TAR Piemonte (Torino), Sez. II, sent. n. 2866 del 2672997.
Autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) ex D.Lgs 18.02.2005. n. 59.

La sentenza, da considerarsi una “primizia” per quanto attiene la materia dell'autorizzazione integrata ambientale, inquadra la natura del provvedimento che si si sostanzia come una nuova fattispecie dell'ordinamento e che consente, soprattutto per gli impianti esistenti, di conformare in un primo momento a requisiti minimi l'attività per poi monitorare costantemente e con oneri a carico dell'interessata la situazione, in modo da garantire l'evoluzione della migliore modalità di controllo dell'inquinamento. L'autorizzazione integrata non è definitiva ed immutabile ma deve essere sottoposta a periodici controlli di validità, costituendo la stessa una sorta di “procedimento sempre aperto”. Il TAR conviene sulla competenza del Dirigente firmatario, evidenziando che la normativa di riferimento, sia comunitaria che nazionale, non impone che l'autorizzazione sia rilasciata da persone con specifica professionalità, referendosi genericamente all'Autorità Competente, che si organizza al suo interno nel riconoscere le professionalità più adeguate ai poteri da esercitare. Il Collegio altresì:
riconosce la legittimazione dei residenti “in loco” alla proposizione del ricorso avverso l'A.I.A. in quanto soggetti che possono vantare specifico ed attuale interesse ad agire a tutela della propria posizione giuridica soggettiva direttamente lesa dal rilascio dell'autorizzazione.
valuta le forme di pubblicità e modalità di informazione del pubblico confermando l'insussistenza dell'obbligo di pubblicazione dell'annuncio ex art. 5, comma 7, D.Lgs 59/2005 su singoli quotidiani a diffusione locale, tra l'altro di non facile individuazione e verifica di effettiva diffusione (nella fattispecie la pubblicazione dell'avviso su un quotidiano a diffusione nazionale è stato ritenuta equivalente a quella su quotidiani “a diffusione provinciale o regionale” ai sensi del predetto art. 5).
Il Collegio osserva che non si rinviene nella normativa di riferimento alcuna indicazione tassativa di specifiche tecniche da adottare in un dato contesto ed in un dato momento, lasciando ad una valutazione discrezionale dell'Autorità procedente, sorretta da un'idonea attività istruttoria, l'individuazione delle “migliori tecniche disponibili” (c.d. “BAT”). In tale contesto la sentenza prende in esame anche l'equivalenza delle “tecniche” alternative adottate dal gestore ed approvate dalla Provincia all'interno dell'AIA e la legittimità dell'atto alla luce degli obblighi di adeguamento agli standard di abbattimento dell'inquinamento ambientale ed alle relative tempistiche (in particolare per quanto attiene alla tutela dall'inquinamento acustico).
(a cura di Alan Valentino, Udine).
N. 02866/2007 REG.SEN.
N. 01120/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1120 del 2006, proposto da:
RANDO Paola, in proprio e nella qualità di presidente del COMITATO EMISSIONI ZERO, con sede in San Didero,
GIANNONE Michele, residente in San Didero,
CAMPOBENEDETTO Bruno, residente in Bruzolo,
ASSOCIAZIONE LEGAMBIENTE ONLUS, in persona del Presidente Regionale Vanda Bonardo, legale rappresentante pro tempore,
DELMASTRO Emilio, in qualità di Presidente e legale rappresentante di Pro Natura Torino,
tutti rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Paolo Videtta ed elettivamente domiciliati in Torino, via Cernaia n. 30, presso lo studio del medesimo,

contro

- la Provincia di Torino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Montanaro e Silvana Gallo ed elettivamente domiciliata in Torino, via del Carmine n. 2, presso lo studio del primo,
- il Direttore Area Risorse Idriche e Qualità dell’Aria della Provincia di Torino, non costituito in giudizio,

nei confronti di

- della AFV – ACCIAIERIE BELTRAME s.p.a., con sede legale in Vicenza e stabilimento in San Didero, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. Vittorio Barosio e Teodosio Pafundi ed elettivamente domiciliata in Torino, corso Galileo Ferraris n. 120, presso lo studio del primo,

per l’annullamento,

previa occorrendo ammissione di consulenza tecnica d’ufficio sulle considerazioni di carattere tecnico di cui in appresso, previa immediata concessione della tutela di cui infra

- della “Determinazione del Direttore Area Risorse Idriche e Qualità dell’Aria” della Provincia di Torino in data 18 luglio 2006, n. 20-237229/2006 recante all’oggetto: “Autorizzazione Integrata Ambientale ex decreto legislativo 18 febbraio 2005 n. 59 Impresa AFV Acciaierie Beltrame s.p.a. Stabilimento sito in: Comuni di San Didero e Bruzolo (TO) Sede Operativa: Regione Pramolle n. 1, San Didero Sede Legale: Viale della Scienza 81 (VI) Posizione Impresa 00985”;

- di tutti gli atti presupposti e consequenziali, antecedenti e successivi nessuno escluso.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione della Provincia di Torino e la relativa documentazione;
Visti l’atto di costituzione della AFV-Acciaierie Beltrame s.p.a. ed i relativi allegati;
Viste le memorie depositate dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa e le relative produzioni documentali;
Relatore alla pubblica udienza del 28 marzo 2007 il Referendario Ivo Correale;

Uditi l’avv. F.P. Videtta, per i ricorrenti, gli avv.ti R. Montanaro e S. Gallo, per la Provincia di Torino, gli avv.ti V. Barosio e T. Pafundi, per la AFV-Acciaierie Beltrame s.p.a.;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO

