TAR Lombardia (BS), Sez. II, n. 137, del 4 febbraio 2013
Ambiente in genere.Illegittimità ordinanza di rimozione degli animali (visoni) presenti nell’allevamento

Anche le aziende già insediate devono sottostare alle disposizioni che tutelano la salute delle persone e la qualità della vita e dell'ambiente. In questo caso il principio di prevenzione non può operare, perché gli interessi pubblici in materia igienico-sanitaria sono immediatamente preminenti (e tali rimangono) rispetto alla situazione dei luoghi e alle attività svolte. Tale principio è stato, però, affermato in ordine all’inammissibilità di ampliamenti e potenziamenti dell’attività, mentre nel caso di specie si è in presenza della ripresa di un’attività di allevamento, preesistente rispetto alla realizzazione della casa sparsa più vicina, ma interrotta alla fine degli anni ottanta. L’attività di allevamento di visoni, infatti, è effettuata negli stessi locali già precedentemente adibiti all’allevamento avicolo ed è stata intrapresa senza nuovi interventi edilizi, se non quelli relativi alla realizzazione di una vasca per lo stoccaggio dei liquami. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 00137/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00653/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 653 del 2012, proposto da: 
De Poli Natalia in proprio e per la Fioreria Ss, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alessandra Donarini e Francesco Fasani, con domicilio eletto in Brescia, presso la Segreteria del T.A.R., via Carlo Zima, 3;

contro

Comune di Montirone, rappresentato e difeso dall'avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso Mauro Ballerini in Brescia, v.le Stazione, 37;

per l'annullamento

- dell’ordinanza n. 4/2012, datata 11 maggio 2012 e in pari data notificata, avente ad oggetto l’ordine di rimozione degli animali presenti nell’allevamento della ricorrente entro trenta giorni dalla notifica;

nonché per la condanna

dell’Amministrazione al risarcimento del danno.



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Montirone;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2013 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

La ricorrente, già titolare di azienda agricola dedita, tra le altre attività, anche all’allevamento di polli ha presentato, il 29 dicembre 2010, una S.C.I.A. avente ad oggetto l’inizio della nuova attività di allevamento di visoni, destinando a tal fine una metà del capannone n. 2 (l’azienda è composta da 4 diversi capannoni). Il successivo 8 giugno 2011 essa ha presentato una S.C.I.A. per l’uso di prodotti sottoalimentari in deroga, cui hanno fatto seguito, il 4 agosto 2011, una S.C.I.A. per l’estensione dell’allevamento a tutto il capannone n. 2 e il 25 ottobre 2011 una S.C.I.A. per il trasporto di animali morti. Infine, in data 21 novembre 2011 essa ha presentato una S.C.I.A. edilizia per la realizzazione di una vasca per lo stoccaggio dei liquami provenienti da tre dei quattro capannoni esistenti.

Solo a seguito di tale ultima comunicazione, il Comune ha ravvisato la nullità delle S.C.I.A. presentate il 29 dicembre 2010 e l’8 giugno 2011 (inizio attività e uso di prodotti sottoalimentari in deroga), ritenendo che le stesse contenessero la falsa dichiarazione circa il rispetto dei parametri urbanistici, non risultando rispettata la distanza di 100 ml dalle abitazioni isolate prevista dall’art. 38.4 delle disposizioni regolamentari previste nel piano delle regole e dalle norme di attuazione per le zone agricole e dall’art. 3.10.5 del regolamento locale di igiene.

Dalla lunga e discorsiva rappresentazione delle ragioni di diritto fatte valere dalla ricorrente è possibile enucleare le seguenti censure:

1. violazione dell’art. 19 della legge n. 241/90, il quale prevede che, decorsi sessanta giorni dall’avvenuta presentazione della S.C.I.A., il Comune possa intervenire a rimuovere gli effetti solo in caso di pericolo di danno per la salute o in presenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio ex art. 21 nonies. Non sarebbe, quindi, sufficiente la mera ravvisata illegittimità, per disporre l’annullamento, subordinato, comunque, ad un’adeguata comparazione degli interessi contrapposti: nel caso di specie, in particolare, si sarebbero dovuti rappresentare gli inconvenienti igienici e sanitari tali da determinare concreto, serio ed effettivo danno alla salute, nonché l’impossibilità di eliminarli diversamente;

