affermato che “quando si tratta della imposizione del vincolo archeologico, è del tutto ovvio che l'autorità amministrativa ritenga di sottoporre a tutela una intera area complessivamente abitata nell'antichità e solo eventualmente cinta da mura, comprendendovi anche gli spazi verdi, dal momento che le esigenze di salvaguardia riguardano non i reperti in sé e solo in quanto addossati gli uni agli altri, ma complessivamente tutta la complessiva superficie destinata illo tempore all'insediamento umano” (Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2013, n. 522).

8. Le considerazioni che precedono, e i richiamati precedenti giurisprudenziali, valgono a confutare i motivi di gravame proposti dalle società appellanti.

Risulta, infatti, che l’Amministrazione, facendo un uso corretto della discrezionalità tecnica sottesa alla perimetrazione dell’area da vincolare, abbia imposto un vincolo incidente su un insieme omogeneo e unitario di beni, coincidente con l’area di presumibile estensione dell’insediamento archeologico che intendeva preservare. Le Relazione allegata al provvedimento contiene sotto questo profilo, un’indicazione precisa sia degli elementi di conoscenza sulla base dei quali si risulta probabile l’esistenza di altre resti archeologici nella aree limitrofe alla particella oggetto dei rinvenimenti specifici, sia dei congrui obiettivi di tutela perseguiti mediante l’apposizione del vincolo (preservare un contesto di sicuro interesse sotto il profilo archeologico).

Giova ancora ricordare che la valutazione in ordine all’esistenza di un interesse sia archeologico che storico-artistico, tali da giustificare l’imposizione dei relativi vincoli, è prerogativa esclusiva dell'Amministrazione e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta” (cfr. Cons. di Stato, VI, 6 marzo 2009, n. 1332; 24 maggio 2013, n. 2851).

Nel caso di specie, per le considerazioni già esposte, tali profili di inattendibilità vanno certamente esclusi.

9. L’appello, dunque, deve essere respinto.

Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e sono liquidate in complessivi € 1.500.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le parti appellanti in solido al pagamento delle spese processuali a favore del Ministero per i beni e le attività culturali che liquida in complessivi € 1.500.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Vito Carella, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 01/04/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)