Il Direttore dell’Area Risorse Idriche e Qualità dell’Aria della Provincia di Torino, con determinazione n. 20-237229/2006 del 18 luglio 2006, con ampio richiamo alla normativa applicabile, alla fase istruttoria come esperita ed alle valutazioni correlate, stabiliva: “1) di rilasciare l’Autorizzazione Integrata Ambientale ai sensi del D. Lgs. 59/05, all’impresa AFV ACCIAIERIE BELTRAME S.p.A. con stabilimento insistente sui comuni di San Didero e Bruzolo…per l’esercizio delle attività: codice IPPC 2.2 – impianti di produzione di ghisa o acciaio (fusione primaria o secondaria) compresa la relativa colata continua di capacità superiore a 2,5 ton/h); cod. IPPC 2.3a - impianti destinati alla trasformazione dei metalli ferrosi mediante laminazione a caldo con una capacità superiore a 20 ton/h; 2) di subordinare l’Autorizzazione Integrata Ambientale al rispetto delle condizioni stabilite nell’allegato A, che è parte integrante e sostanziale del presente provvedimento, contenente le prescrizioni, i valori limite alle emissioni, i parametri e le misure tecniche equivalenti con riferimento all’applicazione delle migliori tecniche disponibili, nonché la frequenza e le modalità di effettuazione dei controlli delle emissioni; 3) di richiedere al Gestore di integrare il piano di risanamento acustico, presentando entro il 31/12/2006 una valutazione tecnica delle possibili ulteriori misure di contenimento del rumore generato nell’esercizio delle proprie attività che possono essere adottate al fine di garantire il rispetto dei valori limite stabilite dalle classificazioni acustiche dei Comuni di San Didero e Bruzolo; 4) di stabilire che l’ARPA Piemonte effettui i controlli previsti all’art. 11 del D.Lgs. 59/2005 con onere a carico del Gestore, nei termini stabiliti nell’allegato A; 5) che la presente Autorizzazione Integrata Ambientale, ai sensi dell’articolo 9 del D.Lgs. 59/2005. ha validità di cinque anni a decorrere dalla data di emanazione del presente provvedimento; 6) che il gestore dovrà trasmettere alla Provincia di Torino un piano di dismissione dello stabilimento, almeno sei mesi prima della cessazione definitiva delle attività, ai sensi della normativa vigente in materia di bonifiche e ripristino ambientale; 7) che il Gestore è tenuto a versare l’importo stabilito per le spese sostenute per effettuare i rilievi, gli accertamenti e i sopralluoghi necessari per l’istruttoria nonché per i successivi controlli entro tre mesi dall’entrata in vigore del Decreto Ministeriale da emanarsi ai sensi dell’art. 18, comma 2 del D.Lgs. 59/2005; 8) il presente provvedimento deve essere custodito, anche in copia, presso l’impianto; 9) che le suddette condizioni di autorizzazione potranno essere esaminate a fronte dei risultati delle indagini ambientali di ARPA Piemonte nel territorio della Bassa Valle di Susa e dei controlli analitici delle emissioni che saranno condotti sull’impianto, nonché della valutazione dell’efficacia delle misure previste dal gestore nei progetti di adeguamento dell’impianto”.

Nel medesimo provvedimento, il Direttore Area Risorse Idriche e Qualità dell’Aria della Provincia di Torino, evidenziava: “che la presente autorizzazione non esonera dal conseguimento delle altre autorizzazioni, o provvedimenti comunque denominati, di competenza di altre autorità previsti dalla normativa vigente per l’esercizio dell’attività in oggetto; che in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l’autorità competente procederà secondo quanto stabilito dall’art. 11, comma 9 del D.Lgs. n. 59/05; che sono fatte salve tutte le disposizioni previste dalla normativa in materia di gestione dei rifiuti, laddove non già richiamate nel presente provvedimento; che ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 59/2005 ai fini del rinnovo dell’autorizzazione, il Gestore deve presentare apposita domanda all’autorità competente almeno SEI mesi prima della scadenza della presente autorizzazione; che le eventuali progettazioni di modifiche dell’impianto (successivi al presente atto) saranno gestite dall’autorità competente a norma dell’art. 10, comma 1 del D.Lgs. 59/2005; che copia del presente provvedimento e dei dati relativi ai controlli delle emissioni richiesti saranno messi a disposizione del pubblico per la consultazione, presso lo Sportello Ambiente della Provincia di Torino…”.

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 15 settembre 2006, due residenti nel territorio dei comuni di San Didero e Bruzolo, nonché l’Associazione Legambiente Onlus e il sig. Emilio Delmastro, in qualità di Presidente e legale rappresentante di Pro Natura Piemonte, chiedevano l’annullamento, previa sospensione, della determinazione sopra riportata.

Richiamando la normativa applicabile, anche di origine comunitaria, sotto un primo profilo, i ricorrenti lamentavano che il proponente si era forse attenuto alla normativa nazionale ma non a quella comunitaria, che esigeva che l’informazione fosse tale da consentire al pubblico di partecipare efficacemente al processo decisionale, dando adeguata pubblicità a livello locale, idonea ad informare i soggetti direttamente interessati di tutte le conseguenze dell’adottanda autorizzazione.

Nel caso di specie la pubblicazione sul solo quotidiano a diffusione nazionale “La Stampa” non era sufficiente, in quanto diverso era il quotidiano locale più diffuso, tenuto conto, comunque, che altro quotidiano era quello a maggior diffusione nel capoluogo torinese rispetto a quello su cui era stata effettuata la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento.

A tal uopo, ad opinione dei ricorrenti, la pubblicazione su un solo quotidiano a diffusione non locale né principale nel capoluogo non realizzava quegli scopi di massima pubblicità raccomandati dalla direttiva comunitaria, laddove questa faceva riferimento alla pubblicazione su “giornali”, indicando con la forma plurale la preferenza per la pubblicazioni su più di un quotidiano in modo da coprire al meglio la diffusione capillare dell’area di riferimento.

I ricorrenti rilevavano inoltre che l’avviso era deficitario anche quanto al contenuto, dato che mancava la descrizione, prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 96/61/CE di riferimento, degli elementi che contraddistinguono l’autorizzando impianto, compresa una sintesi “non tecnica”, vale a dire intelligibile al profano.

Dalla lettura dell’avviso, invece, non si comprendeva nemmeno a cosa esattamente mirava la domanda di autorizzazione e quale fosse l’oggetto, come si evinceva anche dall’assenza di osservazioni proposte, pur relativamente a questione che coinvolgeva interessi vitali della popolazione locale.

In secondo luogo, i ricorrenti, richiamando il contenuto dell’autorizzazione, la quale considerava che erano state adottate ”le migliori tecniche disponibili ai fini della prevenzione e riduzione integrale dell’inquinamento” e facendo riferimento a quanto previsto sul punto dalla su richiamata direttiva 96/61/CE, rilevavano che, in relazione all’attività IPPC 2.3a era indicato che “…sono adottate le migliori tecniche disponibili…o, comunque, sono garantiti i livelli di protezione dell’ambiente nel suo complesso equivalenti…”.

