CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE SHARPSTON
presentate il 3 maggio 2007 1(1)
Causa C388/05
Commissione delle Comunità europee
contro
Repubblica italiana

«Inadempimento di uno Stato – Direttiva del Consiglio 79/409/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici – Direttiva del Consiglio 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche – Obbligo di evitare l’inquinamento o il deterioramento di habitat e le perturbazioni agli uccelli, ai sensi dell’art. 4, n. 4, della direttiva del Consiglio 79/409/CEE – Obbligo di evitare il degrado o la perturbazione delle specie ai sensi dell'art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 92/43/CEE – Ambito di applicazione ratione temporis dell’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva del Consiglio 92/43/CEE – Obbligo di valutazione ex ante – Valloni e steppe pedegarganiche – Parco nazionale del Gargano»






1. Nel presente procedimento, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare in conformità dell’art. 226 CE che l’Italia, avendo omesso di adottare le misure idonee per evitare il deterioramento degli habitat naturali e degli habitat di specie nella zona di protezione speciale (in prosieguo: la «ZPS») «Valloni e steppe pedegarganiche», è venuta meno all’obbligo che le incombe ai sensi dell’art. 4, n. 4, della direttiva 79/409 (2) (in prosieguo: la «direttiva sugli uccelli») e degli artt. 6, nn. 2, 3 e 4, e 7 della direttiva 92/43 (3) (in prosieguo: la «direttiva sugli habitat»). Tale domanda solleva il problema del rapporto tra le menzionate disposizioni delle due direttive.

Disposizioni comunitarie pertinenti

La direttiva sugli uccelli

2. L’art. 1 della direttiva sugli uccelli dispone che quest’ultima «concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico (…) Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie (…)». L’art. 2 impone agli Stati membri di «adotta[re] le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1 ad un livello che corrisponde in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative».

3. L’art. 3, n. 1, stabilisce che, «[t]enuto conto delle esigenze di cui all’articolo 2, gli Stati membri adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1, una varietà e una superficie di habitat». L’art. 3, n. 2, lett. a), prevede l’«istituzione di zone di protezione» come una delle quattro principali misure individuate per la «preservazione, il mantenimento e il ripristino dei biotopi e degli habitat».

4. L’art. 4 della direttiva sugli uccelli stabilisce poi quanto segue:

«1. Per le specie elencate nell’allegato I sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat, per garantire la sopravvivenza e la riproduzione di dette specie nella loro area di distribuzione.

(…)

Gli Stati membri classificano in particolare come zone di protezione speciale i territori più idonei in numero e in superficie alla conservazione di tali specie, tenuto conto delle necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre in cui si applica la presente direttiva.

2. Analoghe misure vengono adottate dagli Stati membri per le specie migratrici non menzionate nell’allegato I (…)

(…)

4. Gli Stati membri adottano misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione di cui ai paragrafi 1 e 2, l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo (…)».

5. L’art. 9 consente agli Stati membri di derogare ad alcune disposizioni della direttiva (4), ma non contempla deroghe all’art. 4.

6. L’art. 13 dispone che «[l]’applicazione delle misure adottate in virtù della presente direttiva non deve provocare un deterioramento della situazione attuale per quanto riguarda la conservazione di tutte le specie di uccelli di cui all’articolo 1».

7. L’art. 18 imponeva agli Stati membri di mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva sugli uccelli entro due anni dalla sua notifica, ossia entro il 7 aprile 1981.

La direttiva sugli habitat

8. Sono pertinenti i seguenti ‘considerando’ della direttiva sugli habitat:

«[1] (…) la salvaguardia, la protezione e il miglioramento della qualità dell’ambiente, compresa la conservazione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatiche, costituiscono un obiettivo essenziale di interesse generale perseguito dalla Comunità conformemente all’articolo 130 R del trattato [(5)];

(…)

[6] (…) per assicurare il ripristino o il mantenimento degli habitat naturali e delle specie di interesse comunitario in uno Stato di conservazione soddisfacente, occorre designare zone speciali di conservazione per realizzare una rete ecologica europea coerente secondo uno scadenzario definito;

[7] (…) tutte le zone designate, comprese quelle già classificate o che saranno classificate come [ZPS] speciale ai sensi della direttiva [sugli uccelli] dovranno integrarsi nella rete ecologica europea coerente;

[10] (…) qualsiasi piano o programma che possa avere incidenze significative sugli obiettivi di conservazione di un sito già designato o che sarà designato deve formare oggetto di una valutazione appropriata».