2. carenza di motivazione del provvedimento adottato, che fa riferimento a presupposti normativi diversi, senza specificare gli articoli che si ritengono in concreto violati (per cui risulterebbe impossibile comprendere se si tratti di un’ordinanza contingibile ed urgente o di una annullamento ai sensi del potere riconosciuto dall’art. 19 comma 4 della legge n. 241/90) e a una molteplicità di provvedimenti tra cui non sarebbe dato di comprendere quali siano quelli nulli;

3. violazione di legge per erroneità dei presupposti: l’art. 19 della legge 241/90 prevede che, “In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo”. Nel caso in esame non ricorrerebbe tale fattispecie, atteso che - premesso che la sig.ra De Poli non è un tecnico, mentre la suddetta norma si riferirebbe alle sole dichiarazioni “qualificate”, provenienti da un “tecnico abilitato”, in realtà la ricorrente si sarebbe limitata ad utilizzare fac-simile già predisposti e avrebbe comunque allegato la mappa catastale, riportante la situazione dei luoghi, in una situazione in cui la presenza nei capannoni dell’allevamento era perfettamente nota da almeno quaranta anni;

4. eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria e motivazione, non sussistendo alcun pregiudizio per la salute o nocumento per la collettività: nessuna valutazione sotto questo profilo è contenuta nel provvedimento del Comune. Quest’ultimo, peraltro, non tiene in alcun conto il fatto che, disponendo le gabbie anche negli altri capannoni, gli animali potrebbero essere stabulati sul lato ovest, rispettando la distanza di 100 m dalle abitazioni, limitando l’uso dell’intera area a soli 5 mesi nel corso dell’anno. Inoltre l’allevamento di visioni sarebbe meno impattante, dal punto di vista sanitario e ambientale, di quanto non lo sia l’attività avicola;

5. violazione del principio di proporzionalità, laddove non si è tenuta in alcuna considerazione la posizione dell’allevatore nel fissare termini brevissimi e incompatibili con la difficoltà di dimettere un’attività imprenditoriale che ha richiesto investimenti e che era esercitata già da un anno.

Si è costituito in giudizio il Comune, chiarendo che l’allevamento di polli è stato dismesso sin dal 2004/2005. Inoltre, il Regolamento di igiene imporrebbe il rispetto della distanza dell’allevamento di animali da pelliccia di almeno 100 metri da case isolate, mentre l’art. 38 delle NTA del Piano delle Regole stabilisce che la distanza da rispettare tra allevamenti ed edifici residenziali sparsi sia di 50 metri. Secondo il Comune, nel caso di specie, la distanza sarebbe di 47,5 metri, mentre per la ricorrente sarebbe di 51.

La ricorrente ha replicato al Comune - che ha sostenuto la regolarità del proprio provvedimento, in quanto lo stesso sarebbe giustificato dal ricorso ad una dichiarazione mendace e dal pericolo per la salute pubblica - negando entrambi i presupposti dell’atto impugnato: essa si sarebbe limitata a non dichiarare la distanza e non a dichiararne una falsa e non sussisterebbe alcun pericolo per la salute pubblica. Lo stesso Comune, peraltro, sembrerebbe, ad un certo punto, ritenere ammissibile la deroga a 50 m.

Considerato che il regolamento di igiene invocato dal Comune è un regolamento standard, approvato dalla Regione, che consente, però, al Comune di derogare, in presenza di determinati accorgimenti e purchè ciò sia previsto nel PRG e preso atto che le NTA del Piano delle Regole prevedono una distanza di 50 metri, ma non menzionano gli allevamenti di animali da pelliccia, il Collegio ha ritenuto opportuno adottare un’ordinanza istruttoria al fine di acquisire dei chiarimenti in ordine alla normativa locale vigente e all’applicazione di essa cui si è provveduto nel caso di specie.