Tale indicazione, secondo i ricorrenti, non assicurava affatto che fossero state adottate, appunto, le migliori tecniche disponibili. Anzi, il Dirigente firmatario della autorizzazione impugnata dimostrava di non essere sicuro che queste fossero state effettivamente adottate ma si accontentava di affermare che, in ogni caso, i livelli di protezione sarebbero stati assicurati ”per equivalente”.

Il Dirigente in questione, però, avrebbe dovuto indicare per quale ragione le tecniche effettivamente usate dal gestore erano ritenute “equivalenti” a quelle individuate dal Ministero competente o meglio ancora dall’organismo tecnico europeo con sede a Siviglia.

In relazione all’attività codice IPPC 2.2, poi, i ricorrenti rilevavano che il Dirigente, dopo aver premesso che non erano state applicate le migliori tecniche disponibili, dava atto della presentazione da parte del gestore di un progetto di adeguamento ma non si esprimeva in merito né, in particolare, evidenziava se erano state effettivamente adottate le migliori tecniche disponibili.

Tale comportamento, ad opinione dei ricorrenti, era particolarmente grave perché si riconosceva che non erano state adottate le migliori tecniche disponibili ma si rilasciava ugualmente l’autorizzazione richiesta, senza neanche formulare, come per l’attività precedentemente considerata (IPPC 2.3a) un giudizio di equivalenza.

I ricorrenti, infine, osservavano che il progetto di adeguamento non era affatto volto ad adottare le migliori tecniche disponibili ed era concepito unicamente per il contenimento delle emissioni diffuse ma il Dirigente firmatario non poteva avere la competenza necessaria per valutarne l’idoneità, tenuto conto che in nessuna delle tecniche previste dalle linee guida europee erano state impiegate dall’azienda richiedente.

Sotto un terzo profilo, relativo all’inquinamento acustico, i ricorrenti osservavano che non era stato assegnato alcun limite all’intensità delle emissioni acustiche, pur dando atto che dai rilievi fonometrici dell’ARPA emergevano nel territorio dei comuni interessati livelli di rumore generati dall’impianto che superavano i valori limite stabiliti nelle rispettive classificazioni acustiche comunali.

Sul punto il provvedimento impugnato si limitava a richiedere all’Acciaierie Beltrame spa una valutazione tecnica delle possibili ulteriori misure di contenimento del rumore generato dall’esercizio della propria attività, dando al provvedimento un carattere interlocutorio o soprassessorio che strideva con il carattere definitivo dell’autorizzazione rilasciata.

I ricorrenti, poi, illustravano diffusamente, tramite una sintesi generale, alcune considerazioni di ordine strettamente tecnico, fondate sull’esame specifico della situazione geografica dell’acciaieria interessata, tenuto conto che la domanda di autorizzazione presentata dall’azienda era già, all’origine, carente, in quanto non includeva uno studio specialistico degli effetti delle emissioni sull’ambiente e delle ricadute per la salute umana, nonostante il decreto legislativo sopra richiamato lo richiedeva esplicitamente.

I ricorrenti, infine, concludevano il ricorso con ampie delucidazioni di ordine strettamente tecnico in ordine alle emissioni, al concetto di “diluizione”, alle “migliori tecniche disponibili”, con tabelle specifiche di riferimento, grafici ed osservazioni in ordine alla possibile contaminazione ambientale, alle possibili conseguenze sanitarie ed ai valori limite posti dall’autorizzazione rilasciata.

Si costituivano in giudizio la Provincia di Torino e la AFV-Acciaerie Beltrame spa, rilevando genericamente l’inammissibilità del ricorso e l’infondatezza dello stesso.

In successive memorie, depositate in prossimità della camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda cautelare, la Provincia e la società controinteressata illustravano le proprie tesi difensive.

In particolare, la Provincia rilevava l’inammissibilità del ricorso in quanto i ricorrenti non avevano dato dimostrazione della loro situazione soggettiva di portatori di un interesse qualificato.

Le articolazioni locali delle associazioni ambientaliste, infatti, non erano legittimate sulla base di costante insegnamento giurisprudenziale ivi richiamato.

In secondo luogo, la Provincia rilevava l’inammissibilità del ricorso in quanto non conteneva una deduzione puntuale e specifica di motivi di asserita illegittimità chiaramente comprensibili.

In terzo luogo, il ricorso si palesava inammissibile nella parte in cui deduceva asseriti contrasti con la direttiva 96/51/CE, dato che la disciplina ivi contenuta era stata recepita nell’ordinamento italiano con il d. lgs. n. 59/05, unico parametro legislativo di riferimento nella presente sede di legittimità.

Inoltre, la Provincia osservava che le doglianze dei ricorrenti erano tese a censurare evidenti ed assorbenti profili di discrezionalità tecnica, il cui esame non poteva trovare ingresso nella presente sede giurisdizionale.

Richiamando, poi, l’attenzione e lo scrupolo con cui la Provincia aveva seguito “l’iter” del provvedimento, compresa la lunga fase istruttoria, essa rilevava anche l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Come detto, anche l’AFV-Acciaierie Beltrame spa depositava una memoria con la quale illustrava le proprie tesi difensive.

In primo luogo, analogamente a quanto evidenziato dalla Provincia, la società controinteressata rilevava il difetto di legittimazione attiva delle associazioni ambientaliste pro Natura Piemonte e Circolo Legambiente per il Piemonte, perché articolazioni territoriali di associazioni ambientalistiche nazionali, formalmente riconosciute, come rilevato da costante giurisprudenza.

Analogo difetto di interesse ad agire era riconoscibile nei confronti del Comitato Emissioni Zero e dei ricorrenti Rando, Giannone e Campobenedetto, perché non risultava allegato alcun elemento specifico che consentiva di individuare, in relazione ai cittadini ricorrenti, il luogo di residenza e la collocazione dello stesso rispetto alla sede dello stabilimento; infine, in relazione al Comitato Emissioni Zero, non risultava evidenziato il fine statutario dello stesso e quale lesione concreta ed attuale era prospettabile nei suoi confronti.

Nel merito, la società controinteressata rilevava anche l’infondatezza dei motivi di ricorso.

Alla camera di consiglio del 3 novembre 2006 la domanda cautelare era rinviata al 6 dicembre 2006 e, in tale camera di consiglio, la relativa domanda era rinviata alla trattazione del merito.

In prossimità dell’udienza pubblica tutte le parti depositavano una memoria ad ulteriore illustrazione delle rispettive tesi difensive.