9. Ai sensi dell’art. 1, lett. j), della direttiva sugli habitat, si definisce «sito» «un’area geograficamente definita, la cui superficie sia chiaramente delimitata».

10. L’art. 1, lett. k), definisce come segue un «sito di importanza comunitaria»:

«(…) un sito che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartiene, contribuisce in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat naturale di cui all’allegato I o una specie di cui all’allegato II in uno stato di conservazione soddisfacente e che può inoltre contribuire in modo significativo alla coerenza di Natura 2000 di cui all’articolo 3, e/o che contribuisce in modo significativo al mantenimento della diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione».

11. L’art. 1, lett. l), definisce come segue una «zona speciale di conservazione» (in prosieguo: «ZSC»):

«(…) un sito di importanza comunitaria designato dagli Stati membri mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale in cui sono applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui il sito è designato».

12. L’art. 2 così recita:

«1. Scopo della presente direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche (…)

2. Le misure adottate a norma della presente direttiva sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.

3. Le misure adottate a norma della presente direttiva tengono conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali».

13. Gli artt. 3, 4 e 5 riguardano l’istituzione della «rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione» denominata «Natura 2000». L’art. 3, n. 1, secondo comma, dispone che «[l]a rete “Natura 2000” comprende anche le [ZPS] classificate dagli Stati membri a norma della direttiva [sugli uccelli]».

14. L’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva sugli habitat così recita:

«2. Gli Stati membri adottano le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva.

3. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell’incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l’integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell’opinione pubblica.

4. Qualora, nonostante conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, un piano o progetto debba essere realizzato per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, lo Stato membro adotta ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata. Lo Stato membro informa la Commissione delle misure compensative adottate.

Qualora il sito in causa sia un sito in cui si trovano un tipo di habitat naturale e/o una specie prioritari, possono essere addotte soltanto considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico».

15. L’art. 7 della direttiva sugli habitat dispone:

«Gli obblighi derivanti dall’articolo 6, paragrafi 2, 3 e 4 della presente direttiva sostituiscono gli obblighi derivanti dall’articolo 4, paragrafo 4, prima frase, della direttiva [sugli uccelli], per quanto riguarda le zone classificate a norma dell’articolo 4, paragrafo 1 [(6)], o analogamente riconosciute a norma dell’articolo 4, paragrafo 2 di detta direttiva a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente direttiva o dalla data di classificazione o di riconoscimento da parte di uno Stato membro a norma della [direttiva sugli uccelli], qualora essa sia posteriore».

16. L’art. 23 imponeva agli Stati membri di adottare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva sugli habitat entro due anni a decorrere dalla sua notifica, ossia entro il giugno 1994 (7).

Fatti pertinenti e procedimento

17. La zona «Valloni e steppe pedegarganiche», situata nella regione della Puglia, è una delle principali zone steppiche italiane e ospita specie rare e protette di uccelli selvatici. Tale zona si caratterizza per un substrato geologico costituito da calcari risalente al periodo cretacico e giurassico. Il sito presenta una significativa biodiversità e contiene una serie di canyon di origine erosiva che ospitano un ambiente rupestre con rare specie endemiche vegetali (8). Si tratta dell’unica stazione peninsulare della Tetrax tetrax (Gallina prataiola) e costituisce inoltre l’habitat del Falco biarmicus (Lanario), del Neophron percnopterus (Capovaccaio), del Burhinus oedicnemus (Occhione), della Melanocorypha calandra (Calandra), della Calandrella brachydactyla (Calandrella) (9), e del Falco peregrinus (Falco pellegrino). Tutte le suddette specie sono elencate nell’allegato I della direttiva sugli uccelli.

18. La regione «Valloni e steppe pedegarganiche» veniva elencata come zona importante per la conservazione degli uccelli (con la denominazione «Promontorio del Gargano») nell’inventario ornitologico europeo «Important Bird Areas in Europe» del 1989 (in prosieguo: il «catalogo IBA 89»).

19. Nove anni dopo, il 28 dicembre 1998, l’Italia classificava il sito come ZPS ai sensi dell’art. 4, n. 1, ultimo comma, della direttiva sugli uccelli.