Dopo aver adempiuto all’ordine istruttorio, il Comune ha depositato una memoria nella quale ha sinteticamente ribadito come il provvedimento impugnato sarebbe legittimato dal principio secondo cui lo strumento della DIA o della SCIA sarebbe utilizzabile solo a condizione della fedele attestazione della conformità dell’intervento alla disciplina. Nel caso di specie, invece, non risulterebbe rispettata la distanza minima dalle case isolate imposta dal Regolamento locale di Igiene, ritenuto prevalente sulle norme di attuazione dello strumento urbanistico anche dalle sentenze TAR Lombardia, Brescia, 1103/2008 e 2146/2010 (precisando, ancora una volta, come la casa più vicina si trovi ad una distanza variabile tra 47,5 e 50 metri), né vi sarebbero le condizioni per ritenere esistente un rapporto di continuità con la precedente attività di allevamento, dismessa nel 1989.

Parte ricorrente, nel precisare che le strutture di allevamento si troverebbero alla distanza di 51 metri dalla casa isolata più vicina e che, comunque, non vi sarebbe alcuna difficoltà ad arretrare le stesse di circa 0,25 metri, ha sottolineato come il rispetto di tale distanza minima si deve ritenere implicitamente confermato dall’avvenuto rilascio della concessione per la costruzione della vicina casa, intervenuta quando nell’immobile di proprietà della ricorrente era già in esercizio l’attività zootecnica. Si è poi soffermata sulla natura della disposizione delle NTA che regolamenta le distanze minime dagli allevamenti, sottolineando come tutte le norme che si occupano di tale aspetto abbiano natura igienico-sanitaria, con la conseguenza che proprio la natura non può essere invocata per far prevalere il Regolamento locale di Igiene sulla disposizione urbanistica.

A tale proposito, inoltre, parte ricorrente ha insistito sulla prevalenza delle NTA adottate dal Comune, le quali non introducono una deroga al Regolamento Locale di Igiene, ma sarebbero espressione della volontà del Comune, nel rispetto di un tale potere attribuitogli in sede di approvazione del regolamento tipo, di adottare una disciplina diversa da quella contenuto in quest’ultimo. In altre parole, l’approvazione della NTA, in assenza di ogni atto di recepimento del regolamento tipo, equivarrebbe all’adozione di una diversa disciplina.

Infine la ricorrente ha insistito per l’incostituzionalità dell’esercizio del potere di annullamento degli effetti della DIA e della SCIA dopo più di un anno dalla loro presentazione, richiamando i principi (di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 188/2012) secondo cui ciò è legittimo solo quando l’interesse pubblico risulti prevalente rispetto all’affidamento ingeneratosi, il quale, peraltro, deve ritenersi comunque recessivo in presenza di pericolo di un danno per la salute. Nel caso di specie, invece, indimostrato il pericolo alla salute (anche grazie alle speciali cautele adottate dalla ricorrente), nessun bilanciamento degli interessi sarebbe stato operato dal Comune.

Alla pubblica udienza del 30 gennaio 2012 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento.

In primo luogo, questo Tribunale ritiene opportuno precisare di aver effettivamente già avuto occasione di chiarire che “Anche le aziende già insediate devono sottostare alle disposizioni che tutelano la salute delle persone e la qualità della vita e dell'ambiente. In questo caso il principio di prevenzione non può operare, perché gli interessi pubblici in materia igienico-sanitaria sono immediatamente preminenti (e tali rimangono) rispetto alla situazione dei luoghi e alle attività svolte” (sentenza TAR Brescia, 26 marzo 2012, n. 534). Tale principio è stato, però, affermato in ordine all’inammissibilità di ampliamenti e potenziamenti dell’attività, mentre nel caso di specie si è in presenza della ripresa di un’attività di allevamento, preesistente rispetto alla realizzazione della casa sparsa più vicina, ma interrotta alla fine degli anni ‘Ottanta. L’attività di allevamento di visoni, infatti, è effettuata negli stessi locali già precedentemente adibiti all’allevamento avicolo ed è stata intrapresa senza nuovi interventi edilizi, se non quelli relativi alla realizzazione di una vasca per lo stoccaggio dei liquami.

Ciò premesso va dato atto che, in considerazione del fatto che la documentazione in atti non consentiva di avere un quadro completo della situazione di riferimento e tenuto conto che “proprio in considerazione della gravosità della disciplina igienico-sanitaria, specie se applicata a realtà preesistenti, le norme del regolamento locale di igiene prevedono normalmente la possibilità di una deroga alle distanze minime in presenza di soluzioni tecniche in grado di assicurare la medesima protezione”(così TAR BRESCIA, sentenza n. 534/12) anche alla luce della possibilità di una diversa organizzazione del lavoro rappresentata da parte ricorrente, il Collegio ha disposto l’acquisizione di motivati chiarimenti da parte del Comune.