All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO

Il Collegio esamina preliminarmente le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla Provincia di Torino e dalla società controinteressata, ritenendolo infondate.

Il ricorso risulta proposto anche da un residente nel Comune di San Didero e da un residente nel Comune di Bruzolo, comuni certamente interessati dall’allocazione dell’impianto oggetto dell’AIA impugnata, come, d’altronde, attestato anche nel provvedimento in questione, laddove si specifica, appunto, che l’autorizzazione in questione è rilasciata all’impresa AFV Acciaierie Beltrame, “…con stabilimento insistente sui Comuni di San Didero e Bruzolo…”.

L’autorizzazione integrata ambientale, di cui alla definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. l) del d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59, recante attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento, consiste nel “provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti del presente decreto…”, il quale, ai sensi del relativo art. 1, comma 1, “…ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato I; esso prevede misure intese ad evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti e per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.”.

Ebbene, non vi è chi non veda come i singoli residenti sul territorio interessato, in particolare i singoli residenti nel comune o nei comuni sul cui territorio sorge lo stabilimento dell’impresa autorizzata abbiano un interesse specifico e differenziato ad impugnare, in sede giurisdizionale, il provvedimento autorizzatorio in questione, in relazione ai profili legati alla tutela “dell’ambiente nel suo complesso” del territorio di residenza, laddove in contestazione siano profili legati proprio alla compatibilità ambientale del sito assentito.

E’ vero che la giurisprudenza richiamata dalla società controinteressata – peraltro relativa alla diversa fattispecie dell’autorizzazione alla realizzazione di discariche di rifiuti - non rileva come legittimante l’unica circostanza della residenza dei ricorrenti nel medesimo luogo in cui ha sede l’impianto ritenuto “inquinante” ma, nel caso di specie, il Collegio ritiene che tale limitazione giurisprudenziale non operi, in quanto il contenuto sostanziale della direttiva 96/61/CE, come recepita integralmente dal d.lgs. n. 59/2005, prende in considerazione già attività ritenute “inquinanti”, per quanto descritte nei relativi Allegati I, al fine di prevenzione e riduzione, sì che non può porsi in dubbio che i residenti “in loco” possano vantare lo specifico e attuale interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. a tutela della propria posizione giuridica soggettiva direttamente lesa qualora l’autorizzazione in questione fosse stata rilasciata illegittimamente, così da consentire lo svolgimento di attività di per sé ritenibili fonte di inquinamento se non adeguatamente valutate sotto il profilo della prevenzione e riduzione dello stesso entro margini di sicurezza.

Poiché dalla documentazione depositata dai ricorrenti per la camera di consiglio del 6 dicembre risulta che i signori Giannone e Campobenedetto sono residenti, rispettivamente in San Didero e Bruzolo, tanto basta a legittimarli alla proposizione del presente ricorso.

Tale legittimazione rende comunque ammissibile il ricorso, non sussistendo posizioni di incompatibilità con gli altri soggetti ricorrenti, della cui legittimazione ad agire, rilevata dalla provincia di Torino e dalla società controinteressata, può dunque prescindersi.

Esaminando il merito del ricorso, il Collegio rileva che lo stesso, almeno in parte, contrariamente a quanto dedotto dalla Provincia di Torino, consente di individuare gli specifici motivi di ricorso, che si passano ad esaminare.

Dalla lettura di quanto indicato nelle pagine 4-9 del ricorso, si evince che sono contestate le modalità con cui è stata data pubblicità al fine della partecipazione al procedimento.

In particolare, sul richiamo all’articolo 15 della direttiva 96/61/CE, i ricorrenti ritengono la violazione dell’art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 59/2005, in quanto, sostanzialmente, la pubblicazione dell’annuncio del deposito della domanda dell’autorizzazione integrata ambientale era stata effettuata su un solo quotidiano a diffusione nazionale e non anche su quotidiani locali o sul quotidiano di maggior diffusione nel capoluogo di provincia.

Ebbene, l’art. 5. comma 7, cit. prevede che “…Entro il termine di 15 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione il gestore provvede a sua cura e sue spese alla pubblicazione su un quotidiano a diffusione provinciale o regionale, ovvero a diffusione nazionale nel caso di progetti che ricadono nell’ambito della competenza dello Stato, di un annuncio contenente l’indicazione della localizzazione dell’impianto e del nominativo del gestore, nonché il luogo individuato ai sensi del comma 6 ove è possibile prendere visione degli atti e trasmettere le osservazioni. Tali forme di pubblicità tengono luogo delle comunicazioni di cui agli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Risulta, quindi, che correttamente l’annuncio pubblicato sul quotidiano “La Stampa” - che può certamente definirsi “a diffusione provinciale o regionale” ai sensi dell’art. 5 cit. - risponda ai requisiti previsti dal legislatore italiano. Né è indicato in alcuna disposizione legislativa l’obbligo di pubblicazione dell’annuncio in questione su singoli quotidiani a diffusione locale, tra l’altro di non facile individuazione e verifica di effettiva diffusione.

La pubblicazione sul quotidiano torinese, comunque di ampia diffusione tanto nazionale quanto provinciale, ad avviso del Collegio, soddisfa pienamente i requisiti minimi imposti dal legislatore, tenuto conto che, ad ogni modo, i ricorrenti non forniscono alcun principio di prova dell’effettivo ambito di diffusione del quotidiano locale da loro segnalato né della circostanza che l’altro quotidiano a diffusione nazionale richiamato sia prevalente nel capoluogo torinese rispetto a quello prescelto dal gestore gravato dell’onere di pubblicazione.

Indipendentemente dalla problematica relativa alla diretta applicazione di disposizioni della direttiva, pur in presenza di un decreto legislativo di recepimento, il Collegio rileva sul punto che anche quanto previsto dall’Allegato V della direttiva 96/61/CE, in ordine alle modalità di pubblicazione, è stato rispecchiato nella procedura seguita dal gestore.

Tale Allegato, infatti, lungi dall’obbligare alla pubblicazione su più quotidiani, anche a livello locale, si limita a rimandare agli Stati membri di stabilire “..le modalità precise di informazione del pubblico (ad esempio mediante affissione entro una certa area o mediante pubblicazione nei giornali locali)…”, con ciò chiarendo che la scelta finale spettava comunque al singolo Stato membro e che il richiamo alla pubblicazione nei “giornali locali” era a mero titolo esemplificativo e alternativo ad altre modalità, tra le quali era richiamata la pubblica affissione.