20. Nel febbraio 2001, la Lega Italiana Protezione Uccelli (LIPU) informava la Commissione che nella ZPS erano in corso di svolgimento taluni progetti industriali e di valorizzazione di beni immobili che alteravano l’equilibrio ecologico della zona e che il comune di Manfredonia aveva concluso un contratto d’area per lo sviluppo industriale della regione di Manfredonia, che comprendeva tra l’altro la realizzazione di un complesso turistico denominato «Magic Land». È pacifico che i lavori relativi ad almeno alcuni di tali progetti erano già iniziati prima del 28 dicembre 1998 e sono ancora in corso.

21. La zona soggetta a reindustrializzazione, 400 ettari in totale, è situata lungo la statale 89, tra le località Posta Spiriticchio e Posta Predella, a sud–ovest dell’abitato di Siponto, nel territorio del comune di Manfredonia.

22. Il 19 dicembre 2003, la Commissione inviava all’Italia una lettera di messa in mora, chiedendole di presentare osservazioni, ma non riceveva risposta. Con lettera 9 luglio 2004, la Commissione inviava quindi all’Italia un parere motivato ai sensi dell’art. 226 CE, concedendole un termine di due mesi per conformavisi.

23. Con lettera 9 novembre 2004, l’Italia informava la Commissione che avrebbe presto risposto nel merito alle sue censure. Tuttavia non venivano comunicate ulteriori risposte.

24. La Commissione ha quindi proposto il presente ricorso in data 24 ottobre 2005. Essa chiede che la Corte voglia:

a) dichiarare che

– prima del 28 dicembre 1998, data di designazione della ZPS «Valloni e steppe pedegarganiche», l’Italia è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli nella misura in cui ha omesso di adottare misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative, in riferimento al piano denominato «patto d’area» ed ai progetti ivi previsti, i quali erano suscettibili di avere un impatto sugli habitat e sulle specie all’interno della IBA n. 94 (del catalogo IBA 89) «Promontorio del Gargano» o della IBA n. 129 (del catalogo IBA 98) «Promontorio del Gargano» e hanno effettivamente causato il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli presenti all’interno delle suddette IBA;

– dopo il 28 dicembre 1998, data di designazione della ZPS, l’Italia è venuta meno agli obblighi derivanti dagli artt. 6, nn. 2, 3 e 4, e 7 della direttiva sugli habitat, nella misura in cui

– in ispregio a quanto previsto dall’art. 6, n. 2, ha omesso di adottare le opportune misure per evitare nella ZPS (10) «Valloni e steppe pedegarganiche» il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui la ZPS è stata designata, in riferimento ai progetti previsti dal patto d’area allo stato attuale già realizzati che hanno causato il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie all'interno della ZPS;

– in ispregio a quanto previsto dall'art. 6, n. 3, della stessa direttiva, ha omesso di effettuare una valutazione di incidenza ex ante e conforme ai requisiti di cui al suddetto articolo, in riferimento ai progetti previsti dal «patto d'area», allo stato attuale già realizzati, che erano suscettibili di avere incidenze significative sulla ZPS;

– in ispregio a quanto previsto dall’art. 6, n. 4, della direttiva precitata, ha omesso di applicare la procedura che permette di realizzare un progetto anche in caso di conclusioni negative della valutazione dell’incidenza sul sito e in mancanza di soluzioni alternative, per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica o considerazioni connesse con la salute dell’uomo e la sicurezza pubblica o relative a conseguenze positive di primaria importanza per l’ambiente ovvero, previo parere della Commissione, altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, e di comunicare alla Commissione le misure compensative adottate necessarie per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 fosse tutelata, in riferimento ai progetti inseriti nel «patto d'area» che sono stati approvati, nonostante la loro rilevante incidenza sulla ZPS, per fronteggiare la situazione di crisi socio-economica ed occupazionale dell'area di Manfredonia;

b) condannare l’Italia alle spese.

25. Non è stata richiesta né si è tenuta udienza.

Analisi

Osservazioni preliminari

26. L’Italia ha chiesto alla Commissione di rinunciare al ricorso per inadempimento alla luce di talune azioni già intraprese o previste dalla Regione Puglia e da altre autorità competenti, tenendo conto in particolare di possibili misure compensative.