Il potere di individuare regole diverse sulle distanze minime, infatti, deve essere utilizzato secondo parametri ragionevoli e nel rispetto del principio di proporzionalità, il quale si deve esplicare nella previsione del regolamento locale di igiene, modificato secondo le valutazioni discrezionali dell'amministrazione.

Nel caso in esame il Comune, non ha mai approvato un proprio regolamento di igiene. In ragione di quanto disposto dal Quinto comma dell’art. 9 della L.R. n. 64 del 1981, dunque, dovrebbe, in linea di principio, trovare automatica applicazione il Regolamento tipo adottato dalla ASL di competenza sulla scorta di quello predisposto dalla Regione. Ciononostante, lo stesso Comune ha adottato una distanza minima inferiore, nelle norme urbanistiche. Si pone, dunque, un problema di individuazione della prescrizione prevalente.

A tale proposito il Comune ha dichiarato di aver ritenuto prevalente il regolamento di igiene sulle NTA del Piano delle regole, ma non ha dato conto delle ragioni che starebbero alla base di tale giudizio di prevalenza: ragioni che, al contrario, avrebbero dovuto essere puntualmente esplicitate considerato che, come chiarito dalla giurisprudenza, le norme sulle distanze minime tendono sempre alla tutela dell’igiene e sanità, per cui non può essere la natura della norma a rendere l’una prevalente rispetto all’altra, data l’identità della stessa nei due casi considerati. Ne deriva l’accoglimento della doglianza sub 2, così come di quella di cui al primo motivo di ricorso, in ragione dell’effettiva assenza di dichiarazioni false di parte ricorrente.

Il provvedimento di annullamento in autotutela degli effetti della DIA e della SCIA avrebbe, inoltre, richiesto un’adeguata motivazione, tenuto conto del decorso di oltre un anno dall’inizio dell’attività che ne costituiva l’oggetto: ciò doveva necessariamente comportare una comparazione dei contrapposti interessi, anche nella individuazione del termine da assegnare all’imprenditore per cessare l’attività non compatibile con le norme regolamentari, che non risulta essere stata effettuata (censure n. 2 e 4).

Tale attività istruttoria era tanto più necessaria (come dedotto nella doglianza n. 5) quanto si consideri che, nel caso di specie, si tratta di allevamento di animali con ciclo di vita che renderebbe opportuno l’eventuale spostamento o abbattimento nel mese di novembre, mentre per converso non sono state rappresentate particolari esigenze igienico-sanitarie (cfr, al proposito, i verbali dei sopraluoghi ASL) tali da rendere necessario un intervento immediato.

Superata la questione della tempestività degli effetti dell’atto di ritiro, grazie alla sospensione cautelare, rimane il fatto che il Comune, nell’imporre il divieto di continuare l’esercizio dell’attività non risulta aver operato una puntuale valutazione, anche alla luce della NTA che prescrive una distanza minima dagli allevamenti di 50 metri, senza distinguere tra tipologia di animali, del lungo lasso di tempo intercorso dalla denuncia di inizio attività, della preesistenza di un’attività di allevamento che non è mai definitivamente venuta meno, non essendo intervenuto un mutamento di destinazione d’uso, delle concrete ragioni di pericolo per la salute pubblica (di cui non vi è traccia al di là del generico richiamo ad esse).

Ne deriva l’illegittimità dell’esercizio dell’azione amministrativa censurato.

È però respinta ogni pretesa risarcitoria, atteso che il ciclo vitale dei visoni presenti è stato portato a termine grazie al provvedimento cautelare, che l’attività è proseguita presso altri stabilimenti e che il comportamento della ricorrente non è stato del tutto fedele nella presentazione della DIA e della SCIA, in occasione delle quali, sebbene non sia incorsa in alcuna dichiarazione di falso, ha però omesso una rappresentazione della situazione tanto chiara da rendere evidente la problematica delle distanze sin dalla sua presentazione.

Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la natura prettamente interpretativa della questione dedotta.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio, salvo per quanto attiene al rimborso del contributo unificato dalla ricorrente anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale deve essere posto a carico del Comune.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Stefano Tenca, Consigliere

Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)