Scegliendo la modalità di applicazione di cui all’art. 7, comma 5, cit., lo Stato italiano ha recepito correttamente la direttiva nei limiti che gli erano consentiti, privilegiando la scelta di pubblicazione su un quotidiano provinciale o regionale che rispetta ampiamente l’esigenza sostanziale imposta dal legislatore comunitario di far conoscere con mezzi agevolmente accessibili la circostanza della presentazione della domanda di autorizzazione ambientale integrata.

In più, si rileva – come osservato anche dalla Provincia di Torino nei suoi scritti difensivi – che una copia della domanda di autorizzazione ambientale integrata è stata posta a disposizione presso lo Sportello Ambiente della Provincia medesima, proprio al fine della massima pubblicità e consultazione da parte degli interessati

Sostengono i ricorrenti che, ad ogni modo, l’avviso pubblicato era deficitario anche quanto al contenuto, poiché non rispettava quanto previsto dall’art. 1, lett. a), Allegato V, della direttiva 96/61/CE, che imporrebbe di far conoscere al pubblico il contenuto della domanda di autorizzazione, tra cui la descrizione degli elementi specificati dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva, comprendente diverse specifiche relative all’impianto, alle materie prime utilizzate o prodotte, alle fonti di emissione, alle misure di prevenzione e controllo ed altro.

Il Collegio osserva che, in realtà, diverse sono le fattispecie di cui all’Allegato V, art. 1, paragrafo 1, lett. a) e di cui all’Allegato V, art. 1, paragrafo 5 della direttiva.

La prima fattispecie, infatti, si occupa, in senso generale, dell’informazione sostanziale al pubblico, richiedendo che questo, attraverso mezzi di informazione - nuovamente identificati in maniera esemplificativa - abbia conoscenza dei requisiti principali concernenti l’impianto da autorizzare; la seconda si occupa, nello specifico, delle modalità formali di informazione del pubblico.

Un tale secondo caso è necessario che al pubblico sia fornita conoscenza dell’esistenza della domanda e dei luoghi in cui accedere per esaminarla nella sua integralità, secondo quanto indicato nel primo caso.

Vale a dire che l’art. 1, paragrafo 1, della direttiva non si riferisce le modalità di pubblicazione ma unicamente alla necessità di porre a disposizione del pubblico gli elementi indicati dal successivo articolo 6, paragrafo 1, mentre il successivo paragrafo 5 si occupa esclusivamente della pubblicazione formale dell’avviso così che se all’interno di questa è indicata la modalità di accesso a copia della domanda, contenente l’indicazione degli elementi sopra ricordati, l’obbligo di accessibilità al pubblico è osservato.

La circostanza decisiva è che il pubblico sia posto nella condizione di conoscere integralmente il progetto ma non è necessario che già nell’avviso di presentazione della domanda tale circostanza sia realizzata, per non appesantire troppo il procedimento di pubblicazione.

E’ sufficiente che l’avviso, a sua volta, faccia riferimento chiaro al luogo ove è posta a disposizione del pubblico la domanda integrale, con la documentazione correlata, per esaudire le aspirazioni del legislatore comunitario.

Nel caso di specie il medesimo avviso pubblicato sul quotidiano a diffusione nazionale indicava l’ufficio presso il quale era possibile prendere visione degli atti e far prevenire eventuali osservazioni, con ciò chiarendo che a disposizione del pubblico era tutta la domanda di autorizzazione e i relativi allegati.

Né i ricorrenti, nuovamente, forniscono un principio di prova in base al quale è risultato loro impedito l’accesso secondo le modalità indicate nel quotidiano nazionale così da risultare assente, in sostanza, l’indicazione dei requisiti elencati nella direttiva.

Nè può avere alcuna rilevanza la circostanza che non sono state presentate in concreto osservazioni, poiché l’obbligo di pubblicità, come dal legislatore proposto, risulta osservato ed era onere degli interessati provvedere.

L’avviso di presentazione della domanda era quindi completo e, a sua volta, faceva riferimento preciso al luogo dove consultare materialmente la domanda e tutti gli allegati tecnici così da rispettare quegli oneri di pubblicità invocati di ricorrenti..

Per quanto illustrato, quindi, la prima doglianza espressa dei ricorrenti è infondata.

Dalla lettura della seconda doglianza, pur se non formalmente rubricata in specifico motivo di ricorso, si evince che i ricorrenti lamentano che, per entrambe le attività autorizzate, non è stata prevista l’adozione delle “migliori tecniche disponibili”, secondo la definizione contenuta tanto nella direttiva 96/61/CE quanto nel d.lgs. n. 59/2005.

Per “migliori tecniche disponibili” sia la direttiva che il decreto legislativo di recepimento usano la medesima definizione, contenuta, per la prima, nell’articolo 2, paragrafo 2, n. 11 e, per il secondo, nell’articolo 2, comma 1, lett. o): “migliori tecniche disponibili: la più efficiente e avanzata fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti l’idoneità pratica di determinate tecniche a costituire, in linea di massima, la base dei valori limite di emissione intesi ad evitare oppure, ove ciò si rilevi impossibile, a ridurre in modo generale le emissioni e l’impatto sull’ambiente nel suo complesso”. In più, la definizione del decreto legislativo specifica che “Nel determinare le migliori tecniche disponibili, occorre tenere conto in particolare degli elementi di cui all’allegato IV”. Tale allegato contiene una serie di considerazioni di ordine generale in merito ai fini specifici e tendenziali per la miglior applicazione del dettato normativo sul punto.

Ebbene, in relazione all’attività di laminazione a caldo, di cui al codice IPPC 2.3°, i ricorrenti sono perplessi in ordine alla formulazione dell’autorizzazione impugnata, che afferma: “…il confronto con i succitati documenti di riferimento ha messo in evidenza che nella parte di impianto destinata allo svolgimento dell’attività IPPC codice 2.3a (laminazione a caldo) sono adottate le migliori tecniche disponibili ai fini della prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento nel suo complesso indicate nei documenti di riferimento o, comunque, sono garantiti livelli di protezione dell’ambiente nel suo complesso equivalenti a quelli conseguibili con l’impiego delle migliori tecniche disponibili”.