27. La Commissione ha affermato che gli argomenti addotti dall’Italia sono ipotetici e non appaiono suscettibili di mettere fine all'infrazione denunciata, ma solo, eventualmente, di attenuarne gli effetti pregiudizievoli. Pertanto, la Commissione ha mantenuto il proprio ricorso.

28. La Corte ha dichiarato che nel contesto di situazioni in cui, in pendenza del ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte, lo Stato membro convenuto abbia già sanato la violazione lamentata (in tutto o quanto meno in parte), la Commissione può comunque mantenere il proprio ricorso (11).

29. A mio parere, tale modo di procedere è ampiamente giustificato nel caso in esame. Dagli elementi presentati alla Corte sembrerebbe emergere che la ZPS «Valloni e steppe pedegarganiche» si trovava in un buono stato di conservazione prima che fossero avviati i progetti industriali e di valorizzazione di beni immobili. I progetti già realizzati nella ZPS hanno causato la distruzione (quanto meno parziale) degli habitat steppici della zona in questione. La «relazione di missione» della Commissione ha concluso che non erano possibili misure di attenuazione per gli edifici esistenti e che quelle menzionate durante la visita della Commissione al sito, quale la verniciatura di verde degli edifici, erano puramente cosmetiche.

30. Le misure menzionate per la prima volta dall’Italia nel controricorso e quelle presentate alla Corte in allegato alla controreplica (12) non sono tali da garantire che la situazione sia stata sanata o che sarà necessariamente sanata in futuro (13).

31. Al riguardo va inoltre rilevato che, secondo costante giurisprudenza, nei procedimenti introdotti ai sensi dell’art. 226 CE, la sussistenza di un inadempimento dev’essere valutata alla luce della situazione esistente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivamente intervenuti (14). Pertanto non si può tenere conto del progetto di accordo fatto valere dall’Italia nella controreplica.

32. Passo ora ad esaminare le specifiche censure sollevate dalla Commissione e le specifiche dichiarazioni da essa sollecitate.

Prima del 28 dicembre 1998, asserita violazione dell’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli

33. L’art. 4, n. 1, della direttiva sugli uccelli sancisce l’obbligo per gli Stati membri di stabilire le ZPS ai fini della conservazione delle specie di uccelli elencate nell’allegato I della direttiva. L’art. 4, n. 4, della medesima direttiva impone agli Stati membri di adottare misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat nonché le perturbazioni dannose agli uccelli.

34. Secondo costante giurisprudenza, se è vero che gli Stati membri godono di un certo margine discrezionale per la scelta delle zone di protezione speciale, ciò non toglie che la classificazione di dette zone si opera secondo taluni criteri ornitologici, determinati dalla direttiva sugli uccelli, come la presenza di uccelli elencati all’allegato I della medesima direttiva (15). Inoltre, la Corte ha dichiarato che il catalogo IBA 89, «per quanto non sia giuridicamente vincolante per gli Stati membri interessati, può, se del caso, in ragione del suo valore scientifico riconosciuto nella fattispecie, essere utilizzato dalla Corte come base di riferimento per valutare in quale misura [lo Stato membro] ha rispettato l’obbligo di fissare ZPS» (16).

35. Alla luce dei fatti sopra esposti è chiaro che, prima del 28 dicembre 1998, l’Italia aveva l’obbligo di classificare come ZPS la zona in questione e quindi di adottare misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che avessero effetti significativi sulla zona interessata.

36. Nessuna disposizione della direttiva sugli uccelli prevede espressamente una valutazione ex ante di piani relativi a progetti di sviluppo. Parimenti, nessuna disposizione consente agli Stati membri di ignorare, nell’interesse generale, le conclusioni negative della valutazione relativa al piano in questione nel caso in cui da un progetto con un probabile impatto negativo su una ZPS derivino «vantaggi sociali» sufficienti. Sotto questo profilo, la direttiva sugli uccelli può essere considerata un meccanismo di tutela dell’ambiente meno sofisticato rispetto alla successiva direttiva sugli habitat.

37. Nondimeno, uno Stato membro dev’essere necessariamente preparato ad effettuare alcune valutazioni dei progetti relativi a una zona classificata, o che avrebbe dovuto essere classificata, come ZPS. L’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli impone agli Stati membri di «adotta[re] misure idonee a prevenire (…) l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative tenuto conto degli obiettivi del presente articolo». Di fronte a un progetto di sviluppo, lo Stato membro deve valutare se esso possa determinare l’inquinamento o il deterioramento dell’habitat, o perturbazioni a specie protette di uccelli. Se la risposta a una di tali domande è positiva, lo Stato membro deve adottare le misure necessarie ad evitare siffatte conseguenze.

38. Ciò detto, nella fattispecie è pacifico che i progetti industriali e di valorizzazione di beni immobili hanno causato l’inquinamento e/o il deterioramento di habitat e perturbazioni a specie elencate di uccelli in quella che è divenuta (tardivamente) la ZPS «Valloni e steppe pedegarganiche».

39. Pertanto, fino al 28 dicembre 1998 (data della designazione) l’Italia è venuta meno agli obblighi che le incombevano in forza dell’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli.

Dopo il 28 dicembre 1998: asserita violazione dell’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva sugli habitat

40. L’art. 7 della direttiva sugli habitat è la disposizione che collega tale direttiva alla direttiva sugli uccelli. Esso dispone che gli obblighi di cui all’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva sugli habitat sostituiscono quelli di cui all’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli, per quanto riguarda le zone classificate come ZPS a norma dell’art. 4, n. 1, o analogamente riconosciute a norma dell’art. 4, n. 2, della direttiva sugli uccelli. Tale sostituzione di obblighi ha luogo a decorrere dalla data di entrata in vigore della direttiva sugli habitat o dalla data di classificazione o di riconoscimento di una determinata zona come ZPS da parte di uno Stato membro a norma della direttiva sugli uccelli, qualora essa sia posteriore.

41. Il 28 dicembre 1998, l’Italia ha classificato la zona «Valloni e steppe pedegarganiche» come ZPS ai sensi dell’art. 4 della direttiva sugli uccelli. Ciò è avvenuto, in ogni caso, dopo la data di entrata in vigore della direttiva sugli habitat (17).

42. La Corte ha dichiarato, nella sentenza Basses Corbières (18), che «secondo un’interpretazione letterale [del pertinente] passaggio dell’art. 7 della direttiva sugli habitat, soltanto le zone classificate come ZPS rientrano sotto il disposto dell’art. 6, nn. 2-4, di questa stessa direttiva». La Corte ha inoltre stabilito che «le zone che non sono state classificate come ZPS mentre avrebbero dovuto esserlo continuano a rientrare nel regime proprio dell’art. 4, n. 4, prima frase, della direttiva sugli uccelli».

43. Ne consegue che, fino al 28 dicembre 1998, gli obblighi pertinenti erano quelli dell’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli. Dopo tale data trovava applicazione l’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva sugli habitat.

44. L’art. 6 della direttiva sugli habitat impone agli Stati membri di stabilire le misure di conservazione necessarie per le ZSC (art. 6, n. 1), onde evitare, nelle ZSC, il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione di specie elencate (art. 6, n. 2) e di sottoporre qualsiasi piano o progetto diverso da un piano di gestione della ZSC a una valutazione ex ante della sua probabile incidenza sulla ZSC (art. 6, n. 3).

45. L’art. 6, n. 4, concede agli Stati membri la possibilità (entro certi limiti) di ignorare una valutazione ex ante negativa e autorizzare il piano o il progetto in questione per motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica. In tal caso, tuttavia, lo Stato membro deve adottare ogni misura compensativa necessaria per garantire che la coerenza globale di Natura 2000 sia tutelata e deve informare la Commissione di tali misure.

Sull’art. 6, n. 2, della direttiva sugli habitat

46. I progetti previsti dal patto d’area già realizzati sono responsabili del degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché delle perturbazioni alle specie già verificatisi. Tali progetti continuano ad avere effetti negativi sulla ZSC.

47. La Repubblica italiana è quindi venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 6, n. 2, della direttiva sugli habitat.

Sul rapporto tra l’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli e l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva sugli habitat (19)

48. L’effetto dell’art. 7 della direttiva sugli habitat consiste nell’imporre, a partire dal momento in cui gli obblighi di cui all’art. 6, nn. 2, 3 e 4 della direttiva sugli habitat sostituiscono quelli previsti dall’art. 4, n. 4, della direttiva sugli uccelli, l’obbligo di effettuare una valutazione ex ante ai sensi dell’art. 6, n. 3, e nel concedere la possibilità di ignorare tale valutazione, nel pubblico interesse, in forza dell’art. 6, n. 4.