Secondo i ricorrenti, il Dirigente firmatario del provvedimento non aveva la competenza tecnica per affermare quanto sopra riportato in ordine alla equivalenza delle “migliori tecniche disponibili” rispetto a quelle, di confronto, individuate dal Ministero dell’Ambiente, competente a livello nazionale, o dal corrispondente organismo tecnico europeo con sede a Siviglia.

In relazione alla specifica competenza del Dirigente firmatario del provvedimento, il Collegio conviene con quanto osservato dalla Provincia di Torino nei suoi scritti difensivi: i ricorrenti basano la loro convinzione su apodittiche affermazioni non sostenute da alcun principio di prova, atteso che il provvedimento è ampiamente motivato e basato su una fase istruttoria particolarmente complessa e approfondita. Né la normativa di riferimento, sia comunitaria che nazionale, impone che il rilascio dell’autorizzazione ambientale integrata debba essere effettuato da persone con specifica professionalità ma si riferiscono all’”autorità competente”, che si organizza al meglio al suo interno, evidentemente, nel riconoscere le professionalità più adeguate ai poteri da esercitare.

A ciò si aggiunga che la medesima Provincia di Torino ha specificato, nelle sue difese, che il dirigente firmatario è laureato in Chimica, con curriculum adeguato e trentennale esperienza nell’Amministrazione, e, a sua volta, si è avvalso di collaboratori con titoli adeguati.

In ordine alla specifica doglianza sull’“ambiguità” della formulazione adoperata nel provvedimento impugnato, il Collegio osserva che non si rinviene nella normativa di riferimento, sia comunitaria sia nazionale di recepimento, alcuna indicazione tassativa di specifiche tecniche da adoperare in un dato contesto e in un dato momento, lasciando ad una valutazione discrezionale dell’amministrazione procedente, naturalmente sorretta da idonea attività istruttoria, l’individuazione delle “migliori tecniche disponibili”.

Si è già riportata sopra la definizione di “migliori tecniche disponibili”, di cui alla direttiva e al decreto legislativo.

In più, può richiamarsi quanto previsto dall’art. 4, comma 1, d.lgs. cit., secondo cui “l’autorizzazione integrata ambientale per gli impianti rientranti nelle attività di cui all’allegato I è rilasciata tenendo conto delle considerazioni riportate nell’allegato IV e delle informazioni diffuse ai sensi dell’articolo 14, comma 4, e nel rispetto delle linee guida per l’individuazione e l’utilizzo delle migliori tecniche disponibili, emanate con uno più decreti dei Ministri dell’ambiente della tutela del territorio, per le attività produttive e della salute, sentita la Conferenza Unificata istituita ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281…”.

Lo stesso articolo 2, comma 1, lett. o), d.lgs. cit., specifica ulteriormente, nelle definizioni, riprendendo alla lettera il contenuto della direttiva, che: “…1) tecniche: sia le tecniche impiegate sia le modalità di progettazione, costruzione, manutenzione, esercizio e chiusura dell’impianto; 2) disponibili: le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l’applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell’ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione costi e vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli; 3) migliori: le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso”.

Come si nota non ci sono definizioni specifiche che consentono di individuare, a priori, quale sia la migliore tecnica disponibile al momento dell’autorizzazione ma il medesimo legislatore è molto elastico nel considerare i metodi di individuazione delle stesse, tenuto anche conto - e questo per il Collegio appare dirimente ai fini dell’intera soluzione del presente contenzioso – che l’autorizzazione impugnata ha comunque validità temporanea ed è sottoposta a continue e periodiche revisioni, con onere da parte dell’Azienda di provvedere all’aggiornamento nel tempo delle modalità di gestione dello stabilimento sotto i profili legati alla specifica autorizzazione rilasciata.

Tale conclusione, secondo quanto osservato anche nelle proprie difese dalla società controinteressata, appare confermata dalla lettura della medesima direttiva di riferimento, nel cui 17° “considerando” è specificamente affermato che “…valori limite di emissione, parametri o misure tecniche equivalenti devono basarsi sulle migliori tecniche disponibili, senza imporre l’uso di una tecnica di una tecnologia specifica, tenendo presente le caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, la sua posizione geografica delle condizioni ambientali locali; e comunque le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni volte a ridurre al minimo l’inquinamento ad ampio raggio o transfrontaliero e garantiscono un elevato livello di tutela dell’ambiente nel suo complesso”.

A tale affermazione segue quella del 20° “considerando”, secondo cui “…le migliori tecniche disponibili evolvono col tempo, soprattutto in funzione del progresso tecnico, e che quindi le autorità competenti devono seguire od essere aggiornate su tali progressi;”.

Chiarito, dunque, che non esistono a priori delle determinate tecniche da indicare come “migliori tecniche disponibili”, il Collegio deve esaminare se, nell’ambito delle premesse del provvedimento impugnato, è indicato con sufficiente chiarezza quali siano le tecniche prescelte dal gestore e come possono essere considerate ”equivalenti” alle “migliori disponibili”, secondo quanto indicato.

In tali premesse è specificato che, in relazione al codice in questione (2.3a), “…l’attività è condotta dall’impresa in conformità ai requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 59/06 ai fini della prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento nel suo complesso; il progetto di adeguamento per la captazione delle emissioni diffuse prodotte dal forno di fusione ad arco elettrico prevede misure tecniche ritenute potenzialmente idonee a garantire la captazione delle emissioni primarie e secondarie prodotte dal forno di fusione ad arco elettrico ai livelli indicati dei documenti di riferimento…” e che era rilasciata l’autorizzazione con varie condizioni, ritenendo: “…al fine di garantire la conformità dell’impianto ai requisiti del D.Lgs. 59/05, di stabilire quali condizioni di autorizzazione le prescrizioni e i valori limite alle emissioni, i parametri e le misure tecniche equivalenti con riferimento all’applicazione delle migliori tecniche disponibili riportati nell’allegato A del presente provvedimento; ai sensi dell’art. 7, comma 6, e dell’art. 11, comma 3 del D.Lgs 59/05 di stabilire i requisiti di controllo delle emissioni, le modalità e la frequenza dei controlli programmati dei servizi da parte di ARPA con oneri a carico del gestore, nonché le modalità di comunicazione dei dati ottenuti di cui all’Allegato A…”.

In suddetto Allegato A è previsto che “…nel reparto acciaieria sono condotte le attività di fusione di rottami ferrosi, affinazione dell’acciaio liquido e colata in continuo con produzione di acciai di qualità, al carbonio e basso legati in forma di billette…”.