49. Discende dalla sentenza della Corte nella causa Basses Corbières (20) che l’obbligo di effettuare una valutazione ex ante è entrato in vigore solo il 28 dicembre 1998, data in cui l’Italia ha classificato la zona «Valloni e steppe pedegarganiche» come ZSC ai sensi dell’art. 4 della direttiva sugli uccelli.

50. A quella data, l’Italia aveva già avviato i lavori relativi a vari progetti – lavori che, tuttavia, sono ancora in corso.

51. Ne consegue che l’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva sugli habitat non si applicava nel momento in cui si sarebbe dovuto effettuare una valutazione ex ante. Ritengo che, secondo logica, tale disposizione non sia applicabile retroattivamente (21). Pertanto, per quanto riguarda le azioni già pianificate e attuate, non si può dichiarare che l’Italia ha violato le menzionate disposizioni.

52. Tuttavia, se e nella misura in cui esistessero ulteriori progetti, o ulteriori stadi dello stesso progetto complessivo che potessero essere distinti non artificiosamente da stadi precedenti, essi ricadrebbero nell’obbligo di cui all’art. 6, n. 3. Essi potrebbero inoltre (almeno potenzialmente) beneficiare delle disposizioni prevalenti dell’art. 6, n. 4. Tuttavia, la Commissione non chiede di formulare tale distinzione. Né identifica i progetti in modo da consentire alla Corte di svolgere un’analisi affidabile.

53. Ne consegue che la Commissione non può ottenere la declaratoria richiesta in relazione all’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva sugli habitat.

Sulle spese

54. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Nelle sue conclusioni, la Commissione ha chiesto la condanna dell’Italia alle spese. Benché ritenga che la Commissione non possa ottenere la declaratoria richiesta in relazione all’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva sugli habitat, la violazione è stata sostanzialmente accertata. Pertanto non vedo motivi per discostarsi dalla normale prassi della Corte. La Repubblica italiana va condannata alle spese.

Conclusione

55. Ritengo pertanto che la Corte debba:

– dichiarare che, prima del 28 dicembre 1998, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 4, n. 4, della direttiva 79/409/CEE (direttiva sugli uccelli) nella misura in cui ha omesso di adottare misure idonee a prevenire l’inquinamento o il deterioramento degli habitat, nonché le perturbazioni dannose agli uccelli che abbiano conseguenze significative sulle aree designate, alla suddetta data, come zona di protezione speciale «Valloni e steppe pedegarganiche»;

– dichiarare che a partire dal 28 dicembre 1998 la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi derivanti dall’art. 6, n. 2, della direttiva 92/43/CEE (direttiva sugli habitat) nella misura in cui ha omesso di adottare le opportune misure per evitare, nella zona speciale di conservazione «Valloni e steppe pedagarganiche», il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché la perturbazione delle specie per cui la zona è stata designata;

– condannare la Repubblica italiana alle spese.

1 – Lingua originale: l’inglese.

2 – Direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici (GU L 103, pag. 1).

3 – Direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7).

4 – Vale a dire gli artt. 5, 6, 7 e 8.

5 – Divenuto, in seguito a modifica, art. 174 CE.

6 – Vale a dire come ZPS.

7 – Stabilire la data esatta non è così semplice come potrebbe sembrare: la sentenza 18 marzo 1999, causa C‑166/97, Commissione/Francia (Estuario della Senna) (Racc. pag. I‑1719, punto 5), menziona solo il giugno 1994. Nelle sentenze 26 giugno 1997, causa C‑329/96, Commissione/Grecia (Racc. pag. I‑3749, punto 2), e 11 dicembre 1997, causa C‑83/97, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑7191, punto 2), la Corte ha concluso che la data di scadenza era il 5 giugno 1994. SCADPlus, invece, fa riferimento al 10 giugno 1992 sia come data di entrata in vigore che come data limite per il recepimento negli Stati membri. V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa C‑418/04, Commissione/Irlanda, ancora pendente, nota 55. Eur-Lex menziona il 10 giugno 1992 quale data di notifica e il 10 giugno 1994 quale data di recepimento.

8 – V. http://www.ecologia.puglia.it/natura2000/ppggfg/tabfogg/9110008.htm.