Dalla descrizione susseguente, qui si fa rimando, emerge che il gestore aveva previsto un sistema di captazione e di controllo delle emissioni primarie combinato con un sistema di trattazione delle emissioni secondarie, un sistema di infiltrazione, un sistema di controllo della temperatura di emissione di fumi al momento della filtrazione, fino dell’abbattimento di microinquinanti organici in atmosfera, l’applicazione di misure tese al contenimento della fase di “riscaldo delle billette”.

Rimandando ulteriormente alla descrizione dell’intervento tecnico, molto specifico, il Collegio rileva che la motivazione dell’equivalenza delle tecniche adoperate o della corrispondenza a quelle definibili come “migliori tecniche disponibili” sia ampiamente indicata negli allegati del provvedimento impugnato, che possono essere oggetto di indagine nella presente sede esclusivamente sotto i profili di evidente illogicità, contraddittorietà, non corrispondenza a dati di fatto che, però, i ricorrenti non chiariscono né specificano, limitandosi a fare rimando a considerazioni di ordine tecnico generale.

Ad analoga conclusione deve pervenirsi anche per l’autorizzazione rilasciata in relazione al codice IPPC 2.2.

Qui, in effetti, il provvedimento impugnato specifica che il confronto con i documenti di riferimento aveva messo in evidenza che quella parte d’impianto destinata all’attività di produzione di acciaio “…non è conforme ai requisiti richiesti dal D.Lgs. 59/05, in quanto non sono applicate tutte le opportune misure di prevenzione dell’inquinamento e, in particolare, le migliori tecniche disponibili per: la captazione delle emissioni primarie e secondarie prodotte dal forno di fusione ad arco elettrico; la riduzione delle emissioni di composti organoclorurati prodotte dall’esercizio del forno di fusione ad arco elettrico; al fine di adeguare l’impianto alle disposizioni del D.Lgs. 59/05, il Gestore ha presentato i progetti di adeguamento citati in premessa per la captazione delle emissioni primarie e secondarie e la riduzione delle emissioni di composti organoclururati…”.

Sostengono i ricorrenti che tale rilascio di autorizzazione era illegittimo perché la medesima poteva essere riconosciuta soltanto dopo che l’attività industriale si era resa conforme agli standards di abbattimento dell’inquinamento ambientale, secondo quanto indicato anche dal 13° “considerando” della direttiva.

In realtà, il Collegio, rilevato che tale “considerando” non impone che l’autorizzazione debba essere rilasciata soltanto dopo che siano state concretamente adottate tutte le misure necessarie di adeguamento agli “standards” ma che si limita ad affermare che “…per affrontare problemi dell’inquinamento nel modo più diretto ed efficace, l’esercente dovrebbe tenere conto della dimensione ambientale; ciò che deve essere comunicato l’autorità competenti affinché possa verificare, prima del rilascio di una autorizzazione, che si sono previste tutte le misure appropriate di prevenzione o di riduzione dell’inquinamento…”.

Come si nota, il legislatore comunitario non impone che prima dell’autorizzazione si siano “adottate” tutte le misure necessarie alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento ma si limita ad affermare che, prima del rilascio dell’autorizzazione, deve essere comunicato all’autorità competente che “si sono previste” tutte tali misure appropriate di prevenzione di riduzione dell’inquinamento.

Nel caso di specie proprio questo è accaduto, ove è stato specificatamente “previsto” ed indicato, con specifica cadenza temporale, il progetto di adeguamento a tutti gli standard richiesti.

A ciò si aggiunge anche l’osservazione della Provincia di Torino, secondo cui l’art. 5, comma 18, del d.lgs. n. 59/05 ha specificato che “…l’autorizzazione integrata ambientale concessa agli impianti esistenti prevede la data, comunque non successiva al 30 ottobre 2007, entro la quale tali prescrizioni debbono essere attuate…”, con ciò chiarendo che il medesimo legislatore nazionale non ha imposto un’immediata applicazione delle misure di contenimento dell’inquinamento, purché, però, fossero previste e specificate nel provvedimento di autorizzazione.

Anche in questo caso, quindi, il riferimento agli allegati tecnici effettuato nelle premesse del provvedimento impugnato appare sufficientemente chiaro nel motivare le ragioni del rilascio della concessione anche sotto tale profilo di attività, tenuto conto, come già evidenziato in precedenza, che comunque l’autorizzazione ha una durata limitata nel tempo ed è sottoposta periodiche revisioni, secondo quanto specificato nella parte espositiva, secondo cui si subordina: “… l’autorizzazione integrata ambientale al rispetto delle condizioni stabilite nell’allegato A, che è parte integrante sostanziale del presente provvedimento, contenente le prescrizioni, i valori limite alle emissioni, i parametri delle misure tecniche equivalenti con riferimento all’applicazione delle migliori tecniche disponibili, nonché la frequenza e le modalità di effettuazione dei controlli delle emissioni”, e si specifica “…che la presente autorizzazione integrata ambientale, ai sensi dell’articolo 9 del D.Lgs. 59/2005, ha validità di cinque anni a decorrere dalla data di emanazione del presente provvedimento…”.

A ciò si aggiunga quanto osservato dalla società controinteressata nelle sue difese, secondo cui il progetto di adeguamento dell’impianto prevede il totale rifacimento della sezione trattamento fumi dell’acciaieria, con l’adozione di una configurazione impiantistica e di condizioni di processo tale da ridurre le emissioni significativamente e di portare le stesse a livelli previsti dalle migliori tecniche disponibili.

Per quanto illustrato, quindi, anche le doglianze di cui al secondo profilo di ricorso sono infondate.

Infondate, infine, sono anche le doglianze proposte in relazione alla ritenuta violazione del rispetto degli obblighi previsti dalla normativa in materia di inquinamento acustico.

Secondo i ricorrenti risulterebbe violato l’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 59/05, laddove il provvedimento impugnato, pur dando esplicitamente atto che in alcuni punti dei territori comunali interessati i livelli di rumore generati dall’impianto superano i valori limite stabiliti nelle rispettive classificazioni acustiche comunali, rilasciava ugualmente la richiesta autorizzazione.

Il Collegio rileva che l’art. 7, comma 3, d.lgs. cit. prevede che “l’autorizzazione integrata ambientale deve includere valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle elencate nell’allegato III …nonché i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico…”.