9 – Nota relativa alla versione inglese delle conclusioni.

10 – Il ricorso della Commissione fa costantemente riferimento alla ZPS «Valloni e steppe pedegarganiche», mentre l’art. 6, nn. 2, 3 e 4, della direttiva sugli habitat si riferisce altrettanto coerentemente alle ZSC. Come ho detto, tuttavia, l’art. 3, n. 1, secondo comma, della direttiva sugli habitat prevede espressamente che la rete Natura 2000 «comprende» tutte le ZPS classificate dagli Stati membri a norma della direttiva sugli uccelli; dai numeri successivi dell’art. 4 della direttiva sugli habitat, in combinato disposto con l’art. 7 della stessa, emerge che le ZPS designate ai sensi della direttiva sugli uccelli devono essere designate, o altrimenti automaticamente trattate, come ZSC ai fini della direttiva sugli habitat.

11 – V., tra l’altro, sentenze 17 giugno 1987, causa 154/85, Commissione/Italia (Racc. pag. 2717, punto 6), 20 giugno 2002, causa C‑299/01, Commissione/Lussemburgo (Racc. pag. I‑5899, punto 11), e 14 settembre 2004, causa C‑168/03, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑8227, punto 24).

12 – La controreplica, presentata dopo una proroga, reca la data del 30 maggio 2006. Essa è servita unicamente per fornire alla Commissione e alla Corte una copia del (progetto di) «Accordo relativo alla gestione dei rapporti tra la Regione Puglia – Assessorato all’ecologia – e il Comune di Manfredonia». La controreplica spiega che l’accordo è stato approvato dal Consiglio comunale il 31 maggio 2006. Pertanto, nessun elemento sembra indicare che il progetto di accordo sia stato effettivamente approvato e sia entrato in vigore.

13 – Il progetto di accordo chiarisce che i progetti già realizzati hanno avuto un impatto negativo sulla ZPS «Valloni e steppe pedegarganiche» e, in misura minore, su due zone protette limitrofe (la ZSC proposta «Zone umide della Capitanata» e la ZPS «Palude di Frattarolo»). L’Italia non ha fornito altre spiegazioni nella controreplica su come l’accordo (che è redatto in termini molto generici) potrebbe compensare i danni già causati o prevenire ulteriori danni.

14 – V., tra l’altro, sentenze 11 gennaio 2007, causa C‑183/05, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑0000, punto 17), e 18 gennaio 2007, causa C‑104/06, Commissione/Svezia (Racc. pag. I‑0000, punto 28).

15 – Sentenza 2 agosto 1993, causa C‑355/90, Commissione/Spagna (Santoña Marches) (Racc. pag. I‑4221, punto 26), e 11 luglio 1996, causa C‑44/95, Royal Society for the Protection of Birds (Lappel Bank) (Racc. pag. I‑3805, punto 26).

16 – Sentenza 19 maggio 1998, causa C‑3/96, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I‑3031, punto 70).

17 – Le difficoltà inerenti all’individuazione dell’esatta data di partenza per l’applicazione della direttiva sugli habitat sono illustrate alla nota 9.

18 – Sentenza 7 dicembre 2000, causa C‑374/98, Commissione/Francia (Basses Corbières) (Racc. pag. I‑10799, punti 44-47).

19 – Il 6 febbraio 2007, la Corte ha invitato per iscritto le parti ad esprimere entro il 2 marzo 2007 il loro parere in merito all’applicabilità dell’art. 6, nn. 3 e 4, della direttiva sugli habitat. Con lettera 14 febbraio 2007, la Commissione ha declinato l’invito a rispondere alla richiesta della Corte e ha spiegato che stava valutando se ritirare la propria richiesta in relazione all’art. 6, nn. 3 e 4, e che avrebbe presto informato la Corte della sua decisione finale sul punto. L’Italia ha risposto con lettera 20 febbraio 2007. Al 30 aprile 2007, data in cui queste conclusioni sono state ultimate, la Commissione non aveva trasmesso ulteriori comunicazioni alla Corte.

20 – Citata alla nota 19, punti 44-47; v. paragrafo 41 supra.

21 – V. per analogia, sentenza 23 marzo 2006, causa C‑209/04, Commissione/Austria (Racc. pag. I‑2755, punti 53-62).