Il provvedimento impugnato richiede alla società istante di presentare un’integrazione del piano di risanamento acustico entro il 31 dicembre 2006, tramite una valutazione tecnica delle possibili ulteriori misure di contenimento del rumore generato dall’esercizio della propria attività che possono essere adottate al fine di garantire il rispetto dei valori limite stabiliti nelle classificazioni acustiche dei due comuni interessati e ciò, ad opinione dei ricorrenti, comporterebbe un illegittimità perché non sarebbero state indicate le ragioni che avrebbero indotto la Provincia a rilasciare l’autorizzazione pur se al momento dell’adozione del relativo provvedimento il risanamento acustico non era stato completamente effettuato.

Il Collegio concorda con l’osservazione della società controinteressata, però, laddove specifica che il richiamo alla classificazione acustica dei comuni interessati non può che prendere a riferimento i parametri ivi previsti, che nello specifico riguardano l’inserimento in classe VI dell’area industriale ricadente nella comune di Bruzolo e in classe VI e V per l’area industriale ricadente nel comune di San Didero.

Ciò posto, si evidenzia che la società controinteressata ha depositato proprio in data 31 dicembre 2006 uno studio di impatto acustico con ulteriori misure di contenimento del rumore sul territorio sia in fase di progettazione del nuovo impianto di trattazione d’abbattimento di fumi sia successivamente.

Pur non potendo dare rilevanza decisiva alla relazione tecnica asseverata del 27 settembre 2006, cui fa riferimento nei suoi scritti difensivi la società ricorrente, perché successiva alla data di adozione del provvedimento impugnato, si può legittimamente considerare che essa fotografi lo “stato dell’arte” al momento della verifica definitiva dell’impatto acustico.

Infatti, in riferimento alla normativa richiamata dei medesimi ricorrenti, si ribadisce che l’impianto autorizzato rientrava tra quelli “già esistenti” per i quali ai sensi della normativa sopra richiamata, di cui all’art. 5, comma 18, d.lgs. n. 59/2005 cit., si prevedeva che le prescrizioni di protezione dell’ambiente erano da attuare entro la data del 30 ottobre 2007, riferendosi queste anche alla tutela dall’inquinamento acustico.

Inoltre, anche il richiamato art. 7, comma 3, d.lgs. cit. prevedeva che dovessero soltanto essere inclusi i valori limite ai sensi della vigente normativa in materia di inquinamento acustico, pur prevedendo la possibilità che l’autorizzazione, ove necessario, contenesse ulteriori disposizioni per la riduzione a breve del medesimo inquinamento acustico.

Ciò è stato effettuato, come poi – quale elemento di fatto – rilevato nella relazione tecnica asseverata riportata dalla società controinteressata, per cui il Collegio ritiene che il provvedimento sia conforme alle disposizioni di legge anche sotto tale profilo.

L’autorizzazione ambientale integrata, in definitiva, si sostanzia in una fattispecie nuova dell’ordinamento che consente, soprattutto in relazione agli impianti già esistenti, di conformare in un primo momento a requisiti minimi l’attività assentita per poi, però, monitorare, costantemente e con oneri a carico dell’interessata. la situazione, in modo da garantire l’evoluzione della miglior modalità di controllo dell’inquinamento.

Come già accennato in precedenza, quindi, pare decisiva la circostanza – comunque saggiamente prevista dal legislatore – che l’autorizzazione in questione non sia definitiva ed immutabile ma, anzi, sia sottoposta a periodici controlli di validità ed imponga comunque, sia all’amministrazione procedente sia all’impresa interessata, di monitorare costantemente la situazione di inquinamento e conformarla, nel tempo, all’evoluzione tecnica in materia di contenimento dell’inquinamento, sia ambientale sia acustico.

Nel caso di specie l’autorizzazione, sotto tale profilo, risponde ai requisiti minimi previsti dalla legge per gli impianti già esistenti per cui le doglianze proposte dei ricorrenti non possono trovare accoglimento.

Da ultimo, i medesimi ricorrenti, insistono perché sia disposta una apposita consulenza tecnica d’ufficio in relazione al generale rischio radiologico derivante dall’immissione nell’ambiente dei residui dell’attività assentita.

Sul punto però, il Collegio, aderendo anche a tale osservazione proposta dalla Provincia di Torino, rileva l’inammissibilità del ricorso come formulato sul punto.

Infatti, come noto, la consulenza tecnica d’ufficio non è uno strumento idoneo a sostituire l’onere probatorio in carico ai ricorrenti ne è strumento in qualche modo di carattere “prognostico e di mera indagine conoscitiva” per verificare le eventuali carenze tecniche dell’attività istruttoria, come svolta nel corso del procedimento.

In particolare i ricorrenti allegano deduzioni strettamente tecniche in ordine ai rischi sulla salute della radioattività ed affermano che la Provincia avrebbe di fatto “abdicato” al proprio ruolo di controllo, senza considerare che, come detto, l’autorizzazione ha efficacia limitata nel tempo, che i dati relativi ai controlli delle emissioni saranno posti a disposizione del pubblico per la consultazione presso lo Sportello Ambiente di Torino, che, quindi, sia la Provincia sia gli interessati tutti potranno verificare costantemente l’evolversi della situazione ambientale, dando luogo, se del caso, all’avvio del procedimento per correttivi e, nei casi più gravi, per disporre la revoca dell’AIA rilasciata.

La semplice allegazione di dati tecnici, particolarmente complessi, non è di per sé sufficiente a stimolare una c.t.u. nella presente sede, laddove non è specificato ove i dati forniti collidano con quelli di riferimento nell’autorizzazione e come possano aver influito al momento del rilascio dell’autorizzazione, tenuto conto che l’autorizzazione in questione, per quanto evidenziato, costituisce una sorta di procedimento sempre aperto che consente ai diretti interessati, quali sono certamente i residenti dei comuni di Bruzolo e San Didero, di monitorare la situazione e anche di richiedere interventi diretti da parte della Provincia competente se vi fossero i presupposti.

Per quanto illustrato, quindi, il ricorso deve essere in parte rigettato e in parte dichiarato inammissibile.

Sussistono comunque giusti motivi per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti, considerata la novità della questione trattata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte - 2^ Sezione - in parte rigetta il ricorso in epigrafe e, in parte, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 28/03/2007 con l'intervento dei signori:
Giuseppe Calvo, Presidente
Ivo Correale, Referendario, Estensore
Emanuela Loria, Referendario





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE







IL SEGRETARIO




DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/07/2007
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL DIRIGENTE